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# La notte che bruciammo Chrome |
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**William Gibson** |
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Raccolta di racconti del cyberpunk (Urania 1110, 1989) |
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## Indice |
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1. [Prefazione](00_prefazione.md) |
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2. [Johnny Mnemonico](01_johnny_mnemonico.md) |
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3. [La notte che bruciammo Chrome](02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md) |
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4. [Il continuum di Gernsback](03_il_continuum_di_gernsback.md) |
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5. [Frammenti di una rosa olografica](04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md) |
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6. [Hinterland](05_hinterland.md) |
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7. [New Rose Hotel](06_new_rose_hotel.md) |
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8. [Il mercato d'inverno](07_il_mercato_dinverno.md) |
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9. [La razza giusta](08_la_razza_giusta.md) |
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10. [Stella rossa, orbita d'inverno](09_stella_rossa_orbita_dinverno.md) |
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11. [Duello](10_duello.md) |
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# Prefazione |
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Se i poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo, gli scrittori di |
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fantascienza sono i suoi buffoni di corte. Noi siamo Pazzi Saggi che fanno |
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capriole, pronunciano profezie e si grattano in pubblico. Possiamo scherzare |
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delle Grandi Idee perché le nostre sgargianti origini nelle riviste popolari ci |
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fanno apparire innocui. |
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Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo |
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influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul |
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serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura, si diffondono in maniera |
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invisibile come una radiazione di fondo. |
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Ma la triste verità è che la fantascienza negli ultimi tempi non ha divertito |
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molto. Tutte le forme di cultura popolare attraversano momenti di depressione. |
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Se la fantascienza dei tardi anni Settanta era confusa, ripiegata su se stessa, |
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stantia, non c'è da stupirsene. |
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William Gibson è uno dei nostri migliori messaggeri di un futuro migliore. La |
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sua breve carriera lo ha già consacrato come uno dei più importanti scrittori |
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degli anni Ottanta. Il suo stupefacente primo romanzo, “Neuromante”, che ha |
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vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile |
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capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L'effetto è |
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stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la fantascienza |
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dal suo letargo dogmatico. Uscita dall'ibernazione sta sbucando dalla sua |
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caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. E noi siamo magri, |
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affamati, e non dell'umore migliore. |
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D'ora in poi le cose andranno in maniera diversa. L'antologia che avete fra le |
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mani contiene tutte le opere brevi scritte finora da Gibson. È raro poter assistere |
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allo sviluppo straordinariamente rapido di un grande scrittore. La strada che |
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intendeva seguire era già visibile nella prima storia pubblicata, “Frammenti di |
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una rosa olografica”, del 1977. I segni distintivi di Gibson sono già presenti: una |
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complessa sintesi di moderna cultura pop, alta tecnologia, tecniche letterarie |
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d'avanguardia. |
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Il secondo racconto di Gibson, “Il continuum di Gernsback”, ce lo mostra |
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mentre prende di mira il padre fondatore della tradizione fantascientifica. È una |
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denuncia devastante della “scientifiction” nella sua tradizione di miope |
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tecnocrazia. Vediamo qui uno scrittore che conosce le sue radici, e si sta |
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preparando a una radicale trasformazione. |
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Gibson ha dato la prova più matura delle sue capacità nella serie |
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dell'”Agglomerato”: “Johnny Mnemonico”, “New Rose Hotel” e l'incredibile “La |
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notte che bruciammo Chrome”. La pubblicazione di questi racconti sulla rivista |
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“Omni” mostrò un livello di concentrazione e immaginazione che diede uno |
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scossone all'intero genere fantascientifico. Queste storie densissime e barocche |
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meritano di essere lette più volte, per la loro cupa e implacabile passione, per i |
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dettagli intensamente precisi. |
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Il trionfo di questi pezzi sta nella loro capacità di evocare un futuro credibile. |
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Un compito difficilissimo, che molti scrittori di fantascienza hanno evitato di |
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affrontare per anni. Questo fallimento intellettuale spiega lo spaventoso |
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proliferare di storie sul dopo-olocausto, di fantasie di spada-e-magia, e di quelle |
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onnipresenti “space opera” in cui imperi galattici crollano molto |
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opportunamente nella barbarie. Tutti questi sotto-generi sono il prodotto del |
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desiderio impellente da parte degli scrittori di non occuparsi realisticamente del |
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futuro. |
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Ma nelle storie dell'Agglomerato vediamo un futuro ricavato in maniera |
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riconoscibile e dolorosa dalle moderne situazioni sociali. È multiforme, |
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sofisticato, globale nella sua visione. Deriva da una nuova serie di punti di |
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partenza: non dalle formule trite dei robot, delle astronavi, del moderno |
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miracolo atomico, ma dalla cibernetica, dalle biotecnologie, dalla rete |
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informatica, per dirne solo alcune. Le tecniche estrapolative di Gibson sono |
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quelle della fantascienza classica e pura, ma il modo in cui le sviluppa è tipico |
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della New Wave. Al posto dei soliti tecnici spassionati e degli eroi tutti di un |
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pezzo della fantascienza tecnologica, i suoi personaggi sono una ciurma di |
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perdenti, truffatori, reietti, emarginati e schizofrenici. Vediamo questo futuro |
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dall'interno, come è vissuto, non semplicemente come arida speculazione. |
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Gibson mette fine a quel fertile archetipo gernsbackiano, Ralph 124C41+, il |
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tecnocrate ben educato che dalla sua torre d'avorio sparge la benedizione della |
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superscienza sulle masse. Nelle opere di Gibson ci ritroviamo nelle strade e nei |
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vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l'alta tecnologia è un |
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ronzio costante, “come un esperimento impazzito di darwinismo sociale, |
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inventato da un ricercatore annoiato che tiene perennemente premuto |
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l'acceleratore.” La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre |
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meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. È un flusso di |
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radiazioni mutagene che si diffondono fra una folla, un Autobus Globale |
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stracarico che si inerpica a tutta velocità lungo una salita esponenziale. |
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Queste storie ci dipingono un ritratto immediatamente riconoscibile del |
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destino moderno. Le estrapolazioni di Gibson mostrano con enorme nitidezza la |
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massa nascosta di quell'iceberg che è il mutamento sociale. L'iceberg scivola in |
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questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo |
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secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure. |
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Molti scrittori di fantascienza, posti di fronte a questo mostro in agguato, |
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hanno alzato le mani al cielo, predicendo il disastro. Anche se nessuno potrebbe |
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accusare Gibson di ingenuo ottimismo, egli ha evitato questa scappatoia. Questo |
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è un altro tratto distintivo della scuola emergente di scrittori degli anni Ottanta: |
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la noia dell'Apocalisse. Gibson non perde tempo ad agitare il dito o a torcersi le |
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mani. Tiene gli occhi bene aperti, e, come ha notato Algis Budrys, non ha paura di |
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rimboccarsi le maniche. Queste sono cospicue virtù. |
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Un altro segno ci mostra che Gibson è parte di un consenso crescente nella |
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fantascienza: prova ne è la facilità con cui collabora con altri scrittori. Tre di |
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queste collaborazioni compaiono in questa antologia. “La razza giusta” è un raro |
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esempio di horror spumeggiante di folle surrealismo. “Stella rossa, orbita |
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d'inverno” è un altro pezzo sul futuro prossimo, con uno sfondo |
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meravigliosamente dettagliato e autentico, con il suo punto di vista globale, |
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multiculturale, tipico della fantascienza degli anni Ottanta, “Duello” è una storia |
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brutale e terribile, con la combinazione di bassifondi e alta tecnologia che è |
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tipica di Gibson. |
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Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua |
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voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore |
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dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura |
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fantascientifica per farvi entrare l'aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura |
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degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e |
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tecnologia. Ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale: |
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Le Carré, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è |
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un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”: |
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quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità |
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specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo. La |
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fantascienza ha vissuto di rendita per un lungo inverno. Gibson, insieme a una |
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schiera di nuovi scrittori dotati di inventiva e ambizione, ha risvegliato il genere |
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e l'ha lanciato alla ricerca di cibo fresco. E questo è un gran bene per noi tutti. |
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Bruce Sterling |
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# Il continuum di Gernsback |
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_(The Gernsback Continuum, 1981)_ |
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Per fortuna gli effetti stanno svanendo, la faccenda si sta rivelando un |
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episodio temporaneo. Quando ancora mi capita di vedere qualcosa, è ai margini |
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del campo visivo: frammenti di assurde macchine cromate, appena intraviste. Ho |
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visto un'ala volante sopra San Francisco, la settimana scorsa, ma era quasi |
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trasparente. E le auto con le pinne di squalo si sono fatte più rare, le autostrade |
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evitano discretamente di espandersi in mostri scintillanti a ottanta corsie, come |
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quello in cui sono stato costretto a guidare la settimana scorsa con la mia Toyota |
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a nolo. E so che niente di tutto ciò mi seguirà fino a New York, il mio campo |
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visivo si sta restringendo a una sola lunghezza d'onda probabilistica. Ho lavorato |
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duro per ottenere questo risultato. La televisione mi è stata di grande aiuto. |
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Credo che sia cominciato a Londra, in quella taverna greca fasulla in Battersea |
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Park Road, dove abbiamo pranzato a spese della ditta di Cohen. Tutta roba da |
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tavola calda, e ci hanno messo mezz'ora per trovare un secchiello del ghiaccio |
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per il vino. Cohen lavora perla Barris-Watford, che pubblica grandi libri illustrati |
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molto chic sull'arte “commerciale”: la storia delle insegne al neon, i flipper, i |
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giocattoli a molla del Giappone occupato. Ero andato in Inghilterra per una serie |
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di fotografie pubblicitarie; ragazze californiane con le gambe abbronzate e |
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scarpe da ginnastica dai vivaci colori fluorescenti che saltellavano in mio onore |
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lungo le scale mobili di Saint John's Wood e sui marciapiedi di Tooting Bec. Un |
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giovane funzionario, magro e ambizioso, aveva deciso che i misteri della |
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metropolitana di Londra sarebbero serviti a vendere scarpe di nylon con la suola |
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da montagna. Loro decidono, io fotografo. E Cohen, che conoscevo vagamente |
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dai tempi di New York, mi aveva invitato a pranzo il giorno prima della partenza |
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da Heathrow. Era accompagnato da una signorina vestita molto alla moda, di |
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nome Dialta Downes, una tipa praticamente senza mento, nota studiosa di storia |
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dell'arte pop. Se ci ripenso la vedo camminare a fianco di Cohen sotto un'insegna |
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lampeggiante al neon, con scritto DIREZIONE: FOLLIA in grosse maiuscole |
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“senza terminazioni”. Cohen ci presentò e spiegò che Dialta era l'artefice |
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dell'ultimo progetto della Barris-Watford, una storia illustrata di quello che lei |
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chiamava “Stile Modernista Aerodinamico Americano”. Cohen lo chiamava |
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“gotico spaziale”. Il titolo provvisorio era “Futuropolis: La città mai esistita”. |
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Gli inglesi hanno una tipica ossessione per gli aspetti più barocchi della |
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cultura pop americana, qualcosa di simile al feticismo dei tedeschi occidentali |
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verso gli indiani e i cowboy o all'assurda idolatria dei francesi per i vecchi film di |
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Jerry Lewis. In Dialta Downes questo si manifestava in una mania per una forma |
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di architettura squisitamente americana, ma di cui gli americani sono |
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scarsamente consapevoli. All'inizio non ero ben sicuro di cosa stesse parlando, |
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ma un po' alla volta cominciai a capire. Tornai con la mente ai programmi |
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televisivi della domenica mattina, negli anni ‘50. Qualche volta, sulla stazione |
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locale, trasmettevano vecchi cinegiornali, come riempitivo. E mentre si stava |
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seduti con un panino al burro di arachidi e un bicchiere di latte, una voce |
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baritonale, hollywoodiana e gracchiante, raccontava che c'era “Una Macchina |
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Volante nel Vostro Futuro”. E tre ingegneri di Detroit si davano da fare su una |
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vecchia, gigantesca Nash alata, che si lanciava poi rumorosamente lungo qualche |
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pista deserta del Michigan. Non la si vedeva mai decollare veramente, ma volava |
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verso la terra inesistente di Dialta Downes, la vera patria di una generazione di |
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tecnofili privi di inibizioni. Quello di cui mi stava parlando erano quei pezzi di |
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architettura “futuristica” degli anni Venti e Trenta che si incontrano ogni giorno |
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nelle città americane senza accorgersene: le pensiline dei cinema con nervature |
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che irradiano una misteriosa energia, i negozi con la facciata di alluminio |
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scanalato, le sedie di tubo cromato che raccolgono la polvere negli androni degli |
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alberghi di terza categoria. Lei vedeva queste cose come segmenti isolati di un |
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mondo di sogno abbandonati in un presente indifferente; voleva che li |
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fotografassi per lei. |
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Gli anni Trenta avevano visto nascere la prima generazione di progettisti |
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industriali americani. Fino agli anni 30 tutti i temperamatite sembravano |
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temperamatite: il classico meccanismo vittoriano, al massimo un'ombra di |
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decorazione. Dopo l'avvento dei designer, c'erano temperamatite che |
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sembravano progettati nelle gallerie a vento. Nella maggior parte dei casi il |
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cambiamento era solo superficiale; sotto il guscio cromato e aerodinamico c'era |
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sempre il vecchio meccanismo vittoriano. Il che aveva una sua logica, perché i |
