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Corretto: rimossi tutti gli accapo inutili nei paragrafi

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Matteo Benedetto 1 month ago
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# La notte che bruciammo Chrome # La notte che bruciammo Chrome
**William Gibson** **William Gibson** --- Raccolta di racconti del cyberpunk (Urania 1110, 1989)
---
Raccolta di racconti del cyberpunk (Urania 1110, 1989)
## Indice ## Indice
1. [Prefazione](00_prefazione.md) 1. [Prefazione](00_prefazione.md) 2. [Johnny Mnemonico](01_johnny_mnemonico.md) 3. [La notte che bruciammo Chrome](02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md) 4. [Il continuum di Gernsback](03_il_continuum_di_gernsback.md) 5. [Frammenti di una rosa olografica](04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md) 6. [Hinterland](05_hinterland.md) 7. [New Rose Hotel](06_new_rose_hotel.md) 8. [Il mercato d'inverno](07_il_mercato_dinverno.md) 9. [La razza giusta](08_la_razza_giusta.md) 10. [Stella rossa, orbita d'inverno](09_stella_rossa_orbita_dinverno.md) 11. [Duello](10_duello.md)
2. [Johnny Mnemonico](01_johnny_mnemonico.md) 3. [La notte che bruciammo Chrome](02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md) 4. [Il continuum di Gernsback](03_il_continuum_di_gernsback.md) 5. [Frammenti di una rosa olografica](04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md) 6. [Hinterland](05_hinterland.md) 7. [New Rose Hotel](06_new_rose_hotel.md) 8. [Il mercato d'inverno](07_il_mercato_dinverno.md) 9. [La razza giusta](08_la_razza_giusta.md) 10. [Stella rossa, orbita d'inverno](09_stella_rossa_orbita_dinverno.md) 11. [Duello](10_duello.md)

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# Prefazione # Prefazione
Se i poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo, gli scrittori di Se i poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo, gli scrittori di fantascienza sono i suoi buffoni di corte. Noi siamo Pazzi Saggi che fanno capriole, pronunciano profezie e si grattano in pubblico. Possiamo scherzare delle Grandi Idee perché le nostre sgargianti origini nelle riviste popolari ci fanno apparire innocui.
fantascienza sono i suoi buffoni di corte. Noi siamo Pazzi Saggi che fanno Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura, si diffondono in maniera invisibile come una radiazione di fondo.
capriole, pronunciano profezie e si grattano in pubblico. Possiamo scherzare Ma la triste verità è che la fantascienza negli ultimi tempi non ha divertito molto. Tutte le forme di cultura popolare attraversano momenti di depressione.
delle Grandi Idee perché le nostre sgargianti origini nelle riviste popolari ci Se la fantascienza dei tardi anni Settanta era confusa, ripiegata su se stessa, stantia, non c'è da stupirsene.
fanno apparire innocui. William Gibson è uno dei nostri migliori messaggeri di un futuro migliore. La sua breve carriera lo ha già consacrato come uno dei più importanti scrittori degli anni Ottanta. Il suo stupefacente primo romanzo, “Neuromante”, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L'effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la fantascienza dal suo letargo dogmatico. Uscita dall'ibernazione sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. E noi siamo magri, affamati, e non dell'umore migliore.
Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo D'ora in poi le cose andranno in maniera diversa. L'antologia che avete fra le mani contiene tutte le opere brevi scritte finora da Gibson. È raro poter assistere allo sviluppo straordinariamente rapido di un grande scrittore. La strada che intendeva seguire era già visibile nella prima storia pubblicata, “Frammenti di una rosa olografica”, del 1977. I segni distintivi di Gibson sono già presenti: una complessa sintesi di moderna cultura pop, alta tecnologia, tecniche letterarie d'avanguardia.
influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul Il secondo racconto di Gibson, “Il continuum di Gernsback”, ce lo mostra mentre prende di mira il padre fondatore della tradizione fantascientifica. È una denuncia devastante della “scientifiction” nella sua tradizione di miope tecnocrazia. Vediamo qui uno scrittore che conosce le sue radici, e si sta preparando a una radicale trasformazione.
serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura, si diffondono in maniera Gibson ha dato la prova più matura delle sue capacità nella serie dell'”Agglomerato”: “Johnny Mnemonico”, “New Rose Hotel” e l'incredibile “La notte che bruciammo Chrome”. La pubblicazione di questi racconti sulla rivista “Omni” mostrò un livello di concentrazione e immaginazione che diede uno scossone all'intero genere fantascientifico. Queste storie densissime e barocche meritano di essere lette più volte, per la loro cupa e implacabile passione, per i dettagli intensamente precisi.
invisibile come una radiazione di fondo. Il trionfo di questi pezzi sta nella loro capacità di evocare un futuro credibile.
Ma la triste verità è che la fantascienza negli ultimi tempi non ha divertito Un compito difficilissimo, che molti scrittori di fantascienza hanno evitato di affrontare per anni. Questo fallimento intellettuale spiega lo spaventoso proliferare di storie sul dopo-olocausto, di fantasie di spada-e-magia, e di quelle onnipresenti “space opera” in cui imperi galattici crollano molto opportunamente nella barbarie. Tutti questi sotto-generi sono il prodotto del desiderio impellente da parte degli scrittori di non occuparsi realisticamente del futuro.
molto. Tutte le forme di cultura popolare attraversano momenti di depressione. Ma nelle storie dell'Agglomerato vediamo un futuro ricavato in maniera riconoscibile e dolorosa dalle moderne situazioni sociali. È multiforme, sofisticato, globale nella sua visione. Deriva da una nuova serie di punti di partenza: non dalle formule trite dei robot, delle astronavi, del moderno miracolo atomico, ma dalla cibernetica, dalle biotecnologie, dalla rete informatica, per dirne solo alcune. Le tecniche estrapolative di Gibson sono quelle della fantascienza classica e pura, ma il modo in cui le sviluppa è tipico della New Wave. Al posto dei soliti tecnici spassionati e degli eroi tutti di un pezzo della fantascienza tecnologica, i suoi personaggi sono una ciurma di perdenti, truffatori, reietti, emarginati e schizofrenici. Vediamo questo futuro dall'interno, come è vissuto, non semplicemente come arida speculazione.
Se la fantascienza dei tardi anni Settanta era confusa, ripiegata su se stessa, Gibson mette fine a quel fertile archetipo gernsbackiano, Ralph 124C41+, il tecnocrate ben educato che dalla sua torre d'avorio sparge la benedizione della superscienza sulle masse. Nelle opere di Gibson ci ritroviamo nelle strade e nei vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l'alta tecnologia è un ronzio costante, “come un esperimento impazzito di darwinismo sociale, inventato da un ricercatore annoiato che tiene perennemente premuto l'acceleratore.” La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. È un flusso di radiazioni mutagene che si diffondono fra una folla, un Autobus Globale stracarico che si inerpica a tutta velocità lungo una salita esponenziale.
stantia, non c'è da stupirsene. Queste storie ci dipingono un ritratto immediatamente riconoscibile del destino moderno. Le estrapolazioni di Gibson mostrano con enorme nitidezza la massa nascosta di quell'iceberg che è il mutamento sociale. L'iceberg scivola in questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure.
William Gibson è uno dei nostri migliori messaggeri di un futuro migliore. La Molti scrittori di fantascienza, posti di fronte a questo mostro in agguato, hanno alzato le mani al cielo, predicendo il disastro. Anche se nessuno potrebbe accusare Gibson di ingenuo ottimismo, egli ha evitato questa scappatoia. Questo è un altro tratto distintivo della scuola emergente di scrittori degli anni Ottanta:
sua breve carriera lo ha già consacrato come uno dei più importanti scrittori la noia dell'Apocalisse. Gibson non perde tempo ad agitare il dito o a torcersi le mani. Tiene gli occhi bene aperti, e, come ha notato Algis Budrys, non ha paura di rimboccarsi le maniche. Queste sono cospicue virtù.
degli anni Ottanta. Il suo stupefacente primo romanzo, “Neuromante”, che ha Un altro segno ci mostra che Gibson è parte di un consenso crescente nella fantascienza: prova ne è la facilità con cui collabora con altri scrittori. Tre di queste collaborazioni compaiono in questa antologia. “La razza giusta” è un raro esempio di horror spumeggiante di folle surrealismo. “Stella rossa, orbita d'inverno” è un altro pezzo sul futuro prossimo, con uno sfondo meravigliosamente dettagliato e autentico, con il suo punto di vista globale, multiculturale, tipico della fantascienza degli anni Ottanta, “Duello” è una storia brutale e terribile, con la combinazione di bassifondi e alta tecnologia che è tipica di Gibson.
vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l'aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia. Ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale:
capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L'effetto è Le Carré, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”:
stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la fantascienza quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo. La fantascienza ha vissuto di rendita per un lungo inverno. Gibson, insieme a una schiera di nuovi scrittori dotati di inventiva e ambizione, ha risvegliato il genere e l'ha lanciato alla ricerca di cibo fresco. E questo è un gran bene per noi tutti.
dal suo letargo dogmatico. Uscita dall'ibernazione sta sbucando dalla sua Bruce Sterling
caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. E noi siamo magri,
affamati, e non dell'umore migliore.
D'ora in poi le cose andranno in maniera diversa. L'antologia che avete fra le
mani contiene tutte le opere brevi scritte finora da Gibson. È raro poter assistere
allo sviluppo straordinariamente rapido di un grande scrittore. La strada che
intendeva seguire era già visibile nella prima storia pubblicata, “Frammenti di
una rosa olografica”, del 1977. I segni distintivi di Gibson sono già presenti: una
complessa sintesi di moderna cultura pop, alta tecnologia, tecniche letterarie
d'avanguardia.
Il secondo racconto di Gibson, “Il continuum di Gernsback”, ce lo mostra
mentre prende di mira il padre fondatore della tradizione fantascientifica. È una
denuncia devastante della “scientifiction” nella sua tradizione di miope
tecnocrazia. Vediamo qui uno scrittore che conosce le sue radici, e si sta
preparando a una radicale trasformazione.
Gibson ha dato la prova più matura delle sue capacità nella serie
dell'”Agglomerato”: “Johnny Mnemonico”, “New Rose Hotel” e l'incredibile “La
notte che bruciammo Chrome”. La pubblicazione di questi racconti sulla rivista
“Omni” mostrò un livello di concentrazione e immaginazione che diede uno
scossone all'intero genere fantascientifico. Queste storie densissime e barocche
meritano di essere lette più volte, per la loro cupa e implacabile passione, per i
dettagli intensamente precisi.
Il trionfo di questi pezzi sta nella loro capacità di evocare un futuro credibile.
Un compito difficilissimo, che molti scrittori di fantascienza hanno evitato di
affrontare per anni. Questo fallimento intellettuale spiega lo spaventoso
proliferare di storie sul dopo-olocausto, di fantasie di spada-e-magia, e di quelle
onnipresenti “space opera” in cui imperi galattici crollano molto
opportunamente nella barbarie. Tutti questi sotto-generi sono il prodotto del
desiderio impellente da parte degli scrittori di non occuparsi realisticamente del
futuro.
Ma nelle storie dell'Agglomerato vediamo un futuro ricavato in maniera
riconoscibile e dolorosa dalle moderne situazioni sociali. È multiforme,
sofisticato, globale nella sua visione. Deriva da una nuova serie di punti di
partenza: non dalle formule trite dei robot, delle astronavi, del moderno
miracolo atomico, ma dalla cibernetica, dalle biotecnologie, dalla rete
informatica, per dirne solo alcune. Le tecniche estrapolative di Gibson sono
quelle della fantascienza classica e pura, ma il modo in cui le sviluppa è tipico
della New Wave. Al posto dei soliti tecnici spassionati e degli eroi tutti di un
pezzo della fantascienza tecnologica, i suoi personaggi sono una ciurma di
perdenti, truffatori, reietti, emarginati e schizofrenici. Vediamo questo futuro
dall'interno, come è vissuto, non semplicemente come arida speculazione.
Gibson mette fine a quel fertile archetipo gernsbackiano, Ralph 124C41+, il
tecnocrate ben educato che dalla sua torre d'avorio sparge la benedizione della
superscienza sulle masse. Nelle opere di Gibson ci ritroviamo nelle strade e nei
vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l'alta tecnologia è un
ronzio costante, “come un esperimento impazzito di darwinismo sociale,
inventato da un ricercatore annoiato che tiene perennemente premuto
l'acceleratore.” La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre
meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. È un flusso di
radiazioni mutagene che si diffondono fra una folla, un Autobus Globale
stracarico che si inerpica a tutta velocità lungo una salita esponenziale.
Queste storie ci dipingono un ritratto immediatamente riconoscibile del
destino moderno. Le estrapolazioni di Gibson mostrano con enorme nitidezza la
massa nascosta di quell'iceberg che è il mutamento sociale. L'iceberg scivola in
questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo
secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure.
Molti scrittori di fantascienza, posti di fronte a questo mostro in agguato,
hanno alzato le mani al cielo, predicendo il disastro. Anche se nessuno potrebbe
accusare Gibson di ingenuo ottimismo, egli ha evitato questa scappatoia. Questo
è un altro tratto distintivo della scuola emergente di scrittori degli anni Ottanta:
la noia dell'Apocalisse. Gibson non perde tempo ad agitare il dito o a torcersi le
mani. Tiene gli occhi bene aperti, e, come ha notato Algis Budrys, non ha paura di
rimboccarsi le maniche. Queste sono cospicue virtù.
Un altro segno ci mostra che Gibson è parte di un consenso crescente nella
fantascienza: prova ne è la facilità con cui collabora con altri scrittori. Tre di
queste collaborazioni compaiono in questa antologia. “La razza giusta” è un raro
esempio di horror spumeggiante di folle surrealismo. “Stella rossa, orbita
d'inverno” è un altro pezzo sul futuro prossimo, con uno sfondo
meravigliosamente dettagliato e autentico, con il suo punto di vista globale,
multiculturale, tipico della fantascienza degli anni Ottanta, “Duello” è una storia
brutale e terribile, con la combinazione di bassifondi e alta tecnologia che è
tipica di Gibson.
Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua
voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore
dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura
fantascientifica per farvi entrare l'aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura
degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e
tecnologia. Ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale:
Le Carré, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è
un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”:
quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità
specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo. La
fantascienza ha vissuto di rendita per un lungo inverno. Gibson, insieme a una
schiera di nuovi scrittori dotati di inventiva e ambizione, ha risvegliato il genere
e l'ha lanciato alla ricerca di cibo fresco. E questo è un gran bene per noi tutti.
Bruce Sterling

1204
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Gibson/02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md

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Gibson/03_il_continuum_di_gernsback.md

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_(The Gernsback Continuum, 1981)_ _(The Gernsback Continuum, 1981)_
Per fortuna gli effetti stanno svanendo, la faccenda si sta rivelando un Per fortuna gli effetti stanno svanendo, la faccenda si sta rivelando un episodio temporaneo. Quando ancora mi capita di vedere qualcosa, è ai margini del campo visivo: frammenti di assurde macchine cromate, appena intraviste. Ho visto un'ala volante sopra San Francisco, la settimana scorsa, ma era quasi trasparente. E le auto con le pinne di squalo si sono fatte più rare, le autostrade evitano discretamente di espandersi in mostri scintillanti a ottanta corsie, come quello in cui sono stato costretto a guidare la settimana scorsa con la mia Toyota a nolo. E so che niente di tutto ciò mi seguirà fino a New York, il mio campo visivo si sta restringendo a una sola lunghezza d'onda probabilistica. Ho lavorato duro per ottenere questo risultato. La televisione mi è stata di grande aiuto.
episodio temporaneo. Quando ancora mi capita di vedere qualcosa, è ai margini Credo che sia cominciato a Londra, in quella taverna greca fasulla in Battersea Park Road, dove abbiamo pranzato a spese della ditta di Cohen. Tutta roba da tavola calda, e ci hanno messo mezz'ora per trovare un secchiello del ghiaccio per il vino. Cohen lavora perla Barris-Watford, che pubblica grandi libri illustrati molto chic sull'arte “commerciale”: la storia delle insegne al neon, i flipper, i giocattoli a molla del Giappone occupato. Ero andato in Inghilterra per una serie di fotografie pubblicitarie; ragazze californiane con le gambe abbronzate e scarpe da ginnastica dai vivaci colori fluorescenti che saltellavano in mio onore lungo le scale mobili di Saint John's Wood e sui marciapiedi di Tooting Bec. Un giovane funzionario, magro e ambizioso, aveva deciso che i misteri della metropolitana di Londra sarebbero serviti a vendere scarpe di nylon con la suola da montagna. Loro decidono, io fotografo. E Cohen, che conoscevo vagamente dai tempi di New York, mi aveva invitato a pranzo il giorno prima della partenza da Heathrow. Era accompagnato da una signorina vestita molto alla moda, di nome Dialta Downes, una tipa praticamente senza mento, nota studiosa di storia dell'arte pop. Se ci ripenso la vedo camminare a fianco di Cohen sotto un'insegna lampeggiante al neon, con scritto DIREZIONE: FOLLIA in grosse maiuscole “senza terminazioni”. Cohen ci presentò e spiegò che Dialta era l'artefice dell'ultimo progetto della Barris-Watford, una storia illustrata di quello che lei chiamava “Stile Modernista Aerodinamico Americano”. Cohen lo chiamava “gotico spaziale”. Il titolo provvisorio era “Futuropolis: La città mai esistita”.
del campo visivo: frammenti di assurde macchine cromate, appena intraviste. Ho Gli inglesi hanno una tipica ossessione per gli aspetti più barocchi della cultura pop americana, qualcosa di simile al feticismo dei tedeschi occidentali verso gli indiani e i cowboy o all'assurda idolatria dei francesi per i vecchi film di Jerry Lewis. In Dialta Downes questo si manifestava in una mania per una forma di architettura squisitamente americana, ma di cui gli americani sono scarsamente consapevoli. All'inizio non ero ben sicuro di cosa stesse parlando, ma un po' alla volta cominciai a capire. Tornai con la mente ai programmi televisivi della domenica mattina, negli anni ‘50. Qualche volta, sulla stazione locale, trasmettevano vecchi cinegiornali, come riempitivo. E mentre si stava seduti con un panino al burro di arachidi e un bicchiere di latte, una voce baritonale, hollywoodiana e gracchiante, raccontava che c'era “Una Macchina Volante nel Vostro Futuro”. E tre ingegneri di Detroit si davano da fare su una vecchia, gigantesca Nash alata, che si lanciava poi rumorosamente lungo qualche pista deserta del Michigan. Non la si vedeva mai decollare veramente, ma volava verso la terra inesistente di Dialta Downes, la vera patria di una generazione di tecnofili privi di inibizioni. Quello di cui mi stava parlando erano quei pezzi di architettura “futuristica” degli anni Venti e Trenta che si incontrano ogni giorno nelle città americane senza accorgersene: le pensiline dei cinema con nervature che irradiano una misteriosa energia, i negozi con la facciata di alluminio scanalato, le sedie di tubo cromato che raccolgono la polvere negli androni degli alberghi di terza categoria. Lei vedeva queste cose come segmenti isolati di un mondo di sogno abbandonati in un presente indifferente; voleva che li fotografassi per lei.
visto un'ala volante sopra San Francisco, la settimana scorsa, ma era quasi Gli anni Trenta avevano visto nascere la prima generazione di progettisti industriali americani. Fino agli anni 30 tutti i temperamatite sembravano temperamatite: il classico meccanismo vittoriano, al massimo un'ombra di decorazione. Dopo l'avvento dei designer, c'erano temperamatite che sembravano progettati nelle gallerie a vento. Nella maggior parte dei casi il cambiamento era solo superficiale; sotto il guscio cromato e aerodinamico c'era sempre il vecchio meccanismo vittoriano. Il che aveva una sua logica, perché i designer più abili erano usciti dalle file degli scenografi di Broadway. Era tutto un palcoscenico, una serie di fondali complicati per giocare a vivere nel futuro.
trasparente. E le auto con le pinne di squalo si sono fatte più rare, le autostrade Mentre bevevamo il caffè, Cohen tirò fuori una grossa cartelletta piena di foto.
evitano discretamente di espandersi in mostri scintillanti a ottanta corsie, come C'erano le statue alate che facevano la guardia alla diga di Hoover, come decorazioni di cemento alte dodici metri soffiate da un immaginario uragano.
quello in cui sono stato costretto a guidare la settimana scorsa con la mia Toyota C'erano una dozzina di foto del Johnson's Wax Building di Frank Lloyd Wright, affiancate alle copertine della vecchia “Amazing Stories”, dipinte da un tale di nome Frank R. Paul; probabilmente i dipendenti della Johnson's Wax avevano avuto l'impressione di entrare in una delle utopie aerografate da rivista popolare di Paul. L'edificio di Wright sembrava progettato per gente che indossava tuniche bianche e sandali di perspex. Mi soffermai sul disegno di un aereo a elica particolarmente maestoso, tutto ali, come un grosso boomerang simmetrico dotato di finestrini nei posti più inverosimili. Delle frecce indicavano la posizione della sala da ballo e di due campi da squash. Era datato 1936.
a nolo. E so che niente di tutto ciò mi seguirà fino a New York, il mio campo — Non mi direte che questa roba volava. — Guardai Dialta Downes.
visivo si sta restringendo a una sola lunghezza d'onda probabilistica. Ho lavorato — Oh, no, impossibile, anche con quelle dodici eliche giganti; ma alla gente piaceva quel look, capite? Da New York a Londra in meno di due giorni, sale da pranzo di prima classe, cabine private, ponti per abbronzarsi, serate danzanti con orchestra jazz. . I progettisti cercavano di dare al pubblico quello che desiderava. E quello che il pubblico desiderava era il futuro.
duro per ottenere questo risultato. La televisione mi è stata di grande aiuto. Ero a Burbank da tre giorni impegnato a cercare di soffondere di carisma un cantante rock molto insipido, quando ricevetti il pacco di Cohen. È possibile fotografare l'inesistente, ma è maledettamente difficile riuscirci, e di conseguenza questo è un talento molto ricercato sul mercato. Anche se ci so fare, non si può dire che sia il migliore, e quel tipo metteva a dura prova la credibilità della mia Nikon. Uscii depresso perché mi piace fare un buon lavoro, ma non del tutto, perché mi ero assicurato di ricevere comunque l'assegno, e decisi di tirarmi su con la sublime artisticità del lavoro per la Barris-Watford. Cohen mi aveva mandato alcuni libri sul design degli anni ‘30, foto di edifici aerodinamici, e una lista dei cinquanta esempi più importanti in California compilata da Dialta Downes. La fotografia architettonica può comportare lunghe attese; l'edificio diventa una specie di meridiana, mentre si aspetta che l'ombra si allontani da un particolare, che la massa e l'equilibrio della struttura si rivelino in una certa maniera. Mentre aspettavo, mi immaginai nell'America di Dialta Downes.
Credo che sia cominciato a Londra, in quella taverna greca fasulla in Battersea Quando isolavo alcuni edifici industriali nel mirino smerigliato della Hasselblad, questi assumevano una specie di totalitaria dignità, come gli stadi che Albert Speer aveva costruito per Hitler. Ma il resto era implacabilmente volgare: roba effimera, secreta dall'inconscio collettivo americano degli anni ‘30, che sopravviveva lungo strade deprimenti su cui si allineavano motel polverosi, venditori all'ingrosso di materassi ed esposizioni di macchine usate. Mi buttai sulle stazioni di servizio. Al culmine dell'Era di Downes, Ming lo Spietato era stato incaricato di progettare le stazioni di servizio della California. Seguendo l'architettura della sua nativa Mongo, aveva percorso in lungo e in largo la costa erigendo postazioni di cannoni laser in stucco bianco. Nella maggior parte vi erano superflue torrette centrali circondate da quegli strani radiatori che erano il marchio distintivo dello stile e sembravano generare potenti flussi di entusiasmo per la tecnologia. Bastava trovare il modo per riportarle in vita. Ne fotografai una, a San José, un'ora prima che arrivassero i bulldozer e distruggessero la verità architettonica di stucco, incannicciato e cemento da poco prezzo.