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designer più abili erano usciti dalle file degli scenografi di Broadway. Era tutto |
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un palcoscenico, una serie di fondali complicati per giocare a vivere nel futuro. |
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Mentre bevevamo il caffè, Cohen tirò fuori una grossa cartelletta piena di foto. |
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C'erano le statue alate che facevano la guardia alla diga di Hoover, come |
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decorazioni di cemento alte dodici metri soffiate da un immaginario uragano. |
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C'erano una dozzina di foto del Johnson's Wax Building di Frank Lloyd Wright, |
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affiancate alle copertine della vecchia “Amazing Stories”, dipinte da un tale di |
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nome Frank R. Paul; probabilmente i dipendenti della Johnson's Wax avevano |
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avuto l'impressione di entrare in una delle utopie aerografate da rivista |
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popolare di Paul. L'edificio di Wright sembrava progettato per gente che |
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indossava tuniche bianche e sandali di perspex. Mi soffermai sul disegno di un |
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aereo a elica particolarmente maestoso, tutto ali, come un grosso boomerang |
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simmetrico dotato di finestrini nei posti più inverosimili. Delle frecce indicavano |
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la posizione della sala da ballo e di due campi da squash. Era datato 1936. |
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— Non mi direte che questa roba volava. — Guardai Dialta Downes. |
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— Oh, no, impossibile, anche con quelle dodici eliche giganti; ma alla gente |
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piaceva quel look, capite? Da New York a Londra in meno di due giorni, sale da |
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pranzo di prima classe, cabine private, ponti per abbronzarsi, serate danzanti |
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con orchestra jazz. . I progettisti cercavano di dare al pubblico quello che |
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desiderava. E quello che il pubblico desiderava era il futuro. |
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Ero a Burbank da tre giorni impegnato a cercare di soffondere di carisma un |
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cantante rock molto insipido, quando ricevetti il pacco di Cohen. È possibile |
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fotografare l'inesistente, ma è maledettamente difficile riuscirci, e di |
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conseguenza questo è un talento molto ricercato sul mercato. Anche se ci so fare, |
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non si può dire che sia il migliore, e quel tipo metteva a dura prova la credibilità |
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della mia Nikon. Uscii depresso perché mi piace fare un buon lavoro, ma non del |
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tutto, perché mi ero assicurato di ricevere comunque l'assegno, e decisi di |
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tirarmi su con la sublime artisticità del lavoro per la Barris-Watford. Cohen mi |
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aveva mandato alcuni libri sul design degli anni ‘30, foto di edifici aerodinamici, |
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e una lista dei cinquanta esempi più importanti in California compilata da Dialta |
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Downes. La fotografia architettonica può comportare lunghe attese; l'edificio |
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diventa una specie di meridiana, mentre si aspetta che l'ombra si allontani da un |
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particolare, che la massa e l'equilibrio della struttura si rivelino in una certa |
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maniera. Mentre aspettavo, mi immaginai nell'America di Dialta Downes. |
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Quando isolavo alcuni edifici industriali nel mirino smerigliato della Hasselblad, |
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questi assumevano una specie di totalitaria dignità, come gli stadi che Albert |
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Speer aveva costruito per Hitler. Ma il resto era implacabilmente volgare: roba |
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effimera, secreta dall'inconscio collettivo americano degli anni ‘30, che |
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sopravviveva lungo strade deprimenti su cui si allineavano motel polverosi, |
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venditori all'ingrosso di materassi ed esposizioni di macchine usate. Mi buttai |
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sulle stazioni di servizio. Al culmine dell'Era di Downes, Ming lo Spietato era |
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stato incaricato di progettare le stazioni di servizio della California. Seguendo |
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l'architettura della sua nativa Mongo, aveva percorso in lungo e in largo la costa |
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erigendo postazioni di cannoni laser in stucco bianco. Nella maggior parte vi |
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erano superflue torrette centrali circondate da quegli strani radiatori che erano |
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il marchio distintivo dello stile e sembravano generare potenti flussi di |
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entusiasmo per la tecnologia. Bastava trovare il modo per riportarle in vita. Ne |
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fotografai una, a San José, un'ora prima che arrivassero i bulldozer e |
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distruggessero la verità architettonica di stucco, incannicciato e cemento da |
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poco prezzo. |
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«Dovete immaginare» gli aveva detto Dialta Downes, «una specie di America |
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alternativa: un 1980 mai esistito. Un'architettura di sogni infranti.» E quella era |
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la mia disposizione mentale mentre percorrevo le stazioni della sua involuta via |
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crucis socioarchitettonica nella mia Toyota rossa, e gradualmente mi |
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sintonizzavo sulla sua immagine umbratile di un'America che non c'era, di |
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fabbriche di Coca-Cola simili a sottomarini arenati, di cinema di quinta visione |
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simili a templi di una setta perduta che aveva adorato specchi azzurri e la |
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geometria. E mentre mi muovevo fra quelle rovine segrete mi trovai a pensare a |
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cosa avrebbero pensato gli abitanti del futuro perduto del mondo in cui io |
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vivevo. Gli anni ‘30 sognavano marmi bianchi e cromature aerodinamiche, |
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cristalli immortali e bronzo brunito; ma i razzi sulla copertina delle riviste di |
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Gernsback erano caduti su Londra in piena notte, sibilando. Dopo la guerra tutti |
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avevano avuto una macchina, ma senza ali, e le autostrade promesse per farla |
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correre, tanto che il cielo stesso si era oscurato e i fumi avevano divorato i |
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marmi e corroso i cristalli miracolosi. . |
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E un giorno, alla periferia di Bolinas, mentre mi stavo preparando a |
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fotografare un esemplare particolarmente sontuoso di architettura militare |
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Ming, penetrai una sottile membrana, una membrana probabilistica. . |
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Senza accorgermene, superai il Confine. . |
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E alzando gli occhi vidi un apparecchio a 12 motori, simile a un boomerang |
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ingrossato, tutto ali, che si muoveva verso est con grazia elefantina, così basso |
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che avrei potuto contarne i rivetti sullo scafo argento opaco, e sentire, forse, |
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l'eco di un'orchestra jazz. |
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Andai da Kihn. |
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Merv Kihn, giornalista indipendente specializzato in pterodattili texani, |
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contadini reazionari che avevano avuto contatti con gli UFO, mostri di Loch Ness |
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di terza classe e le dieci più diffuse teorie sulle cospirazioni nate nelle zone |
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retrograde dell'immaginario collettivo americano. |
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— Non è male — disse Kihn, pulendosi gli occhiali da tiro a segno Polaroid con |
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un lembo della camicia hawaiana — ma non è veramente cerebrale. Gli manca |
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quel certo quid. |
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— Ma l'ho visto, Merv. — Eravamo seduti ai bordi di una piscina, sotto il sole |
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splendente dell'Arizona. Lui era a Tucson, in attesa di un gruppo di impiegate |
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statali di Las Vegas in pensione, la cui portavoce riceveva messaggi dagli Alieni |
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per mezzo di un forno a microonde. Avevo guidato tutta notte, e me lo sentivo |
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nelle ossa. |
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— Ma certo che l'hai visto. Hai letto i miei articoli — non hai ancora afferrato |
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la mia soluzione definitiva del problema degli UFO? È semplicissimo: la gente — |
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si sistemò accuratamente gli occhiali sul lungo naso aquilino e mi rivolse uno |
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sguardo da basilisco — VEDE. . delle cose. La gente le vede. Non c'è niente, ma la |
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gente le VEDE lo stesso, capisci? Perché ne hanno bisogno, probabilmente. Hai |
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letto Jung, dovresti sapere qual è la causa. . Nel tuo caso è piuttosto ovvia: hai |
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detto che stavi pensando a questa architettura demenziale, ci fantasticavi sopra. . |
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Ascolta, sono sicuro che anche tu ti sei fatto la tua parte di droghe, giusto? |
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Quanti hanno visto passare gli anni ‘60 in California senza avere almeno una |
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volta quelle strane allucinazioni? Per esempio quando sembrava che i jeans |
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fossero diventati un ologramma di geroglifici disegnati dalla Walt Disney, o |
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quando. . |
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— Ma non era così. |
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— Certo che non era così. Era completamente diverso. Era “su uno sfondo |
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perfettamente reale”, giusto? Tutto normale, poi compare il mostro, il mandala, il |
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sigaro fluorescente. Nel tuo caso un gigantesco aeroplano stile “Amazing”. |
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Succede in continuazione. Non sei neppure pazzo. Lo sai, vero? — prese una |
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birra dalla borsa refrigerante malandata che aveva vicino alla sedia a sdraio. |
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— La settimana scorsa ero in Virginia. Grayson County. Ho intervistato una |
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ragazzina di sedici anni che era stata assalita da una testa di orso. |
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— Che? |
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— La testa tagliata di un orso. Se ne svolazzava in giro sul suo disco volante, |
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che sembrava il coprimozzo della vecchia Cadillac di suo cugino Wayne. Aveva |
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occhi rossi, luccicanti come due mozziconi di sigaro e antenne telescopiche che |
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gli uscivano da dietro le orecchie. — Fece un rutto. |
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— E l'ha assalita? Come? |
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— È meglio che non te lo dica. Sei un tipo impressionabile. “Era freddo” — |
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fece una brutta imitazione dell'accento del sud — “e metallico.” Faceva suoni |
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elettronici. È un prodotto genuino, amico: direttamente dall'inconscio collettivo; |
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quella ragazzina è una strega. Non c'è posto per lei in questa società. |
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Sicuramente se non fosse cresciuta con “L'uomo bionico” e le repliche di Star |
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Trek avrebbe detto di aver visto il diavolo. Ha semplicemente seguito la |
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corrente. E sa esattamente cosa le è successo. Ero uscito da dieci minuti quando |
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sono arrivati gli ufologi con la macchina della verità. |
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Dovevo avere un'aria preoccupata, perché lui appoggiò la birra vicino alla |
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borsa refrigerante e si alzò. |
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— Se vuoi una spiegazione più intellettuale, direi che hai visto un fantasma |
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semiotico. Tutte queste storie di incontri ravvicinati, per esempio, sono calate |
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nella dimensione fantascientifica che permea la nostra cultura. Posso anche |
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credere agli alieni, ma non a degli alieni che assomigliano a fumetti degli anni |
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‘50. Sono fantasmi semiotici, frammenti di un immaginario culturale che si è |
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separato e ha acquistato una vita autonoma, come le navi volanti alla Giulio |
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Verne che vedevano sempre quei vecchi contadini del Kansas. Tu hai visto un |
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tipo diverso di fantasma, ecco tutto. Un tempo quell'aereo faceva parte |
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dell'inconscio collettivo. In qualche maniera l'hai catturato. L'importante è non |
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preoccuparsene. |
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Ma io me ne preoccupavo. |
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Kihn si pettinò i radi capelli biondi e uscì per sentire cosa dicevano gli alieni |
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sulle frequenze radar, e io tirai le tende della mia camera e mi stesi nel buio ad |
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aria condizionata per preoccuparmi. Stavo ancora preoccupandomi quando mi |
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svegliai. Kihn aveva lasciato un biglietto sulla mia porta: aveva preso un volo |
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charter diretto a nord, per controllare delle voci su mutazioni del bestiame. |
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Un'altra delle sue specialità giornalistiche. |
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Io pranzai, feci una doccia, ingoiai una pillola dimagrante mezza sbriciolata |
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che girava in fondo alla mia borsa da barba da tre anni, e ripartii per Los |
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Angeles. |
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La velocità mi limitava il campo visivo al tunnel creato dai fari della Toyota. Mi |
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dissi che il corpo poteva guidare mentre la mente riposava. Riposava e si teneva |
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lontana dalle bizzarre immagini prodotte dall'anfetamina, dalla stanchezza e |
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dalla spettrale, luminosa vegetazione che cresce alla coda dell'occhio della |
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mente, lungo un'autostrada a tarda notte. Ma la mente ha le sue idee, e |
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l'opinione di Kihn su quello che ormai consideravo il mio “avvistamento” mi |
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girava per la testa in un'orbita asimmetrica. |
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Fantasmi semiotici. Frammenti del Sogno Collettivo, che svolazzavano nella |
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scia della macchina. Probabilmente tutto quel ragionamento fece uno strano |
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effetto alla pillola dietetica, e la vegetazione confusa ai margini della strada |
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assunse il colore delle immagini all'infrarosso dei satelliti, frammenti luminosi |
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soffiati via dalla Toyota. Allora parcheggiai, e il riflesso dei fari sulle lattine di |
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birra sparse in strada cessò improvvisamente quando spensi i fari, come un |
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augurio di buona notte. Calcolai che ore dovevano essere a Londra, e cercai di |
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immaginarmi Dialta Downes che faceva colazione nel suo appartamento di |
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Hampstead, circondata da statuette cromate e libri sulla cultura americana. |
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Le notti del deserto, là, sono enormi; la luna è più vicina. Osservai a lungo la |
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luna e decisi che Kihn aveva ragione. L'importante era non preoccuparsi. In tutto |
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il continente, gente più normale di quanto avrei mai potuto essere, vedeva ogni |
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giorno uccelli giganti, yeti, raffinerie petrolifere volanti; servivano a dare lavoro |
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a Kihn. Perché sentirsi sconvolti da una visione dell'immaginario popolare a |
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passeggio nel cielo di Bolinas? Decisi di addormentarmi avendo come unica |
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preoccupazione i serpenti a sonagli e gli hippy cannibali, al sicuro fra |
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l'amichevole spazzatura del mio continuum quotidiano. La mattina avrei |
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raggiunto Nogales e fotografato i vecchi bordelli, una cosa che volevo fare da |
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anni. La pillola dietetica aveva dato forfait. |
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Prima mi svegliò la luce, poi le voci. |
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La luce veniva dalle mie spalle e gettava ombre mutevoli nella macchina. Le |
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voci erano calme, indistinte, maschili e femminili, e conversavano fra alieni. |
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Avevo il collo irrigidito, e mi sentivo gli occhi impastati. Mi si era |
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addormentata una gamba, premuta contro il volante. Cercai gli occhiali nella |
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tasca della camicia, e alla fine li trovai. Poi mi guardai alle spalle e vidi la città. |
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I libri sul design degli anni ‘30 erano nel portabagagli; in uno di essi c'erano |
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delle illustrazioni di una città idealizzata, ricavata da “Metropolis” e dal “Mondo |
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futuro”, ma in cui tutto era più squadrato e si innalzava attraverso perfette |
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nuvole architettoniche, fino a pontili di attracco per dirigibili e assurdi pinnacoli |
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fluorescenti. Quella città era un modello in scala di quella che c'era alle mie |
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spalle. Guglie si innalzavano su altre guglie, in scintillanti gradini da ziggurat che |
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culminavano in un tempio dorato a forma di torre, con quelle pazzesche flange |
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da radiatore delle stazioni di servizio Mongo. Nella più piccola di quelle torri |
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avrebbe trovato posto l'intero Empire State Building. Strade di cristallo si |
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snodavano fra i pinnacoli, e su di esse scorrevano forme lisce e argentee come |
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perline di mercurio. L'aria era piena di navi: transatlantici tutti ali, piccoli oggetti |
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argentei dardeggianti (qualche volta una delle gocce di mercurio si sollevava |
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elegantemente dai pontili aerei e si univa alla danza), dirigibili lunghi un miglio, |
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cose simili a libellule che erano girocotteri. . |
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Chiusi forte gli occhi e mi girai sul sedile. “Quando li riapro” mi dissi “devo |
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vedere il contachilometri, la polvere bianca della strada sul cruscotto di plastica |
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nera, il portacenere pieno.” |
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— Psicosi da anfetamine — dissi. Aprii gli occhi. Il cruscotto c'era ancora, con |
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la polvere e i mozziconi schiacciati. Adagio senza muovere la testa, accesi i fari. |
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E li vidi. |
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Erano biondi. Erano in piedi vicino alla Alieni-macchina, una pera di alluminio |
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con una pinna da squalo che sporgeva dalla linea centrale e pneumatici neri e |
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lisci come quelli di un giocattolo. Lui le teneva un braccio attorno alla vita e |
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gesticolava verso la città. Indossavano fluenti vesti bianche che lasciavano |
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scoperte le gambe, e sandali bianchi immacolati. Nessuno dei due sembrava |
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essersi accorto dei miei fari. Lui stava dicendo qualcosa di saggio e importante, e |
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lei annuiva, e d'improvviso io ebbi paura, paura in modo completamente |
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diverso. L'equilibrio mentale aveva cessato di essere un problema; sapevo, in |
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qualche maniera, che la città alle mie spalle era Tucson: una Tucson di sogno, |
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creata dal desiderio collettivo di un'epoca. Sapevo che era reale, del tutto reale. |
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Ma la coppia di fronte a me viveva lì, ed erano gli Alieni a spaventarmi. |
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Erano i figli degli “Anni-80 mai esistiti” di Dialta Downes, erano gli Eredi del |
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Sogno. Erano bianchi, biondi, e probabilmente avevano occhi azzurri. Americani. |
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Dialta aveva detto che il futuro era arrivato prima in America, ma che poi se l'era |
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lasciata alle spalle. Ma non qui, nel cuore del Sogno. Noi avevamo proseguito, in |
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una logica onirica che ignorava l'inquinamento, i limiti dei combustibili fossili, le |
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guerre che era possibile perdere. Erano felici e del tutto soddisfatti di loro stessi |
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e del loro mondo. E, nel Sogno, quel mondo era loro. |
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Alle mie spalle, la città illuminata: riflettori fendevano gioiosi il cielo. Li |
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immaginai radunati sulle piazze di bianco marmo, puliti e attenti, con gli occhi |
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che brillavano di entusiasmo per i viali luminosi e le auto argentee. |
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Avevano una sinistra vitalità da propaganda della Gioventù Hitleriana. Avviai |
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la macchina e avanzai adagio, finché il paraurti fu a un metro da loro. Ancora non |
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mi avevano visto. Abbassai il finestrino e ascoltai quello che diceva l'uomo. Le |
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sue parole erano limpide e secche come un dépliant della Camera di Commercio, |
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e io sapevo che lui credeva senza riserve a quello che stava dicendo. |
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— John — sentii dire la donna — ci siamo dimenticati di prendere le pillole |
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nutritive. — Tirò fuori due cialde da un oggetto che aveva alla cintura e ne passò |
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una all'uomo. Io feci retromarcia fino all'autostrada e ripartii verso Los Angeles, |
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rabbrividendo e scuotendo la testa. |
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Telefonai a Kihn da una stazione di servizio. Gli dissi che era una storia nuova |
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di un brutto stile spagnolo moderno. Era appena tornato dalla sua spedizione, e |
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non sembrava infastidito dalla mia chiamata. |
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— Sì, è una cosa bizzarra. Hai cercato di fare delle foto? Non vengono mai, ma |
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aggiungono un tocco di mistero alla storia, il fatto che non si riesca a |
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svilupparle. . |
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Ma cosa dovevo fare? |
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— Guarda molta televisione, in particolare quiz e telenovelas. Vai a vedere |
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film porno. Hai mai visto “Nazi Love Motel”? Lo trasmettono via cavo. È |
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veramente mostruoso. Proprio quello che ti serve. Ma di cosa stava parlando? |
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— Smettila di gridare e ascoltami. Ti svelerò un segreto del mestiere: i |
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peggiori sottoprodotti dei media possono esorcizzare i fantasmi semiotici. Se |
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con questo sistema sono riuscito a salvarmi dai marziani, allora dovrebbe andar |
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bene anche per i tuoi incubi futuristi Art Deco. Cos'hai da perdere? |
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Poi si scusò, dicendo che aveva un appuntamento la mattina dopo con l'Eletta. |
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— Chi? |
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— La vecchia che parla con Vega, quella del forno a microonde. |
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Presi in considerazione la possibilità di chiamare Londra a carico destinatario, |
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scovare Cohen alla Barris-Watford e dirgli che il suo fotografo era partito per |
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una lunga vacanza nella Zona Oscura. Alla fine mi lasciai preparare da una |
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macchina una tazza di caffè imbevibile e risalii sulla Toyota per l'ultima tirata |
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fino a Los Angeles. |
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Scoprii che andare a Los Angeles era stata una pessima idea, e ci passai due |
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settimane. Era tutto territorio di Downes; c'era troppo del Sogno, lì, troppi |
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frammenti del Sogno pronti a catturarmi. Per poco non fracassai la macchina su |
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un raccordo vicino a Disneyland, quando la strada si spalancò a ventaglio come |
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un origami, e mi ritrovai a zigzagare fra una decina di corsie, in mezzo a |
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centinaia di gocce cromate con pinne da Cadillac sul retrotreno. Peggio ancora: |
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Hollywood era piena di gente che assomigliava troppo alla coppia che avevo |
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visto in Arizona. Mi misi d'accordo con un regista italiano che sbarcava il lunario |
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facendo lavori di sviluppo e stampa e installando pavimentazioni attorno alle |
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piscine in attesa che arrivasse la sua grande occasione. Lui mi stampò tutti i |
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negativi che avevo accumulato per Downes. Io non volevo guardarle. Ma a |
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Leonardo non facevano alcun effetto, e quando ebbe finito diedi un'occhiata alle |
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stampe, sfogliandole come un mazzo di carte, le chiusi in busta e le spedii a |
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Londra per posta aerea. Poi presi un taxi fino a un cinema dove davano “Nazi |
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Love Motel”, e tenni gli occhi chiusi dall'inizio alla fine. Il telegramma di |
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congratulazioni di Cohen mi arrivò a San Francisco una settimana dopo. Dialta |
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aveva apprezzato molto le foto. Lui era rimasto colpito da come mi ero |
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“immedesimato”, e sperava di lavorare ancora con me. Quel pomeriggio vidi |
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un'ala volante sopra Castro Street, ma aveva un aspetto diafano, come se ci fosse |
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solo per metà. Corsi all'edicola più vicina e presi tutto quello che riuscii a trovare |
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sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare. Avevo appena deciso di comprare un |
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biglietto aereo per New York. |
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— In che razza di mondo viviamo, eh? — l'edicolante era un negro magro, con |
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i denti cariati e un parrucchino quasi ostentato. Io annuii, frugandomi nelle |
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tasche dei jeans alla ricerca dei soldi, ansioso di trovare una panchina in un |
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parco per immergermi nella prova lampante della quasi-distopia in cui |
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vivevamo. — Ma potrebbe essere peggio, eh? |
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— Già — dissi io. — O peggio ancora, potrebbe essere perfetto. |
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Lui mi guardò mentre mi allontanavo stringendo sottobraccio il mio fagottino |
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di catastrofi. |
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@ -0,0 +1,385 @@ |
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# Frammenti di una rosa olografica |
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_(Fragments of a Hologram Rose, 1977)_ |
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Quell'estate Parker faceva fatica a dormire. |
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C'erano interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, e gli spegnimenti |
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improvvisi dell'induttore-delta provocavano dolorosi e improvvisi ritorni alla |
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coscienza. |
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Per evitare l'inconveniente usò dei cavi con morsetti e del nastro adesivo nero |
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per collegare l'induttore a una piastra A.S.P. a batteria. La caduta di tensione |
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nell'induttore faceva scattare il circuito di riproduzione della piastra. |
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Aveva comprato una cassetta A.S.P. che iniziava mostrando il soggetto |
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addormentato su una spiaggia tranquilla. Era stata registrata da uno yogi |
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giovane e biondo, con dieci decimi di vista e una grande sensibilità per i colori. Il |
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ragazzo era stato portato in aereo fino alle Barbados con il solo scopo di fargli |
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fare un pisolino e fargli praticare i suoi esercizi mattutini su un lembo di spiaggia |
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privata. La piastrina microfiche nella custodia trasparente della cassetta |
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spiegava che lo yogi era in grado di passare volontariamente dal sonno alfa a |
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quello delta senza bisogno di un induttore. Parker, che da due anni non riusciva |
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a dormire senza induttore, si era chiesto se fosse possibile. |
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Aveva potuto rivivere l'intera sequenza una volta sola, anche se ormai |
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conosceva ogni sensazione dei primi cinque minuti. La parte più interessante gli |
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sembrava un piccolo guaio di ripresa all'inizio dell'elaborato esercizio |
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respiratorio: un rapido sguardo lungo la spiaggia bianca che svelava la figura di |
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una guardia vicino alla barriera di rete metallica, con una mitragliatrice nera a |
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tracolla. Mentre Parker dormiva, in città mancò la corrente. La transizione da |
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delta a delta-A.S.P. fu come esplodere in un corpo non suo. La familiarità attutì lo |
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shock. Sentì la sabbia fresca sotto le spalle. I risvolti dei blue jeans sdruciti che |
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gli sbattevano contro le caviglie, nella brezza mattutina. Presto il ragazzo si |
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sarebbe svegliato del tutto e avrebbe cominciato il suo Ardha-Matsyendra-quel- |
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che-era; Parker cercò nel buio la piastra A.S.P. con mani che appartenevano a un |
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altro. |
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Tre del mattino. |
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Ti stai facendo una tazza di caffè al buio, usando una torcia elettrica per |
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versare l'acqua bollente. |
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Il sogno registrato del mattino sta svanendo: attraverso altri occhi, il fumo |
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nero di un mercantile cubano. . svanisce insieme all'orizzonte, naviga sullo |
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schermo grigio della mente. Tre del mattino. |
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Lasciati circondare dalle immagini schematiche della giornata precedente. |
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Quello che hai detto, quello che ha detto lei mentre la guardavi fare le valigie e |
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telefonare per il taxi. In qualunque modo le si rimescoli formano lo stesso |
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circuito stampato, i geroglifici che convergono su una componente centrale: sei |
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in piedi sotto la pioggia, gridi al tassista. |
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La pioggia era acre ed acida, quasi simile a piscio. Il tassista ti ha dato |
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dell'imbecille, e hai dovuto pagare lo stesso doppia tariffa. Lei aveva tre valigie. |
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Con il respiratore e gli occhiali, l'uomo assomigliava a una formica. Ha pedalato |
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via nella pioggia. Lei non si è voltata indietro. |
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L'ultima cosa che hai visto di lei è stata una grossa formica che ti rivolgeva il |
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pugno chiuso col medio sollevato. |
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Parker aveva visto la sua prima unità AISIPI in una baraccopoli del Texas, un |
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posto che si chiamava Judy's Jungle. Era una grossa consolle rinchiusa in plastica |
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cromata. Una banconota da dieci dollari infilata nella fessura dava l'illusione di |
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cinque minuti di ginnastica in caduta libera su una stazione orbitale svizzera, |
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capriole di venti metri con una modella di “Vogue” di sedici anni. . Roba |
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entusiasmante per Jungle, dove era più semplice avere una pistola che un bagno |
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caldo. |
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Un anno dopo, quando era a New York con documenti falsi, due ditte |
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all'avanguardia avevano messo in vendita nei maggiori supermercati le prime |
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piastre portatili, appena in tempo per Natale. I locali A.S.P.-porno, fioriti |
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brevemente in California, non si erano più ripresi dal colpo. |
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Dopo un po' era sparita anche l'olografia, e le cupole di Fuller, grandi quanto |
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un isolato, che erano state i templi olografici durante l'infanzia di Parker, erano |
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state trasformate in supermercati o locali polverosi di videogames dove si |
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potevano ancora trovare le vecchie consolle, sotto neon sbiaditi che pulsavano |
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percezioni sensoriali apparenti, offuscati dal fumo azzurrino delle sigarette. |
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Adesso Parker ha trenta anni. Scrive sceneggiature per le trasmissioni A.S.P. e |
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programma i movimenti degli occhi per le telecamere umane. |
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Il semi-oscuramento prosegue. |
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Nella camera da letto, Parker armeggia con i tasti sul frontale in alluminio del |
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suo Sendai Sleep-Master. La spia si accende per un attimo, poi si spegne. Posa la |
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tazza di caffè sull'armadio che lei ha vuotato il giorno prima. Il cono di luce della |
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torcia indaga fra gli scaffali vuoti, cercando qualche traccia di quell'amore, |
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trovando il cinturino in pelle di un sandalo, una cassetta A.S.P., una cartolina. La |
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cartolina è un ologramma a riflessione di una rosa. Infila il cinturino nell'unità |
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per l'eliminazione dei rifiuti sotto il lavandino della cucina. L'apparecchio parte |
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pigramente a causa del semi-oscuramento, cigola, ma alla fine inghiotte e |
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digerisce tutto. Tenendola fra il pollice e l'indice Parker abbassa la cartolina |
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verso le mascelle rotanti, nascoste. L'unità emette un sibilo sottile, mentre i |
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denti di acciaio lacerano la plastica laminata e la rosa viene ridotta in mille |
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frammenti. |
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Più tardi Parker è seduto a fumare sul letto disfatto. La cassetta della ragazza è |
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nella piastra, pronta per essere rivista. Ci sono cassette di donne che lo |
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disorientano, ma dubita che sia questa la ragione per cui ora esita ad azionare la |
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macchina. Per circa un quarto degli utenti A.S.P. è impossibile adattarsi alla |
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rappresentazione fisica soggettiva del sesso opposto. Nel corso degli anni, alcune |
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stelle delle trasmissioni A.S.P. sono diventate sempre più androgine, nel |
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tentativo di catturare anche questo segmento di pubblico. |
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Ma i nastri di Angela non lo hanno mai messo a disagio, prima. (E se avesse |
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registrato un amante?) No, non può essere. . È solo che la cassetta rappresenta |