Park Road, dove abbiamo pranzato a spese della ditta di Cohen. Tutta roba da «Dovete immaginare» gli aveva detto Dialta Downes, «una specie di America alternativa: un 1980 mai esistito. Un'architettura di sogni infranti.» E quella era la mia disposizione mentale mentre percorrevo le stazioni della sua involuta via crucis socioarchitettonica nella mia Toyota rossa, e gradualmente mi sintonizzavo sulla sua immagine umbratile di un'America che non c'era, di fabbriche di Coca-Cola simili a sottomarini arenati, di cinema di quinta visione simili a templi di una setta perduta che aveva adorato specchi azzurri e la geometria. E mentre mi muovevo fra quelle rovine segrete mi trovai a pensare a cosa avrebbero pensato gli abitanti del futuro perduto del mondo in cui io vivevo. Gli anni ‘30 sognavano marmi bianchi e cromature aerodinamiche, cristalli immortali e bronzo brunito; ma i razzi sulla copertina delle riviste di Gernsback erano caduti su Londra in piena notte, sibilando. Dopo la guerra tutti avevano avuto una macchina, ma senza ali, e le autostrade promesse per farla correre, tanto che il cielo stesso si era oscurato e i fumi avevano divorato i marmi e corroso i cristalli miracolosi. .
tavola calda, e ci hanno messo mezz'ora per trovare un secchiello del ghiaccio E un giorno, alla periferia di Bolinas, mentre mi stavo preparando a fotografare un esemplare particolarmente sontuoso di architettura militare Ming, penetrai una sottile membrana, una membrana probabilistica. .
per il vino. Cohen lavora perla Barris-Watford, che pubblica grandi libri illustrati Senza accorgermene, superai il Confine. .
molto chic sull'arte “commerciale”: la storia delle insegne al neon, i flipper, i E alzando gli occhi vidi un apparecchio a 12 motori, simile a un boomerang ingrossato, tutto ali, che si muoveva verso est con grazia elefantina, così basso che avrei potuto contarne i rivetti sullo scafo argento opaco, e sentire, forse, l'eco di un'orchestra jazz.
giocattoli a molla del Giappone occupato. Ero andato in Inghilterra per una serie Andai da Kihn.
di fotografie pubblicitarie; ragazze californiane con le gambe abbronzate e Merv Kihn, giornalista indipendente specializzato in pterodattili texani, contadini reazionari che avevano avuto contatti con gli UFO, mostri di Loch Ness di terza classe e le dieci più diffuse teorie sulle cospirazioni nate nelle zone retrograde dell'immaginario collettivo americano.
scarpe da ginnastica dai vivaci colori fluorescenti che saltellavano in mio onore — Non è male — disse Kihn, pulendosi gli occhiali da tiro a segno Polaroid con un lembo della camicia hawaiana — ma non è veramente cerebrale. Gli manca quel certo quid.
lungo le scale mobili di Saint John's Wood e sui marciapiedi di Tooting Bec. Un — Ma l'ho visto, Merv. — Eravamo seduti ai bordi di una piscina, sotto il sole splendente dell'Arizona. Lui era a Tucson, in attesa di un gruppo di impiegate statali di Las Vegas in pensione, la cui portavoce riceveva messaggi dagli Alieni per mezzo di un forno a microonde. Avevo guidato tutta notte, e me lo sentivo nelle ossa.
giovane funzionario, magro e ambizioso, aveva deciso che i misteri della — Ma certo che l'hai visto. Hai letto i miei articoli — non hai ancora afferrato la mia soluzione definitiva del problema degli UFO? È semplicissimo: la gente — si sistemò accuratamente gli occhiali sul lungo naso aquilino e mi rivolse uno sguardo da basilisco — VEDE. . delle cose. La gente le vede. Non c'è niente, ma la gente le VEDE lo stesso, capisci? Perché ne hanno bisogno, probabilmente. Hai letto Jung, dovresti sapere qual è la causa. . Nel tuo caso è piuttosto ovvia: hai detto che stavi pensando a questa architettura demenziale, ci fantasticavi sopra. .
metropolitana di Londra sarebbero serviti a vendere scarpe di nylon con la suola Ascolta, sono sicuro che anche tu ti sei fatto la tua parte di droghe, giusto?
da montagna. Loro decidono, io fotografo. E Cohen, che conoscevo vagamente Quanti hanno visto passare gli anni ‘60 in California senza avere almeno una volta quelle strane allucinazioni? Per esempio quando sembrava che i jeans fossero diventati un ologramma di geroglifici disegnati dalla Walt Disney, o quando. .
dai tempi di New York, mi aveva invitato a pranzo il giorno prima della partenza — Ma non era così.
da Heathrow. Era accompagnato da una signorina vestita molto alla moda, di — Certo che non era così. Era completamente diverso. Era “su uno sfondo perfettamente reale”, giusto? Tutto normale, poi compare il mostro, il mandala, il sigaro fluorescente. Nel tuo caso un gigantesco aeroplano stile “Amazing”.
nome Dialta Downes, una tipa praticamente senza mento, nota studiosa di storia Succede in continuazione. Non sei neppure pazzo. Lo sai, vero? — prese una birra dalla borsa refrigerante malandata che aveva vicino alla sedia a sdraio.
dell'arte pop. Se ci ripenso la vedo camminare a fianco di Cohen sotto un'insegna — La settimana scorsa ero in Virginia. Grayson County. Ho intervistato una ragazzina di sedici anni che era stata assalita da una testa di orso.
lampeggiante al neon, con scritto DIREZIONE: FOLLIA in grosse maiuscole — Che?
“senza terminazioni”. Cohen ci presentò e spiegò che Dialta era l'artefice — La testa tagliata di un orso. Se ne svolazzava in giro sul suo disco volante, che sembrava il coprimozzo della vecchia Cadillac di suo cugino Wayne. Aveva occhi rossi, luccicanti come due mozziconi di sigaro e antenne telescopiche che gli uscivano da dietro le orecchie. — Fece un rutto.
dell'ultimo progetto della Barris-Watford, una storia illustrata di quello che lei — E l'ha assalita? Come?
chiamava “Stile Modernista Aerodinamico Americano”. Cohen lo chiamava — È meglio che non te lo dica. Sei un tipo impressionabile. “Era freddo” — fece una brutta imitazione dell'accento del sud — “e metallico.” Faceva suoni elettronici. È un prodotto genuino, amico: direttamente dall'inconscio collettivo; quella ragazzina è una strega. Non c'è posto per lei in questa società.
“gotico spaziale”. Il titolo provvisorio era “Futuropolis: La città mai esistita”. Sicuramente se non fosse cresciuta con “L'uomo bionico” e le repliche di Star Trek avrebbe detto di aver visto il diavolo. Ha semplicemente seguito la corrente. E sa esattamente cosa le è successo. Ero uscito da dieci minuti quando sono arrivati gli ufologi con la macchina della verità.
Gli inglesi hanno una tipica ossessione per gli aspetti più barocchi della Dovevo avere un'aria preoccupata, perché lui appoggiò la birra vicino alla borsa refrigerante e si alzò.
cultura pop americana, qualcosa di simile al feticismo dei tedeschi occidentali — Se vuoi una spiegazione più intellettuale, direi che hai visto un fantasma semiotico. Tutte queste storie di incontri ravvicinati, per esempio, sono calate nella dimensione fantascientifica che permea la nostra cultura. Posso anche credere agli alieni, ma non a degli alieni che assomigliano a fumetti degli anni ‘50. Sono fantasmi semiotici, frammenti di un immaginario culturale che si è separato e ha acquistato una vita autonoma, come le navi volanti alla Giulio Verne che vedevano sempre quei vecchi contadini del Kansas. Tu hai visto un tipo diverso di fantasma, ecco tutto. Un tempo quell'aereo faceva parte dell'inconscio collettivo. In qualche maniera l'hai catturato. L'importante è non preoccuparsene.
verso gli indiani e i cowboy o all'assurda idolatria dei francesi per i vecchi film di Ma io me ne preoccupavo.
Jerry Lewis. In Dialta Downes questo si manifestava in una mania per una forma Kihn si pettinò i radi capelli biondi e uscì per sentire cosa dicevano gli alieni sulle frequenze radar, e io tirai le tende della mia camera e mi stesi nel buio ad aria condizionata per preoccuparmi. Stavo ancora preoccupandomi quando mi svegliai. Kihn aveva lasciato un biglietto sulla mia porta: aveva preso un volo charter diretto a nord, per controllare delle voci su mutazioni del bestiame.
di architettura squisitamente americana, ma di cui gli americani sono Un'altra delle sue specialità giornalistiche.
scarsamente consapevoli. All'inizio non ero ben sicuro di cosa stesse parlando, Io pranzai, feci una doccia, ingoiai una pillola dimagrante mezza sbriciolata che girava in fondo alla mia borsa da barba da tre anni, e ripartii per Los Angeles.
ma un po' alla volta cominciai a capire. Tornai con la mente ai programmi La velocità mi limitava il campo visivo al tunnel creato dai fari della Toyota. Mi dissi che il corpo poteva guidare mentre la mente riposava. Riposava e si teneva lontana dalle bizzarre immagini prodotte dall'anfetamina, dalla stanchezza e dalla spettrale, luminosa vegetazione che cresce alla coda dell'occhio della mente, lungo un'autostrada a tarda notte. Ma la mente ha le sue idee, e l'opinione di Kihn su quello che ormai consideravo il mio “avvistamento” mi girava per la testa in un'orbita asimmetrica.
televisivi della domenica mattina, negli anni ‘50. Qualche volta, sulla stazione Fantasmi semiotici. Frammenti del Sogno Collettivo, che svolazzavano nella scia della macchina. Probabilmente tutto quel ragionamento fece uno strano effetto alla pillola dietetica, e la vegetazione confusa ai margini della strada assunse il colore delle immagini all'infrarosso dei satelliti, frammenti luminosi soffiati via dalla Toyota. Allora parcheggiai, e il riflesso dei fari sulle lattine di birra sparse in strada cessò improvvisamente quando spensi i fari, come un augurio di buona notte. Calcolai che ore dovevano essere a Londra, e cercai di immaginarmi Dialta Downes che faceva colazione nel suo appartamento di Hampstead, circondata da statuette cromate e libri sulla cultura americana.
locale, trasmettevano vecchi cinegiornali, come riempitivo. E mentre si stava Le notti del deserto, là, sono enormi; la luna è più vicina. Osservai a lungo la luna e decisi che Kihn aveva ragione. L'importante era non preoccuparsi. In tutto il continente, gente più normale di quanto avrei mai potuto essere, vedeva ogni giorno uccelli giganti, yeti, raffinerie petrolifere volanti; servivano a dare lavoro a Kihn. Perché sentirsi sconvolti da una visione dell'immaginario popolare a passeggio nel cielo di Bolinas? Decisi di addormentarmi avendo come unica preoccupazione i serpenti a sonagli e gli hippy cannibali, al sicuro fra l'amichevole spazzatura del mio continuum quotidiano. La mattina avrei raggiunto Nogales e fotografato i vecchi bordelli, una cosa che volevo fare da anni. La pillola dietetica aveva dato forfait.
seduti con un panino al burro di arachidi e un bicchiere di latte, una voce Prima mi svegliò la luce, poi le voci.
baritonale, hollywoodiana e gracchiante, raccontava che c'era “Una Macchina La luce veniva dalle mie spalle e gettava ombre mutevoli nella macchina. Le voci erano calme, indistinte, maschili e femminili, e conversavano fra alieni.
Volante nel Vostro Futuro”. E tre ingegneri di Detroit si davano da fare su una Avevo il collo irrigidito, e mi sentivo gli occhi impastati. Mi si era addormentata una gamba, premuta contro il volante. Cercai gli occhiali nella tasca della camicia, e alla fine li trovai. Poi mi guardai alle spalle e vidi la città.
vecchia, gigantesca Nash alata, che si lanciava poi rumorosamente lungo qualche I libri sul design degli anni ‘30 erano nel portabagagli; in uno di essi c'erano delle illustrazioni di una città idealizzata, ricavata da “Metropolis” e dal “Mondo futuro”, ma in cui tutto era più squadrato e si innalzava attraverso perfette nuvole architettoniche, fino a pontili di attracco per dirigibili e assurdi pinnacoli fluorescenti. Quella città era un modello in scala di quella che c'era alle mie spalle. Guglie si innalzavano su altre guglie, in scintillanti gradini da ziggurat che culminavano in un tempio dorato a forma di torre, con quelle pazzesche flange da radiatore delle stazioni di servizio Mongo. Nella più piccola di quelle torri avrebbe trovato posto l'intero Empire State Building. Strade di cristallo si snodavano fra i pinnacoli, e su di esse scorrevano forme lisce e argentee come perline di mercurio. L'aria era piena di navi: transatlantici tutti ali, piccoli oggetti argentei dardeggianti (qualche volta una delle gocce di mercurio si sollevava elegantemente dai pontili aerei e si univa alla danza), dirigibili lunghi un miglio, cose simili a libellule che erano girocotteri. .
pista deserta del Michigan. Non la si vedeva mai decollare veramente, ma volava Chiusi forte gli occhi e mi girai sul sedile. “Quando li riapro” mi dissi “devo vedere il contachilometri, la polvere bianca della strada sul cruscotto di plastica nera, il portacenere pieno.” — Psicosi da anfetamine — dissi. Aprii gli occhi. Il cruscotto c'era ancora, con la polvere e i mozziconi schiacciati. Adagio senza muovere la testa, accesi i fari.
verso la terra inesistente di Dialta Downes, la vera patria di una generazione di E li vidi.
tecnofili privi di inibizioni. Quello di cui mi stava parlando erano quei pezzi di Erano biondi. Erano in piedi vicino alla Alieni-macchina, una pera di alluminio con una pinna da squalo che sporgeva dalla linea centrale e pneumatici neri e lisci come quelli di un giocattolo. Lui le teneva un braccio attorno alla vita e gesticolava verso la città. Indossavano fluenti vesti bianche che lasciavano scoperte le gambe, e sandali bianchi immacolati. Nessuno dei due sembrava essersi accorto dei miei fari. Lui stava dicendo qualcosa di saggio e importante, e lei annuiva, e d'improvviso io ebbi paura, paura in modo completamente diverso. L'equilibrio mentale aveva cessato di essere un problema; sapevo, in qualche maniera, che la città alle mie spalle era Tucson: una Tucson di sogno, creata dal desiderio collettivo di un'epoca. Sapevo che era reale, del tutto reale.
architettura “futuristica” degli anni Venti e Trenta che si incontrano ogni giorno Ma la coppia di fronte a me viveva lì, ed erano gli Alieni a spaventarmi.
nelle città americane senza accorgersene: le pensiline dei cinema con nervature Erano i figli degli “Anni-80 mai esistiti” di Dialta Downes, erano gli Eredi del Sogno. Erano bianchi, biondi, e probabilmente avevano occhi azzurri. Americani.
che irradiano una misteriosa energia, i negozi con la facciata di alluminio Dialta aveva detto che il futuro era arrivato prima in America, ma che poi se l'era lasciata alle spalle. Ma non qui, nel cuore del Sogno. Noi avevamo proseguito, in una logica onirica che ignorava l'inquinamento, i limiti dei combustibili fossili, le guerre che era possibile perdere. Erano felici e del tutto soddisfatti di loro stessi e del loro mondo. E, nel Sogno, quel mondo era loro.
scanalato, le sedie di tubo cromato che raccolgono la polvere negli androni degli Alle mie spalle, la città illuminata: riflettori fendevano gioiosi il cielo. Li immaginai radunati sulle piazze di bianco marmo, puliti e attenti, con gli occhi che brillavano di entusiasmo per i viali luminosi e le auto argentee.
alberghi di terza categoria. Lei vedeva queste cose come segmenti isolati di un Avevano una sinistra vitalità da propaganda della Gioventù Hitleriana. Avviai la macchina e avanzai adagio, finché il paraurti fu a un metro da loro. Ancora non mi avevano visto. Abbassai il finestrino e ascoltai quello che diceva l'uomo. Le sue parole erano limpide e secche come un dépliant della Camera di Commercio, e io sapevo che lui credeva senza riserve a quello che stava dicendo.
mondo di sogno abbandonati in un presente indifferente; voleva che li — John — sentii dire la donna — ci siamo dimenticati di prendere le pillole nutritive. — Tirò fuori due cialde da un oggetto che aveva alla cintura e ne passò una all'uomo. Io feci retromarcia fino all'autostrada e ripartii verso Los Angeles, rabbrividendo e scuotendo la testa.
fotografassi per lei. Telefonai a Kihn da una stazione di servizio. Gli dissi che era una storia nuova di un brutto stile spagnolo moderno. Era appena tornato dalla sua spedizione, e non sembrava infastidito dalla mia chiamata.
Gli anni Trenta avevano visto nascere la prima generazione di progettisti — Sì, è una cosa bizzarra. Hai cercato di fare delle foto? Non vengono mai, ma aggiungono un tocco di mistero alla storia, il fatto che non si riesca a svilupparle. .
industriali americani. Fino agli anni 30 tutti i temperamatite sembravano Ma cosa dovevo fare?
temperamatite: il classico meccanismo vittoriano, al massimo un'ombra di — Guarda molta televisione, in particolare quiz e telenovelas. Vai a vedere film porno. Hai mai visto “Nazi Love Motel”? Lo trasmettono via cavo. È veramente mostruoso. Proprio quello che ti serve. Ma di cosa stava parlando?
decorazione. Dopo l'avvento dei designer, c'erano temperamatite che — Smettila di gridare e ascoltami. Ti svelerò un segreto del mestiere: i peggiori sottoprodotti dei media possono esorcizzare i fantasmi semiotici. Se con questo sistema sono riuscito a salvarmi dai marziani, allora dovrebbe andar bene anche per i tuoi incubi futuristi Art Deco. Cos'hai da perdere?
sembravano progettati nelle gallerie a vento. Nella maggior parte dei casi il Poi si scusò, dicendo che aveva un appuntamento la mattina dopo con l'Eletta.
cambiamento era solo superficiale; sotto il guscio cromato e aerodinamico c'era — Chi?
sempre il vecchio meccanismo vittoriano. Il che aveva una sua logica, perché i — La vecchia che parla con Vega, quella del forno a microonde.
designer più abili erano usciti dalle file degli scenografi di Broadway. Era tutto Presi in considerazione la possibilità di chiamare Londra a carico destinatario, scovare Cohen alla Barris-Watford e dirgli che il suo fotografo era partito per una lunga vacanza nella Zona Oscura. Alla fine mi lasciai preparare da una macchina una tazza di caffè imbevibile e risalii sulla Toyota per l'ultima tirata fino a Los Angeles.
un palcoscenico, una serie di fondali complicati per giocare a vivere nel futuro. Scoprii che andare a Los Angeles era stata una pessima idea, e ci passai due settimane. Era tutto territorio di Downes; c'era troppo del Sogno, lì, troppi frammenti del Sogno pronti a catturarmi. Per poco non fracassai la macchina su un raccordo vicino a Disneyland, quando la strada si spalancò a ventaglio come un origami, e mi ritrovai a zigzagare fra una decina di corsie, in mezzo a centinaia di gocce cromate con pinne da Cadillac sul retrotreno. Peggio ancora:
Mentre bevevamo il caffè, Cohen tirò fuori una grossa cartelletta piena di foto. Hollywood era piena di gente che assomigliava troppo alla coppia che avevo visto in Arizona. Mi misi d'accordo con un regista italiano che sbarcava il lunario facendo lavori di sviluppo e stampa e installando pavimentazioni attorno alle piscine in attesa che arrivasse la sua grande occasione. Lui mi stampò tutti i negativi che avevo accumulato per Downes. Io non volevo guardarle. Ma a Leonardo non facevano alcun effetto, e quando ebbe finito diedi un'occhiata alle stampe, sfogliandole come un mazzo di carte, le chiusi in busta e le spedii a Londra per posta aerea. Poi presi un taxi fino a un cinema dove davano “Nazi Love Motel”, e tenni gli occhi chiusi dall'inizio alla fine. Il telegramma di congratulazioni di Cohen mi arrivò a San Francisco una settimana dopo. Dialta aveva apprezzato molto le foto. Lui era rimasto colpito da come mi ero “immedesimato”, e sperava di lavorare ancora con me. Quel pomeriggio vidi un'ala volante sopra Castro Street, ma aveva un aspetto diafano, come se ci fosse solo per metà. Corsi all'edicola più vicina e presi tutto quello che riuscii a trovare sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare. Avevo appena deciso di comprare un biglietto aereo per New York.
C'erano le statue alate che facevano la guardia alla diga di Hoover, come — In che razza di mondo viviamo, eh? — l'edicolante era un negro magro, con i denti cariati e un parrucchino quasi ostentato. Io annuii, frugandomi nelle tasche dei jeans alla ricerca dei soldi, ansioso di trovare una panchina in un parco per immergermi nella prova lampante della quasi-distopia in cui vivevamo. — Ma potrebbe essere peggio, eh?
decorazioni di cemento alte dodici metri soffiate da un immaginario uragano. — Già — dissi io. — O peggio ancora, potrebbe essere perfetto.
C'erano una dozzina di foto del Johnson's Wax Building di Frank Lloyd Wright, Lui mi guardò mentre mi allontanavo stringendo sottobraccio il mio fagottino di catastrofi.
affiancate alle copertine della vecchia “Amazing Stories”, dipinte da un tale di
nome Frank R. Paul; probabilmente i dipendenti della Johnson's Wax avevano
avuto l'impressione di entrare in una delle utopie aerografate da rivista
popolare di Paul. L'edificio di Wright sembrava progettato per gente che
indossava tuniche bianche e sandali di perspex. Mi soffermai sul disegno di un
aereo a elica particolarmente maestoso, tutto ali, come un grosso boomerang
simmetrico dotato di finestrini nei posti più inverosimili. Delle frecce indicavano
la posizione della sala da ballo e di due campi da squash. Era datato 1936.
— Non mi direte che questa roba volava. — Guardai Dialta Downes.
— Oh, no, impossibile, anche con quelle dodici eliche giganti; ma alla gente
piaceva quel look, capite? Da New York a Londra in meno di due giorni, sale da
pranzo di prima classe, cabine private, ponti per abbronzarsi, serate danzanti
con orchestra jazz. . I progettisti cercavano di dare al pubblico quello che
desiderava. E quello che il pubblico desiderava era il futuro.
Ero a Burbank da tre giorni impegnato a cercare di soffondere di carisma un
cantante rock molto insipido, quando ricevetti il pacco di Cohen. È possibile
fotografare l'inesistente, ma è maledettamente difficile riuscirci, e di
conseguenza questo è un talento molto ricercato sul mercato. Anche se ci so fare,
non si può dire che sia il migliore, e quel tipo metteva a dura prova la credibilità
della mia Nikon. Uscii depresso perché mi piace fare un buon lavoro, ma non del
tutto, perché mi ero assicurato di ricevere comunque l'assegno, e decisi di
tirarmi su con la sublime artisticità del lavoro per la Barris-Watford. Cohen mi
aveva mandato alcuni libri sul design degli anni ‘30, foto di edifici aerodinamici,
e una lista dei cinquanta esempi più importanti in California compilata da Dialta
Downes. La fotografia architettonica può comportare lunghe attese; l'edificio
diventa una specie di meridiana, mentre si aspetta che l'ombra si allontani da un
particolare, che la massa e l'equilibrio della struttura si rivelino in una certa
maniera. Mentre aspettavo, mi immaginai nell'America di Dialta Downes.
Quando isolavo alcuni edifici industriali nel mirino smerigliato della Hasselblad,
questi assumevano una specie di totalitaria dignità, come gli stadi che Albert
Speer aveva costruito per Hitler. Ma il resto era implacabilmente volgare: roba
effimera, secreta dall'inconscio collettivo americano degli anni ‘30, che
sopravviveva lungo strade deprimenti su cui si allineavano motel polverosi,
venditori all'ingrosso di materassi ed esposizioni di macchine usate. Mi buttai
sulle stazioni di servizio. Al culmine dell'Era di Downes, Ming lo Spietato era
stato incaricato di progettare le stazioni di servizio della California. Seguendo
l'architettura della sua nativa Mongo, aveva percorso in lungo e in largo la costa
erigendo postazioni di cannoni laser in stucco bianco. Nella maggior parte vi
erano superflue torrette centrali circondate da quegli strani radiatori che erano
il marchio distintivo dello stile e sembravano generare potenti flussi di
entusiasmo per la tecnologia. Bastava trovare il modo per riportarle in vita. Ne
fotografai una, a San José, un'ora prima che arrivassero i bulldozer e
distruggessero la verità architettonica di stucco, incannicciato e cemento da
poco prezzo.