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una variabile del tutto sconosciuta. |
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Quando Parker aveva compiuto quindici anni, i suoi genitori l'avevano |
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vincolato con un contratto alla sussidiaria americana di un'industria plastica |
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giapponese. A quell'epoca si era sentito fortunato: il rapporto fra aspiranti e |
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assunti per il corso di formazione era enorme. Per tre anni aveva vissuto con la |
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sua squadra in un dormitorio, cantando l'inno aziendale ogni mattina e |
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riuscendo una volta al mese a scavalcare la recinzione del campo per andare a |
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ragazze o all'olodromo. |
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Il contratto sarebbe scaduto al compimento dei vent'anni, dandogli la |
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possibilità di accedere allo status di dipendente effettivo. Una settimana prima |
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del suo diciannovesimo compleanno, con due carte di credito rubate e un cambio |
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d'abito, aveva scavalcato la recinzione per l'ultima volta. Era arrivato in |
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California tre giorni prima del crollo del caotico regime dei Nuovi Secessionisti. |
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A San Francisco le varie fazioni si combattevano per le strade. Qualcuno dei |
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quattro diversi governi “provvisori” della città era riuscito a fare piazza pulita |
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delle derrate alimentari in maniera talmente efficiente che per i cittadini non |
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c'era quasi più niente da mangiare. Parker aveva trascorso l'ultima notte della |
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rivoluzione in un sobborgo devastato di Tucson, a fare l'amore con una magra |
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ragazzina del New Jersey che gli spiegava in dettaglio il proprio oroscopo fra |
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scoppi leggeri di pianto che parevano non avere rapporto con quello che lui |
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diceva o faceva. |
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Diversi anni dopo si rese conto di non avere più alcuna idea del motivo per cui |
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aveva rotto il contratto. |
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I primi tre quarti della cassetta sono stati cancellati. La fai avanzare |
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velocemente fra una nebbia di cariche elettrostatiche, dove il gusto e l'odorato si |
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confondono in un canale indistinto. L'ingresso audio è rumore bianco, il non- |
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suono di un oceano oscuro. . (Ricevere per un lungo periodo il segnale di un |
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nastro cancellato può indurre allucinazioni ipnotiche.) |
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Parker era rannicchiato fra i cespugli ai margini di una strada, nel Nuovo |
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Messico, a mezzanotte. Osservava un carro armato in fiamme. Il fuoco lambiva la |
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linea bianca discontinua che aveva seguito da Tucson. L'esplosione era stata |
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visibile a tre chilometri di distanza, un muro bianco di calore e luce che aveva |
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trasformato i pallidi rami di un albero nudo in un negativo fotografico: rami di |
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carbonio contro un cielo al magnesio. |
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Molti dei fuggitivi erano armati. |
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Il Texas doveva le sue baraccopoli, fumanti fra le calde piogge del Golfo, |
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all'incerta neutralità mantenuta di fronte al tentativo di secessione della Costa |
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Occidentale. |
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Le città erano costruite di compensato, cartone, lastre di plastica che si |
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gonfiavano al vento, carcasse di veicoli morti. Avevano nomi come Jump City e |
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Sugaree, governi e amministrazioni dai confini incerti, che mutavano |
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costantemente seguendo il ritmo dell'economia illecita. |
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Ben raramente le truppe federali e statali mandate a spazzare via le città |
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fuorilegge trovavano qualcosa. Ma a ogni spedizione c'era un certo numero di |
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uomini che non faceva ritorno ai propri reparti. Alcuni avevano venduto le armi |
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e bruciato le uniformi, altri si erano avvicinati troppo al contrabbando che erano |
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stati mandati a stroncare. Dopo tre mesi Parker aveva deciso di uscirne, ma |
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l'unico modo per oltrepassare il cordone di soldati era avere qualcosa da |
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vendere. L'occasione era arrivata per puro caso: un pomeriggio tardi, mentre |
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percorreva la coltre di fumo nero che gravava su Jungle, provocata dai fuochi |
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accesi per cucinare inciampò e per poco non cadde sul cadavere di una donna |
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nel letto arido di un ruscello. Le mosche si erano sollevate in una nuvola |
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ronzante, poi si erano posate di nuovo, senza fare caso a lui. La donna aveva una |
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giacca di pelle, e di notte Parker aveva freddo. Aveva cercato un ramo spezzato |
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nel letto del ruscello. Sulla schiena, appena sotto la scapola sinistra, c'era un |
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buco rotondo, grande come una matita. La fodera della giacca un tempo era |
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rossa, ma adesso era nera, rigida e lucida di sangue rappreso. Era andato a |
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cercare dell'acqua con la giacca appesa all'estremità del bastone. |
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Ma poi non l'aveva lavata. Nella tasca sinistra aveva trovato quasi 30 grammi |
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di cocaina avvolta in plastica chiusa con nastro trasparente. La tasca destra |
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conteneva 15 fiale di Megacillina-D e un coltello a serramanico lungo 20 |
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centimetri, con l'impugnatura di osso. L'antibiotico valeva il doppio del suo peso |
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in cocaina. Piantò il coltello fino all'impugnatura in un tronco marcio lasciato in |
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piedi dai raccoglitori di legno di Jungle, e vi appese la giacca, lasciandola alle |
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mosche mentre se ne andava. Quella sera, in un bar con il soffitto di lamiera |
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ondulata, in attesa di uno degli “avvocati” che procuravano il passaggio |
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attraverso il cordone, aveva provato la sua prima macchina A.S.P. Era grossa, |
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tutta cromature e luci al neon, e il proprietario ne era molto orgoglioso: aveva |
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dato una mano anche lui ad assalire il camion. |
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“Se il caos degli anni 90 riflette un cambiamento radicale nei paradigmi della |
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cultura visuale, la svolta definitiva rispetto alla tradizione di Lascaux/Gutenberg |
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della società preolografica, cosa dobbiamo attenderci da questa nuova |
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tecnologia che promette unicamente di codificare e ricostruire l'intero spettro |
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della percezione sensoriale?” |
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Roebuck e Pierhal, “Storia Moderna dell'America: analisi generale”. |
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Avanti a tutta velocità attraverso il non-tempo ronzante del nastro |
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cancellato. . |
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. . nel corpo di Angela. Sole europeo. Strade di una città sconosciuta. |
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Atene. Insegne in lettere greche e odore di polvere. . |
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“. . e odore di polvere”. |
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Guardi tutto attraverso i suoi occhi, pensando che questa donna non ti ha |
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ancora incontrato, che sei appena uscito dal Texas. Monumento grigio, cavalli di |
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pietra, piccioni che volano intorno. . |
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. . e le interferenze si prendono il corpo dell'amore, lo cancellano. |
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Ondate di rumore bianco si frangono su una spiaggia inesistente. E il nastro |
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finisce. |
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Adesso la spia dell'induttore è accesa. Parker è steso al buio e ricorda i mille |
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frammenti della rosa olografica. Un ologramma ha una particolare caratteristica: |
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recuperato e illuminato, ciascun frammento rivelerà l'immagine intera della |
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rosa. Mentre Parker scivola verso il sonno delta, vede se stesso nella rosa. Ogni |
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frammento rivela un intero che non conoscerà mai: carte di credito rubate, un |
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sobborgo bruciato, le congiunzioni astrali di una sconosciuta, un carro armato |
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che brucia sulla strada, un sacchetto di droga appiattito, un coltello affilato sul |
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cemento, sottile come il dolore. |
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E pensa: siamo frammenti gli uni degli altri. È stato sempre così? |
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Quell'istante di un viaggio in Europa, abbandonato nel mare grigio del nastro |
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cancellato. . è più vicina, adesso, o più reale, solo perché è stato con lei ad Atene? |
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Lei l'aveva aiutato ad ottenere i documenti, gli aveva trovato il primo impiego |
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all'A.S.P. Era quella la loro storia? No, la storia era il frontale nero dell'induttore |
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delta, l'armadio vuoto, il letto disfatto. La storia era il disgusto per il corpo |
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perfetto in cui si svegliava se mancava la corrente, la rabbia per il guidatore di |
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taxi a pedali, lei che non si era voltata a guardarlo attraverso la pioggia |
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contaminata. |
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Ricordò che ogni frammento rivela la rosa da un diverso punto di vista, ma il |
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sonno delta lo sommerse prima che riuscisse a chiedersi cosa potesse |
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significare. |
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@ -0,0 +1,817 @@ |
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# New Rose Hotel |
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_(New Rose Hotel, 1983)_ |
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Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii. New Rose Hotel. Come ti |
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desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo tutto adagio, dolcemente e |
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crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche volta prendo dalla borsa la tua |
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piccola automatica e faccio scorrere il pollice sulla cromatura liscia, da poco |
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prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della canna non più grande della pupilla |
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dilatata del tuo occhio scomparso. |
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Fox è morto, Sandii. |
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Fox mi aveva detto di dimenticarti. |
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Ricordo Fox appoggiato al bancone imbottito di un bar in qualche albergo di |
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Singapore, Bencoolen Street, le sue mani che descrivono sfere di influenza, |
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rivalità interne, l'arco di tutta una carriera, un punto debole scoperto nella |
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corazza di qualche centro di ricerca. Fox era un uomo di punta nella guerra dei |
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cervelli, l'intermediario del traffico interaziendale. Era un soldato nella guerra |
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segreta delle “zaibatsu”, le multinazionali che controllavano intere economie. |
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Vedo Fox che sorride, parlando rapidamente, lasciando cadere il racconto delle |
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mie imprese nello spionaggio industriale con una scossa del capo. Il Talento, |
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diceva, devi cercare il Talento. Faceva sentire bene la T maiuscola. Il Talento era |
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il Sacro Graal di Fox, quella frazione di genio fondamentale, non trasferibile, |
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chiusa nel cervello dei migliori ricercatori del mondo. |
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Non si può mettere il Talento su carta, diceva Fox, non si può registrare il |
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Talento su un dischetto. |
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I disertori delle multinazionali significavano soldi. Fox era un tipo simpatico. |
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La severità dei suoi vestiti francesi scuri era temperata da una ciocca di capelli |
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perennemente scomposta, da ragazzino. Non mi è mai piaciuto il modo in cui |
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l'effetto si rovinava quando si spostava dal bar. La spalla sinistra era contorta a |
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un angolo che nessun sarto di Parigi poteva nascondere. Qualcuno gli era |
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passato sopra con un taxi a Berna, e nessuno aveva saputo rimetterlo a posto. |
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Immagino di essere andato con lui perché mi aveva detto di essere alla ricerca |
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del Talento. |
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E mentre cercavamo il Talento, a un certo punto, trovai te, Sandii. Il New Rose |
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Hotel è una rastrelliera di bare ai margini frastagliati del Narita International. |
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Capsule di plastica alte un metro e lunghe tre, ammucchiate come denti di |
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Godzilla in uno spiazzo di cemento ai lati della strada principale per l'aeroporto. |
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Ciascuna capsula ha una televisione montata a filo del soffitto. Passo intere |
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giornate a guardare concorsi a premio giapponesi e vecchi film. Qualche volta |
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tengo la tua pistola in mano. |
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Qualche volta sento i jet che intrecciano rotte di attesa sul Narita. Chiudo gli |
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occhi e immagino le scie nette e bianche che sfumano nel vento. |
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Tu stavi entrando in un bar di Yokohama, la prima volta che ti ho vista. |
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Eurasiana, mezza “gaijm”, anche lunghe e passo fluido, con addosso la copia |
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cinese di un modello di qualche stilista di Tokyo. Occhi scuri, europei, zigomi |
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asiatici. Ti ricordo mentre vuotavi la borsetta sul letto, più tardi, in qualche |
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stanza d'albergo, frugando fra gli arnesi per il trucco. Un rotolo spiegazzato di |
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nuovi yen, un'agendina sfasciata tenuta insieme con elastici, un chip bancario |
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Mitsubishi, passaporto giapponese con il crisantemo d'oro stampato sulla |
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copertina, e la 22 cinese. |
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Mi raccontasti la tua storia. Tuo padre era stato un dirigente, a Tokyo, ma era |
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caduto in disgrazia, ripudiato e umiliato dall'Hosaka, la più grande “zaibatsu” di |
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tutte. Quella notte tua madre era olandese, e ti ascoltai mentre mi raccontavi di |
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quelle estati ad Amsterdam, i piccioni di piazza Dam come un tappeto marrone, |
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morbido. Non ti ho mai chiesto cosa aveva fatto tuo padre per cadere in |
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disgrazia. Ti guardai mentre ti vestivi, guardai i tuoi capelli scuri e dritti che |
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quasi fendevano l'aria. |
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Adesso l'Hosaka mi sta dando la caccia. |
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Le bare del New Rose sono sistemate su una impalcatura riciclata. Tubi di |
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acciaio verniciati di chiaro. La pittura si stacca quando salgo la scaletta, cade a |
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ogni passo quando cammino sulla passerella. Con la sinistra conto i portelli e le |
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loro etichette poliglotte che avvertono della multa per la perdita delle chiavi. |
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Alzo gli occhi a guardare gli aerei che partono da Narita, verso casa, lontana |
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adesso come la Luna. |
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Fox fu veloce ad accorgersi di come potevamo servirci di te, ma non |
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abbastanza acuto da attribuirti ambizioni. Ma d'altra parte, lui non è mai rimasto |
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sdraiato con te tutta la notte sulla spiaggia di Kamakura, non ha mai ascoltato i |
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tuoi incubi, non ha mai ascoltato i ricordi di un'immaginaria infanzia mutare |
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sotto quelle stelle, mutare e rotolare su se stessa, la tua bocca da bambina che si |
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apriva per rivelare qualche nuovo passato, e ogni volta giuravi che era quello |
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vero, quello autentico. |
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Non mi importava, mentre ti tenevo i fianchi, mentre la sabbia ti si raffreddava |
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sulla pelle. |
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Una volta mi hai lasciato e sei corsa verso quella spiaggia dicendo che avevi |
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dimenticato la nostra chiave. La trovai nella porta e venni a cercarti, e ti trovai |
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con i piedi nella risacca, la schiena liscia irrigidita, tremante, gli occhi persi |
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lontano. Non riuscivi a parlare. Avevi i brividi. Brividi per futuri differenti e |
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passati migliori. |
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Sandii, mi hai lasciato qui. |
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Mi hai lasciato tutte le tue cose. |
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Questa pistola. Il trucco, tutte le ombre e i rossori incapsulati in plastica. Il |
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microcomputer Cray, regalo di Fox, con una lista di spese che vi hai registrato. |
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Qualche volta la richiamo, facendo passare gli articoli sul piccolo schermo |
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argenteo. |
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Un frigorifero. Un fermentatore. Un'incubatrice. Un sistema di elettroforesi |
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con cella agarica integrata e transilluminatore. Un inclusore di tessuti. Un |
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cromatografo per liquidi ad alta capacità. Un citometro a flusso. Uno |
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spettrofotometro. Seicento fiale per scintillazione al boro-silicio. Una |
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microcentrifuga. E un sintetizzatore di D.N.A. con computer incorporato. Più il |
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software. Molto costoso, Sandii, ma allora era l'Hosaka a pagare il conto. Più |
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tardi li hai fatti pagare ancora di più, ma te n'eri già andata. Hiroshi aveva |
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preparato quella lista per te. A letto, probabilmente. |
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Hiroshi Yomiuri. Lui era con la Maas Biolabs GmbH. L'Hosaka lo voleva. Era |
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uno dei migliori. Aveva Talento, in abbondanza. Fox seguiva gli ingegneri |
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genetici come un tifoso segue i giocatori della sua squadra. Fox voleva Hiroshi a |
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tal punto che gli sembrava di sentirselo nel sangue. |
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Mi aveva mandato a Francoforte tre volte prima che comparissi tu, soltanto |
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per farmi dare un'occhiata a Hiroshi. Non per tentare un approccio o fargli un |
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saluto. Solo per guardarlo. Hiroshi aveva tutta l'aria di essersi sistemato. Aveva |
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trovato una ragazza tedesca appassionata di loden tradizionali e stivali da |
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cavallerizza lucidi color castano chiaro. Aveva comprato una casa ristrutturata, |
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nella piazza giusta della città. Aveva cominciato a tirare di scherma, |
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abbandonando il kendo. |
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E dappertutto le squadre di sicurezza della Maas, efficienti e massicce, una |
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melassa attaccaticcia di sorveglianti. Tornai e dissi a Fox che non saremmo mai |
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riusciti a raggiungerlo. Tu lo raggiungesti per noi, Sandii. Lo raggiungesti nel |
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modo migliore. I nostri contatti con l'Hosaka erano come cellule specializzate |
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che proteggevano l'organismo-madre. Noi eravamo mutageni, Fox ed io, ambigui |
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agenti che stavano dalla parte nascosta dell'attività delle multinazionali. |
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Dopo averti piazzato a Vienna, gli offrimmo Hiroshi. Non fecero una piega. |
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Calma mortale in una stanza d'albergo, a Los Angeles. Dissero che dovevano |
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pensarci. |
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Fox disse il nome del principale concorrente dell'Hosaka nel campo genetico, |
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lo svelò nudo e crudo, violando il protocollo che vietava di fare nomi. |
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Dissero che dovevano pensarci. |
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Fox gli diede tre giorni. |
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Una settimana prima di portarti a Vienna ti portai a Barcellona. Ti ricordo con |
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i capelli raccolti da un berretto grigio, gli zigomi alti, mongolici, riflessi nelle |
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vetrine dei negozi di antiquariato. Passeggiando lungo le Ramblas, verso il porto |
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fenicio, passando accanto al “Mercado” dal tetto dorato, dove vendevano arance |
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africane. Il vecchio Ritz, con la nostra stanza calda e buia, e tutto il morbido peso |
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dell'Europa su di noi come una trapunta. Potevo penetrarti mentre dormivi. Eri |
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sempre pronta. Vedendo le tue labbra incurvarsi morbidamente per la sorpresa, |
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la tua faccia che affondava nel cuscino spesso e giallo. . biancheria arcaica del |
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Ritz. Dentro di te immaginavo tutte quelle luci al neon, la folla che si accalcava |
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attorno alla stazione di Shinjuku, pazzesca notte elettrica. Tu ti muovevi in |
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quella maniera, il ritmo della nuova era, sognante e lontano dal suolo di qualsiasi |
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nazione. |
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Quando siamo arrivati a Vienna ti ho sistemato nell'albergo preferito della |
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moglie di Hiroshi. Tranquillo, solido, hall con pavimento a scacchi di marmo, |
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ascensori di ottone profumati di olio di limone e sigari. Era facile immaginarla lì, |
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con gli stivali da cavallerizza lucidi riflessi sul marmo, ma noi sapevamo che non |
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sarebbe venuta, non quella volta. |
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Era in qualche stazione della Renania, e Hiroshi era a Vienna per una |
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conferenza. Quando gli uomini della Maas arrivarono per ispezionare l'albergo, |
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tu ti eri eclissata. |
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Hiroshi arrivò un'ora dopo, da solo. |
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Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra per |
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identificare la forma di intelligenza dominante del pianeta. L'alieno dà |
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un'occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io probabilmente alzai le |
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spalle. |
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Le “zaibatsu”, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una “zaibatsu” è fatto di |
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informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che |
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la compongono. Le aziende sono una forma di vita. |
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Io gli avevo detto di non farmi un'altra conferenza sul Talento. |
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Lui aveva detto che la Maas non era così, ignorandomi. La Maas era piccola, |
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veloce, spietata. Un arcaismo. La Maas era tutto Talento. |
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Ricordo Fox parlare della natura del Talento di Hiroshi. Nucleasi radioattive, |
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anticorpi monoclonali, qualcosa che aveva a che fare con la concatenazione delle |
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proteine, dei nucleotidi. . Fox le chiamava proteine calde. Catene ad alta velocità. |
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Diceva che Hiroshi era un fenomeno, il tipo capace di mandare in frantumi i |
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paradigmi, di rovesciare un campo intero del sapere, di costringere con la forza |
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alla revisione di un intero corpo di conoscenze. Brevetti fondamentali, diceva, |
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con la voce arrochita immaginando simili ricchezze, l'odore ideale acuto e sottile |
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dei milioni esentasse che emanavano. |
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L'Hosaka voleva Hiroshi, ma il suo Talento era tanto radicale da preoccuparli. |
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Lo volevano per farlo lavorare in isolamento. |
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Andai a Marrakech, nella città vecchia, la Medina. Trovai un laboratorio per la |
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raffinazione dell'eroina convertito per l'estrazione di feromoni. Lo comprai, con i |
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soldi dell'Hosaka. Passeggiai nel mercato di Djemaa-el-Fta con un uomo d'affari |
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portoghese sudaticcio, discutendo dell'illuminazione fluorescente e |
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dell'installazione di gabbie ventilate per animali da esperimento. Oltre le mura |
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della città si vedeva la catena dell'Atlante. Djemaa-el-Fta era piena di |
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saltimbanchi, danzatori, narratori di storie, ragazzini che facevano girare i torni |
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a pedale, mendicanti senza gambe che protendevano le tazze di legno sotto |
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ologrammi animati che propagandavano software francesi. |
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Camminammo accanto a balle di lana grezza e bidoni di plastica con microchip |
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cinesi. Gli diedi a intendere che i miei datori di lavoro intendevano fabbricare |
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beta-endorfina sintetica. Conviene dire sempre qualcosa che possano capire. |
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Sandii, ti ricordo ad Harajuku, qualche volta. Chiudo gli occhi in questa bara e |
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ti vedo là, fra lo scintillio del labirinto di cristallo delle boutique, l'odore dei |
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vestiti nuovi. Vedo i tuoi zigomi passare davanti agli scaffali cromati di |
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pelletteria di Parigi. Qualche volta ti stringo la mano. |
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Credevamo di averti trovato, Sandii, ma in realtà eri stata tu a trovare noi. |
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Adesso so che ci stavi cercando, noi o qualcuno come noi. Fox era felice, |
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sorrideva per la nostra scoperta: un nuovo, delizioso strumento, scintillante |
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come un bisturi. Proprio quello che ci serviva per separare un Talento ostinato |
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come Hiroshi dalla placenta della Maas Biolab. |
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Dovevi aver cercato a lungo una via d'uscita, durante tutte quelle notti a |
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Shinjuku. Notti che avevi accuratamente eliminato dal mazzo rimescolato del tuo |
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passato. |
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Il mio passato era sparito anni prima, perso insieme a tutto il resto, nessuna |
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traccia. Capisco l'abitudine di Fox, a tarda notte, di vuotare il portafoglio e |
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frugare tra i documenti di identificazione. |
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Distribuiva i pezzi in configurazioni diverse, li spostava, aspettando che si |
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formasse un'immagine. Sapevo cosa cercava. Tu facevi la stessa cosa con le tue |
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svariate infanzie. |
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Nel New Rose, questa notte, scelgo una carta dal tuo mazzo di passati. |
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Scelgo la versione originale, il famoso testo della stanza d'albergo di |
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Yokohama, recitatomi durante quella prima notte a letto. Scelgo il padre in |
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disgrazia, il dirigente dell'Hosaka. Perfetto. E la madre olandese, le estati ad |
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Amsterdam, il morbido tappeto di piccioni nel pomeriggio sulla piazza Dam. |
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Passai dal caldo di Marrakech all'aria condizionata dell'Hilton. La camicia |
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umida appiccicata alla schiena mentre leggevo il messaggio che mi avevi |
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trasmesso attraverso Fox. Stavi arrivando; Hiroshi avrebbe lasciato la moglie. |
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Non ti fu difficile comunicare con noi, anche attraverso la cortina strettissima dei |
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servizi di sicurezza della Maas; avevi mostrato a Hiroshi il posticino perfetto per |
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prendere caffè con croissant. Il tuo cameriere preferito era gentile, coi capelli |
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bianchi, zoppicava, e lavorava per noi. Lasciavi i messaggi sotto il tovagliolo di |
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lino. |
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Per tutta la giornata ho guardato un piccolo elicottero che passava più volte |
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come per uno schema preciso sopra questo mio territorio, la terra del mio esilio, |
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il New Rose Hotel. Ho guardato dal portello mentre la sua ombra paziente |
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attraversava il cemento macchiato di olio. Vicino, molto vicino. |
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Lasciai Marrakech per Berlino. Mi incontrai con un gallese in un bar, e |
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cominciai ad organizzare la sparizione di Hiroshi. |
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Sarebbe stata una faccenda complicata, intricata come gli ingranaggi di ottone |
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e gli specchi mobili dei trucchi da palcoscenico vittoriani, ma l'effetto desiderato |
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era abbastanza semplice. Hiroshi sarebbe passato dietro una Mercedes a cellule |
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d'idrogeno e sarebbe sparito. La decina di agenti della Maas che lo seguivano |
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costantemente avrebbero sciamato attorno al furgone come api; l'apparato di |
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sicurezza della Maas si sarebbe accentrato attorno al punto di sparizione come |
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una resina. |
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Sanno come fare le cose a dovere, a Berlino. Riuscii perfino ad organizzare |
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un'ultima notte con te. Non lo dissi a Fox, avrebbe potuto disapprovare. Adesso |
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ho dimenticato il nome della città. L'ho saputo per un'ora, sull'autostrada, sotto |
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il grigio cielo renano, e l'ho dimenticato fra le tue braccia. |
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Verso mattina cominciò a piovere. La nostra stanza aveva un'unica finestra |
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alta e stretta, da dove guardavo la pioggia che ricopriva il fiume di aghi argentei. |
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Il rumore del tuo respiro. Il fiume scorreva sotto bassi archi di pietra. La strada |
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era vuota. L'Europa era un museo morto. |
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Ti avevo già prenotato un posto sul volo per Marrakech in partenza da Orly, |
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usando il tuo ultimissimo nome. Saresti stata lontana quando avessi tirato gli |
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ultimi fili e fatto sparire Hiroshi. |
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Avevi lasciato la borsetta sul vecchio cassettone scuro. Mentre dormivi frugai |
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fra le tue cose, togliendo tutto quello che poteva entrare in conflitto con la nuova |
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identità che ti avevo comprato a Berlino. Tolsi la calibro 22 cinese, il |
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microcomputer e il chip bancario. Dalla mia borsa presi un nuovo passaporto, |
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olandese, il chip di una banca svizzera intestato allo stesso nome, e li infilai nella |
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tua borsa. |
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Sfiorai con la mano qualcosa di piatto. Lo tirai fuori. Un dischetto, senza |
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etichetta. Era lì nel palmo della mia mano, quella morte latente, codificata, in |
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attesa. |
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Rimasi in piedi a guardarti respirare, guardandoti i seni alzarsi e abbassarsi. |
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Vedevo le tue labbra semiaperte, e sul labbro inferiore un po' sporgente la |
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lievissima traccia di un livido. Rimisi il dischetto nella tua borsetta. Quando mi |
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stesi al tuo fianco ti rotolasti contro di me, svegliandoti, e nel tuo respiro c'era |
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tutta la notte elettrica di una nuova Asia, il futuro che ti saliva dentro come un |
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fluido luminoso, che mi toglieva tutto tranne il momento presente. Era questa la |
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cosa veramente magica: che vivevi al di fuori della storia, tutta nel presente. |
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E sapevi come prendermi. |
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Per l'ultima volta, mi prendesti. |
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Mentre mi radevo ti sentii vuotare gli arnesi per il trucco nella mia borsa. |
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Sono olandese ora, dicesti; voglio un nuovo look. |
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Il dottor Hiroshi Yomiuri scomparve a Vienna, in una tranquilla traversa della |
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Singerstrasse, a due isolati dall'albergo preferito della moglie. In un chiaro |
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pomeriggio di ottobre, alla presenza di una dozzina di testimoni, il dottor |
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Yomiuri svanì. |
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Passò attraverso uno specchio. Da qualche parte, dietro le quinte, il |
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movimento ben oliato di un meccanismo vittoriano. |
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Io ero seduto in una stanza d'albergo di Ginevra quando ricevetti la chiamata |
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del gallese. Era fatta, Hiroshi si era infilato nella mia trappola ed era partito per |
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Marrakech. Mi versai da bere pensando alle tue gambe. |
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Fox ed io ci incontrammo a Narita il giorno dopo, in un bar del terminal della |
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JAL. Lui era appena sceso da un aereo della Air Maroc, esausto e trionfante. |
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Disse che gli piaceva, intendendo Hiroshi. Disse che l'amava, intendendo te. |
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Io sorrisi. Mi avevi promesso di incontrarmi a Shinjuku fra un mese. |
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La tua pistola da poco prezzo, nel New Rose Hotel. La cromatura comincia a |
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staccarsi. Il meccanismo è rozzo, con caratteri cinesi stampati sull'acciaio ruvido. |
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L'impugnatura è di plastica rossa, con un drago su ciascun lato. Come un |
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giocattolo. |
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Fox mangiò “sushi” nel terminal della JAL, su di giri per quello che avevamo |
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fatto. La spalla gli aveva dato dei fastidi, ma diceva che non gli importava. Adesso |
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aveva i soldi per andare da medici migliori. |
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Soldi per tutto. |
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Per qualche ragione i soldi che avevamo preso dall'Hosaka non mi |
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sembravano molto importanti. Non che dubitassi della nostra nuova ricchezza, |