«Dovete immaginare» gli aveva detto Dialta Downes, «una specie di America
alternativa: un 1980 mai esistito. Un'architettura di sogni infranti.» E quella era
la mia disposizione mentale mentre percorrevo le stazioni della sua involuta via
crucis socioarchitettonica nella mia Toyota rossa, e gradualmente mi
sintonizzavo sulla sua immagine umbratile di un'America che non c'era, di
fabbriche di Coca-Cola simili a sottomarini arenati, di cinema di quinta visione
simili a templi di una setta perduta che aveva adorato specchi azzurri e la
geometria. E mentre mi muovevo fra quelle rovine segrete mi trovai a pensare a
cosa avrebbero pensato gli abitanti del futuro perduto del mondo in cui io
vivevo. Gli anni ‘30 sognavano marmi bianchi e cromature aerodinamiche,
cristalli immortali e bronzo brunito; ma i razzi sulla copertina delle riviste di
Gernsback erano caduti su Londra in piena notte, sibilando. Dopo la guerra tutti
avevano avuto una macchina, ma senza ali, e le autostrade promesse per farla
correre, tanto che il cielo stesso si era oscurato e i fumi avevano divorato i
marmi e corroso i cristalli miracolosi. .
E un giorno, alla periferia di Bolinas, mentre mi stavo preparando a
fotografare un esemplare particolarmente sontuoso di architettura militare
Ming, penetrai una sottile membrana, una membrana probabilistica. .
Senza accorgermene, superai il Confine. .
E alzando gli occhi vidi un apparecchio a 12 motori, simile a un boomerang
ingrossato, tutto ali, che si muoveva verso est con grazia elefantina, così basso
che avrei potuto contarne i rivetti sullo scafo argento opaco, e sentire, forse,
l'eco di un'orchestra jazz.
Andai da Kihn.
Merv Kihn, giornalista indipendente specializzato in pterodattili texani,
contadini reazionari che avevano avuto contatti con gli UFO, mostri di Loch Ness
di terza classe e le dieci più diffuse teorie sulle cospirazioni nate nelle zone
retrograde dell'immaginario collettivo americano.
— Non è male — disse Kihn, pulendosi gli occhiali da tiro a segno Polaroid con
un lembo della camicia hawaiana — ma non è veramente cerebrale. Gli manca
quel certo quid.
— Ma l'ho visto, Merv. — Eravamo seduti ai bordi di una piscina, sotto il sole
splendente dell'Arizona. Lui era a Tucson, in attesa di un gruppo di impiegate
statali di Las Vegas in pensione, la cui portavoce riceveva messaggi dagli Alieni
per mezzo di un forno a microonde. Avevo guidato tutta notte, e me lo sentivo
nelle ossa.
— Ma certo che l'hai visto. Hai letto i miei articoli — non hai ancora afferrato
la mia soluzione definitiva del problema degli UFO? È semplicissimo: la gente —
si sistemò accuratamente gli occhiali sul lungo naso aquilino e mi rivolse uno
sguardo da basilisco — VEDE. . delle cose. La gente le vede. Non c'è niente, ma la
gente le VEDE lo stesso, capisci? Perché ne hanno bisogno, probabilmente. Hai
letto Jung, dovresti sapere qual è la causa. . Nel tuo caso è piuttosto ovvia: hai
detto che stavi pensando a questa architettura demenziale, ci fantasticavi sopra. .
Ascolta, sono sicuro che anche tu ti sei fatto la tua parte di droghe, giusto?
Quanti hanno visto passare gli anni ‘60 in California senza avere almeno una
volta quelle strane allucinazioni? Per esempio quando sembrava che i jeans
fossero diventati un ologramma di geroglifici disegnati dalla Walt Disney, o
quando. .
— Ma non era così.
— Certo che non era così. Era completamente diverso. Era “su uno sfondo
perfettamente reale”, giusto? Tutto normale, poi compare il mostro, il mandala, il
sigaro fluorescente. Nel tuo caso un gigantesco aeroplano stile “Amazing”.
Succede in continuazione. Non sei neppure pazzo. Lo sai, vero? — prese una
birra dalla borsa refrigerante malandata che aveva vicino alla sedia a sdraio.
— La settimana scorsa ero in Virginia. Grayson County. Ho intervistato una
ragazzina di sedici anni che era stata assalita da una testa di orso.
— Che?
— La testa tagliata di un orso. Se ne svolazzava in giro sul suo disco volante,
che sembrava il coprimozzo della vecchia Cadillac di suo cugino Wayne. Aveva
occhi rossi, luccicanti come due mozziconi di sigaro e antenne telescopiche che
gli uscivano da dietro le orecchie. — Fece un rutto.
— E l'ha assalita? Come?
— È meglio che non te lo dica. Sei un tipo impressionabile. “Era freddo” —
fece una brutta imitazione dell'accento del sud — “e metallico.” Faceva suoni
elettronici. È un prodotto genuino, amico: direttamente dall'inconscio collettivo;
quella ragazzina è una strega. Non c'è posto per lei in questa società.
Sicuramente se non fosse cresciuta con “L'uomo bionico” e le repliche di Star
Trek avrebbe detto di aver visto il diavolo. Ha semplicemente seguito la
corrente. E sa esattamente cosa le è successo. Ero uscito da dieci minuti quando
sono arrivati gli ufologi con la macchina della verità.
Dovevo avere un'aria preoccupata, perché lui appoggiò la birra vicino alla
borsa refrigerante e si alzò.
— Se vuoi una spiegazione più intellettuale, direi che hai visto un fantasma
semiotico. Tutte queste storie di incontri ravvicinati, per esempio, sono calate
nella dimensione fantascientifica che permea la nostra cultura. Posso anche
credere agli alieni, ma non a degli alieni che assomigliano a fumetti degli anni
‘50. Sono fantasmi semiotici, frammenti di un immaginario culturale che si è
separato e ha acquistato una vita autonoma, come le navi volanti alla Giulio
Verne che vedevano sempre quei vecchi contadini del Kansas. Tu hai visto un
tipo diverso di fantasma, ecco tutto. Un tempo quell'aereo faceva parte
dell'inconscio collettivo. In qualche maniera l'hai catturato. L'importante è non
preoccuparsene.
Ma io me ne preoccupavo.
Kihn si pettinò i radi capelli biondi e uscì per sentire cosa dicevano gli alieni
sulle frequenze radar, e io tirai le tende della mia camera e mi stesi nel buio ad
aria condizionata per preoccuparmi. Stavo ancora preoccupandomi quando mi
svegliai. Kihn aveva lasciato un biglietto sulla mia porta: aveva preso un volo
charter diretto a nord, per controllare delle voci su mutazioni del bestiame.
Un'altra delle sue specialità giornalistiche.
Io pranzai, feci una doccia, ingoiai una pillola dimagrante mezza sbriciolata
che girava in fondo alla mia borsa da barba da tre anni, e ripartii per Los
Angeles.
La velocità mi limitava il campo visivo al tunnel creato dai fari della Toyota. Mi
dissi che il corpo poteva guidare mentre la mente riposava. Riposava e si teneva
lontana dalle bizzarre immagini prodotte dall'anfetamina, dalla stanchezza e
dalla spettrale, luminosa vegetazione che cresce alla coda dell'occhio della
mente, lungo un'autostrada a tarda notte. Ma la mente ha le sue idee, e
l'opinione di Kihn su quello che ormai consideravo il mio “avvistamento” mi
girava per la testa in un'orbita asimmetrica.
Fantasmi semiotici. Frammenti del Sogno Collettivo, che svolazzavano nella
scia della macchina. Probabilmente tutto quel ragionamento fece uno strano
effetto alla pillola dietetica, e la vegetazione confusa ai margini della strada
assunse il colore delle immagini all'infrarosso dei satelliti, frammenti luminosi
soffiati via dalla Toyota. Allora parcheggiai, e il riflesso dei fari sulle lattine di
birra sparse in strada cessò improvvisamente quando spensi i fari, come un
augurio di buona notte. Calcolai che ore dovevano essere a Londra, e cercai di
immaginarmi Dialta Downes che faceva colazione nel suo appartamento di
Hampstead, circondata da statuette cromate e libri sulla cultura americana.
Le notti del deserto, là, sono enormi; la luna è più vicina. Osservai a lungo la
luna e decisi che Kihn aveva ragione. L'importante era non preoccuparsi. In tutto
il continente, gente più normale di quanto avrei mai potuto essere, vedeva ogni
giorno uccelli giganti, yeti, raffinerie petrolifere volanti; servivano a dare lavoro
a Kihn. Perché sentirsi sconvolti da una visione dell'immaginario popolare a
passeggio nel cielo di Bolinas? Decisi di addormentarmi avendo come unica
preoccupazione i serpenti a sonagli e gli hippy cannibali, al sicuro fra
l'amichevole spazzatura del mio continuum quotidiano. La mattina avrei
raggiunto Nogales e fotografato i vecchi bordelli, una cosa che volevo fare da
anni. La pillola dietetica aveva dato forfait.
Prima mi svegliò la luce, poi le voci.
La luce veniva dalle mie spalle e gettava ombre mutevoli nella macchina. Le
voci erano calme, indistinte, maschili e femminili, e conversavano fra alieni.
Avevo il collo irrigidito, e mi sentivo gli occhi impastati. Mi si era
addormentata una gamba, premuta contro il volante. Cercai gli occhiali nella
tasca della camicia, e alla fine li trovai. Poi mi guardai alle spalle e vidi la città.
I libri sul design degli anni ‘30 erano nel portabagagli; in uno di essi c'erano
delle illustrazioni di una città idealizzata, ricavata da “Metropolis” e dal “Mondo
futuro”, ma in cui tutto era più squadrato e si innalzava attraverso perfette
nuvole architettoniche, fino a pontili di attracco per dirigibili e assurdi pinnacoli
fluorescenti. Quella città era un modello in scala di quella che c'era alle mie
spalle. Guglie si innalzavano su altre guglie, in scintillanti gradini da ziggurat che
culminavano in un tempio dorato a forma di torre, con quelle pazzesche flange
da radiatore delle stazioni di servizio Mongo. Nella più piccola di quelle torri
avrebbe trovato posto l'intero Empire State Building. Strade di cristallo si
snodavano fra i pinnacoli, e su di esse scorrevano forme lisce e argentee come
perline di mercurio. L'aria era piena di navi: transatlantici tutti ali, piccoli oggetti
argentei dardeggianti (qualche volta una delle gocce di mercurio si sollevava
elegantemente dai pontili aerei e si univa alla danza), dirigibili lunghi un miglio,
cose simili a libellule che erano girocotteri. .
Chiusi forte gli occhi e mi girai sul sedile. “Quando li riapro” mi dissi “devo
vedere il contachilometri, la polvere bianca della strada sul cruscotto di plastica
nera, il portacenere pieno.”
— Psicosi da anfetamine — dissi. Aprii gli occhi. Il cruscotto c'era ancora, con
la polvere e i mozziconi schiacciati. Adagio senza muovere la testa, accesi i fari.
E li vidi.
Erano biondi. Erano in piedi vicino alla Alieni-macchina, una pera di alluminio
con una pinna da squalo che sporgeva dalla linea centrale e pneumatici neri e
lisci come quelli di un giocattolo. Lui le teneva un braccio attorno alla vita e
gesticolava verso la città. Indossavano fluenti vesti bianche che lasciavano
scoperte le gambe, e sandali bianchi immacolati. Nessuno dei due sembrava
essersi accorto dei miei fari. Lui stava dicendo qualcosa di saggio e importante, e
lei annuiva, e d'improvviso io ebbi paura, paura in modo completamente
diverso. L'equilibrio mentale aveva cessato di essere un problema; sapevo, in
qualche maniera, che la città alle mie spalle era Tucson: una Tucson di sogno,
creata dal desiderio collettivo di un'epoca. Sapevo che era reale, del tutto reale.
Ma la coppia di fronte a me viveva lì, ed erano gli Alieni a spaventarmi.
Erano i figli degli “Anni-80 mai esistiti” di Dialta Downes, erano gli Eredi del
Sogno. Erano bianchi, biondi, e probabilmente avevano occhi azzurri. Americani.
Dialta aveva detto che il futuro era arrivato prima in America, ma che poi se l'era
lasciata alle spalle. Ma non qui, nel cuore del Sogno. Noi avevamo proseguito, in
una logica onirica che ignorava l'inquinamento, i limiti dei combustibili fossili, le
guerre che era possibile perdere. Erano felici e del tutto soddisfatti di loro stessi
e del loro mondo. E, nel Sogno, quel mondo era loro.
Alle mie spalle, la città illuminata: riflettori fendevano gioiosi il cielo. Li
immaginai radunati sulle piazze di bianco marmo, puliti e attenti, con gli occhi
che brillavano di entusiasmo per i viali luminosi e le auto argentee.
Avevano una sinistra vitalità da propaganda della Gioventù Hitleriana. Avviai
la macchina e avanzai adagio, finché il paraurti fu a un metro da loro. Ancora non
mi avevano visto. Abbassai il finestrino e ascoltai quello che diceva l'uomo. Le
sue parole erano limpide e secche come un dépliant della Camera di Commercio,
e io sapevo che lui credeva senza riserve a quello che stava dicendo.
— John — sentii dire la donna — ci siamo dimenticati di prendere le pillole
nutritive. — Tirò fuori due cialde da un oggetto che aveva alla cintura e ne passò
una all'uomo. Io feci retromarcia fino all'autostrada e ripartii verso Los Angeles,
rabbrividendo e scuotendo la testa.
Telefonai a Kihn da una stazione di servizio. Gli dissi che era una storia nuova
di un brutto stile spagnolo moderno. Era appena tornato dalla sua spedizione, e
non sembrava infastidito dalla mia chiamata.
— Sì, è una cosa bizzarra. Hai cercato di fare delle foto? Non vengono mai, ma
aggiungono un tocco di mistero alla storia, il fatto che non si riesca a
svilupparle. .
Ma cosa dovevo fare?
— Guarda molta televisione, in particolare quiz e telenovelas. Vai a vedere
film porno. Hai mai visto “Nazi Love Motel”? Lo trasmettono via cavo. È
veramente mostruoso. Proprio quello che ti serve. Ma di cosa stava parlando?
— Smettila di gridare e ascoltami. Ti svelerò un segreto del mestiere: i
peggiori sottoprodotti dei media possono esorcizzare i fantasmi semiotici. Se
con questo sistema sono riuscito a salvarmi dai marziani, allora dovrebbe andar
bene anche per i tuoi incubi futuristi Art Deco. Cos'hai da perdere?
Poi si scusò, dicendo che aveva un appuntamento la mattina dopo con l'Eletta.
— Chi?
— La vecchia che parla con Vega, quella del forno a microonde.
Presi in considerazione la possibilità di chiamare Londra a carico destinatario,
scovare Cohen alla Barris-Watford e dirgli che il suo fotografo era partito per
una lunga vacanza nella Zona Oscura. Alla fine mi lasciai preparare da una
macchina una tazza di caffè imbevibile e risalii sulla Toyota per l'ultima tirata
fino a Los Angeles.
Scoprii che andare a Los Angeles era stata una pessima idea, e ci passai due
settimane. Era tutto territorio di Downes; c'era troppo del Sogno, lì, troppi
frammenti del Sogno pronti a catturarmi. Per poco non fracassai la macchina su
un raccordo vicino a Disneyland, quando la strada si spalancò a ventaglio come
un origami, e mi ritrovai a zigzagare fra una decina di corsie, in mezzo a
centinaia di gocce cromate con pinne da Cadillac sul retrotreno. Peggio ancora:
Hollywood era piena di gente che assomigliava troppo alla coppia che avevo
visto in Arizona. Mi misi d'accordo con un regista italiano che sbarcava il lunario
facendo lavori di sviluppo e stampa e installando pavimentazioni attorno alle
piscine in attesa che arrivasse la sua grande occasione. Lui mi stampò tutti i
negativi che avevo accumulato per Downes. Io non volevo guardarle. Ma a
Leonardo non facevano alcun effetto, e quando ebbe finito diedi un'occhiata alle
stampe, sfogliandole come un mazzo di carte, le chiusi in busta e le spedii a
Londra per posta aerea. Poi presi un taxi fino a un cinema dove davano “Nazi
Love Motel”, e tenni gli occhi chiusi dall'inizio alla fine. Il telegramma di
congratulazioni di Cohen mi arrivò a San Francisco una settimana dopo. Dialta
aveva apprezzato molto le foto. Lui era rimasto colpito da come mi ero
“immedesimato”, e sperava di lavorare ancora con me. Quel pomeriggio vidi
un'ala volante sopra Castro Street, ma aveva un aspetto diafano, come se ci fosse
solo per metà. Corsi all'edicola più vicina e presi tutto quello che riuscii a trovare
sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare. Avevo appena deciso di comprare un
biglietto aereo per New York.
— In che razza di mondo viviamo, eh? — l'edicolante era un negro magro, con
i denti cariati e un parrucchino quasi ostentato. Io annuii, frugandomi nelle
tasche dei jeans alla ricerca dei soldi, ansioso di trovare una panchina in un
parco per immergermi nella prova lampante della quasi-distopia in cui
vivevamo. — Ma potrebbe essere peggio, eh?
— Già — dissi io. — O peggio ancora, potrebbe essere perfetto.
Lui mi guardò mentre mi allontanavo stringendo sottobraccio il mio fagottino
di catastrofi.

382
Gibson/04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md

@ -2,384 +2,92 @@
_(Fragments of a Hologram Rose, 1977)_ _(Fragments of a Hologram Rose, 1977)_
Quell'estate Parker faceva fatica a dormire. Quell'estate Parker faceva fatica a dormire.
C'erano interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, e gli spegnimenti C'erano interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, e gli spegnimenti improvvisi dell'induttore-delta provocavano dolorosi e improvvisi ritorni alla coscienza.
improvvisi dell'induttore-delta provocavano dolorosi e improvvisi ritorni alla Per evitare l'inconveniente usò dei cavi con morsetti e del nastro adesivo nero per collegare l'induttore a una piastra A.S.P. a batteria. La caduta di tensione nell'induttore faceva scattare il circuito di riproduzione della piastra.
coscienza. Aveva comprato una cassetta A.S.P. che iniziava mostrando il soggetto addormentato su una spiaggia tranquilla. Era stata registrata da uno yogi giovane e biondo, con dieci decimi di vista e una grande sensibilità per i colori. Il ragazzo era stato portato in aereo fino alle Barbados con il solo scopo di fargli fare un pisolino e fargli praticare i suoi esercizi mattutini su un lembo di spiaggia privata. La piastrina microfiche nella custodia trasparente della cassetta spiegava che lo yogi era in grado di passare volontariamente dal sonno alfa a quello delta senza bisogno di un induttore. Parker, che da due anni non riusciva a dormire senza induttore, si era chiesto se fosse possibile.
Per evitare l'inconveniente usò dei cavi con morsetti e del nastro adesivo nero Aveva potuto rivivere l'intera sequenza una volta sola, anche se ormai conosceva ogni sensazione dei primi cinque minuti. La parte più interessante gli sembrava un piccolo guaio di ripresa all'inizio dell'elaborato esercizio respiratorio: un rapido sguardo lungo la spiaggia bianca che svelava la figura di una guardia vicino alla barriera di rete metallica, con una mitragliatrice nera a tracolla. Mentre Parker dormiva, in città mancò la corrente. La transizione da delta a delta-A.S.P. fu come esplodere in un corpo non suo. La familiarità attutì lo shock. Sentì la sabbia fresca sotto le spalle. I risvolti dei blue jeans sdruciti che gli sbattevano contro le caviglie, nella brezza mattutina. Presto il ragazzo si sarebbe svegliato del tutto e avrebbe cominciato il suo Ardha-Matsyendra-quel- che-era; Parker cercò nel buio la piastra A.S.P. con mani che appartenevano a un altro.
per collegare l'induttore a una piastra A.S.P. a batteria. La caduta di tensione Tre del mattino.
nell'induttore faceva scattare il circuito di riproduzione della piastra. Ti stai facendo una tazza di caffè al buio, usando una torcia elettrica per versare l'acqua bollente.
Aveva comprato una cassetta A.S.P. che iniziava mostrando il soggetto Il sogno registrato del mattino sta svanendo: attraverso altri occhi, il fumo nero di un mercantile cubano. . svanisce insieme all'orizzonte, naviga sullo schermo grigio della mente. Tre del mattino.
addormentato su una spiaggia tranquilla. Era stata registrata da uno yogi Lasciati circondare dalle immagini schematiche della giornata precedente.
giovane e biondo, con dieci decimi di vista e una grande sensibilità per i colori. Il Quello che hai detto, quello che ha detto lei mentre la guardavi fare le valigie e telefonare per il taxi. In qualunque modo le si rimescoli formano lo stesso circuito stampato, i geroglifici che convergono su una componente centrale: sei in piedi sotto la pioggia, gridi al tassista.
ragazzo era stato portato in aereo fino alle Barbados con il solo scopo di fargli La pioggia era acre ed acida, quasi simile a piscio. Il tassista ti ha dato dell'imbecille, e hai dovuto pagare lo stesso doppia tariffa. Lei aveva tre valigie.
fare un pisolino e fargli praticare i suoi esercizi mattutini su un lembo di spiaggia Con il respiratore e gli occhiali, l'uomo assomigliava a una formica. Ha pedalato via nella pioggia. Lei non si è voltata indietro.
privata. La piastrina microfiche nella custodia trasparente della cassetta L'ultima cosa che hai visto di lei è stata una grossa formica che ti rivolgeva il pugno chiuso col medio sollevato.
spiegava che lo yogi era in grado di passare volontariamente dal sonno alfa a Parker aveva visto la sua prima unità AISIPI in una baraccopoli del Texas, un posto che si chiamava Judy's Jungle. Era una grossa consolle rinchiusa in plastica cromata. Una banconota da dieci dollari infilata nella fessura dava l'illusione di cinque minuti di ginnastica in caduta libera su una stazione orbitale svizzera, capriole di venti metri con una modella di “Vogue” di sedici anni. . Roba entusiasmante per Jungle, dove era più semplice avere una pistola che un bagno caldo.
quello delta senza bisogno di un induttore. Parker, che da due anni non riusciva Un anno dopo, quando era a New York con documenti falsi, due ditte all'avanguardia avevano messo in vendita nei maggiori supermercati le prime piastre portatili, appena in tempo per Natale. I locali A.S.P.-porno, fioriti brevemente in California, non si erano più ripresi dal colpo.
a dormire senza induttore, si era chiesto se fosse possibile. Dopo un po' era sparita anche l'olografia, e le cupole di Fuller, grandi quanto un isolato, che erano state i templi olografici durante l'infanzia di Parker, erano state trasformate in supermercati o locali polverosi di videogames dove si potevano ancora trovare le vecchie consolle, sotto neon sbiaditi che pulsavano percezioni sensoriali apparenti, offuscati dal fumo azzurrino delle sigarette.