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ma quell'ultima notte con te mi aveva lasciato la convinzione che tutto venisse |
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con naturalezza, nel nuovo ordine delle cose, come funzione di chi e cosa |
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eravamo. |
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Povero Fox. Con le sue camicie oxford azzurre più linde che mai, i suoi abiti di |
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Parigi più scuri e più lussuosi. Seduto nel terminal, mentre intingeva il “sushi” in |
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un piccolo vassoio rettangolare di barbaforte verde, aveva meno di una |
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settimana di vita. È buio adesso, e le rastrelliere di bare del New Rose sono |
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illuminate tutta notte da riflettori posti in cima a piloni di metallo verniciato. |
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Nulla qui pare servire al suo scopo originale. È tutto di seconda mano, riciclato, |
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anche le bare. Quarant'anni fa queste capsule di plastica erano ammucchiate a |
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Tokyo o a Yokohama, una moderna comodità per uomini d'affari in viaggio. |
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Forse tuo padre ha dormito in una di esse. Quando le impalcature erano nuove |
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circondavano l'una o l'altra delle torri con i vetri a specchio sulla Ginza, piene di |
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squadre di operai. |
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Il vento questa notte porta il frastuono di una sala di “pachinko”, l'odore di |
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verdure cotte dai venditori ambulanti dall'altra parte della strada. |
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Spalmo paté di krill al granchio su cracker di riso. Sento gli aerei. Durante |
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quegli ultimi giorni a Tokyo, Fox ed io avevamo appartamenti contigui al |
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cinquantaduesimo piano dell'Hyatt. Nessun contatto con l'Hosaka. Ci avevano |
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pagato, poi ci avevano cancellato dai loro archivi aziendali. |
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Ma Fox non riusciva a dimenticarlo. Hiroshi era la sua creazione, il suo |
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progetto del cuore. Aveva sviluppato un interesse possessivo, quasi paterno per |
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Hiroshi. Lo amava per il suo Talento. Perciò Fox mi faceva restare in contatto con |
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il mio uomo d'affari portoghese nella Medina, il quale era disposto a tenere |
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d'occhio il laboratorio di Hiroshi per noi. |
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Quando telefonava lo faceva da una cabina pubblica a Djemaa-el-Fta, con |
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sottofondo di voci lamentose di venditori e di flauti dell'Atlante. Disse che |
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uomini dei servizi di sicurezza stavano arrivando a Marrakech. Fox annuì. |
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Hosaka. |
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Dopo meno di dieci chiamate notai un cambiamento in Fox, una certa |
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tensione, lo sguardo perso nel vuoto. Lo trovavo davanti alla finestra a guardare |
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i giardini imperiali da un'altezza di 52 piani, perso in qualcosa di cui non voleva |
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parlare. |
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Chiedigli una descrizione più dettagliata, disse, dopo una chiamata. Aveva |
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l'impressione che un uomo che il nostro contatto aveva visto entrare nel |
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laboratorio di Hiroshi potesse essere Moenner, il capo della divisione genetica |
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dell'Hosaka. |
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Dopo la chiamata successiva confermò che era Moenner. Dopo un'altra ancora |
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gli parve di aver identificato Chedanne, capo della squadra proteine dell'Hosaka. |
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Nessuno dei due era stato visto fuori dall'arcologia dell'azienda da più di due |
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anni. Ormai era evidente che i ricercatori di punta dell'Hosaka stavano arrivando |
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alla chetichella alla Medina, i Lear dirigenziali neri che arrivavano all'aeroporto |
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di Marrakech su alianti in fibra di carbonio. Fox scosse la testa. Era un |
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professionista, uno specialista, e vide in quell'improvviso assieparsi dei migliori |
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Talenti dell'Hosaka nella Medina un drastico errore nell'operato della |
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multinazionale. Cristo, disse versandosi un bicchiere di Black Label, hanno la |
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loro sezione biologica al completo, laggiù. Una bomba. Scosse la testa. Una |
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granata nel posto giusto e al momento giusto. . Gli ricordai le tecniche di |
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saturazione che sicuramente i servizi di sicurezza dell'Hosaka stavano |
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impiegando. L'Hosaka aveva dei contatti nel cuore della Dieta, e la forte |
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infiltrazione di agenti a Marrakech poteva avvenire solo con la conoscenza e la |
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cooperazione del governo marocchino. |
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Lascia perdere, dissi. È finita. Gli hai venduto Hiroshi. Adesso lascia perdere. |
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Lo so cos'è, disse. Lo so. L'ho già visto una volta. Disse che esiste un certo |
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fattore imprevedibile nel lavoro di laboratorio. Il talento del Talento, lo |
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chiamava. Succede quando un ricercatore sviluppa qualcosa di completamente |
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nuovo e altri trovano impossibile duplicare i risultati. |
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Questo era ancora più probabile con Hiroshi, il cui lavoro andava in direzione |
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contraria alle teorie correnti nel suo campo. La risposta, spesso, consisteva nel |
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far venire il ricercatore dal suo laboratorio in quello dell'azienda, per scoprire |
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ritualmente le carte. Qualche piccola regolazione delle apparecchiature e il |
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processo funzionava. È strano, disse, nessuno sa perché succeda così, ma |
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succede. Sorrise. Ma stanno correndo un rischio, disse. I bastardi ci hanno detto |
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che volevano isolare Hiroshi tenerlo lontano dal loro centro di ricerca. Balle. |
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Scommetto la camicia che c'è qualche lotta per il potere in corso all'Hosaka. |
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Qualche pezzo grosso sta portando lì i suoi pupilli per strofinarli su Hiroshi |
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come se fosse un portafortuna. Quando Hiroshi manderà a gambe all'aria |
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l'ingegneria genetica, quelli della Medina saranno pronti. |
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Bevve il suo whisky e alzò le spalle. |
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Vai a letto, disse. Hai ragione, è finita. |
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Andai a letto, ma il telefono mi svegliò. Era Marrakech, i disturbi statici del |
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collegamento via satellite, un fiotto di parole spaventate, in portoghese. |
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L'Hosaka non ci bloccò il conto, no. Lo vaporizzò. Come l'oro delle fate. Prima |
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eravamo milionari, nella valuta più forte del mondo, un minuto dopo eravamo |
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diventati poveri. Svegliai Fox. Sandii, disse. Ci ha venduto. I servizi della Maas |
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l'hanno assoldata a Vienna. Cristo. |
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Lo guardai sventrare la sua vecchia valigia con un coltello a serramanico |
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dell'esercito svizzero. C'erano tre piastre d'oro incollate lì. Piastre morbide, con |
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il marchio del tesoro di qualche governo africano estinto. |
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Non avresti dovuto vederla, disse con voce atona. |
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No, dissi io. Credo di aver detto il tuo nome. Dimenticala, mi disse. L'Hosaka ci |
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vuole morti. Penseranno che li abbiamo traditi. Prendi il telefono e controlla il |
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nostro conto. Il nostro conto era sparito. Quelli della banca negarono che noi due |
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avessimo mai avuto un conto. |
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Tagliamo la corda, disse Fox. |
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Corremmo. Dalla porta di servizio, nel traffico di Tokyo, giù fino a Shinjuku. Fu |
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lì che compresi per la prima volta fin dove giungeva il potere dell'Hosaka. Gente |
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con cui facevamo affari da due anni ci vedeva arrivare, ed era come se |
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chiudessero la saracinesca dei ricordi. |
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Uscivamo prima che potessero mettere le mani sul telefono. La tensione |
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superficiale del mondo illegale si era triplicata, e dovunque incontravamo la |
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stessa membrana tesa venivamo respinti. Nessuna possibilità di scomparire, di |
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sfuggire. |
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L'Hosaka ci lasciò scappare per la maggior parte del primo giorno. Poi |
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mandarono qualcuno a rompere la schiena a Fox una seconda volta. Non li vidi |
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farlo, ma vidi Fox cadere. Eravamo in un grande magazzino di Ginza un'ora |
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prima della chiusura, e lo vidi cadere dall'ammezzato scintillante, in mezzo alle |
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merci della nuova Asia. Mi mancarono, non so perché, e continuai a scappare. |
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Fox aveva con sé l'oro, ma avevo un centinaio di nuovi yen in tasca. Scappai. Fino |
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al New Rose Hotel. |
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È arrivato il momento. |
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Vieni da me, Sandii. Ascolta il ronzio delle luci al neon sulla strada per il Narita |
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International. Le ultime falene tracciano cerchi interrotti attorno ai riflettori che |
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illuminano il New Rose. E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri |
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neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma |
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richiamato dalle forze dell'economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su |
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mille letti negli Hyatt del mondo, negli Hilton del mondo. |
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Adesso ho la tua pistola in mano, nella tasca della giacca, e la mia mano |
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sembra lontana. Staccata da me. |
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Ricordo il mio amico d'affari portoghese che si era dimenticato l'inglese e |
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cercava di spiegarsi in quattro lingue che io capivo appena, e pensavo che mi |
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stesse dicendo che la Medina stava bruciando. Non la Medina. I cervelli dei |
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migliori ricercatori dell'Hosaka. |
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Un'infezione, sussurrava il mio uomo, infezione, febbre e morte. L'astuto Fox |
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mise tutto assieme mentre scappavamo. Non dovetti nemmeno dirgli di aver |
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trovato il dischetto nella tua borsetta, in Germania. Qualcuno aveva |
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riprogrammato il sintetizzatore di D.N.A., disse. Quella cosa serviva per costruire |
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da un giorno all'altro la macromolecola giusta. Con il computer integrato e il |
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software su ordinazione. Costoso, Sandii. Ma non così costoso come alla fine |
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risultasti tu per l'Hosaka. |
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Spero che la Maas ti abbia pagato bene. |
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Il dischetto nella mia mano. Pioggia sul fiume. Sapevo, ma non potevo |
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ammetterlo. Rimisi il codice per il virus meningeo nella tua borsetta e mi stesi |
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accanto a te. |
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Così Moenner è morto, insieme agli altri ricercatori dell'Hosaka. |
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Compreso Hiroshi. Chedanne ha subito danni permanenti al cervello. Hiroshi |
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non aveva preso precauzioni per la contaminazione. Le proteine che fabbricava |
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erano innocue. Così il sintetizzatore è rimasto acceso tutta la notte a costruire un |
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virus secondo le indicazioni della Maas Biolabs GmbH. |
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Maas. Piccola, veloce, spietata. Tutta Talento. |
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La strada per l'aeroporto è una lunga striscia dritta. Stai nell'ombra. |
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E io che gridavo a quella voce portoghese, chiedendole cosa fosse successo |
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alla ragazza, alla donna di Hiroshi. Svanita, disse. Il ronzio di un meccanismo |
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vittoriano. |
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Così Fox doveva cadere, cadere con le sue tre patetiche piastre d'oro, e |
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fracassarsi la spina dorsale per l'ultima volta. Sul pavimento del grande |
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magazzino di Ginza, tutti i clienti che spalancavano gli occhi, un istante prima di |
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gridare. |
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Non riesco a odiarti, amore. |
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E l'elicottero dell'Hosaka è tornato, senza luci, a caccia con l'infrarosso, |
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cercando il calore del corpo. Un gemito attutito mentre ruota, a un chilometro di |
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distanza, tornando verso di noi, verso il New Rose. Un'ombra fin troppo rapida |
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contro le luci di Narita. |
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Va tutto bene, bambina. Ma torna, ti prego. Prendimi la mano. |
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@ -0,0 +1,805 @@ |
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# La razza giusta |
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_(The Belonging Kind, 1981)_ |
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Forse era stato al Club Justine, o al Jimbo's, o al Sad Jack's, o al Rafters; Coretti |
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non riusciva a ricordare dove l'avesse vista per la prima volta. Avrebbe potuto |
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essere successo in qualsiasi momento in uno qualsiasi di quei bar. Lei nuotava |
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nella pseudo-vita fatta di bottiglie e bicchieri e del lento salire del fumo delle |
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sigarette. . si muoveva nel suo elemento naturale, un bar dopo l'altro. Coretti |
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ricordava la prima volta che le aveva parlato come se la vedesse dalla parte |
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sbagliata di un potente cannocchiale: piccola, distinta e molto lontana. |
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L'aveva notata per la prima volta nel Backdoor Lounge. Si chiamava Backdoor |
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perché si entrava dalla porta posteriore, in uno stretto vicolo. I muri del vicolo |
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erano coperti di graffiti; i lampioni, dietro le loro reti, brulicavano di falene. |
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Scaglie cadute dai mattoni pitturati di bianco scricchiolavano sotto i piedi. Poi si |
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apriva la porta e ci si trovava in uno spazio in penombra abitato da fantasmi |
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ambigui di cinque o sei altri bar che avevano aperto e poi chiuso bottega nello |
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stesso locale, sotto diverse gestioni. Coretti qualche volta ci andava perché gli |
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piaceva il sorriso stanco del barista negro, e perché i pochi clienti cercavano |
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raramente di fare amicizia. Non era molto bravo a fare conversazione con gli |
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estranei, né ai bar né alle feste. |
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Era bravo nella comunità universitaria, dove teneva lezioni di linguistica |
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preliminare; era capace di parlare con il direttore del suo dipartimento di |
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sequenze e opposizioni nelle aperture di conversazione. Ma non riusciva mai a |
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parlare agli estranei nei bar e alle feste. Non andava a molte feste. Andava in un |
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sacco di bar. Coretti non sapeva vestire. I vestiti sono un linguaggio, e Coretti era |
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una specie di balbuziente dell'abbigliamento, incapace di indossare quella giusta |
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combinazione di abiti che mette l'estraneo a suo agio. La sua ex moglie gli diceva |
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che si vestiva come un marziano, che sembrava non far parte della città. Non gli |
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era piaciuto sentirselo dire, perché era vero. |
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Coretti non aveva mai avuto una ragazza come quella che sedeva con la |
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schiena leggermente inarcata nella luce liquida che ricadeva sul bancone del |
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Backdoor. La stessa luce era incisa nelle lenti del barista, avvitata attorno ai colli |
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delle bottiglie, schizzata sullo specchio. In quella luce il vestito di lei aveva il |
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colore del grano giovane, come un guscio mezzo aperto, e mostrava schiena, |
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natiche e un bel paio di cosce attraverso gli spacchi sui fianchi. Quella sera aveva |
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i capelli ramati. E gli occhi verdi. |
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Coretti si fece strada risolutamente fra i tavoli vuoti di metallo cromato e |
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formica, raggiunse il bar e ordinò un bourbon liscio. Si tolse la giacca di lana e |
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finì per appoggiarsela sulle ginocchia quando si sedette, a uno sgabello di |
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distanza da lei. Perfetto, si disse: così penserà che stai nascondendo un'erezione. |
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E si accorse con sorpresa, che ne aveva proprio una da nascondere. Esaminò la |
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propria immagine nello specchio dietro il bancone: un uomo sulla trentina con |