Aveva potuto rivivere l'intera sequenza una volta sola, anche se ormai Adesso Parker ha trenta anni. Scrive sceneggiature per le trasmissioni A.S.P. e programma i movimenti degli occhi per le telecamere umane.
conosceva ogni sensazione dei primi cinque minuti. La parte più interessante gli Il semi-oscuramento prosegue.
sembrava un piccolo guaio di ripresa all'inizio dell'elaborato esercizio Nella camera da letto, Parker armeggia con i tasti sul frontale in alluminio del suo Sendai Sleep-Master. La spia si accende per un attimo, poi si spegne. Posa la tazza di caffè sull'armadio che lei ha vuotato il giorno prima. Il cono di luce della torcia indaga fra gli scaffali vuoti, cercando qualche traccia di quell'amore, trovando il cinturino in pelle di un sandalo, una cassetta A.S.P., una cartolina. La cartolina è un ologramma a riflessione di una rosa. Infila il cinturino nell'unità per l'eliminazione dei rifiuti sotto il lavandino della cucina. L'apparecchio parte pigramente a causa del semi-oscuramento, cigola, ma alla fine inghiotte e digerisce tutto. Tenendola fra il pollice e l'indice Parker abbassa la cartolina verso le mascelle rotanti, nascoste. L'unità emette un sibilo sottile, mentre i denti di acciaio lacerano la plastica laminata e la rosa viene ridotta in mille frammenti.
respiratorio: un rapido sguardo lungo la spiaggia bianca che svelava la figura di Più tardi Parker è seduto a fumare sul letto disfatto. La cassetta della ragazza è nella piastra, pronta per essere rivista. Ci sono cassette di donne che lo disorientano, ma dubita che sia questa la ragione per cui ora esita ad azionare la macchina. Per circa un quarto degli utenti A.S.P. è impossibile adattarsi alla rappresentazione fisica soggettiva del sesso opposto. Nel corso degli anni, alcune stelle delle trasmissioni A.S.P. sono diventate sempre più androgine, nel tentativo di catturare anche questo segmento di pubblico.
una guardia vicino alla barriera di rete metallica, con una mitragliatrice nera a Ma i nastri di Angela non lo hanno mai messo a disagio, prima. (E se avesse registrato un amante?) No, non può essere. . È solo che la cassetta rappresenta una variabile del tutto sconosciuta.
tracolla. Mentre Parker dormiva, in città mancò la corrente. La transizione da Quando Parker aveva compiuto quindici anni, i suoi genitori l'avevano vincolato con un contratto alla sussidiaria americana di un'industria plastica giapponese. A quell'epoca si era sentito fortunato: il rapporto fra aspiranti e assunti per il corso di formazione era enorme. Per tre anni aveva vissuto con la sua squadra in un dormitorio, cantando l'inno aziendale ogni mattina e riuscendo una volta al mese a scavalcare la recinzione del campo per andare a ragazze o all'olodromo.
delta a delta-A.S.P. fu come esplodere in un corpo non suo. La familiarità attutì lo Il contratto sarebbe scaduto al compimento dei vent'anni, dandogli la possibilità di accedere allo status di dipendente effettivo. Una settimana prima del suo diciannovesimo compleanno, con due carte di credito rubate e un cambio d'abito, aveva scavalcato la recinzione per l'ultima volta. Era arrivato in California tre giorni prima del crollo del caotico regime dei Nuovi Secessionisti.
shock. Sentì la sabbia fresca sotto le spalle. I risvolti dei blue jeans sdruciti che A San Francisco le varie fazioni si combattevano per le strade. Qualcuno dei quattro diversi governi “provvisori” della città era riuscito a fare piazza pulita delle derrate alimentari in maniera talmente efficiente che per i cittadini non c'era quasi più niente da mangiare. Parker aveva trascorso l'ultima notte della rivoluzione in un sobborgo devastato di Tucson, a fare l'amore con una magra ragazzina del New Jersey che gli spiegava in dettaglio il proprio oroscopo fra scoppi leggeri di pianto che parevano non avere rapporto con quello che lui diceva o faceva.
gli sbattevano contro le caviglie, nella brezza mattutina. Presto il ragazzo si Diversi anni dopo si rese conto di non avere più alcuna idea del motivo per cui aveva rotto il contratto.
sarebbe svegliato del tutto e avrebbe cominciato il suo Ardha-Matsyendra-quel- I primi tre quarti della cassetta sono stati cancellati. La fai avanzare velocemente fra una nebbia di cariche elettrostatiche, dove il gusto e l'odorato si confondono in un canale indistinto. L'ingresso audio è rumore bianco, il non- suono di un oceano oscuro. . (Ricevere per un lungo periodo il segnale di un nastro cancellato può indurre allucinazioni ipnotiche.) Parker era rannicchiato fra i cespugli ai margini di una strada, nel Nuovo Messico, a mezzanotte. Osservava un carro armato in fiamme. Il fuoco lambiva la linea bianca discontinua che aveva seguito da Tucson. L'esplosione era stata visibile a tre chilometri di distanza, un muro bianco di calore e luce che aveva trasformato i pallidi rami di un albero nudo in un negativo fotografico: rami di carbonio contro un cielo al magnesio.
che-era; Parker cercò nel buio la piastra A.S.P. con mani che appartenevano a un Molti dei fuggitivi erano armati.
altro. Il Texas doveva le sue baraccopoli, fumanti fra le calde piogge del Golfo, all'incerta neutralità mantenuta di fronte al tentativo di secessione della Costa Occidentale.
Tre del mattino. Le città erano costruite di compensato, cartone, lastre di plastica che si gonfiavano al vento, carcasse di veicoli morti. Avevano nomi come Jump City e Sugaree, governi e amministrazioni dai confini incerti, che mutavano costantemente seguendo il ritmo dell'economia illecita.
Ti stai facendo una tazza di caffè al buio, usando una torcia elettrica per Ben raramente le truppe federali e statali mandate a spazzare via le città fuorilegge trovavano qualcosa. Ma a ogni spedizione c'era un certo numero di uomini che non faceva ritorno ai propri reparti. Alcuni avevano venduto le armi e bruciato le uniformi, altri si erano avvicinati troppo al contrabbando che erano stati mandati a stroncare. Dopo tre mesi Parker aveva deciso di uscirne, ma l'unico modo per oltrepassare il cordone di soldati era avere qualcosa da vendere. L'occasione era arrivata per puro caso: un pomeriggio tardi, mentre percorreva la coltre di fumo nero che gravava su Jungle, provocata dai fuochi accesi per cucinare inciampò e per poco non cadde sul cadavere di una donna nel letto arido di un ruscello. Le mosche si erano sollevate in una nuvola ronzante, poi si erano posate di nuovo, senza fare caso a lui. La donna aveva una giacca di pelle, e di notte Parker aveva freddo. Aveva cercato un ramo spezzato nel letto del ruscello. Sulla schiena, appena sotto la scapola sinistra, c'era un buco rotondo, grande come una matita. La fodera della giacca un tempo era rossa, ma adesso era nera, rigida e lucida di sangue rappreso. Era andato a cercare dell'acqua con la giacca appesa all'estremità del bastone.
versare l'acqua bollente. Ma poi non l'aveva lavata. Nella tasca sinistra aveva trovato quasi 30 grammi di cocaina avvolta in plastica chiusa con nastro trasparente. La tasca destra conteneva 15 fiale di Megacillina-D e un coltello a serramanico lungo 20 centimetri, con l'impugnatura di osso. L'antibiotico valeva il doppio del suo peso in cocaina. Piantò il coltello fino all'impugnatura in un tronco marcio lasciato in piedi dai raccoglitori di legno di Jungle, e vi appese la giacca, lasciandola alle mosche mentre se ne andava. Quella sera, in un bar con il soffitto di lamiera ondulata, in attesa di uno degli “avvocati” che procuravano il passaggio attraverso il cordone, aveva provato la sua prima macchina A.S.P. Era grossa, tutta cromature e luci al neon, e il proprietario ne era molto orgoglioso: aveva dato una mano anche lui ad assalire il camion.
Il sogno registrato del mattino sta svanendo: attraverso altri occhi, il fumo “Se il caos degli anni 90 riflette un cambiamento radicale nei paradigmi della cultura visuale, la svolta definitiva rispetto alla tradizione di Lascaux/Gutenberg della società preolografica, cosa dobbiamo attenderci da questa nuova tecnologia che promette unicamente di codificare e ricostruire l'intero spettro della percezione sensoriale?” Roebuck e Pierhal, “Storia Moderna dell'America: analisi generale”.
nero di un mercantile cubano. . svanisce insieme all'orizzonte, naviga sullo Avanti a tutta velocità attraverso il non-tempo ronzante del nastro cancellato. .
schermo grigio della mente. Tre del mattino. . . nel corpo di Angela. Sole europeo. Strade di una città sconosciuta.
Lasciati circondare dalle immagini schematiche della giornata precedente. Atene. Insegne in lettere greche e odore di polvere. .
Quello che hai detto, quello che ha detto lei mentre la guardavi fare le valigie e “. . e odore di polvere”.
telefonare per il taxi. In qualunque modo le si rimescoli formano lo stesso Guardi tutto attraverso i suoi occhi, pensando che questa donna non ti ha ancora incontrato, che sei appena uscito dal Texas. Monumento grigio, cavalli di pietra, piccioni che volano intorno. .
circuito stampato, i geroglifici che convergono su una componente centrale: sei . . e le interferenze si prendono il corpo dell'amore, lo cancellano.
in piedi sotto la pioggia, gridi al tassista. Ondate di rumore bianco si frangono su una spiaggia inesistente. E il nastro finisce.
La pioggia era acre ed acida, quasi simile a piscio. Il tassista ti ha dato Adesso la spia dell'induttore è accesa. Parker è steso al buio e ricorda i mille frammenti della rosa olografica. Un ologramma ha una particolare caratteristica:
dell'imbecille, e hai dovuto pagare lo stesso doppia tariffa. Lei aveva tre valigie. recuperato e illuminato, ciascun frammento rivelerà l'immagine intera della rosa. Mentre Parker scivola verso il sonno delta, vede se stesso nella rosa. Ogni frammento rivela un intero che non conoscerà mai: carte di credito rubate, un sobborgo bruciato, le congiunzioni astrali di una sconosciuta, un carro armato che brucia sulla strada, un sacchetto di droga appiattito, un coltello affilato sul cemento, sottile come il dolore.
Con il respiratore e gli occhiali, l'uomo assomigliava a una formica. Ha pedalato E pensa: siamo frammenti gli uni degli altri. È stato sempre così?
via nella pioggia. Lei non si è voltata indietro. Quell'istante di un viaggio in Europa, abbandonato nel mare grigio del nastro cancellato. . è più vicina, adesso, o più reale, solo perché è stato con lei ad Atene?
L'ultima cosa che hai visto di lei è stata una grossa formica che ti rivolgeva il Lei l'aveva aiutato ad ottenere i documenti, gli aveva trovato il primo impiego all'A.S.P. Era quella la loro storia? No, la storia era il frontale nero dell'induttore delta, l'armadio vuoto, il letto disfatto. La storia era il disgusto per il corpo perfetto in cui si svegliava se mancava la corrente, la rabbia per il guidatore di taxi a pedali, lei che non si era voltata a guardarlo attraverso la pioggia contaminata.
pugno chiuso col medio sollevato. Ricordò che ogni frammento rivela la rosa da un diverso punto di vista, ma il sonno delta lo sommerse prima che riuscisse a chiedersi cosa potesse significare.
Parker aveva visto la sua prima unità AISIPI in una baraccopoli del Texas, un
posto che si chiamava Judy's Jungle. Era una grossa consolle rinchiusa in plastica
cromata. Una banconota da dieci dollari infilata nella fessura dava l'illusione di
cinque minuti di ginnastica in caduta libera su una stazione orbitale svizzera,
capriole di venti metri con una modella di “Vogue” di sedici anni. . Roba
entusiasmante per Jungle, dove era più semplice avere una pistola che un bagno
caldo.
Un anno dopo, quando era a New York con documenti falsi, due ditte
all'avanguardia avevano messo in vendita nei maggiori supermercati le prime
piastre portatili, appena in tempo per Natale. I locali A.S.P.-porno, fioriti
brevemente in California, non si erano più ripresi dal colpo.
Dopo un po' era sparita anche l'olografia, e le cupole di Fuller, grandi quanto
un isolato, che erano state i templi olografici durante l'infanzia di Parker, erano
state trasformate in supermercati o locali polverosi di videogames dove si
potevano ancora trovare le vecchie consolle, sotto neon sbiaditi che pulsavano
percezioni sensoriali apparenti, offuscati dal fumo azzurrino delle sigarette.
Adesso Parker ha trenta anni. Scrive sceneggiature per le trasmissioni A.S.P. e
programma i movimenti degli occhi per le telecamere umane.
Il semi-oscuramento prosegue.
Nella camera da letto, Parker armeggia con i tasti sul frontale in alluminio del
suo Sendai Sleep-Master. La spia si accende per un attimo, poi si spegne. Posa la
tazza di caffè sull'armadio che lei ha vuotato il giorno prima. Il cono di luce della
torcia indaga fra gli scaffali vuoti, cercando qualche traccia di quell'amore,
trovando il cinturino in pelle di un sandalo, una cassetta A.S.P., una cartolina. La
cartolina è un ologramma a riflessione di una rosa. Infila il cinturino nell'unità
per l'eliminazione dei rifiuti sotto il lavandino della cucina. L'apparecchio parte
pigramente a causa del semi-oscuramento, cigola, ma alla fine inghiotte e
digerisce tutto. Tenendola fra il pollice e l'indice Parker abbassa la cartolina
verso le mascelle rotanti, nascoste. L'unità emette un sibilo sottile, mentre i
denti di acciaio lacerano la plastica laminata e la rosa viene ridotta in mille
frammenti.
Più tardi Parker è seduto a fumare sul letto disfatto. La cassetta della ragazza è
nella piastra, pronta per essere rivista. Ci sono cassette di donne che lo
disorientano, ma dubita che sia questa la ragione per cui ora esita ad azionare la
macchina. Per circa un quarto degli utenti A.S.P. è impossibile adattarsi alla
rappresentazione fisica soggettiva del sesso opposto. Nel corso degli anni, alcune
stelle delle trasmissioni A.S.P. sono diventate sempre più androgine, nel
tentativo di catturare anche questo segmento di pubblico.
Ma i nastri di Angela non lo hanno mai messo a disagio, prima. (E se avesse
registrato un amante?) No, non può essere. . È solo che la cassetta rappresenta
una variabile del tutto sconosciuta.
Quando Parker aveva compiuto quindici anni, i suoi genitori l'avevano
vincolato con un contratto alla sussidiaria americana di un'industria plastica
giapponese. A quell'epoca si era sentito fortunato: il rapporto fra aspiranti e
assunti per il corso di formazione era enorme. Per tre anni aveva vissuto con la
sua squadra in un dormitorio, cantando l'inno aziendale ogni mattina e
riuscendo una volta al mese a scavalcare la recinzione del campo per andare a
ragazze o all'olodromo.
Il contratto sarebbe scaduto al compimento dei vent'anni, dandogli la
possibilità di accedere allo status di dipendente effettivo. Una settimana prima
del suo diciannovesimo compleanno, con due carte di credito rubate e un cambio
d'abito, aveva scavalcato la recinzione per l'ultima volta. Era arrivato in
California tre giorni prima del crollo del caotico regime dei Nuovi Secessionisti.
A San Francisco le varie fazioni si combattevano per le strade. Qualcuno dei
quattro diversi governi “provvisori” della città era riuscito a fare piazza pulita
delle derrate alimentari in maniera talmente efficiente che per i cittadini non
c'era quasi più niente da mangiare. Parker aveva trascorso l'ultima notte della
rivoluzione in un sobborgo devastato di Tucson, a fare l'amore con una magra
ragazzina del New Jersey che gli spiegava in dettaglio il proprio oroscopo fra
scoppi leggeri di pianto che parevano non avere rapporto con quello che lui
diceva o faceva.
Diversi anni dopo si rese conto di non avere più alcuna idea del motivo per cui
aveva rotto il contratto.
I primi tre quarti della cassetta sono stati cancellati. La fai avanzare
velocemente fra una nebbia di cariche elettrostatiche, dove il gusto e l'odorato si
confondono in un canale indistinto. L'ingresso audio è rumore bianco, il non-
suono di un oceano oscuro. . (Ricevere per un lungo periodo il segnale di un
nastro cancellato può indurre allucinazioni ipnotiche.)
Parker era rannicchiato fra i cespugli ai margini di una strada, nel Nuovo
Messico, a mezzanotte. Osservava un carro armato in fiamme. Il fuoco lambiva la
linea bianca discontinua che aveva seguito da Tucson. L'esplosione era stata
visibile a tre chilometri di distanza, un muro bianco di calore e luce che aveva
trasformato i pallidi rami di un albero nudo in un negativo fotografico: rami di
carbonio contro un cielo al magnesio.
Molti dei fuggitivi erano armati.
Il Texas doveva le sue baraccopoli, fumanti fra le calde piogge del Golfo,
all'incerta neutralità mantenuta di fronte al tentativo di secessione della Costa
Occidentale.
Le città erano costruite di compensato, cartone, lastre di plastica che si
gonfiavano al vento, carcasse di veicoli morti. Avevano nomi come Jump City e
Sugaree, governi e amministrazioni dai confini incerti, che mutavano
costantemente seguendo il ritmo dell'economia illecita.
Ben raramente le truppe federali e statali mandate a spazzare via le città
fuorilegge trovavano qualcosa. Ma a ogni spedizione c'era un certo numero di
uomini che non faceva ritorno ai propri reparti. Alcuni avevano venduto le armi
e bruciato le uniformi, altri si erano avvicinati troppo al contrabbando che erano
stati mandati a stroncare. Dopo tre mesi Parker aveva deciso di uscirne, ma
l'unico modo per oltrepassare il cordone di soldati era avere qualcosa da
vendere. L'occasione era arrivata per puro caso: un pomeriggio tardi, mentre
percorreva la coltre di fumo nero che gravava su Jungle, provocata dai fuochi
accesi per cucinare inciampò e per poco non cadde sul cadavere di una donna
nel letto arido di un ruscello. Le mosche si erano sollevate in una nuvola
ronzante, poi si erano posate di nuovo, senza fare caso a lui. La donna aveva una
giacca di pelle, e di notte Parker aveva freddo. Aveva cercato un ramo spezzato
nel letto del ruscello. Sulla schiena, appena sotto la scapola sinistra, c'era un
buco rotondo, grande come una matita. La fodera della giacca un tempo era
rossa, ma adesso era nera, rigida e lucida di sangue rappreso. Era andato a
cercare dell'acqua con la giacca appesa all'estremità del bastone.
Ma poi non l'aveva lavata. Nella tasca sinistra aveva trovato quasi 30 grammi
di cocaina avvolta in plastica chiusa con nastro trasparente. La tasca destra
conteneva 15 fiale di Megacillina-D e un coltello a serramanico lungo 20
centimetri, con l'impugnatura di osso. L'antibiotico valeva il doppio del suo peso
in cocaina. Piantò il coltello fino all'impugnatura in un tronco marcio lasciato in
piedi dai raccoglitori di legno di Jungle, e vi appese la giacca, lasciandola alle
mosche mentre se ne andava. Quella sera, in un bar con il soffitto di lamiera
ondulata, in attesa di uno degli “avvocati” che procuravano il passaggio
attraverso il cordone, aveva provato la sua prima macchina A.S.P. Era grossa,
tutta cromature e luci al neon, e il proprietario ne era molto orgoglioso: aveva
dato una mano anche lui ad assalire il camion.
“Se il caos degli anni 90 riflette un cambiamento radicale nei paradigmi della
cultura visuale, la svolta definitiva rispetto alla tradizione di Lascaux/Gutenberg
della società preolografica, cosa dobbiamo attenderci da questa nuova
tecnologia che promette unicamente di codificare e ricostruire l'intero spettro
della percezione sensoriale?”
Roebuck e Pierhal, “Storia Moderna dell'America: analisi generale”.
Avanti a tutta velocità attraverso il non-tempo ronzante del nastro
cancellato. .
. . nel corpo di Angela. Sole europeo. Strade di una città sconosciuta.
Atene. Insegne in lettere greche e odore di polvere. .
“. . e odore di polvere”.
Guardi tutto attraverso i suoi occhi, pensando che questa donna non ti ha
ancora incontrato, che sei appena uscito dal Texas. Monumento grigio, cavalli di
pietra, piccioni che volano intorno. .
. . e le interferenze si prendono il corpo dell'amore, lo cancellano.
Ondate di rumore bianco si frangono su una spiaggia inesistente. E il nastro
finisce.
Adesso la spia dell'induttore è accesa. Parker è steso al buio e ricorda i mille
frammenti della rosa olografica. Un ologramma ha una particolare caratteristica:
recuperato e illuminato, ciascun frammento rivelerà l'immagine intera della
rosa. Mentre Parker scivola verso il sonno delta, vede se stesso nella rosa. Ogni
frammento rivela un intero che non conoscerà mai: carte di credito rubate, un
sobborgo bruciato, le congiunzioni astrali di una sconosciuta, un carro armato
che brucia sulla strada, un sacchetto di droga appiattito, un coltello affilato sul
cemento, sottile come il dolore.
E pensa: siamo frammenti gli uni degli altri. È stato sempre così?
Quell'istante di un viaggio in Europa, abbandonato nel mare grigio del nastro
cancellato. . è più vicina, adesso, o più reale, solo perché è stato con lei ad Atene?
Lei l'aveva aiutato ad ottenere i documenti, gli aveva trovato il primo impiego
all'A.S.P. Era quella la loro storia? No, la storia era il frontale nero dell'induttore
delta, l'armadio vuoto, il letto disfatto. La storia era il disgusto per il corpo
perfetto in cui si svegliava se mancava la corrente, la rabbia per il guidatore di
taxi a pedali, lei che non si era voltata a guardarlo attraverso la pioggia
contaminata.
Ricordò che ogni frammento rivela la rosa da un diverso punto di vista, ma il
sonno delta lo sommerse prima che riuscisse a chiedersi cosa potesse
significare.

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_(New Rose Hotel, 1983)_ _(New Rose Hotel, 1983)_
Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii. New Rose Hotel. Come ti Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii. New Rose Hotel. Come ti desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo tutto adagio, dolcemente e crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche volta prendo dalla borsa la tua piccola automatica e faccio scorrere il pollice sulla cromatura liscia, da poco prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della canna non più grande della pupilla dilatata del tuo occhio scomparso.
desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo tutto adagio, dolcemente e Fox è morto, Sandii.
crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche volta prendo dalla borsa la tua Fox mi aveva detto di dimenticarti.
piccola automatica e faccio scorrere il pollice sulla cromatura liscia, da poco Ricordo Fox appoggiato al bancone imbottito di un bar in qualche albergo di Singapore, Bencoolen Street, le sue mani che descrivono sfere di influenza, rivalità interne, l'arco di tutta una carriera, un punto debole scoperto nella corazza di qualche centro di ricerca. Fox era un uomo di punta nella guerra dei cervelli, l'intermediario del traffico interaziendale. Era un soldato nella guerra segreta delle “zaibatsu”, le multinazionali che controllavano intere economie.
prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della canna non più grande della pupilla Vedo Fox che sorride, parlando rapidamente, lasciando cadere il racconto delle mie imprese nello spionaggio industriale con una scossa del capo. Il Talento, diceva, devi cercare il Talento. Faceva sentire bene la T maiuscola. Il Talento era il Sacro Graal di Fox, quella frazione di genio fondamentale, non trasferibile, chiusa nel cervello dei migliori ricercatori del mondo.
dilatata del tuo occhio scomparso. Non si può mettere il Talento su carta, diceva Fox, non si può registrare il Talento su un dischetto.
Fox è morto, Sandii. I disertori delle multinazionali significavano soldi. Fox era un tipo simpatico.
Fox mi aveva detto di dimenticarti. La severità dei suoi vestiti francesi scuri era temperata da una ciocca di capelli perennemente scomposta, da ragazzino. Non mi è mai piaciuto il modo in cui l'effetto si rovinava quando si spostava dal bar. La spalla sinistra era contorta a un angolo che nessun sarto di Parigi poteva nascondere. Qualcuno gli era passato sopra con un taxi a Berna, e nessuno aveva saputo rimetterlo a posto.
Ricordo Fox appoggiato al bancone imbottito di un bar in qualche albergo di Immagino di essere andato con lui perché mi aveva detto di essere alla ricerca del Talento.
Singapore, Bencoolen Street, le sue mani che descrivono sfere di influenza, E mentre cercavamo il Talento, a un certo punto, trovai te, Sandii. Il New Rose Hotel è una rastrelliera di bare ai margini frastagliati del Narita International.
rivalità interne, l'arco di tutta una carriera, un punto debole scoperto nella Capsule di plastica alte un metro e lunghe tre, ammucchiate come denti di Godzilla in uno spiazzo di cemento ai lati della strada principale per l'aeroporto.
corazza di qualche centro di ricerca. Fox era un uomo di punta nella guerra dei Ciascuna capsula ha una televisione montata a filo del soffitto. Passo intere giornate a guardare concorsi a premio giapponesi e vecchi film. Qualche volta tengo la tua pistola in mano.
cervelli, l'intermediario del traffico interaziendale. Era un soldato nella guerra Qualche volta sento i jet che intrecciano rotte di attesa sul Narita. Chiudo gli occhi e immagino le scie nette e bianche che sfumano nel vento.
segreta delle “zaibatsu”, le multinazionali che controllavano intere economie. Tu stavi entrando in un bar di Yokohama, la prima volta che ti ho vista.
Vedo Fox che sorride, parlando rapidamente, lasciando cadere il racconto delle Eurasiana, mezza “gaijm”, anche lunghe e passo fluido, con addosso la copia cinese di un modello di qualche stilista di Tokyo. Occhi scuri, europei, zigomi asiatici. Ti ricordo mentre vuotavi la borsetta sul letto, più tardi, in qualche stanza d'albergo, frugando fra gli arnesi per il trucco. Un rotolo spiegazzato di nuovi yen, un'agendina sfasciata tenuta insieme con elastici, un chip bancario Mitsubishi, passaporto giapponese con il crisantemo d'oro stampato sulla copertina, e la 22 cinese.
mie imprese nello spionaggio industriale con una scossa del capo. Il Talento, Mi raccontasti la tua storia. Tuo padre era stato un dirigente, a Tokyo, ma era caduto in disgrazia, ripudiato e umiliato dall'Hosaka, la più grande “zaibatsu” di tutte. Quella notte tua madre era olandese, e ti ascoltai mentre mi raccontavi di quelle estati ad Amsterdam, i piccioni di piazza Dam come un tappeto marrone, morbido. Non ti ho mai chiesto cosa aveva fatto tuo padre per cadere in disgrazia. Ti guardai mentre ti vestivi, guardai i tuoi capelli scuri e dritti che quasi fendevano l'aria.
diceva, devi cercare il Talento. Faceva sentire bene la T maiuscola. Il Talento era Adesso l'Hosaka mi sta dando la caccia.
il Sacro Graal di Fox, quella frazione di genio fondamentale, non trasferibile, Le bare del New Rose sono sistemate su una impalcatura riciclata. Tubi di acciaio verniciati di chiaro. La pittura si stacca quando salgo la scaletta, cade a ogni passo quando cammino sulla passerella. Con la sinistra conto i portelli e le loro etichette poliglotte che avvertono della multa per la perdita delle chiavi.
chiusa nel cervello dei migliori ricercatori del mondo. Alzo gli occhi a guardare gli aerei che partono da Narita, verso casa, lontana adesso come la Luna.
Non si può mettere il Talento su carta, diceva Fox, non si può registrare il Fox fu veloce ad accorgersi di come potevamo servirci di te, ma non abbastanza acuto da attribuirti ambizioni. Ma d'altra parte, lui non è mai rimasto sdraiato con te tutta la notte sulla spiaggia di Kamakura, non ha mai ascoltato i tuoi incubi, non ha mai ascoltato i ricordi di un'immaginaria infanzia mutare sotto quelle stelle, mutare e rotolare su se stessa, la tua bocca da bambina che si apriva per rivelare qualche nuovo passato, e ogni volta giuravi che era quello vero, quello autentico.
Talento su un dischetto. Non mi importava, mentre ti tenevo i fianchi, mentre la sabbia ti si raffreddava sulla pelle.
I disertori delle multinazionali significavano soldi. Fox era un tipo simpatico. Una volta mi hai lasciato e sei corsa verso quella spiaggia dicendo che avevi dimenticato la nostra chiave. La trovai nella porta e venni a cercarti, e ti trovai con i piedi nella risacca, la schiena liscia irrigidita, tremante, gli occhi persi lontano. Non riuscivi a parlare. Avevi i brividi. Brividi per futuri differenti e passati migliori.
La severità dei suoi vestiti francesi scuri era temperata da una ciocca di capelli Sandii, mi hai lasciato qui.
perennemente scomposta, da ragazzino. Non mi è mai piaciuto il modo in cui Mi hai lasciato tutte le tue cose.
l'effetto si rovinava quando si spostava dal bar. La spalla sinistra era contorta a Questa pistola. Il trucco, tutte le ombre e i rossori incapsulati in plastica. Il microcomputer Cray, regalo di Fox, con una lista di spese che vi hai registrato.
un angolo che nessun sarto di Parigi poteva nascondere. Qualcuno gli era Qualche volta la richiamo, facendo passare gli articoli sul piccolo schermo argenteo.
passato sopra con un taxi a Berna, e nessuno aveva saputo rimetterlo a posto. Un frigorifero. Un fermentatore. Un'incubatrice. Un sistema di elettroforesi con cella agarica integrata e transilluminatore. Un inclusore di tessuti. Un cromatografo per liquidi ad alta capacità. Un citometro a flusso. Uno spettrofotometro. Seicento fiale per scintillazione al boro-silicio. Una microcentrifuga. E un sintetizzatore di D.N.A. con computer incorporato. Più il software. Molto costoso, Sandii, ma allora era l'Hosaka a pagare il conto. Più tardi li hai fatti pagare ancora di più, ma te n'eri già andata. Hiroshi aveva preparato quella lista per te. A letto, probabilmente.
Immagino di essere andato con lui perché mi aveva detto di essere alla ricerca Hiroshi Yomiuri. Lui era con la Maas Biolabs GmbH. L'Hosaka lo voleva. Era uno dei migliori. Aveva Talento, in abbondanza. Fox seguiva gli ingegneri genetici come un tifoso segue i giocatori della sua squadra. Fox voleva Hiroshi a tal punto che gli sembrava di sentirselo nel sangue.
del Talento. Mi aveva mandato a Francoforte tre volte prima che comparissi tu, soltanto per farmi dare un'occhiata a Hiroshi. Non per tentare un approccio o fargli un saluto. Solo per guardarlo. Hiroshi aveva tutta l'aria di essersi sistemato. Aveva trovato una ragazza tedesca appassionata di loden tradizionali e stivali da cavallerizza lucidi color castano chiaro. Aveva comprato una casa ristrutturata, nella piazza giusta della città. Aveva cominciato a tirare di scherma, abbandonando il kendo.
E mentre cercavamo il Talento, a un certo punto, trovai te, Sandii. Il New Rose E dappertutto le squadre di sicurezza della Maas, efficienti e massicce, una melassa attaccaticcia di sorveglianti. Tornai e dissi a Fox che non saremmo mai riusciti a raggiungerlo. Tu lo raggiungesti per noi, Sandii. Lo raggiungesti nel modo migliore. I nostri contatti con l'Hosaka erano come cellule specializzate che proteggevano l'organismo-madre. Noi eravamo mutageni, Fox ed io, ambigui agenti che stavano dalla parte nascosta dell'attività delle multinazionali.
Hotel è una rastrelliera di bare ai margini frastagliati del Narita International. Dopo averti piazzato a Vienna, gli offrimmo Hiroshi. Non fecero una piega.
Capsule di plastica alte un metro e lunghe tre, ammucchiate come denti di Calma mortale in una stanza d'albergo, a Los Angeles. Dissero che dovevano pensarci.
Godzilla in uno spiazzo di cemento ai lati della strada principale per l'aeroporto. Fox disse il nome del principale concorrente dell'Hosaka nel campo genetico, lo svelò nudo e crudo, violando il protocollo che vietava di fare nomi.
Ciascuna capsula ha una televisione montata a filo del soffitto. Passo intere Dissero che dovevano pensarci.
giornate a guardare concorsi a premio giapponesi e vecchi film. Qualche volta Fox gli diede tre giorni.
tengo la tua pistola in mano. Una settimana prima di portarti a Vienna ti portai a Barcellona. Ti ricordo con i capelli raccolti da un berretto grigio, gli zigomi alti, mongolici, riflessi nelle vetrine dei negozi di antiquariato. Passeggiando lungo le Ramblas, verso il porto fenicio, passando accanto al “Mercado” dal tetto dorato, dove vendevano arance africane. Il vecchio Ritz, con la nostra stanza calda e buia, e tutto il morbido peso dell'Europa su di noi come una trapunta. Potevo penetrarti mentre dormivi. Eri sempre pronta. Vedendo le tue labbra incurvarsi morbidamente per la sorpresa, la tua faccia che affondava nel cuscino spesso e giallo. . biancheria arcaica del Ritz. Dentro di te immaginavo tutte quelle luci al neon, la folla che si accalcava attorno alla stazione di Shinjuku, pazzesca notte elettrica. Tu ti muovevi in quella maniera, il ritmo della nuova era, sognante e lontano dal suolo di qualsiasi nazione.
Qualche volta sento i jet che intrecciano rotte di attesa sul Narita. Chiudo gli Quando siamo arrivati a Vienna ti ho sistemato nell'albergo preferito della moglie di Hiroshi. Tranquillo, solido, hall con pavimento a scacchi di marmo, ascensori di ottone profumati di olio di limone e sigari. Era facile immaginarla lì, con gli stivali da cavallerizza lucidi riflessi sul marmo, ma noi sapevamo che non sarebbe venuta, non quella volta.
occhi e immagino le scie nette e bianche che sfumano nel vento. Era in qualche stazione della Renania, e Hiroshi era a Vienna per una conferenza. Quando gli uomini della Maas arrivarono per ispezionare l'albergo, tu ti eri eclissata.
Tu stavi entrando in un bar di Yokohama, la prima volta che ti ho vista. Hiroshi arrivò un'ora dopo, da solo.
Eurasiana, mezza “gaijm”, anche lunghe e passo fluido, con addosso la copia Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra per identificare la forma di intelligenza dominante del pianeta. L'alieno dà un'occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io probabilmente alzai le spalle.
cinese di un modello di qualche stilista di Tokyo. Occhi scuri, europei, zigomi Le “zaibatsu”, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una “zaibatsu” è fatto di informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che la compongono. Le aziende sono una forma di vita.
asiatici. Ti ricordo mentre vuotavi la borsetta sul letto, più tardi, in qualche Io gli avevo detto di non farmi un'altra conferenza sul Talento.
stanza d'albergo, frugando fra gli arnesi per il trucco. Un rotolo spiegazzato di Lui aveva detto che la Maas non era così, ignorandomi. La Maas era piccola, veloce, spietata. Un arcaismo. La Maas era tutto Talento.
nuovi yen, un'agendina sfasciata tenuta insieme con elastici, un chip bancario Ricordo Fox parlare della natura del Talento di Hiroshi. Nucleasi radioattive, anticorpi monoclonali, qualcosa che aveva a che fare con la concatenazione delle proteine, dei nucleotidi. . Fox le chiamava proteine calde. Catene ad alta velocità.
Mitsubishi, passaporto giapponese con il crisantemo d'oro stampato sulla Diceva che Hiroshi era un fenomeno, il tipo capace di mandare in frantumi i paradigmi, di rovesciare un campo intero del sapere, di costringere con la forza alla revisione di un intero corpo di conoscenze. Brevetti fondamentali, diceva, con la voce arrochita immaginando simili ricchezze, l'odore ideale acuto e sottile dei milioni esentasse che emanavano.
copertina, e la 22 cinese. L'Hosaka voleva Hiroshi, ma il suo Talento era tanto radicale da preoccuparli.
Mi raccontasti la tua storia. Tuo padre era stato un dirigente, a Tokyo, ma era Lo volevano per farlo lavorare in isolamento.
caduto in disgrazia, ripudiato e umiliato dall'Hosaka, la più grande “zaibatsu” di Andai a Marrakech, nella città vecchia, la Medina. Trovai un laboratorio per la raffinazione dell'eroina convertito per l'estrazione di feromoni. Lo comprai, con i soldi dell'Hosaka. Passeggiai nel mercato di Djemaa-el-Fta con un uomo d'affari portoghese sudaticcio, discutendo dell'illuminazione fluorescente e dell'installazione di gabbie ventilate per animali da esperimento. Oltre le mura della città si vedeva la catena dell'Atlante. Djemaa-el-Fta era piena di saltimbanchi, danzatori, narratori di storie, ragazzini che facevano girare i torni a pedale, mendicanti senza gambe che protendevano le tazze di legno sotto ologrammi animati che propagandavano software francesi.
tutte. Quella notte tua madre era olandese, e ti ascoltai mentre mi raccontavi di Camminammo accanto a balle di lana grezza e bidoni di plastica con microchip cinesi. Gli diedi a intendere che i miei datori di lavoro intendevano fabbricare beta-endorfina sintetica. Conviene dire sempre qualcosa che possano capire.
quelle estati ad Amsterdam, i piccioni di piazza Dam come un tappeto marrone, Sandii, ti ricordo ad Harajuku, qualche volta. Chiudo gli occhi in questa bara e ti vedo là, fra lo scintillio del labirinto di cristallo delle boutique, l'odore dei vestiti nuovi. Vedo i tuoi zigomi passare davanti agli scaffali cromati di pelletteria di Parigi. Qualche volta ti stringo la mano.
morbido. Non ti ho mai chiesto cosa aveva fatto tuo padre per cadere in Credevamo di averti trovato, Sandii, ma in realtà eri stata tu a trovare noi.
disgrazia. Ti guardai mentre ti vestivi, guardai i tuoi capelli scuri e dritti che Adesso so che ci stavi cercando, noi o qualcuno come noi. Fox era felice, sorrideva per la nostra scoperta: un nuovo, delizioso strumento, scintillante come un bisturi. Proprio quello che ci serviva per separare un Talento ostinato come Hiroshi dalla placenta della Maas Biolab.
quasi fendevano l'aria. Dovevi aver cercato a lungo una via d'uscita, durante tutte quelle notti a Shinjuku. Notti che avevi accuratamente eliminato dal mazzo rimescolato del tuo passato.
Adesso l'Hosaka mi sta dando la caccia. Il mio passato era sparito anni prima, perso insieme a tutto il resto, nessuna traccia. Capisco l'abitudine di Fox, a tarda notte, di vuotare il portafoglio e frugare tra i documenti di identificazione.
Le bare del New Rose sono sistemate su una impalcatura riciclata. Tubi di Distribuiva i pezzi in configurazioni diverse, li spostava, aspettando che si formasse un'immagine. Sapevo cosa cercava. Tu facevi la stessa cosa con le tue svariate infanzie.
acciaio verniciati di chiaro. La pittura si stacca quando salgo la scaletta, cade a Nel New Rose, questa notte, scelgo una carta dal tuo mazzo di passati.
ogni passo quando cammino sulla passerella. Con la sinistra conto i portelli e le Scelgo la versione originale, il famoso testo della stanza d'albergo di Yokohama, recitatomi durante quella prima notte a letto. Scelgo il padre in disgrazia, il dirigente dell'Hosaka. Perfetto. E la madre olandese, le estati ad Amsterdam, il morbido tappeto di piccioni nel pomeriggio sulla piazza Dam.
loro etichette poliglotte che avvertono della multa per la perdita delle chiavi. Passai dal caldo di Marrakech all'aria condizionata dell'Hilton. La camicia umida appiccicata alla schiena mentre leggevo il messaggio che mi avevi trasmesso attraverso Fox. Stavi arrivando; Hiroshi avrebbe lasciato la moglie.
Alzo gli occhi a guardare gli aerei che partono da Narita, verso casa, lontana Non ti fu difficile comunicare con noi, anche attraverso la cortina strettissima dei servizi di sicurezza della Maas; avevi mostrato a Hiroshi il posticino perfetto per prendere caffè con croissant. Il tuo cameriere preferito era gentile, coi capelli bianchi, zoppicava, e lavorava per noi. Lasciavi i messaggi sotto il tovagliolo di lino.
adesso come la Luna. Per tutta la giornata ho guardato un piccolo elicottero che passava più volte come per uno schema preciso sopra questo mio territorio, la terra del mio esilio, il New Rose Hotel. Ho guardato dal portello mentre la sua ombra paziente attraversava il cemento macchiato di olio. Vicino, molto vicino.
Fox fu veloce ad accorgersi di come potevamo servirci di te, ma non Lasciai Marrakech per Berlino. Mi incontrai con un gallese in un bar, e cominciai ad organizzare la sparizione di Hiroshi.
abbastanza acuto da attribuirti ambizioni. Ma d'altra parte, lui non è mai rimasto Sarebbe stata una faccenda complicata, intricata come gli ingranaggi di ottone e gli specchi mobili dei trucchi da palcoscenico vittoriani, ma l'effetto desiderato era abbastanza semplice. Hiroshi sarebbe passato dietro una Mercedes a cellule d'idrogeno e sarebbe sparito. La decina di agenti della Maas che lo seguivano costantemente avrebbero sciamato attorno al furgone come api; l'apparato di sicurezza della Maas si sarebbe accentrato attorno al punto di sparizione come una resina.
sdraiato con te tutta la notte sulla spiaggia di Kamakura, non ha mai ascoltato i Sanno come fare le cose a dovere, a Berlino. Riuscii perfino ad organizzare un'ultima notte con te. Non lo dissi a Fox, avrebbe potuto disapprovare. Adesso ho dimenticato il nome della città. L'ho saputo per un'ora, sull'autostrada, sotto il grigio cielo renano, e l'ho dimenticato fra le tue braccia.
tuoi incubi, non ha mai ascoltato i ricordi di un'immaginaria infanzia mutare Verso mattina cominciò a piovere. La nostra stanza aveva un'unica finestra alta e stretta, da dove guardavo la pioggia che ricopriva il fiume di aghi argentei.
sotto quelle stelle, mutare e rotolare su se stessa, la tua bocca da bambina che si Il rumore del tuo respiro. Il fiume scorreva sotto bassi archi di pietra. La strada era vuota. L'Europa era un museo morto.
apriva per rivelare qualche nuovo passato, e ogni volta giuravi che era quello Ti avevo già prenotato un posto sul volo per Marrakech in partenza da Orly, usando il tuo ultimissimo nome. Saresti stata lontana quando avessi tirato gli ultimi fili e fatto sparire Hiroshi.
vero, quello autentico. Avevi lasciato la borsetta sul vecchio cassettone scuro. Mentre dormivi frugai fra le tue cose, togliendo tutto quello che poteva entrare in conflitto con la nuova identità che ti avevo comprato a Berlino. Tolsi la calibro 22 cinese, il microcomputer e il chip bancario. Dalla mia borsa presi un nuovo passaporto, olandese, il chip di una banca svizzera intestato allo stesso nome, e li infilai nella tua borsa.
Non mi importava, mentre ti tenevo i fianchi, mentre la sabbia ti si raffreddava Sfiorai con la mano qualcosa di piatto. Lo tirai fuori. Un dischetto, senza etichetta. Era lì nel palmo della mia mano, quella morte latente, codificata, in attesa.
sulla pelle. Rimasi in piedi a guardarti respirare, guardandoti i seni alzarsi e abbassarsi.
Una volta mi hai lasciato e sei corsa verso quella spiaggia dicendo che avevi Vedevo le tue labbra semiaperte, e sul labbro inferiore un po' sporgente la lievissima traccia di un livido. Rimisi il dischetto nella tua borsetta. Quando mi stesi al tuo fianco ti rotolasti contro di me, svegliandoti, e nel tuo respiro c'era tutta la notte elettrica di una nuova Asia, il futuro che ti saliva dentro come un fluido luminoso, che mi toglieva tutto tranne il momento presente. Era questa la cosa veramente magica: che vivevi al di fuori della storia, tutta nel presente.
dimenticato la nostra chiave. La trovai nella porta e venni a cercarti, e ti trovai E sapevi come prendermi.
con i piedi nella risacca, la schiena liscia irrigidita, tremante, gli occhi persi Per l'ultima volta, mi prendesti.
lontano. Non riuscivi a parlare. Avevi i brividi. Brividi per futuri differenti e Mentre mi radevo ti sentii vuotare gli arnesi per il trucco nella mia borsa.
passati migliori. Sono olandese ora, dicesti; voglio un nuovo look.
Sandii, mi hai lasciato qui. Il dottor Hiroshi Yomiuri scomparve a Vienna, in una tranquilla traversa della Singerstrasse, a due isolati dall'albergo preferito della moglie. In un chiaro pomeriggio di ottobre, alla presenza di una dozzina di testimoni, il dottor Yomiuri svanì.
Mi hai lasciato tutte le tue cose. Passò attraverso uno specchio. Da qualche parte, dietro le quinte, il movimento ben oliato di un meccanismo vittoriano.
Questa pistola. Il trucco, tutte le ombre e i rossori incapsulati in plastica. Il Io ero seduto in una stanza d'albergo di Ginevra quando ricevetti la chiamata del gallese. Era fatta, Hiroshi si era infilato nella mia trappola ed era partito per Marrakech. Mi versai da bere pensando alle tue gambe.
microcomputer Cray, regalo di Fox, con una lista di spese che vi hai registrato. Fox ed io ci incontrammo a Narita il giorno dopo, in un bar del terminal della JAL. Lui era appena sceso da un aereo della Air Maroc, esausto e trionfante.
Qualche volta la richiamo, facendo passare gli articoli sul piccolo schermo Disse che gli piaceva, intendendo Hiroshi. Disse che l'amava, intendendo te.
argenteo. Io sorrisi. Mi avevi promesso di incontrarmi a Shinjuku fra un mese.
Un frigorifero. Un fermentatore. Un'incubatrice. Un sistema di elettroforesi La tua pistola da poco prezzo, nel New Rose Hotel. La cromatura comincia a staccarsi. Il meccanismo è rozzo, con caratteri cinesi stampati sull'acciaio ruvido.
con cella agarica integrata e transilluminatore. Un inclusore di tessuti. Un L'impugnatura è di plastica rossa, con un drago su ciascun lato. Come un giocattolo.
cromatografo per liquidi ad alta capacità. Un citometro a flusso. Uno Fox mangiò “sushi” nel terminal della JAL, su di giri per quello che avevamo fatto. La spalla gli aveva dato dei fastidi, ma diceva che non gli importava. Adesso aveva i soldi per andare da medici migliori.
spettrofotometro. Seicento fiale per scintillazione al boro-silicio. Una Soldi per tutto.
microcentrifuga. E un sintetizzatore di D.N.A. con computer incorporato. Più il Per qualche ragione i soldi che avevamo preso dall'Hosaka non mi sembravano molto importanti. Non che dubitassi della nostra nuova ricchezza, ma quell'ultima notte con te mi aveva lasciato la convinzione che tutto venisse con naturalezza, nel nuovo ordine delle cose, come funzione di chi e cosa eravamo.
software. Molto costoso, Sandii, ma allora era l'Hosaka a pagare il conto. Più Povero Fox. Con le sue camicie oxford azzurre più linde che mai, i suoi abiti di Parigi più scuri e più lussuosi. Seduto nel terminal, mentre intingeva il “sushi” in un piccolo vassoio rettangolare di barbaforte verde, aveva meno di una settimana di vita. È buio adesso, e le rastrelliere di bare del New Rose sono illuminate tutta notte da riflettori posti in cima a piloni di metallo verniciato.
tardi li hai fatti pagare ancora di più, ma te n'eri già andata. Hiroshi aveva Nulla qui pare servire al suo scopo originale. È tutto di seconda mano, riciclato, anche le bare. Quarant'anni fa queste capsule di plastica erano ammucchiate a Tokyo o a Yokohama, una moderna comodità per uomini d'affari in viaggio.
preparato quella lista per te. A letto, probabilmente. Forse tuo padre ha dormito in una di esse. Quando le impalcature erano nuove circondavano l'una o l'altra delle torri con i vetri a specchio sulla Ginza, piene di squadre di operai.
Hiroshi Yomiuri. Lui era con la Maas Biolabs GmbH. L'Hosaka lo voleva. Era Il vento questa notte porta il frastuono di una sala di “pachinko”, l'odore di verdure cotte dai venditori ambulanti dall'altra parte della strada.
uno dei migliori. Aveva Talento, in abbondanza. Fox seguiva gli ingegneri Spalmo paté di krill al granchio su cracker di riso. Sento gli aerei. Durante quegli ultimi giorni a Tokyo, Fox ed io avevamo appartamenti contigui al cinquantaduesimo piano dell'Hyatt. Nessun contatto con l'Hosaka. Ci avevano pagato, poi ci avevano cancellato dai loro archivi aziendali.
genetici come un tifoso segue i giocatori della sua squadra. Fox voleva Hiroshi a Ma Fox non riusciva a dimenticarlo. Hiroshi era la sua creazione, il suo progetto del cuore. Aveva sviluppato un interesse possessivo, quasi paterno per Hiroshi. Lo amava per il suo Talento. Perciò Fox mi faceva restare in contatto con il mio uomo d'affari portoghese nella Medina, il quale era disposto a tenere d'occhio il laboratorio di Hiroshi per noi.
tal punto che gli sembrava di sentirselo nel sangue. Quando telefonava lo faceva da una cabina pubblica a Djemaa-el-Fta, con sottofondo di voci lamentose di venditori e di flauti dell'Atlante. Disse che uomini dei servizi di sicurezza stavano arrivando a Marrakech. Fox annuì.