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capelli scuri che andavano diradandosi e una faccia pallida e stretta su un collo |
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lungo, troppo lungo per il colletto aperto della camicia di nylon stampata con |
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figure di automobili del 1910 a tre colori vivaci. Indossava una cravatta a grosse |
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strisce diagonali, nere e marroni. Si accorse che era troppo stretta per le punte |
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grottescamente lunghe del colletto. O forse era sbagliato il colore. Comunque |
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qualcosa era fuori posto. |
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Accanto a lui, nella scura limpidezza dello specchio, la ragazza dagli occhi |
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verdi sembrava Irma la Dolce. Ma guardandola meglio, studiandole la faccia, |
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Coretti ebbe un brivido. La faccia di un animale. Una faccia bella, ma semplice, |
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astuta, bidimensionale. “Quando si accorgerà che la guardi” pensò “ti farà un |
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sorriso, divertito e sprezzante. . O qualsiasi altra cosa ti aspetti.” Coretti |
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farfugliò: — Posso, ehm, offrirti da bere? In momenti come quello Coretti cadeva |
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in preda a un tic linguistico penosissimo, da maestro di scuola. “Ehm”. Ebbe un |
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brivido. “Ehm”. |
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— Vuoi, ehm, offrimi da bere? Molto gentile da parte tua — disse lei, |
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lasciandolo di sasso. — Sì, mi piacerebbe molto. — Vagamente, Coretti notò che |
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la risposta della ragazza era artefatta e insicura quanto la sua domanda. Lei |
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aggiunse: — In un'occasione come questa, un Tom Collins sarebbe delizioso. |
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In un'occasione come questa? Delizioso? Innervosito, Coretti ordinò due drink |
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e pagò. |
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Una donna grossa, in jeans e camicia da cowboy ricamata, si appoggiò al |
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bancone accanto a lui e chiese al barista di cambiarle una banconota. Poi |
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raggiunse a grandi passi il juke-box e fece partire “You're the Reason Our Kids |
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Are Ugly”, di Conway e Loretta. Coretti si rivolse alla donna in verde e mormorò |
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con voce insicura: — Ti piace ascoltare la musica country? — “Ti piace |
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ascoltare. .” Emise un grugnito silenzioso per quel giro di parole, e cercò di |
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sorridere. |
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— Sì, certo — rispose lei, con una lieve inflessione nasale nella voce. — Certo |
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che mi piace. |
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La ragazza-cowboy sedette vicino a Coretti e le chiese, strizzandole l'occhio: |
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— Questo piccoletto ti sta dando fastidio? E la ragazza in verde con gli occhi da |
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animale rispose: — Oh, diavolo, no ciccia, lo tengo d'occhio. — E rise. La risata |
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giusta. Il Coretti dialettologo si agitò a disagio: il cambiamento di sintassi e |
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inflessione era troppo perfetto. Un'attrice? Un'imitatrice di talento? Gli venne in |
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mente “mimetico”, ma lo mise da parte per studiare l'immagine di lei riflessa |
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nello specchio. Le file di bottiglie le nascondevano i seni come un abito di vetro. |
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— Io sono Coretti — disse lui, mutando bruscamente la sua poltergeist |
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verbale in un atteggiamento fasullo da duro. — Michael Coretti. |
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— Molto piacere — disse lei a bassa voce, per non farsi sentire dall'altra |
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donna, e ancora una volta era scivolata in una parodia di Emily Post. |
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— Conway e Loretta — disse la ragazza-cowboy, a nessuno in particolare. |
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— Antoinette — disse la donna in verde, e inclinò la testa. Finì di bere, fece |
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finta di guardare l'orologio, snocciolò un “grazie di avermi offerto da bere” fin |
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troppo da brava bambina e se ne andò. Dieci minuti più tardi, Coretti la seguiva |
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lungo la Terza Avenue. Non aveva mai seguito nessuno in vita sua, e la cosa lo |
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spaventava e lo emozionava allo stesso tempo. Quaranta passi gli sembrava la |
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distanza giusta, ma cosa avrebbe fatto se lei si fosse guardata alle spalle? La |
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Terza Avenue non è una strada buia, e fu lì, alla luce dei lampioni, come su un |
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palcoscenico, che lei cominciò a cambiare. La strada era deserta. |
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Stava attraversando la strada. Scese dal marciapiede e cominciò. Cominciò con |
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la tinta dei capelli. . All'inizio Coretti pensò che fosse il riflesso dei lampioni. Ma |
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non c'erano luci al neon per produrre quelle macchie di colore che scivolavano e |
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si confondevano come chiazze di olio. Poi i colori svanirono e nel giro di tre |
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secondi lei era diventata biondo platino. |
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Coretti era sicuro che fosse un'illusione ottica, fino a quando il suo vestito |
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cominciò a fremere, ritirandosi sul corpo come una pellicola di plastica per |
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alimenti. Una parte si staccò completamente e cadde sull'asfalto in frammenti |
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accartocciati, come la pelle di un animale. Quando vi passò accanto vide solo una |
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schiuma verde che si dissolveva spumeggiando. |
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Guardò verso la ragazza, e il suo vestito era diverso, raso verde dai riflessi |
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cangianti. Anche le sue scarpe erano cambiate. Le spalle erano nude, a parte le |
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spalline sottili che le passavano fra le scapole. I capelli le erano diventati corti, |
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diritti. Si accorse di essersi appoggiato alla vetrina di un gioielliere, il respiro che |
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gli usciva a rantoli nell'umidità della sera autunnale. Sentì il battito ritmico della |
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discoteca da due isolati di distanza. Mentre la ragazza si avvicinava, i suoi |
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movimenti cominciarono impercettibilmente ad assumere un nuovo ritmo, una |
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diversa enfasi nell'ondeggiare delle anche, nella maniera in cui appoggiava i |
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tacchi sul marciapiede. Il portiere la fece passare con un vago cenno del capo. |
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Bloccò Coretti, controllandogli la patente e aggrottando la fronte nel vedere la |
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sua giacca di lana. Coretti osservò ansiosamente l'onda di luce in cima alla scala |
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di plastica lattea, oltre il portiere. Era svanita lì, nel lampeggiare robotico e nel |
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frastuono echeggiante. Controvoglia l'uomo lo lasciò passare, e Coretti salì |
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veloce le scale, facendo traballare le luci dietro i gradini di plastica trasparente. |
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Coretti non era mai stato in una discoteca prima di allora; si trovò in un |
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ambiente progettato per la completa soddisfazione-nella-distrazione. Si fece |
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strada nervosamente attraverso il movimento e gli abiti appariscenti e i canti |
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urbani meccanici che tuonavano dai grandi altoparlanti. La cercò quasi alla cieca |
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sulla pista da ballo affollata di gente in posa coagulata dalle luci stroboscopiche. |
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Lei si muoveva in perfetto accordo con la musica, assumendo tutta una serie di |
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pose successive; recitò l'intera sequenza prescritta con grazia, ma senza arte, |
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adattandosi alla perfezione. Sempre, sempre adattandosi alla perfezione. Gli altri |
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danzavano meccanicamente, eseguendo faticosamente il rituale. |
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Quando il ballo finì la ragazza si voltò bruscamente e si tuffò nel folto della |
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folla. La massa mutevole si chiuse attorno a lei come metallo fuso. |
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Coretti si buttò dietro di lei senza lasciarla mai con gli occhi. . E fu l'unico ad |
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accorgersi del cambiamento. Quando lei raggiunse le scale aveva i capelli color |
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castano dorato, lunghi e dritti, e indossava un lungo abito blu. Fra i capelli le |
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spuntava un fiore bianco, dietro l'orecchio destro. I seni le erano diventati un |
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poco più grandi, i fianchi leggermente più pesanti. Scese le scale due gradini alla |
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volta, e in quel momento lui ebbe paura per lei. Tutti quei liquori. |
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Ma l'alcool sembrava non avere alcun effetto su di lei. Senza mai staccarle gli |
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occhi di dosso Coretti la seguì, i battiti del cuore più veloci della musica pulsante |
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alle sue spalle, sicuro che da un momento all'altro si sarebbe girata, l'avrebbe |
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visto, avrebbe chiamato aiuto. |
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Due isolati dopo, lungo la Terza, si infilò da Lothario's. Ora camminava |
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diversamente. Lothario's era un insieme di sale silenziose, con felci e specchi Art |
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Déco. C'erano falsi lampadari Tiffany appesi al soffitto, alternati a ventilatori |
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dalle pale di legno che ruotavano troppo lentamente per disperdere il fumo che |
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si alzava fra il mormorio consapevolmente dolce della conversazione. Dopo la |
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discoteca, Lothario's faceva un effetto familiare e piacevole. Un pianista jazz, in |
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camicia a righine e cravatta allentata faceva a gara sommessamente con la |
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conversazione e le risate che venivano dai tavoli. Lei andò al bar; gli sgabelli |
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erano occupati solo per metà, ma Coretti scelse un tavolo d'angolo, all'ombra di |
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una palma in miniatura, e ordinò un bourbon. |
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Bevve il bourbon e ne ordinò un altro. Non riusciva a sentire molto gli effetti |
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dell'alcool, quella sera. |
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Lei era seduta vicino a un giovane, uno dei soliti giovani con tratti regolari e |
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anonimi, che indossava una camicia da golf gialla e jeans stirati. Le loro anche si |
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sfioravano appena. Non sembravano parlare, ma Coretti aveva la sensazione che |
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in qualche maniera comunicassero. Erano leggermente piegati l'una verso l'altro, |
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silenziosi. Coretti provava una strana sensazione. Andò nel bagno e si spruzzò la |
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faccia di acqua. Tornando, fece in modo di passare a un metro di distanza da |
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loro. Le loro labbra non si mossero finché non fu a portata d'udito. Si |
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scambiarono a turno chiacchiere realistiche. |
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— . .ho visto i suoi primi film, ma. . |
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— Ma è piuttosto narcisista, non ti pare? |
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— Sì, ma nel senso che. . |
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E per la prima volta Coretti seppe cosa erano, cosa dovevano essere. Sono |
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quella razza di persone che si vedono nei bar, che sembra essere cresciuta lì, |
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sempre perfettamente a proprio agio. Non ubriachi, ma soprammobili in forma |
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umana. Viventi in funzione del bar. La razza giusta. |
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Qualcosa dentro di lui anelava a un confronto. Raggiunse il suo tavolo, ma |
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scoprì che non gli riusciva di sedersi. Si voltò, tirò un profondo respiro e |
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camminò rigidamente verso il bar. Voleva toccarla sulla spalla liscia e chiederle |
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chi era, e cosa era esattamente, e farle osservare l'ironia del fatto che era lui, |
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Coretti, quello che si vestiva come un marziano, quello che origliava, l'intruso, i |
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cui abiti e la cui conversazione non erano mai quelli giusti, ad aver finalmente |
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indovinato il loro segreto. |
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Ma poi gli mancò il coraggio, e si limitò a sedersi vicino a lei e a ordinare un |
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bourbon. |
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— Ma non credi — chiese lei al compagno — che sia tutto relativo? |
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I due posti oltre l'uomo vennero occupati da una coppia che parlava di |
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politica. Antoinette e Camicia da Golf raccolsero il tema politico senza fare una |
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piega, riciclandolo, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire. La faccia di |
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lei, mentre parlava, era priva di espressione. Un uccello che cinguettava su un |
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ramo. Sedeva sullo sgabello come se fosse un nido. Camicia da Golf pagò le |
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consumazioni. Aveva sempre il denaro contato, a meno che non volesse lasciare |
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una mancia. |
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Coretti li osservò bere metodicamente sei cocktail ciascuno, come insetti che |
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si nutrono di nettare. Ma non alzavano mai la voce, le loro guance non si |
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arrossarono, e quando alla fine si alzarono, si muovevano senza alcuna traccia di |
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ubriachezza. . una debolezza, pensò Coretti, una falla nel travestimento. |
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Non gli prestarono la minima attenzione mentre li seguiva nei tre bar |
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successivi. |
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Quando entrarono da Waylon's si tramutarono così rapidamente che Coretti |
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ebbe difficoltà a seguire le fasi della trasformazione. Era uno di quei posti dove |
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sulla porta della toilette maschile c'era scritto “Pointer” e su quella femminile |
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“Setter”, e cartellini in finto pino sui barattoli di carne secca e salsicce sottaceto: |
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“Abbiamo fatto un patto con la banca: loro non servono birra e noi non |
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prendiamo assegni”. |
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Da Waylon's lei era grassottella, con occhiaie pesanti. Aveva macchie di caffè |
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sui pantaloni di poliestere. Il suo compagno indossava jeans e maglietta e un |
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cappello da baseball rosso con uno scudetto bianco e rosso. Coretti rischiò di |
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perderli di vista mentre attraversava il caos ed entrava nel “Pointer” per trovarsi |
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davanti a un cartello scritto a mano che diceva: “Noi miriamo a servirvi. Voi |
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mirate e basta”. |
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La Terza Avenue si perdeva vicino al porto in un ghigno pietrificato di case in |
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mattoni. All'ultimo isolato, macchie colorate di vomito segnavano a intervalli il |
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marciapiede, e dei vecchi sonnecchiavano davanti a televisori in bianco e nero, |
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sigillati per sempre dietro le porte a vetri appannate di alberghetti sbiaditi. Il bar |
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in cui entrarono non aveva nome. Un asso di quadri si stava staccando a scaglie |
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dalla vetrina sporca, e il barista aveva una faccia che assomigliava a un pugno |
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chiuso. Una radio a transistor in plastica color avorio ululava del rock easy- |
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listening sulle file sbilenche di tavoli vuoti. Bevvero birra e liquore. Erano vecchi, |
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adesso, due zeri che bevevano e fumavano alla luce di lampadine nude tossendo |
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su un pacchetto accartocciato di Camel che lei aveva tirato fuori dalla tasca di un |
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impermeabile marrone, sporco. |
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Alle 2 e 25 erano nel bar sul tetto del nuovo hotel che sorgeva sulla riva del |
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fiume. Lei indossava un abito da sera, lui un vestito scuro. Bevvero cognac e |
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fecero finta di ammirare le luci della città. Bevvero tre cognac, mentre Coretti li |
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guardava alzando gli occhi dal bicchiere di cristallo di Waterford contenente |
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sessanta grammi di Wild Turkey. Bevvero fino all'ora di chiusura. Coretti li seguì |
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nell'ascensore. Gli sorrisero educatamente ma per il resto lo ignorarono. C'erano |
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due taxi di fronte all'hotel; loro presero il primo, Coretti il secondo. |
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— Seguite quel taxi — disse Coretti con voce roca, passando i suoi ultimi venti |
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dollari al vecchio autista hippy. |
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— Certo, come no. . — L'autista seguì l'altro taxi per sei isolati fino a un altro |
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hotel, più modesto. I due scesero ed entrarono. Coretti scese lentamente dal suo |
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taxi, respirando a fatica. Si sentiva bruciare di gelosia: per quella |
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personificazione di conformità sociale, per la donna che non era una donna, |
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quella tappezzeria umana. Coretti fissò l'albergo. . E perse il coraggio. Se ne andò. |