Mi aveva mandato a Francoforte tre volte prima che comparissi tu, soltanto Hosaka.
per farmi dare un'occhiata a Hiroshi. Non per tentare un approccio o fargli un Dopo meno di dieci chiamate notai un cambiamento in Fox, una certa tensione, lo sguardo perso nel vuoto. Lo trovavo davanti alla finestra a guardare i giardini imperiali da un'altezza di 52 piani, perso in qualcosa di cui non voleva parlare.
saluto. Solo per guardarlo. Hiroshi aveva tutta l'aria di essersi sistemato. Aveva Chiedigli una descrizione più dettagliata, disse, dopo una chiamata. Aveva l'impressione che un uomo che il nostro contatto aveva visto entrare nel laboratorio di Hiroshi potesse essere Moenner, il capo della divisione genetica dell'Hosaka.
trovato una ragazza tedesca appassionata di loden tradizionali e stivali da Dopo la chiamata successiva confermò che era Moenner. Dopo un'altra ancora gli parve di aver identificato Chedanne, capo della squadra proteine dell'Hosaka.
cavallerizza lucidi color castano chiaro. Aveva comprato una casa ristrutturata, Nessuno dei due era stato visto fuori dall'arcologia dell'azienda da più di due anni. Ormai era evidente che i ricercatori di punta dell'Hosaka stavano arrivando alla chetichella alla Medina, i Lear dirigenziali neri che arrivavano all'aeroporto di Marrakech su alianti in fibra di carbonio. Fox scosse la testa. Era un professionista, uno specialista, e vide in quell'improvviso assieparsi dei migliori Talenti dell'Hosaka nella Medina un drastico errore nell'operato della multinazionale. Cristo, disse versandosi un bicchiere di Black Label, hanno la loro sezione biologica al completo, laggiù. Una bomba. Scosse la testa. Una granata nel posto giusto e al momento giusto. . Gli ricordai le tecniche di saturazione che sicuramente i servizi di sicurezza dell'Hosaka stavano impiegando. L'Hosaka aveva dei contatti nel cuore della Dieta, e la forte infiltrazione di agenti a Marrakech poteva avvenire solo con la conoscenza e la cooperazione del governo marocchino.
nella piazza giusta della città. Aveva cominciato a tirare di scherma, Lascia perdere, dissi. È finita. Gli hai venduto Hiroshi. Adesso lascia perdere.
abbandonando il kendo. Lo so cos'è, disse. Lo so. L'ho già visto una volta. Disse che esiste un certo fattore imprevedibile nel lavoro di laboratorio. Il talento del Talento, lo chiamava. Succede quando un ricercatore sviluppa qualcosa di completamente nuovo e altri trovano impossibile duplicare i risultati.
E dappertutto le squadre di sicurezza della Maas, efficienti e massicce, una Questo era ancora più probabile con Hiroshi, il cui lavoro andava in direzione contraria alle teorie correnti nel suo campo. La risposta, spesso, consisteva nel far venire il ricercatore dal suo laboratorio in quello dell'azienda, per scoprire ritualmente le carte. Qualche piccola regolazione delle apparecchiature e il processo funzionava. È strano, disse, nessuno sa perché succeda così, ma succede. Sorrise. Ma stanno correndo un rischio, disse. I bastardi ci hanno detto che volevano isolare Hiroshi tenerlo lontano dal loro centro di ricerca. Balle.
melassa attaccaticcia di sorveglianti. Tornai e dissi a Fox che non saremmo mai Scommetto la camicia che c'è qualche lotta per il potere in corso all'Hosaka.
riusciti a raggiungerlo. Tu lo raggiungesti per noi, Sandii. Lo raggiungesti nel Qualche pezzo grosso sta portando lì i suoi pupilli per strofinarli su Hiroshi come se fosse un portafortuna. Quando Hiroshi manderà a gambe all'aria l'ingegneria genetica, quelli della Medina saranno pronti.
modo migliore. I nostri contatti con l'Hosaka erano come cellule specializzate Bevve il suo whisky e alzò le spalle.
che proteggevano l'organismo-madre. Noi eravamo mutageni, Fox ed io, ambigui Vai a letto, disse. Hai ragione, è finita.
agenti che stavano dalla parte nascosta dell'attività delle multinazionali. Andai a letto, ma il telefono mi svegliò. Era Marrakech, i disturbi statici del collegamento via satellite, un fiotto di parole spaventate, in portoghese.
Dopo averti piazzato a Vienna, gli offrimmo Hiroshi. Non fecero una piega. L'Hosaka non ci bloccò il conto, no. Lo vaporizzò. Come l'oro delle fate. Prima eravamo milionari, nella valuta più forte del mondo, un minuto dopo eravamo diventati poveri. Svegliai Fox. Sandii, disse. Ci ha venduto. I servizi della Maas l'hanno assoldata a Vienna. Cristo.
Calma mortale in una stanza d'albergo, a Los Angeles. Dissero che dovevano Lo guardai sventrare la sua vecchia valigia con un coltello a serramanico dell'esercito svizzero. C'erano tre piastre d'oro incollate lì. Piastre morbide, con il marchio del tesoro di qualche governo africano estinto.
pensarci. Non avresti dovuto vederla, disse con voce atona.
Fox disse il nome del principale concorrente dell'Hosaka nel campo genetico, No, dissi io. Credo di aver detto il tuo nome. Dimenticala, mi disse. L'Hosaka ci vuole morti. Penseranno che li abbiamo traditi. Prendi il telefono e controlla il nostro conto. Il nostro conto era sparito. Quelli della banca negarono che noi due avessimo mai avuto un conto.
lo svelò nudo e crudo, violando il protocollo che vietava di fare nomi. Tagliamo la corda, disse Fox.
Dissero che dovevano pensarci. Corremmo. Dalla porta di servizio, nel traffico di Tokyo, giù fino a Shinjuku. Fu lì che compresi per la prima volta fin dove giungeva il potere dell'Hosaka. Gente con cui facevamo affari da due anni ci vedeva arrivare, ed era come se chiudessero la saracinesca dei ricordi.
Fox gli diede tre giorni. Uscivamo prima che potessero mettere le mani sul telefono. La tensione superficiale del mondo illegale si era triplicata, e dovunque incontravamo la stessa membrana tesa venivamo respinti. Nessuna possibilità di scomparire, di sfuggire.
Una settimana prima di portarti a Vienna ti portai a Barcellona. Ti ricordo con L'Hosaka ci lasciò scappare per la maggior parte del primo giorno. Poi mandarono qualcuno a rompere la schiena a Fox una seconda volta. Non li vidi farlo, ma vidi Fox cadere. Eravamo in un grande magazzino di Ginza un'ora prima della chiusura, e lo vidi cadere dall'ammezzato scintillante, in mezzo alle merci della nuova Asia. Mi mancarono, non so perché, e continuai a scappare.
i capelli raccolti da un berretto grigio, gli zigomi alti, mongolici, riflessi nelle Fox aveva con sé l'oro, ma avevo un centinaio di nuovi yen in tasca. Scappai. Fino al New Rose Hotel.
vetrine dei negozi di antiquariato. Passeggiando lungo le Ramblas, verso il porto È arrivato il momento.
fenicio, passando accanto al “Mercado” dal tetto dorato, dove vendevano arance Vieni da me, Sandii. Ascolta il ronzio delle luci al neon sulla strada per il Narita International. Le ultime falene tracciano cerchi interrotti attorno ai riflettori che illuminano il New Rose. E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma richiamato dalle forze dell'economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su mille letti negli Hyatt del mondo, negli Hilton del mondo.
africane. Il vecchio Ritz, con la nostra stanza calda e buia, e tutto il morbido peso Adesso ho la tua pistola in mano, nella tasca della giacca, e la mia mano sembra lontana. Staccata da me.
dell'Europa su di noi come una trapunta. Potevo penetrarti mentre dormivi. Eri Ricordo il mio amico d'affari portoghese che si era dimenticato l'inglese e cercava di spiegarsi in quattro lingue che io capivo appena, e pensavo che mi stesse dicendo che la Medina stava bruciando. Non la Medina. I cervelli dei migliori ricercatori dell'Hosaka.
sempre pronta. Vedendo le tue labbra incurvarsi morbidamente per la sorpresa, Un'infezione, sussurrava il mio uomo, infezione, febbre e morte. L'astuto Fox mise tutto assieme mentre scappavamo. Non dovetti nemmeno dirgli di aver trovato il dischetto nella tua borsetta, in Germania. Qualcuno aveva riprogrammato il sintetizzatore di D.N.A., disse. Quella cosa serviva per costruire da un giorno all'altro la macromolecola giusta. Con il computer integrato e il software su ordinazione. Costoso, Sandii. Ma non così costoso come alla fine risultasti tu per l'Hosaka.
la tua faccia che affondava nel cuscino spesso e giallo. . biancheria arcaica del Spero che la Maas ti abbia pagato bene.
Ritz. Dentro di te immaginavo tutte quelle luci al neon, la folla che si accalcava Il dischetto nella mia mano. Pioggia sul fiume. Sapevo, ma non potevo ammetterlo. Rimisi il codice per il virus meningeo nella tua borsetta e mi stesi accanto a te.
attorno alla stazione di Shinjuku, pazzesca notte elettrica. Tu ti muovevi in Così Moenner è morto, insieme agli altri ricercatori dell'Hosaka.
quella maniera, il ritmo della nuova era, sognante e lontano dal suolo di qualsiasi Compreso Hiroshi. Chedanne ha subito danni permanenti al cervello. Hiroshi non aveva preso precauzioni per la contaminazione. Le proteine che fabbricava erano innocue. Così il sintetizzatore è rimasto acceso tutta la notte a costruire un virus secondo le indicazioni della Maas Biolabs GmbH.
nazione. Maas. Piccola, veloce, spietata. Tutta Talento.
Quando siamo arrivati a Vienna ti ho sistemato nell'albergo preferito della La strada per l'aeroporto è una lunga striscia dritta. Stai nell'ombra.
moglie di Hiroshi. Tranquillo, solido, hall con pavimento a scacchi di marmo, E io che gridavo a quella voce portoghese, chiedendole cosa fosse successo alla ragazza, alla donna di Hiroshi. Svanita, disse. Il ronzio di un meccanismo vittoriano.
ascensori di ottone profumati di olio di limone e sigari. Era facile immaginarla lì, Così Fox doveva cadere, cadere con le sue tre patetiche piastre d'oro, e fracassarsi la spina dorsale per l'ultima volta. Sul pavimento del grande magazzino di Ginza, tutti i clienti che spalancavano gli occhi, un istante prima di gridare.
con gli stivali da cavallerizza lucidi riflessi sul marmo, ma noi sapevamo che non Non riesco a odiarti, amore.
sarebbe venuta, non quella volta. E l'elicottero dell'Hosaka è tornato, senza luci, a caccia con l'infrarosso, cercando il calore del corpo. Un gemito attutito mentre ruota, a un chilometro di distanza, tornando verso di noi, verso il New Rose. Un'ombra fin troppo rapida contro le luci di Narita.
Era in qualche stazione della Renania, e Hiroshi era a Vienna per una Va tutto bene, bambina. Ma torna, ti prego. Prendimi la mano.
conferenza. Quando gli uomini della Maas arrivarono per ispezionare l'albergo,
tu ti eri eclissata.
Hiroshi arrivò un'ora dopo, da solo.
Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra per
identificare la forma di intelligenza dominante del pianeta. L'alieno dà
un'occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io probabilmente alzai le
spalle.
Le “zaibatsu”, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una “zaibatsu” è fatto di
informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che
la compongono. Le aziende sono una forma di vita.
Io gli avevo detto di non farmi un'altra conferenza sul Talento.
Lui aveva detto che la Maas non era così, ignorandomi. La Maas era piccola,
veloce, spietata. Un arcaismo. La Maas era tutto Talento.
Ricordo Fox parlare della natura del Talento di Hiroshi. Nucleasi radioattive,
anticorpi monoclonali, qualcosa che aveva a che fare con la concatenazione delle
proteine, dei nucleotidi. . Fox le chiamava proteine calde. Catene ad alta velocità.
Diceva che Hiroshi era un fenomeno, il tipo capace di mandare in frantumi i
paradigmi, di rovesciare un campo intero del sapere, di costringere con la forza
alla revisione di un intero corpo di conoscenze. Brevetti fondamentali, diceva,
con la voce arrochita immaginando simili ricchezze, l'odore ideale acuto e sottile
dei milioni esentasse che emanavano.
L'Hosaka voleva Hiroshi, ma il suo Talento era tanto radicale da preoccuparli.
Lo volevano per farlo lavorare in isolamento.
Andai a Marrakech, nella città vecchia, la Medina. Trovai un laboratorio per la
raffinazione dell'eroina convertito per l'estrazione di feromoni. Lo comprai, con i
soldi dell'Hosaka. Passeggiai nel mercato di Djemaa-el-Fta con un uomo d'affari
portoghese sudaticcio, discutendo dell'illuminazione fluorescente e
dell'installazione di gabbie ventilate per animali da esperimento. Oltre le mura
della città si vedeva la catena dell'Atlante. Djemaa-el-Fta era piena di
saltimbanchi, danzatori, narratori di storie, ragazzini che facevano girare i torni
a pedale, mendicanti senza gambe che protendevano le tazze di legno sotto
ologrammi animati che propagandavano software francesi.
Camminammo accanto a balle di lana grezza e bidoni di plastica con microchip
cinesi. Gli diedi a intendere che i miei datori di lavoro intendevano fabbricare
beta-endorfina sintetica. Conviene dire sempre qualcosa che possano capire.
Sandii, ti ricordo ad Harajuku, qualche volta. Chiudo gli occhi in questa bara e
ti vedo là, fra lo scintillio del labirinto di cristallo delle boutique, l'odore dei
vestiti nuovi. Vedo i tuoi zigomi passare davanti agli scaffali cromati di
pelletteria di Parigi. Qualche volta ti stringo la mano.
Credevamo di averti trovato, Sandii, ma in realtà eri stata tu a trovare noi.
Adesso so che ci stavi cercando, noi o qualcuno come noi. Fox era felice,
sorrideva per la nostra scoperta: un nuovo, delizioso strumento, scintillante
come un bisturi. Proprio quello che ci serviva per separare un Talento ostinato
come Hiroshi dalla placenta della Maas Biolab.
Dovevi aver cercato a lungo una via d'uscita, durante tutte quelle notti a
Shinjuku. Notti che avevi accuratamente eliminato dal mazzo rimescolato del tuo
passato.
Il mio passato era sparito anni prima, perso insieme a tutto il resto, nessuna
traccia. Capisco l'abitudine di Fox, a tarda notte, di vuotare il portafoglio e
frugare tra i documenti di identificazione.
Distribuiva i pezzi in configurazioni diverse, li spostava, aspettando che si
formasse un'immagine. Sapevo cosa cercava. Tu facevi la stessa cosa con le tue
svariate infanzie.
Nel New Rose, questa notte, scelgo una carta dal tuo mazzo di passati.
Scelgo la versione originale, il famoso testo della stanza d'albergo di
Yokohama, recitatomi durante quella prima notte a letto. Scelgo il padre in
disgrazia, il dirigente dell'Hosaka. Perfetto. E la madre olandese, le estati ad
Amsterdam, il morbido tappeto di piccioni nel pomeriggio sulla piazza Dam.
Passai dal caldo di Marrakech all'aria condizionata dell'Hilton. La camicia
umida appiccicata alla schiena mentre leggevo il messaggio che mi avevi
trasmesso attraverso Fox. Stavi arrivando; Hiroshi avrebbe lasciato la moglie.
Non ti fu difficile comunicare con noi, anche attraverso la cortina strettissima dei
servizi di sicurezza della Maas; avevi mostrato a Hiroshi il posticino perfetto per
prendere caffè con croissant. Il tuo cameriere preferito era gentile, coi capelli
bianchi, zoppicava, e lavorava per noi. Lasciavi i messaggi sotto il tovagliolo di
lino.
Per tutta la giornata ho guardato un piccolo elicottero che passava più volte
come per uno schema preciso sopra questo mio territorio, la terra del mio esilio,
il New Rose Hotel. Ho guardato dal portello mentre la sua ombra paziente
attraversava il cemento macchiato di olio. Vicino, molto vicino.
Lasciai Marrakech per Berlino. Mi incontrai con un gallese in un bar, e
cominciai ad organizzare la sparizione di Hiroshi.
Sarebbe stata una faccenda complicata, intricata come gli ingranaggi di ottone
e gli specchi mobili dei trucchi da palcoscenico vittoriani, ma l'effetto desiderato
era abbastanza semplice. Hiroshi sarebbe passato dietro una Mercedes a cellule
d'idrogeno e sarebbe sparito. La decina di agenti della Maas che lo seguivano
costantemente avrebbero sciamato attorno al furgone come api; l'apparato di
sicurezza della Maas si sarebbe accentrato attorno al punto di sparizione come
una resina.
Sanno come fare le cose a dovere, a Berlino. Riuscii perfino ad organizzare
un'ultima notte con te. Non lo dissi a Fox, avrebbe potuto disapprovare. Adesso
ho dimenticato il nome della città. L'ho saputo per un'ora, sull'autostrada, sotto
il grigio cielo renano, e l'ho dimenticato fra le tue braccia.
Verso mattina cominciò a piovere. La nostra stanza aveva un'unica finestra
alta e stretta, da dove guardavo la pioggia che ricopriva il fiume di aghi argentei.
Il rumore del tuo respiro. Il fiume scorreva sotto bassi archi di pietra. La strada
era vuota. L'Europa era un museo morto.
Ti avevo già prenotato un posto sul volo per Marrakech in partenza da Orly,
usando il tuo ultimissimo nome. Saresti stata lontana quando avessi tirato gli
ultimi fili e fatto sparire Hiroshi.
Avevi lasciato la borsetta sul vecchio cassettone scuro. Mentre dormivi frugai
fra le tue cose, togliendo tutto quello che poteva entrare in conflitto con la nuova
identità che ti avevo comprato a Berlino. Tolsi la calibro 22 cinese, il
microcomputer e il chip bancario. Dalla mia borsa presi un nuovo passaporto,
olandese, il chip di una banca svizzera intestato allo stesso nome, e li infilai nella
tua borsa.
Sfiorai con la mano qualcosa di piatto. Lo tirai fuori. Un dischetto, senza
etichetta. Era lì nel palmo della mia mano, quella morte latente, codificata, in
attesa.
Rimasi in piedi a guardarti respirare, guardandoti i seni alzarsi e abbassarsi.
Vedevo le tue labbra semiaperte, e sul labbro inferiore un po' sporgente la
lievissima traccia di un livido. Rimisi il dischetto nella tua borsetta. Quando mi
stesi al tuo fianco ti rotolasti contro di me, svegliandoti, e nel tuo respiro c'era
tutta la notte elettrica di una nuova Asia, il futuro che ti saliva dentro come un
fluido luminoso, che mi toglieva tutto tranne il momento presente. Era questa la
cosa veramente magica: che vivevi al di fuori della storia, tutta nel presente.
E sapevi come prendermi.
Per l'ultima volta, mi prendesti.
Mentre mi radevo ti sentii vuotare gli arnesi per il trucco nella mia borsa.
Sono olandese ora, dicesti; voglio un nuovo look.
Il dottor Hiroshi Yomiuri scomparve a Vienna, in una tranquilla traversa della
Singerstrasse, a due isolati dall'albergo preferito della moglie. In un chiaro
pomeriggio di ottobre, alla presenza di una dozzina di testimoni, il dottor
Yomiuri svanì.
Passò attraverso uno specchio. Da qualche parte, dietro le quinte, il
movimento ben oliato di un meccanismo vittoriano.
Io ero seduto in una stanza d'albergo di Ginevra quando ricevetti la chiamata
del gallese. Era fatta, Hiroshi si era infilato nella mia trappola ed era partito per
Marrakech. Mi versai da bere pensando alle tue gambe.
Fox ed io ci incontrammo a Narita il giorno dopo, in un bar del terminal della
JAL. Lui era appena sceso da un aereo della Air Maroc, esausto e trionfante.
Disse che gli piaceva, intendendo Hiroshi. Disse che l'amava, intendendo te.
Io sorrisi. Mi avevi promesso di incontrarmi a Shinjuku fra un mese.
La tua pistola da poco prezzo, nel New Rose Hotel. La cromatura comincia a
staccarsi. Il meccanismo è rozzo, con caratteri cinesi stampati sull'acciaio ruvido.
L'impugnatura è di plastica rossa, con un drago su ciascun lato. Come un
giocattolo.
Fox mangiò “sushi” nel terminal della JAL, su di giri per quello che avevamo
fatto. La spalla gli aveva dato dei fastidi, ma diceva che non gli importava. Adesso
aveva i soldi per andare da medici migliori.
Soldi per tutto.
Per qualche ragione i soldi che avevamo preso dall'Hosaka non mi
sembravano molto importanti. Non che dubitassi della nostra nuova ricchezza,
ma quell'ultima notte con te mi aveva lasciato la convinzione che tutto venisse
con naturalezza, nel nuovo ordine delle cose, come funzione di chi e cosa
eravamo.
Povero Fox. Con le sue camicie oxford azzurre più linde che mai, i suoi abiti di
Parigi più scuri e più lussuosi. Seduto nel terminal, mentre intingeva il “sushi” in
un piccolo vassoio rettangolare di barbaforte verde, aveva meno di una
settimana di vita. È buio adesso, e le rastrelliere di bare del New Rose sono
illuminate tutta notte da riflettori posti in cima a piloni di metallo verniciato.
Nulla qui pare servire al suo scopo originale. È tutto di seconda mano, riciclato,
anche le bare. Quarant'anni fa queste capsule di plastica erano ammucchiate a
Tokyo o a Yokohama, una moderna comodità per uomini d'affari in viaggio.
Forse tuo padre ha dormito in una di esse. Quando le impalcature erano nuove
circondavano l'una o l'altra delle torri con i vetri a specchio sulla Ginza, piene di
squadre di operai.
Il vento questa notte porta il frastuono di una sala di “pachinko”, l'odore di
verdure cotte dai venditori ambulanti dall'altra parte della strada.
Spalmo paté di krill al granchio su cracker di riso. Sento gli aerei. Durante
quegli ultimi giorni a Tokyo, Fox ed io avevamo appartamenti contigui al
cinquantaduesimo piano dell'Hyatt. Nessun contatto con l'Hosaka. Ci avevano
pagato, poi ci avevano cancellato dai loro archivi aziendali.
Ma Fox non riusciva a dimenticarlo. Hiroshi era la sua creazione, il suo
progetto del cuore. Aveva sviluppato un interesse possessivo, quasi paterno per
Hiroshi. Lo amava per il suo Talento. Perciò Fox mi faceva restare in contatto con
il mio uomo d'affari portoghese nella Medina, il quale era disposto a tenere
d'occhio il laboratorio di Hiroshi per noi.
Quando telefonava lo faceva da una cabina pubblica a Djemaa-el-Fta, con
sottofondo di voci lamentose di venditori e di flauti dell'Atlante. Disse che
uomini dei servizi di sicurezza stavano arrivando a Marrakech. Fox annuì.
Hosaka.
Dopo meno di dieci chiamate notai un cambiamento in Fox, una certa
tensione, lo sguardo perso nel vuoto. Lo trovavo davanti alla finestra a guardare
i giardini imperiali da un'altezza di 52 piani, perso in qualcosa di cui non voleva
parlare.
Chiedigli una descrizione più dettagliata, disse, dopo una chiamata. Aveva
l'impressione che un uomo che il nostro contatto aveva visto entrare nel
laboratorio di Hiroshi potesse essere Moenner, il capo della divisione genetica
dell'Hosaka.
Dopo la chiamata successiva confermò che era Moenner. Dopo un'altra ancora
gli parve di aver identificato Chedanne, capo della squadra proteine dell'Hosaka.
Nessuno dei due era stato visto fuori dall'arcologia dell'azienda da più di due
anni. Ormai era evidente che i ricercatori di punta dell'Hosaka stavano arrivando
alla chetichella alla Medina, i Lear dirigenziali neri che arrivavano all'aeroporto
di Marrakech su alianti in fibra di carbonio. Fox scosse la testa. Era un
professionista, uno specialista, e vide in quell'improvviso assieparsi dei migliori
Talenti dell'Hosaka nella Medina un drastico errore nell'operato della
multinazionale. Cristo, disse versandosi un bicchiere di Black Label, hanno la
loro sezione biologica al completo, laggiù. Una bomba. Scosse la testa. Una
granata nel posto giusto e al momento giusto. . Gli ricordai le tecniche di
saturazione che sicuramente i servizi di sicurezza dell'Hosaka stavano
impiegando. L'Hosaka aveva dei contatti nel cuore della Dieta, e la forte
infiltrazione di agenti a Marrakech poteva avvenire solo con la conoscenza e la
cooperazione del governo marocchino.
Lascia perdere, dissi. È finita. Gli hai venduto Hiroshi. Adesso lascia perdere.
Lo so cos'è, disse. Lo so. L'ho già visto una volta. Disse che esiste un certo
fattore imprevedibile nel lavoro di laboratorio. Il talento del Talento, lo
chiamava. Succede quando un ricercatore sviluppa qualcosa di completamente
nuovo e altri trovano impossibile duplicare i risultati.
Questo era ancora più probabile con Hiroshi, il cui lavoro andava in direzione
contraria alle teorie correnti nel suo campo. La risposta, spesso, consisteva nel
far venire il ricercatore dal suo laboratorio in quello dell'azienda, per scoprire
ritualmente le carte. Qualche piccola regolazione delle apparecchiature e il
processo funzionava. È strano, disse, nessuno sa perché succeda così, ma
succede. Sorrise. Ma stanno correndo un rischio, disse. I bastardi ci hanno detto
che volevano isolare Hiroshi tenerlo lontano dal loro centro di ricerca. Balle.
Scommetto la camicia che c'è qualche lotta per il potere in corso all'Hosaka.
Qualche pezzo grosso sta portando lì i suoi pupilli per strofinarli su Hiroshi
come se fosse un portafortuna. Quando Hiroshi manderà a gambe all'aria
l'ingegneria genetica, quelli della Medina saranno pronti.
Bevve il suo whisky e alzò le spalle.
Vai a letto, disse. Hai ragione, è finita.
Andai a letto, ma il telefono mi svegliò. Era Marrakech, i disturbi statici del
collegamento via satellite, un fiotto di parole spaventate, in portoghese.
L'Hosaka non ci bloccò il conto, no. Lo vaporizzò. Come l'oro delle fate. Prima
eravamo milionari, nella valuta più forte del mondo, un minuto dopo eravamo
diventati poveri. Svegliai Fox. Sandii, disse. Ci ha venduto. I servizi della Maas
l'hanno assoldata a Vienna. Cristo.
Lo guardai sventrare la sua vecchia valigia con un coltello a serramanico
dell'esercito svizzero. C'erano tre piastre d'oro incollate lì. Piastre morbide, con
il marchio del tesoro di qualche governo africano estinto.
Non avresti dovuto vederla, disse con voce atona.
No, dissi io. Credo di aver detto il tuo nome. Dimenticala, mi disse. L'Hosaka ci
vuole morti. Penseranno che li abbiamo traditi. Prendi il telefono e controlla il
nostro conto. Il nostro conto era sparito. Quelli della banca negarono che noi due
avessimo mai avuto un conto.
Tagliamo la corda, disse Fox.
Corremmo. Dalla porta di servizio, nel traffico di Tokyo, giù fino a Shinjuku. Fu
lì che compresi per la prima volta fin dove giungeva il potere dell'Hosaka. Gente
con cui facevamo affari da due anni ci vedeva arrivare, ed era come se
chiudessero la saracinesca dei ricordi.
Uscivamo prima che potessero mettere le mani sul telefono. La tensione
superficiale del mondo illegale si era triplicata, e dovunque incontravamo la
stessa membrana tesa venivamo respinti. Nessuna possibilità di scomparire, di
sfuggire.
L'Hosaka ci lasciò scappare per la maggior parte del primo giorno. Poi
mandarono qualcuno a rompere la schiena a Fox una seconda volta. Non li vidi
farlo, ma vidi Fox cadere. Eravamo in un grande magazzino di Ginza un'ora
prima della chiusura, e lo vidi cadere dall'ammezzato scintillante, in mezzo alle
merci della nuova Asia. Mi mancarono, non so perché, e continuai a scappare.
Fox aveva con sé l'oro, ma avevo un centinaio di nuovi yen in tasca. Scappai. Fino
al New Rose Hotel.
È arrivato il momento.
Vieni da me, Sandii. Ascolta il ronzio delle luci al neon sulla strada per il Narita
International. Le ultime falene tracciano cerchi interrotti attorno ai riflettori che
illuminano il New Rose. E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri
neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma
richiamato dalle forze dell'economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su
mille letti negli Hyatt del mondo, negli Hilton del mondo.
Adesso ho la tua pistola in mano, nella tasca della giacca, e la mia mano
sembra lontana. Staccata da me.
Ricordo il mio amico d'affari portoghese che si era dimenticato l'inglese e
cercava di spiegarsi in quattro lingue che io capivo appena, e pensavo che mi
stesse dicendo che la Medina stava bruciando. Non la Medina. I cervelli dei
migliori ricercatori dell'Hosaka.
Un'infezione, sussurrava il mio uomo, infezione, febbre e morte. L'astuto Fox
mise tutto assieme mentre scappavamo. Non dovetti nemmeno dirgli di aver
trovato il dischetto nella tua borsetta, in Germania. Qualcuno aveva
riprogrammato il sintetizzatore di D.N.A., disse. Quella cosa serviva per costruire
da un giorno all'altro la macromolecola giusta. Con il computer integrato e il
software su ordinazione. Costoso, Sandii. Ma non così costoso come alla fine
risultasti tu per l'Hosaka.
Spero che la Maas ti abbia pagato bene.
Il dischetto nella mia mano. Pioggia sul fiume. Sapevo, ma non potevo
ammetterlo. Rimisi il codice per il virus meningeo nella tua borsetta e mi stesi
accanto a te.
Così Moenner è morto, insieme agli altri ricercatori dell'Hosaka.
Compreso Hiroshi. Chedanne ha subito danni permanenti al cervello. Hiroshi
non aveva preso precauzioni per la contaminazione. Le proteine che fabbricava
erano innocue. Così il sintetizzatore è rimasto acceso tutta la notte a costruire un
virus secondo le indicazioni della Maas Biolabs GmbH.
Maas. Piccola, veloce, spietata. Tutta Talento.
La strada per l'aeroporto è una lunga striscia dritta. Stai nell'ombra.
E io che gridavo a quella voce portoghese, chiedendole cosa fosse successo
alla ragazza, alla donna di Hiroshi. Svanita, disse. Il ronzio di un meccanismo
vittoriano.
Così Fox doveva cadere, cadere con le sue tre patetiche piastre d'oro, e
fracassarsi la spina dorsale per l'ultima volta. Sul pavimento del grande
magazzino di Ginza, tutti i clienti che spalancavano gli occhi, un istante prima di
gridare.
Non riesco a odiarti, amore.
E l'elicottero dell'Hosaka è tornato, senza luci, a caccia con l'infrarosso,
cercando il calore del corpo. Un gemito attutito mentre ruota, a un chilometro di
distanza, tornando verso di noi, verso il New Rose. Un'ombra fin troppo rapida
contro le luci di Narita.
Va tutto bene, bambina. Ma torna, ti prego. Prendimi la mano.

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_(The Belonging Kind, 1981)_ _(The Belonging Kind, 1981)_
Forse era stato al Club Justine, o al Jimbo's, o al Sad Jack's, o al Rafters; Coretti Forse era stato al Club Justine, o al Jimbo's, o al Sad Jack's, o al Rafters; Coretti non riusciva a ricordare dove l'avesse vista per la prima volta. Avrebbe potuto essere successo in qualsiasi momento in uno qualsiasi di quei bar. Lei nuotava nella pseudo-vita fatta di bottiglie e bicchieri e del lento salire del fumo delle sigarette. . si muoveva nel suo elemento naturale, un bar dopo l'altro. Coretti ricordava la prima volta che le aveva parlato come se la vedesse dalla parte sbagliata di un potente cannocchiale: piccola, distinta e molto lontana.
non riusciva a ricordare dove l'avesse vista per la prima volta. Avrebbe potuto L'aveva notata per la prima volta nel Backdoor Lounge. Si chiamava Backdoor perché si entrava dalla porta posteriore, in uno stretto vicolo. I muri del vicolo erano coperti di graffiti; i lampioni, dietro le loro reti, brulicavano di falene.
essere successo in qualsiasi momento in uno qualsiasi di quei bar. Lei nuotava Scaglie cadute dai mattoni pitturati di bianco scricchiolavano sotto i piedi. Poi si apriva la porta e ci si trovava in uno spazio in penombra abitato da fantasmi ambigui di cinque o sei altri bar che avevano aperto e poi chiuso bottega nello stesso locale, sotto diverse gestioni. Coretti qualche volta ci andava perché gli piaceva il sorriso stanco del barista negro, e perché i pochi clienti cercavano raramente di fare amicizia. Non era molto bravo a fare conversazione con gli estranei, né ai bar né alle feste.
nella pseudo-vita fatta di bottiglie e bicchieri e del lento salire del fumo delle Era bravo nella comunità universitaria, dove teneva lezioni di linguistica preliminare; era capace di parlare con il direttore del suo dipartimento di sequenze e opposizioni nelle aperture di conversazione. Ma non riusciva mai a parlare agli estranei nei bar e alle feste. Non andava a molte feste. Andava in un sacco di bar. Coretti non sapeva vestire. I vestiti sono un linguaggio, e Coretti era una specie di balbuziente dell'abbigliamento, incapace di indossare quella giusta combinazione di abiti che mette l'estraneo a suo agio. La sua ex moglie gli diceva che si vestiva come un marziano, che sembrava non far parte della città. Non gli era piaciuto sentirselo dire, perché era vero.
sigarette. . si muoveva nel suo elemento naturale, un bar dopo l'altro. Coretti Coretti non aveva mai avuto una ragazza come quella che sedeva con la schiena leggermente inarcata nella luce liquida che ricadeva sul bancone del Backdoor. La stessa luce era incisa nelle lenti del barista, avvitata attorno ai colli delle bottiglie, schizzata sullo specchio. In quella luce il vestito di lei aveva il colore del grano giovane, come un guscio mezzo aperto, e mostrava schiena, natiche e un bel paio di cosce attraverso gli spacchi sui fianchi. Quella sera aveva i capelli ramati. E gli occhi verdi.
ricordava la prima volta che le aveva parlato come se la vedesse dalla parte Coretti si fece strada risolutamente fra i tavoli vuoti di metallo cromato e formica, raggiunse il bar e ordinò un bourbon liscio. Si tolse la giacca di lana e finì per appoggiarsela sulle ginocchia quando si sedette, a uno sgabello di distanza da lei. Perfetto, si disse: così penserà che stai nascondendo un'erezione.
sbagliata di un potente cannocchiale: piccola, distinta e molto lontana. E si accorse con sorpresa, che ne aveva proprio una da nascondere. Esaminò la propria immagine nello specchio dietro il bancone: un uomo sulla trentina con capelli scuri che andavano diradandosi e una faccia pallida e stretta su un collo lungo, troppo lungo per il colletto aperto della camicia di nylon stampata con figure di automobili del 1910 a tre colori vivaci. Indossava una cravatta a grosse strisce diagonali, nere e marroni. Si accorse che era troppo stretta per le punte grottescamente lunghe del colletto. O forse era sbagliato il colore. Comunque qualcosa era fuori posto.
L'aveva notata per la prima volta nel Backdoor Lounge. Si chiamava Backdoor Accanto a lui, nella scura limpidezza dello specchio, la ragazza dagli occhi verdi sembrava Irma la Dolce. Ma guardandola meglio, studiandole la faccia, Coretti ebbe un brivido. La faccia di un animale. Una faccia bella, ma semplice, astuta, bidimensionale. “Quando si accorgerà che la guardi” pensò “ti farà un sorriso, divertito e sprezzante. . O qualsiasi altra cosa ti aspetti.” Coretti farfugliò: — Posso, ehm, offrirti da bere? In momenti come quello Coretti cadeva in preda a un tic linguistico penosissimo, da maestro di scuola. “Ehm”. Ebbe un brivido. “Ehm”.
perché si entrava dalla porta posteriore, in uno stretto vicolo. I muri del vicolo — Vuoi, ehm, offrimi da bere? Molto gentile da parte tua — disse lei, lasciandolo di sasso. — Sì, mi piacerebbe molto. — Vagamente, Coretti notò che la risposta della ragazza era artefatta e insicura quanto la sua domanda. Lei aggiunse: — In un'occasione come questa, un Tom Collins sarebbe delizioso.
erano coperti di graffiti; i lampioni, dietro le loro reti, brulicavano di falene. In un'occasione come questa? Delizioso? Innervosito, Coretti ordinò due drink e pagò.
Scaglie cadute dai mattoni pitturati di bianco scricchiolavano sotto i piedi. Poi si Una donna grossa, in jeans e camicia da cowboy ricamata, si appoggiò al bancone accanto a lui e chiese al barista di cambiarle una banconota. Poi raggiunse a grandi passi il juke-box e fece partire “You're the Reason Our Kids Are Ugly”, di Conway e Loretta. Coretti si rivolse alla donna in verde e mormorò con voce insicura: — Ti piace ascoltare la musica country? — “Ti piace ascoltare. .” Emise un grugnito silenzioso per quel giro di parole, e cercò di sorridere.
apriva la porta e ci si trovava in uno spazio in penombra abitato da fantasmi — Sì, certo — rispose lei, con una lieve inflessione nasale nella voce. — Certo che mi piace.
ambigui di cinque o sei altri bar che avevano aperto e poi chiuso bottega nello La ragazza-cowboy sedette vicino a Coretti e le chiese, strizzandole l'occhio:
stesso locale, sotto diverse gestioni. Coretti qualche volta ci andava perché gli — Questo piccoletto ti sta dando fastidio? E la ragazza in verde con gli occhi da animale rispose: — Oh, diavolo, no ciccia, lo tengo d'occhio. — E rise. La risata giusta. Il Coretti dialettologo si agitò a disagio: il cambiamento di sintassi e inflessione era troppo perfetto. Un'attrice? Un'imitatrice di talento? Gli venne in mente “mimetico”, ma lo mise da parte per studiare l'immagine di lei riflessa nello specchio. Le file di bottiglie le nascondevano i seni come un abito di vetro.
piaceva il sorriso stanco del barista negro, e perché i pochi clienti cercavano — Io sono Coretti — disse lui, mutando bruscamente la sua poltergeist verbale in un atteggiamento fasullo da duro. — Michael Coretti.
raramente di fare amicizia. Non era molto bravo a fare conversazione con gli — Molto piacere — disse lei a bassa voce, per non farsi sentire dall'altra donna, e ancora una volta era scivolata in una parodia di Emily Post.
estranei, né ai bar né alle feste. — Conway e Loretta — disse la ragazza-cowboy, a nessuno in particolare.
Era bravo nella comunità universitaria, dove teneva lezioni di linguistica — Antoinette — disse la donna in verde, e inclinò la testa. Finì di bere, fece finta di guardare l'orologio, snocciolò un “grazie di avermi offerto da bere” fin troppo da brava bambina e se ne andò. Dieci minuti più tardi, Coretti la seguiva lungo la Terza Avenue. Non aveva mai seguito nessuno in vita sua, e la cosa lo spaventava e lo emozionava allo stesso tempo. Quaranta passi gli sembrava la distanza giusta, ma cosa avrebbe fatto se lei si fosse guardata alle spalle? La Terza Avenue non è una strada buia, e fu lì, alla luce dei lampioni, come su un palcoscenico, che lei cominciò a cambiare. La strada era deserta.
preliminare; era capace di parlare con il direttore del suo dipartimento di Stava attraversando la strada. Scese dal marciapiede e cominciò. Cominciò con la tinta dei capelli. . All'inizio Coretti pensò che fosse il riflesso dei lampioni. Ma non c'erano luci al neon per produrre quelle macchie di colore che scivolavano e si confondevano come chiazze di olio. Poi i colori svanirono e nel giro di tre secondi lei era diventata biondo platino.
sequenze e opposizioni nelle aperture di conversazione. Ma non riusciva mai a Coretti era sicuro che fosse un'illusione ottica, fino a quando il suo vestito cominciò a fremere, ritirandosi sul corpo come una pellicola di plastica per alimenti. Una parte si staccò completamente e cadde sull'asfalto in frammenti accartocciati, come la pelle di un animale. Quando vi passò accanto vide solo una schiuma verde che si dissolveva spumeggiando.
parlare agli estranei nei bar e alle feste. Non andava a molte feste. Andava in un Guardò verso la ragazza, e il suo vestito era diverso, raso verde dai riflessi cangianti. Anche le sue scarpe erano cambiate. Le spalle erano nude, a parte le spalline sottili che le passavano fra le scapole. I capelli le erano diventati corti, diritti. Si accorse di essersi appoggiato alla vetrina di un gioielliere, il respiro che gli usciva a rantoli nell'umidità della sera autunnale. Sentì il battito ritmico della discoteca da due isolati di distanza. Mentre la ragazza si avvicinava, i suoi movimenti cominciarono impercettibilmente ad assumere un nuovo ritmo, una diversa enfasi nell'ondeggiare delle anche, nella maniera in cui appoggiava i tacchi sul marciapiede. Il portiere la fece passare con un vago cenno del capo.
sacco di bar. Coretti non sapeva vestire. I vestiti sono un linguaggio, e Coretti era Bloccò Coretti, controllandogli la patente e aggrottando la fronte nel vedere la sua giacca di lana. Coretti osservò ansiosamente l'onda di luce in cima alla scala di plastica lattea, oltre il portiere. Era svanita lì, nel lampeggiare robotico e nel frastuono echeggiante. Controvoglia l'uomo lo lasciò passare, e Coretti salì veloce le scale, facendo traballare le luci dietro i gradini di plastica trasparente.
una specie di balbuziente dell'abbigliamento, incapace di indossare quella giusta Coretti non era mai stato in una discoteca prima di allora; si trovò in un ambiente progettato per la completa soddisfazione-nella-distrazione. Si fece strada nervosamente attraverso il movimento e gli abiti appariscenti e i canti urbani meccanici che tuonavano dai grandi altoparlanti. La cercò quasi alla cieca sulla pista da ballo affollata di gente in posa coagulata dalle luci stroboscopiche.
combinazione di abiti che mette l'estraneo a suo agio. La sua ex moglie gli diceva Lei si muoveva in perfetto accordo con la musica, assumendo tutta una serie di pose successive; recitò l'intera sequenza prescritta con grazia, ma senza arte, adattandosi alla perfezione. Sempre, sempre adattandosi alla perfezione. Gli altri danzavano meccanicamente, eseguendo faticosamente il rituale.
che si vestiva come un marziano, che sembrava non far parte della città. Non gli Quando il ballo finì la ragazza si voltò bruscamente e si tuffò nel folto della folla. La massa mutevole si chiuse attorno a lei come metallo fuso.
era piaciuto sentirselo dire, perché era vero. Coretti si buttò dietro di lei senza lasciarla mai con gli occhi. . E fu l'unico ad accorgersi del cambiamento. Quando lei raggiunse le scale aveva i capelli color castano dorato, lunghi e dritti, e indossava un lungo abito blu. Fra i capelli le spuntava un fiore bianco, dietro l'orecchio destro. I seni le erano diventati un poco più grandi, i fianchi leggermente più pesanti. Scese le scale due gradini alla volta, e in quel momento lui ebbe paura per lei. Tutti quei liquori.
Coretti non aveva mai avuto una ragazza come quella che sedeva con la Ma l'alcool sembrava non avere alcun effetto su di lei. Senza mai staccarle gli occhi di dosso Coretti la seguì, i battiti del cuore più veloci della musica pulsante alle sue spalle, sicuro che da un momento all'altro si sarebbe girata, l'avrebbe visto, avrebbe chiamato aiuto.
schiena leggermente inarcata nella luce liquida che ricadeva sul bancone del Due isolati dopo, lungo la Terza, si infilò da Lothario's. Ora camminava diversamente. Lothario's era un insieme di sale silenziose, con felci e specchi Art Déco. C'erano falsi lampadari Tiffany appesi al soffitto, alternati a ventilatori dalle pale di legno che ruotavano troppo lentamente per disperdere il fumo che si alzava fra il mormorio consapevolmente dolce della conversazione. Dopo la discoteca, Lothario's faceva un effetto familiare e piacevole. Un pianista jazz, in camicia a righine e cravatta allentata faceva a gara sommessamente con la conversazione e le risate che venivano dai tavoli. Lei andò al bar; gli sgabelli erano occupati solo per metà, ma Coretti scelse un tavolo d'angolo, all'ombra di una palma in miniatura, e ordinò un bourbon.
Backdoor. La stessa luce era incisa nelle lenti del barista, avvitata attorno ai colli Bevve il bourbon e ne ordinò un altro. Non riusciva a sentire molto gli effetti dell'alcool, quella sera.
delle bottiglie, schizzata sullo specchio. In quella luce il vestito di lei aveva il Lei era seduta vicino a un giovane, uno dei soliti giovani con tratti regolari e anonimi, che indossava una camicia da golf gialla e jeans stirati. Le loro anche si sfioravano appena. Non sembravano parlare, ma Coretti aveva la sensazione che in qualche maniera comunicassero. Erano leggermente piegati l'una verso l'altro, silenziosi. Coretti provava una strana sensazione. Andò nel bagno e si spruzzò la faccia di acqua. Tornando, fece in modo di passare a un metro di distanza da loro. Le loro labbra non si mossero finché non fu a portata d'udito. Si scambiarono a turno chiacchiere realistiche.
colore del grano giovane, come un guscio mezzo aperto, e mostrava schiena, — . .ho visto i suoi primi film, ma. .
natiche e un bel paio di cosce attraverso gli spacchi sui fianchi. Quella sera aveva — Ma è piuttosto narcisista, non ti pare?
i capelli ramati. E gli occhi verdi. — Sì, ma nel senso che. .
Coretti si fece strada risolutamente fra i tavoli vuoti di metallo cromato e E per la prima volta Coretti seppe cosa erano, cosa dovevano essere. Sono quella razza di persone che si vedono nei bar, che sembra essere cresciuta lì, sempre perfettamente a proprio agio. Non ubriachi, ma soprammobili in forma umana. Viventi in funzione del bar. La razza giusta.
formica, raggiunse il bar e ordinò un bourbon liscio. Si tolse la giacca di lana e Qualcosa dentro di lui anelava a un confronto. Raggiunse il suo tavolo, ma scoprì che non gli riusciva di sedersi. Si voltò, tirò un profondo respiro e camminò rigidamente verso il bar. Voleva toccarla sulla spalla liscia e chiederle chi era, e cosa era esattamente, e farle osservare l'ironia del fatto che era lui, Coretti, quello che si vestiva come un marziano, quello che origliava, l'intruso, i cui abiti e la cui conversazione non erano mai quelli giusti, ad aver finalmente indovinato il loro segreto.
finì per appoggiarsela sulle ginocchia quando si sedette, a uno sgabello di Ma poi gli mancò il coraggio, e si limitò a sedersi vicino a lei e a ordinare un bourbon.
distanza da lei. Perfetto, si disse: così penserà che stai nascondendo un'erezione. — Ma non credi — chiese lei al compagno — che sia tutto relativo?
E si accorse con sorpresa, che ne aveva proprio una da nascondere. Esaminò la I due posti oltre l'uomo vennero occupati da una coppia che parlava di politica. Antoinette e Camicia da Golf raccolsero il tema politico senza fare una piega, riciclandolo, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire. La faccia di lei, mentre parlava, era priva di espressione. Un uccello che cinguettava su un ramo. Sedeva sullo sgabello come se fosse un nido. Camicia da Golf pagò le consumazioni. Aveva sempre il denaro contato, a meno che non volesse lasciare una mancia.
propria immagine nello specchio dietro il bancone: un uomo sulla trentina con Coretti li osservò bere metodicamente sei cocktail ciascuno, come insetti che si nutrono di nettare. Ma non alzavano mai la voce, le loro guance non si arrossarono, e quando alla fine si alzarono, si muovevano senza alcuna traccia di ubriachezza. . una debolezza, pensò Coretti, una falla nel travestimento.
capelli scuri che andavano diradandosi e una faccia pallida e stretta su un collo Non gli prestarono la minima attenzione mentre li seguiva nei tre bar successivi.
lungo, troppo lungo per il colletto aperto della camicia di nylon stampata con Quando entrarono da Waylon's si tramutarono così rapidamente che Coretti ebbe difficoltà a seguire le fasi della trasformazione. Era uno di quei posti dove sulla porta della toilette maschile c'era scritto “Pointer” e su quella femminile “Setter”, e cartellini in finto pino sui barattoli di carne secca e salsicce sottaceto:
figure di automobili del 1910 a tre colori vivaci. Indossava una cravatta a grosse “Abbiamo fatto un patto con la banca: loro non servono birra e noi non prendiamo assegni”.
strisce diagonali, nere e marroni. Si accorse che era troppo stretta per le punte Da Waylon's lei era grassottella, con occhiaie pesanti. Aveva macchie di caffè sui pantaloni di poliestere. Il suo compagno indossava jeans e maglietta e un cappello da baseball rosso con uno scudetto bianco e rosso. Coretti rischiò di perderli di vista mentre attraversava il caos ed entrava nel “Pointer” per trovarsi davanti a un cartello scritto a mano che diceva: “Noi miriamo a servirvi. Voi mirate e basta”.
grottescamente lunghe del colletto. O forse era sbagliato il colore. Comunque La Terza Avenue si perdeva vicino al porto in un ghigno pietrificato di case in mattoni. All'ultimo isolato, macchie colorate di vomito segnavano a intervalli il marciapiede, e dei vecchi sonnecchiavano davanti a televisori in bianco e nero, sigillati per sempre dietro le porte a vetri appannate di alberghetti sbiaditi. Il bar in cui entrarono non aveva nome. Un asso di quadri si stava staccando a scaglie dalla vetrina sporca, e il barista aveva una faccia che assomigliava a un pugno chiuso. Una radio a transistor in plastica color avorio ululava del rock easy- listening sulle file sbilenche di tavoli vuoti. Bevvero birra e liquore. Erano vecchi, adesso, due zeri che bevevano e fumavano alla luce di lampadine nude tossendo su un pacchetto accartocciato di Camel che lei aveva tirato fuori dalla tasca di un impermeabile marrone, sporco.
qualcosa era fuori posto. Alle 2 e 25 erano nel bar sul tetto del nuovo hotel che sorgeva sulla riva del fiume. Lei indossava un abito da sera, lui un vestito scuro. Bevvero cognac e fecero finta di ammirare le luci della città. Bevvero tre cognac, mentre Coretti li guardava alzando gli occhi dal bicchiere di cristallo di Waterford contenente sessanta grammi di Wild Turkey. Bevvero fino all'ora di chiusura. Coretti li seguì nell'ascensore. Gli sorrisero educatamente ma per il resto lo ignorarono. C'erano due taxi di fronte all'hotel; loro presero il primo, Coretti il secondo.