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— Camminò fino a casa. Sedici isolati. A un certo punto si rese conto di non |
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essere ubriaco. Neanche un po'. |
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La mattina telefonò per cancellare la prima lezione. Ma si accorse che i |
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postumi della sbronza non arrivavano. Non sentiva la bocca arida, e guardandosi |
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nello specchio del bagno vide che non aveva gli occhi iniettati di sangue. |
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Il pomeriggio dormì, e sognò gente con la faccia da pecora riflessa in specchi |
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dietro file di bottiglie. |
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Quella sera uscì a cena, da solo. E non mangiò niente. Gli sembrava quasi che il |
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cibo lo fissasse. Lo sparse un po' per il piatto per far sembrare che l'avesse |
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assaggiato, pagò e andò in un bar. Poi in un altro. E un altro, cercandola. Stava |
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usando la sua carta di credito, adesso, anche se era già in rosso con la Visa. Se la |
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vide, non la riconobbe. |
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Qualche volta andava all'hotel dove l'aveva vista entrare. Guardava con |
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attenzione ogni coppia che usciva ed entrava. Non perché sperasse di |
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riconoscerla semplicemente dal suo aspetto. . Ma capiva che doveva esserci una |
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“sensazione”, una sorta di riconoscimento intuitivo. Osservò le coppie e non ne |
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fu mai certo. |
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Nelle settimane seguenti visitò sistematicamente ogni posto della città dove si |
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vendesse alcool. Servendosi all'inizio di una pianta della città e di cinque pagine |
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gialle strappate, si introdusse a poco a poco fin nei locali più oscuri, posti senza |
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numero del telefono sulla guida. |
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Alcuni il telefono non ce l'avevano neppure. Si iscrisse a club privati di dubbia |
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reputazione, scoprì posti senza licenza che rimanevano aperti oltre le ore |
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consentite, dove bisognava portarsi da bere, e sedette nervosamente in stanze |
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buie utilizzate per un tipo anomalo di sessualità di cui non aveva mai neppure |
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sospettato l'esistenza. |
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Ma proseguì in quello che era diventato il suo circuito notturno. Cominciava |
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sempre dal Backdoor. Lei non era mai lì, né nel bar successivo, né in quello dopo |
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ancora. I baristi lo conoscevano, e lo accoglievano bene perché comprava da |
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bere in continuazione e sembrava che non si ubriacasse mai. Era vero che fissava |
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un po' gli altri clienti, ma che c'era di male? |
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Coretti perse il lavoro. |
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Aveva saltato troppe lezioni. Aveva cominciato a fare la guardia all'hotel anche |
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di giorno. Era stato visto in troppi bar. Sembrava che non si cambiasse mai |
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d'abito. Rifiutava i corsi serali. Interrompeva nel bel mezzo una lezione, per |
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fissare la finestra con occhi vuoti. Provò un segreto piacere ad essere licenziato. |
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Lo avevano guardato in maniera strana alla mensa, dove non riusciva a |
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mangiare. E adesso aveva più tempo per la sua ricerca. |
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Coretti la trovò alle 2.15 di un mercoledì notte in un bar gay chiamato il Barn. |
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Rivestito di legno grezzo, pieno di cavezze e attrezzi agricoli arrugginiti, il locale |
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era pieno di profumo, di risate, di birra. |
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Lei rideva e scherzava con tutti, in un vestito in lustrini blu e con una penna |
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verde nella cuffia sui capelli castani. Con un sollievo che sentiva quasi fin nelle |
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cellule, Coretti si rese conto di provare una sorta di ammirazione, uno strano |
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orgoglio per la donna e per la sua razza. Anche lì lei era a suo agio. |
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Era l'esempio tipico della donna che amava la compagnia degli omosessuali, e |
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che non rappresentava per loro alcun pericolo. Il suo compagno era diventato un |
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uomo senza età, con le tempie argentate, maglione di angora e impermeabile. |
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Bevevano e bevevano, e uscirono ridendo, con il giusto tipo di risata, nella |
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pioggia. Un taxi li aspettava. I tergicristalli sembravano duplicare il battito del |
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cuore di Coretti. |
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Correndo goffamente sul marciapiede umido, Coretti si infilò nel taxi, |
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pensando con terrore alla loro reazione. |
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Coretti si trovò sul sedile posteriore accanto a lei. L'uomo con le tempie |
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argentate parlò all'autista. L'autista mormorò qualcosa nel microfono, mise in |
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moto, e scivolarono via nella pioggia e nelle strade buie. Il paesaggio cittadino |
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non fece alcuna impressione su Coretti, che guardando dentro di sé vedeva il taxi |
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fermarsi, l'uomo grigio e la donna ridente che lo spingevano fuori e indicavano, |
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sorridendo, il cancello di un manicomio. Oppure: il taxi che si fermava, la coppia |
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che si voltava e scuoteva tristemente la testa. E una dozzina di volte gli sembrò |
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di vedere il taxi fermarsi in una stradina solitaria, dove i due lo strangolavano in |
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tutta calma. Coretti abbandonato morto nella pioggia. Perché era un intruso. |
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Ma arrivarono all'albergo di Coretti. |
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Nella luce fioca della cabina del taxi guardò attentamente l'uomo mentre |
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infilava una mano nell'impermeabile per pagare. Coretti vide chiaramente la |
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fodera dell'impermeabile, ed era un pezzo unico con il maglione di angora. Non |
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c'era alcun rigonfio del portafoglio, nessuna tasca. Ma una fessura si aprì, si |
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allargò quando le dita dell'uomo vi si appoggiarono sopra e ne uscì del denaro. |
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Tre banconote ripiegate scivolarono fuori dalla fessura. Il denaro era |
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leggermente umido. Si asciugò mentre l'uomo lo apriva, come le ali di una |
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farfalla appena emersa dalla crisalide. |
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— Tenete il resto — disse l'uomo uscendo dal taxi. Anche Antoinette uscì, e |
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Coretti la seguì, vedendo con la mente solo la fessura. La fessura umida, con i |
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bordi rossi, come una branchia. La hall era deserta il portiere di notte intento a |
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fare le parole crociate. La coppia attraversò silenziosamente la hall ed entrò |
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nell'ascensore, con Coretti alle calcagna. |
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— Una volta lui cercò di guardarla negli occhi, ma lei lo ignorò. E una volta, |
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mentre l'ascensore saliva sette piani oltre quello di Coretti, lei si chinò e annusò |
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il portacenere cromato appeso alla parete, come un cane che annusi il terreno. |
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Gli alberghi, a notte fonda, non sono mai tranquilli. I corridoi non sono mai del |
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tutto silenziosi. Ci sono innumerevoli sospiri appena udibili, il fruscio delle |
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lenzuola, voci soffocate che mormorano frasi spezzate nel sonno. Ma nel |
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corridoio del nono piano a Coretti parve di muoversi in un vuoto perfetto, senza |
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suoni, le scarpe che non facevano alcun rumore sul tappeto incolore, e anche il |
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battito del suo cuore da intruso risucchiato nel disegno indistinto che decorava |
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la tappezzeria. |
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Cercò di contare i piccoli ovali di plastica avvitati alle porte, ciascuno con i |
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suoi tre numeri, ma il corridoio sembrava proseguire all'infinito. Alla fine l'uomo |
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si fermò di fronte a una porta, una porta impiallacciata come le altre in finto |
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palissandro, e appoggiò la mano sulla maniglia, il palmo piatto sul metallo. Si |
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sentì un rumore stridente, soffocato, poi la serratura che scattava, la porta che si |
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apriva. Mentre l'uomo ritraeva la mano Coretti vide una scheggia ossea grigio- |
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rosa a forma di chiave, ritirarsi umida nella carne pallida. |
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Non c'era nessuna luce accesa nella stanza, ma il bagliore al neon della città |
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filtrava attraverso le veneziane, permettendogli di vedere le facce di una dozzina |
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o più di persone sedute sul letto, sul divano, sulle poltrone, sugli sgabelli in |
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cucina. All'inizio gli parve che tenessero gli occhi aperti, poi si rese conto che le |
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pupille spente erano coperte da membrane, come una terza palpebra che |
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rifletteva la luce proveniente dalla finestra. Indossavano gli abiti dell'ultimo bar: |
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cappotti informi dell'Esercito della Salvezza e abiti sportivi colorati, vestiti |
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lunghi da sera e tute da lavoro polverose, giacche da motociclista in pelle e |
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Harris tweed. Con il sonno era svanita ogni traccia di umanità. |
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Stavano facendo il nido. |
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La coppia si sedette sul bordo del tavolo in formica della cucina, e Coretti |
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rimase fermo, incerto, in mezzo al tappeto vuoto. Anni luce di tappeto |
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sembravano separarlo dagli altri, ma qualcosa lo chiamò, promettendogli riposo, |
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pace e sicurezza. Ma esitava ancora, scosso da un'indecisione che sembrava |
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nascergli nel codice genetico di ciascuna cellula. |
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Fino a quando non aprirono gli occhi, tutti insieme simultaneamente le |
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membrane che scivolavano di lato rivelando una calma aliena, da abitatori della |
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fossa più oscura dell'oceano. |
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Coretti urlò, e corse via, scappò lungo i corridoi e le scale echeggianti in |
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cemento, fino alla pioggia fresca e alle strade quasi vuote. |
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Coretti non tornò più alla sua stanza, al terzo piano. Un detective d'albergo |
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annoiato raccolse i testi di linguistica, l'unica valigia con i vestiti, e alla fine il |
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tutto venne venduto all'asta. Coretti prese una stanza in una pensione diretta da |
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un'arcigna signora astemia, di religione battista, che faceva pregare i suoi |
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inquilini prima di iniziare le cene squallide. Non le importava se Coretti non |
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partecipava mai. Lui le aveva spiegato che mangiava gratis in mensa. Mentiva |
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abilmente e abbondantemente. Non beveva mai nella pensione e non tornava |
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mai a casa ubriaco. Il signor Coretti era un po' strano, ma pagava sempre |
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puntuale. Ed era molto tranquillo. Coretti smise di cercarla. Smise di andare nei |
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bar. Beveva da una bottiglia in un sacchetto di carta mentre andava e tornava dal |
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lavoro, al deposito di una casa editrice, in una zona industriale dove c'erano |
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pochi bar. |
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Lavorava di notte. |
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Qualche volta, all'alba, seduto sul bordo del letto disfatto, mentre scivolava nel |
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sonno (non dormiva più sdraiato), pensava a lei. Antoinette. E a loro. La razza |
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giusta. Qualche volta faceva delle ipotesi, sognava. . Forse erano come topi |
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domestici, animali evoluti per vivere soltanto fra le strutture costruite |
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dall'uomo. Un animale che si nutre solo di bevande alcooliche. Un particolare |
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metabolismo che trasforma l'alcool e le varie proteine dei cocktail e del vino e |
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della birra in qualsiasi cosa serva loro. E possono cambiare il loro aspetto |
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esteriore come camaleonti o scorpene, per proteggersi. Per poter vivere fra di |
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noi. E forse, pensò Coretti, passano attraverso vari stadi di crescita. In quelli |
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iniziali sembrano uomini, mangiano il cibo degli uomini, avvertono la propria |
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differenza solo per la sensazione fastidiosa di essere degli intrusi. Un animale |
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dotato di una sua astuzia, di un suo istinto. E della capacità di accorgersi dei suoi |
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simili, quando sono vicini. Forse. E forse no. |
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Coretti scivolò nel sonno. |
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Un mercoledì, tre settimane dopo che aveva iniziato il suo nuovo lavoro, la |
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padrona di casa aprì la porta (non bussava mai) e gli disse che era desiderato al |
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telefono. La sua voce era carica di sospetto, come al solito, e Coretti la seguì |
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lungo il corridoio buio, fino al salotto al secondo piano dove era il telefono. |
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Sollevando la vecchia cornetta nera all'orecchio, all'inizio sentì solo della musica, |
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poi un rumore indefinibile che si risolse in un amalgama frammentario di |
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conversazioni e risate. I rumori del bar non vennero spezzati da alcuna voce, ma |
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la canzone in sottofondo era “You're the Reason Our Rids Are Ugly”. |
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Poi il segnale di occupato, quando riappesero. |
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Più tardi, solo nella sua stanza, ascoltando il passo della padrona di casa al |
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piano di sotto, Coretti capì che non c'era più alcuna necessità di rimanere |
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dov'era. La chiamata era arrivata. Ma la padrona chiedeva tre settimane di |
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preavviso se si intendeva andarsene. Per cui Coretti le doveva del denaro. |
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L'istinto gli disse di lasciarglielo. Un operaio nella stanza accanto tossì nel sonno, |
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mentre Coretti si alzava e raggiungeva il telefono. Coretti disse al caposquadra |
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del turno serale che si licenziava. Riappese e tornò nella sua stanza, chiuse la |
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porta a chiave e si tolse lentamente i vestiti, fino a rimanere nudo davanti alla |
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sgargiante litografia di Gesù incorniciata sopra la scrivania in metallo marrone. |
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Poi contò nove banconote da dieci dollari. Le mise per bene accanto alla targa |
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con le mani giunte che decorava il piano della scrivania. Erano ottime banconote, |
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perfettamente legali. Le aveva fatte lui. |
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Questa volta non aveva nessun desiderio di fare conversazione. Lei stava |
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bevendo un Margarita, e lui ordinò lo stesso. Lei pagò, estraendo il denaro con |
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un movimento abile della mano fra i seni che le ondeggiavano sotto la scollatura |
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bassa. Lui scorse la branchia che si chiudeva. Si sentì eccitato, ma, chissà perché, |
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l'eccitamento non si risolse in un'erezione. |
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Dopo il terzo Margarita le loro anche si toccarono, e lui sentì qualcosa |
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crescergli dentro in lente ondate orgasmiche. Sentiva appiccicaticcio dove si |
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toccavano, una zona larga quanto un pollice dove i vestiti si erano aperti. Era due |
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uomini: quello dentro che si fondeva con lei in una comunione totale, e il guscio |
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che sedeva tranquillo su uno sgabello del bar, i gomiti ai due lati del bicchiere, le |
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dita che giocherellavano con una bacchetta per mescolare i cocktail. Sorrideva |
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beatamente. Calmo, nella penombra fresca. E una volta, ma una volta sola, una |
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parte lontana e preoccupata di lui lo spinse a guardare in basso a vedere morbidi |
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tubi rossi che pulsavano, viticci sormontati da labbra sottili che si muovevano |
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nell'ombra. Come i tentacoli intrecciati di due bizzarre anemoni. |
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Si stavano accoppiando, e nessuno lo sapeva. |
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E il barista, quando portò ancora una volta da bere, fece un sorriso stanco e |
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disse: — Non vuole proprio smetterla di piovere, oggi. |
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— Va avanti così da una settimana — rispose Coretti. — Non se ne può più. |
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E lo disse proprio bene. Come un vero essere umano. |
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