Accanto a lui, nella scura limpidezza dello specchio, la ragazza dagli occhi — Seguite quel taxi — disse Coretti con voce roca, passando i suoi ultimi venti dollari al vecchio autista hippy.
verdi sembrava Irma la Dolce. Ma guardandola meglio, studiandole la faccia, — Certo, come no. . — L'autista seguì l'altro taxi per sei isolati fino a un altro hotel, più modesto. I due scesero ed entrarono. Coretti scese lentamente dal suo taxi, respirando a fatica. Si sentiva bruciare di gelosia: per quella personificazione di conformità sociale, per la donna che non era una donna, quella tappezzeria umana. Coretti fissò l'albergo. . E perse il coraggio. Se ne andò.
Coretti ebbe un brivido. La faccia di un animale. Una faccia bella, ma semplice, — Camminò fino a casa. Sedici isolati. A un certo punto si rese conto di non essere ubriaco. Neanche un po'.
astuta, bidimensionale. “Quando si accorgerà che la guardi” pensò “ti farà un La mattina telefonò per cancellare la prima lezione. Ma si accorse che i postumi della sbronza non arrivavano. Non sentiva la bocca arida, e guardandosi nello specchio del bagno vide che non aveva gli occhi iniettati di sangue.
sorriso, divertito e sprezzante. . O qualsiasi altra cosa ti aspetti.” Coretti Il pomeriggio dormì, e sognò gente con la faccia da pecora riflessa in specchi dietro file di bottiglie.
farfugliò: — Posso, ehm, offrirti da bere? In momenti come quello Coretti cadeva Quella sera uscì a cena, da solo. E non mangiò niente. Gli sembrava quasi che il cibo lo fissasse. Lo sparse un po' per il piatto per far sembrare che l'avesse assaggiato, pagò e andò in un bar. Poi in un altro. E un altro, cercandola. Stava usando la sua carta di credito, adesso, anche se era già in rosso con la Visa. Se la vide, non la riconobbe.
in preda a un tic linguistico penosissimo, da maestro di scuola. “Ehm”. Ebbe un Qualche volta andava all'hotel dove l'aveva vista entrare. Guardava con attenzione ogni coppia che usciva ed entrava. Non perché sperasse di riconoscerla semplicemente dal suo aspetto. . Ma capiva che doveva esserci una “sensazione”, una sorta di riconoscimento intuitivo. Osservò le coppie e non ne fu mai certo.
brivido. “Ehm”. Nelle settimane seguenti visitò sistematicamente ogni posto della città dove si vendesse alcool. Servendosi all'inizio di una pianta della città e di cinque pagine gialle strappate, si introdusse a poco a poco fin nei locali più oscuri, posti senza numero del telefono sulla guida.
— Vuoi, ehm, offrimi da bere? Molto gentile da parte tua — disse lei, Alcuni il telefono non ce l'avevano neppure. Si iscrisse a club privati di dubbia reputazione, scoprì posti senza licenza che rimanevano aperti oltre le ore consentite, dove bisognava portarsi da bere, e sedette nervosamente in stanze buie utilizzate per un tipo anomalo di sessualità di cui non aveva mai neppure sospettato l'esistenza.
lasciandolo di sasso. — Sì, mi piacerebbe molto. — Vagamente, Coretti notò che Ma proseguì in quello che era diventato il suo circuito notturno. Cominciava sempre dal Backdoor. Lei non era mai lì, né nel bar successivo, né in quello dopo ancora. I baristi lo conoscevano, e lo accoglievano bene perché comprava da bere in continuazione e sembrava che non si ubriacasse mai. Era vero che fissava un po' gli altri clienti, ma che c'era di male?
la risposta della ragazza era artefatta e insicura quanto la sua domanda. Lei Coretti perse il lavoro.
aggiunse: — In un'occasione come questa, un Tom Collins sarebbe delizioso. Aveva saltato troppe lezioni. Aveva cominciato a fare la guardia all'hotel anche di giorno. Era stato visto in troppi bar. Sembrava che non si cambiasse mai d'abito. Rifiutava i corsi serali. Interrompeva nel bel mezzo una lezione, per fissare la finestra con occhi vuoti. Provò un segreto piacere ad essere licenziato.
In un'occasione come questa? Delizioso? Innervosito, Coretti ordinò due drink Lo avevano guardato in maniera strana alla mensa, dove non riusciva a mangiare. E adesso aveva più tempo per la sua ricerca.
e pagò. Coretti la trovò alle 2.15 di un mercoledì notte in un bar gay chiamato il Barn.
Una donna grossa, in jeans e camicia da cowboy ricamata, si appoggiò al Rivestito di legno grezzo, pieno di cavezze e attrezzi agricoli arrugginiti, il locale era pieno di profumo, di risate, di birra.
bancone accanto a lui e chiese al barista di cambiarle una banconota. Poi Lei rideva e scherzava con tutti, in un vestito in lustrini blu e con una penna verde nella cuffia sui capelli castani. Con un sollievo che sentiva quasi fin nelle cellule, Coretti si rese conto di provare una sorta di ammirazione, uno strano orgoglio per la donna e per la sua razza. Anche lì lei era a suo agio.
raggiunse a grandi passi il juke-box e fece partire “You're the Reason Our Kids Era l'esempio tipico della donna che amava la compagnia degli omosessuali, e che non rappresentava per loro alcun pericolo. Il suo compagno era diventato un uomo senza età, con le tempie argentate, maglione di angora e impermeabile.
Are Ugly”, di Conway e Loretta. Coretti si rivolse alla donna in verde e mormorò Bevevano e bevevano, e uscirono ridendo, con il giusto tipo di risata, nella pioggia. Un taxi li aspettava. I tergicristalli sembravano duplicare il battito del cuore di Coretti.
con voce insicura: — Ti piace ascoltare la musica country? — “Ti piace Correndo goffamente sul marciapiede umido, Coretti si infilò nel taxi, pensando con terrore alla loro reazione.
ascoltare. .” Emise un grugnito silenzioso per quel giro di parole, e cercò di Coretti si trovò sul sedile posteriore accanto a lei. L'uomo con le tempie argentate parlò all'autista. L'autista mormorò qualcosa nel microfono, mise in moto, e scivolarono via nella pioggia e nelle strade buie. Il paesaggio cittadino non fece alcuna impressione su Coretti, che guardando dentro di sé vedeva il taxi fermarsi, l'uomo grigio e la donna ridente che lo spingevano fuori e indicavano, sorridendo, il cancello di un manicomio. Oppure: il taxi che si fermava, la coppia che si voltava e scuoteva tristemente la testa. E una dozzina di volte gli sembrò di vedere il taxi fermarsi in una stradina solitaria, dove i due lo strangolavano in tutta calma. Coretti abbandonato morto nella pioggia. Perché era un intruso.
sorridere. Ma arrivarono all'albergo di Coretti.
— Sì, certo — rispose lei, con una lieve inflessione nasale nella voce. — Certo Nella luce fioca della cabina del taxi guardò attentamente l'uomo mentre infilava una mano nell'impermeabile per pagare. Coretti vide chiaramente la fodera dell'impermeabile, ed era un pezzo unico con il maglione di angora. Non c'era alcun rigonfio del portafoglio, nessuna tasca. Ma una fessura si aprì, si allargò quando le dita dell'uomo vi si appoggiarono sopra e ne uscì del denaro.
che mi piace. Tre banconote ripiegate scivolarono fuori dalla fessura. Il denaro era leggermente umido. Si asciugò mentre l'uomo lo apriva, come le ali di una farfalla appena emersa dalla crisalide.
La ragazza-cowboy sedette vicino a Coretti e le chiese, strizzandole l'occhio: — Tenete il resto — disse l'uomo uscendo dal taxi. Anche Antoinette uscì, e Coretti la seguì, vedendo con la mente solo la fessura. La fessura umida, con i bordi rossi, come una branchia. La hall era deserta il portiere di notte intento a fare le parole crociate. La coppia attraversò silenziosamente la hall ed entrò nell'ascensore, con Coretti alle calcagna.
Questo piccoletto ti sta dando fastidio? E la ragazza in verde con gli occhi da Una volta lui cercò di guardarla negli occhi, ma lei lo ignorò. E una volta, mentre l'ascensore saliva sette piani oltre quello di Coretti, lei si chinò e annusò il portacenere cromato appeso alla parete, come un cane che annusi il terreno.
animale rispose: — Oh, diavolo, no ciccia, lo tengo d'occhio. — E rise. La risata Gli alberghi, a notte fonda, non sono mai tranquilli. I corridoi non sono mai del tutto silenziosi. Ci sono innumerevoli sospiri appena udibili, il fruscio delle lenzuola, voci soffocate che mormorano frasi spezzate nel sonno. Ma nel corridoio del nono piano a Coretti parve di muoversi in un vuoto perfetto, senza suoni, le scarpe che non facevano alcun rumore sul tappeto incolore, e anche il battito del suo cuore da intruso risucchiato nel disegno indistinto che decorava la tappezzeria.
giusta. Il Coretti dialettologo si agitò a disagio: il cambiamento di sintassi e Cercò di contare i piccoli ovali di plastica avvitati alle porte, ciascuno con i suoi tre numeri, ma il corridoio sembrava proseguire all'infinito. Alla fine l'uomo si fermò di fronte a una porta, una porta impiallacciata come le altre in finto palissandro, e appoggiò la mano sulla maniglia, il palmo piatto sul metallo. Si sentì un rumore stridente, soffocato, poi la serratura che scattava, la porta che si apriva. Mentre l'uomo ritraeva la mano Coretti vide una scheggia ossea grigio- rosa a forma di chiave, ritirarsi umida nella carne pallida.
inflessione era troppo perfetto. Un'attrice? Un'imitatrice di talento? Gli venne in Non c'era nessuna luce accesa nella stanza, ma il bagliore al neon della città filtrava attraverso le veneziane, permettendogli di vedere le facce di una dozzina o più di persone sedute sul letto, sul divano, sulle poltrone, sugli sgabelli in cucina. All'inizio gli parve che tenessero gli occhi aperti, poi si rese conto che le pupille spente erano coperte da membrane, come una terza palpebra che rifletteva la luce proveniente dalla finestra. Indossavano gli abiti dell'ultimo bar:
mente “mimetico”, ma lo mise da parte per studiare l'immagine di lei riflessa cappotti informi dell'Esercito della Salvezza e abiti sportivi colorati, vestiti lunghi da sera e tute da lavoro polverose, giacche da motociclista in pelle e Harris tweed. Con il sonno era svanita ogni traccia di umanità.
nello specchio. Le file di bottiglie le nascondevano i seni come un abito di vetro. Stavano facendo il nido.
— Io sono Coretti — disse lui, mutando bruscamente la sua poltergeist La coppia si sedette sul bordo del tavolo in formica della cucina, e Coretti rimase fermo, incerto, in mezzo al tappeto vuoto. Anni luce di tappeto sembravano separarlo dagli altri, ma qualcosa lo chiamò, promettendogli riposo, pace e sicurezza. Ma esitava ancora, scosso da un'indecisione che sembrava nascergli nel codice genetico di ciascuna cellula.
verbale in un atteggiamento fasullo da duro. — Michael Coretti. Fino a quando non aprirono gli occhi, tutti insieme simultaneamente le membrane che scivolavano di lato rivelando una calma aliena, da abitatori della fossa più oscura dell'oceano.
— Molto piacere — disse lei a bassa voce, per non farsi sentire dall'altra Coretti urlò, e corse via, scappò lungo i corridoi e le scale echeggianti in cemento, fino alla pioggia fresca e alle strade quasi vuote.
donna, e ancora una volta era scivolata in una parodia di Emily Post. Coretti non tornò più alla sua stanza, al terzo piano. Un detective d'albergo annoiato raccolse i testi di linguistica, l'unica valigia con i vestiti, e alla fine il tutto venne venduto all'asta. Coretti prese una stanza in una pensione diretta da un'arcigna signora astemia, di religione battista, che faceva pregare i suoi inquilini prima di iniziare le cene squallide. Non le importava se Coretti non partecipava mai. Lui le aveva spiegato che mangiava gratis in mensa. Mentiva abilmente e abbondantemente. Non beveva mai nella pensione e non tornava mai a casa ubriaco. Il signor Coretti era un po' strano, ma pagava sempre puntuale. Ed era molto tranquillo. Coretti smise di cercarla. Smise di andare nei bar. Beveva da una bottiglia in un sacchetto di carta mentre andava e tornava dal lavoro, al deposito di una casa editrice, in una zona industriale dove c'erano pochi bar.
— Conway e Loretta — disse la ragazza-cowboy, a nessuno in particolare. Lavorava di notte.
— Antoinette — disse la donna in verde, e inclinò la testa. Finì di bere, fece Qualche volta, all'alba, seduto sul bordo del letto disfatto, mentre scivolava nel sonno (non dormiva più sdraiato), pensava a lei. Antoinette. E a loro. La razza giusta. Qualche volta faceva delle ipotesi, sognava. . Forse erano come topi domestici, animali evoluti per vivere soltanto fra le strutture costruite dall'uomo. Un animale che si nutre solo di bevande alcooliche. Un particolare metabolismo che trasforma l'alcool e le varie proteine dei cocktail e del vino e della birra in qualsiasi cosa serva loro. E possono cambiare il loro aspetto esteriore come camaleonti o scorpene, per proteggersi. Per poter vivere fra di noi. E forse, pensò Coretti, passano attraverso vari stadi di crescita. In quelli iniziali sembrano uomini, mangiano il cibo degli uomini, avvertono la propria differenza solo per la sensazione fastidiosa di essere degli intrusi. Un animale dotato di una sua astuzia, di un suo istinto. E della capacità di accorgersi dei suoi simili, quando sono vicini. Forse. E forse no.
finta di guardare l'orologio, snocciolò un “grazie di avermi offerto da bere” fin Coretti scivolò nel sonno.
troppo da brava bambina e se ne andò. Dieci minuti più tardi, Coretti la seguiva Un mercoledì, tre settimane dopo che aveva iniziato il suo nuovo lavoro, la padrona di casa aprì la porta (non bussava mai) e gli disse che era desiderato al telefono. La sua voce era carica di sospetto, come al solito, e Coretti la seguì lungo il corridoio buio, fino al salotto al secondo piano dove era il telefono.
lungo la Terza Avenue. Non aveva mai seguito nessuno in vita sua, e la cosa lo Sollevando la vecchia cornetta nera all'orecchio, all'inizio sentì solo della musica, poi un rumore indefinibile che si risolse in un amalgama frammentario di conversazioni e risate. I rumori del bar non vennero spezzati da alcuna voce, ma la canzone in sottofondo era “You're the Reason Our Rids Are Ugly”.
spaventava e lo emozionava allo stesso tempo. Quaranta passi gli sembrava la Poi il segnale di occupato, quando riappesero.
distanza giusta, ma cosa avrebbe fatto se lei si fosse guardata alle spalle? La Più tardi, solo nella sua stanza, ascoltando il passo della padrona di casa al piano di sotto, Coretti capì che non c'era più alcuna necessità di rimanere dov'era. La chiamata era arrivata. Ma la padrona chiedeva tre settimane di preavviso se si intendeva andarsene. Per cui Coretti le doveva del denaro.
Terza Avenue non è una strada buia, e fu lì, alla luce dei lampioni, come su un L'istinto gli disse di lasciarglielo. Un operaio nella stanza accanto tossì nel sonno, mentre Coretti si alzava e raggiungeva il telefono. Coretti disse al caposquadra del turno serale che si licenziava. Riappese e tornò nella sua stanza, chiuse la porta a chiave e si tolse lentamente i vestiti, fino a rimanere nudo davanti alla sgargiante litografia di Gesù incorniciata sopra la scrivania in metallo marrone.
palcoscenico, che lei cominciò a cambiare. La strada era deserta. Poi contò nove banconote da dieci dollari. Le mise per bene accanto alla targa con le mani giunte che decorava il piano della scrivania. Erano ottime banconote, perfettamente legali. Le aveva fatte lui.
Stava attraversando la strada. Scese dal marciapiede e cominciò. Cominciò con Questa volta non aveva nessun desiderio di fare conversazione. Lei stava bevendo un Margarita, e lui ordinò lo stesso. Lei pagò, estraendo il denaro con un movimento abile della mano fra i seni che le ondeggiavano sotto la scollatura bassa. Lui scorse la branchia che si chiudeva. Si sentì eccitato, ma, chissà perché, l'eccitamento non si risolse in un'erezione.
la tinta dei capelli. . All'inizio Coretti pensò che fosse il riflesso dei lampioni. Ma Dopo il terzo Margarita le loro anche si toccarono, e lui sentì qualcosa crescergli dentro in lente ondate orgasmiche. Sentiva appiccicaticcio dove si toccavano, una zona larga quanto un pollice dove i vestiti si erano aperti. Era due uomini: quello dentro che si fondeva con lei in una comunione totale, e il guscio che sedeva tranquillo su uno sgabello del bar, i gomiti ai due lati del bicchiere, le dita che giocherellavano con una bacchetta per mescolare i cocktail. Sorrideva beatamente. Calmo, nella penombra fresca. E una volta, ma una volta sola, una parte lontana e preoccupata di lui lo spinse a guardare in basso a vedere morbidi tubi rossi che pulsavano, viticci sormontati da labbra sottili che si muovevano nell'ombra. Come i tentacoli intrecciati di due bizzarre anemoni.
non c'erano luci al neon per produrre quelle macchie di colore che scivolavano e Si stavano accoppiando, e nessuno lo sapeva.
si confondevano come chiazze di olio. Poi i colori svanirono e nel giro di tre E il barista, quando portò ancora una volta da bere, fece un sorriso stanco e disse: — Non vuole proprio smetterla di piovere, oggi.
secondi lei era diventata biondo platino. — Va avanti così da una settimana — rispose Coretti. — Non se ne può più.
Coretti era sicuro che fosse un'illusione ottica, fino a quando il suo vestito E lo disse proprio bene. Come un vero essere umano.
cominciò a fremere, ritirandosi sul corpo come una pellicola di plastica per
alimenti. Una parte si staccò completamente e cadde sull'asfalto in frammenti
accartocciati, come la pelle di un animale. Quando vi passò accanto vide solo una
schiuma verde che si dissolveva spumeggiando.
Guardò verso la ragazza, e il suo vestito era diverso, raso verde dai riflessi
cangianti. Anche le sue scarpe erano cambiate. Le spalle erano nude, a parte le
spalline sottili che le passavano fra le scapole. I capelli le erano diventati corti,
diritti. Si accorse di essersi appoggiato alla vetrina di un gioielliere, il respiro che
gli usciva a rantoli nell'umidità della sera autunnale. Sentì il battito ritmico della
discoteca da due isolati di distanza. Mentre la ragazza si avvicinava, i suoi
movimenti cominciarono impercettibilmente ad assumere un nuovo ritmo, una
diversa enfasi nell'ondeggiare delle anche, nella maniera in cui appoggiava i
tacchi sul marciapiede. Il portiere la fece passare con un vago cenno del capo.
Bloccò Coretti, controllandogli la patente e aggrottando la fronte nel vedere la
sua giacca di lana. Coretti osservò ansiosamente l'onda di luce in cima alla scala
di plastica lattea, oltre il portiere. Era svanita lì, nel lampeggiare robotico e nel
frastuono echeggiante. Controvoglia l'uomo lo lasciò passare, e Coretti salì
veloce le scale, facendo traballare le luci dietro i gradini di plastica trasparente.
Coretti non era mai stato in una discoteca prima di allora; si trovò in un
ambiente progettato per la completa soddisfazione-nella-distrazione. Si fece
strada nervosamente attraverso il movimento e gli abiti appariscenti e i canti
urbani meccanici che tuonavano dai grandi altoparlanti. La cercò quasi alla cieca
sulla pista da ballo affollata di gente in posa coagulata dalle luci stroboscopiche.
Lei si muoveva in perfetto accordo con la musica, assumendo tutta una serie di
pose successive; recitò l'intera sequenza prescritta con grazia, ma senza arte,
adattandosi alla perfezione. Sempre, sempre adattandosi alla perfezione. Gli altri
danzavano meccanicamente, eseguendo faticosamente il rituale.
Quando il ballo finì la ragazza si voltò bruscamente e si tuffò nel folto della
folla. La massa mutevole si chiuse attorno a lei come metallo fuso.
Coretti si buttò dietro di lei senza lasciarla mai con gli occhi. . E fu l'unico ad
accorgersi del cambiamento. Quando lei raggiunse le scale aveva i capelli color
castano dorato, lunghi e dritti, e indossava un lungo abito blu. Fra i capelli le
spuntava un fiore bianco, dietro l'orecchio destro. I seni le erano diventati un
poco più grandi, i fianchi leggermente più pesanti. Scese le scale due gradini alla
volta, e in quel momento lui ebbe paura per lei. Tutti quei liquori.
Ma l'alcool sembrava non avere alcun effetto su di lei. Senza mai staccarle gli
occhi di dosso Coretti la seguì, i battiti del cuore più veloci della musica pulsante
alle sue spalle, sicuro che da un momento all'altro si sarebbe girata, l'avrebbe
visto, avrebbe chiamato aiuto.
Due isolati dopo, lungo la Terza, si infilò da Lothario's. Ora camminava
diversamente. Lothario's era un insieme di sale silenziose, con felci e specchi Art
Déco. C'erano falsi lampadari Tiffany appesi al soffitto, alternati a ventilatori
dalle pale di legno che ruotavano troppo lentamente per disperdere il fumo che
si alzava fra il mormorio consapevolmente dolce della conversazione. Dopo la
discoteca, Lothario's faceva un effetto familiare e piacevole. Un pianista jazz, in
camicia a righine e cravatta allentata faceva a gara sommessamente con la
conversazione e le risate che venivano dai tavoli. Lei andò al bar; gli sgabelli
erano occupati solo per metà, ma Coretti scelse un tavolo d'angolo, all'ombra di
una palma in miniatura, e ordinò un bourbon.
Bevve il bourbon e ne ordinò un altro. Non riusciva a sentire molto gli effetti
dell'alcool, quella sera.
Lei era seduta vicino a un giovane, uno dei soliti giovani con tratti regolari e
anonimi, che indossava una camicia da golf gialla e jeans stirati. Le loro anche si
sfioravano appena. Non sembravano parlare, ma Coretti aveva la sensazione che
in qualche maniera comunicassero. Erano leggermente piegati l'una verso l'altro,
silenziosi. Coretti provava una strana sensazione. Andò nel bagno e si spruzzò la
faccia di acqua. Tornando, fece in modo di passare a un metro di distanza da
loro. Le loro labbra non si mossero finché non fu a portata d'udito. Si
scambiarono a turno chiacchiere realistiche.
— . .ho visto i suoi primi film, ma. .
— Ma è piuttosto narcisista, non ti pare?
— Sì, ma nel senso che. .
E per la prima volta Coretti seppe cosa erano, cosa dovevano essere. Sono
quella razza di persone che si vedono nei bar, che sembra essere cresciuta lì,
sempre perfettamente a proprio agio. Non ubriachi, ma soprammobili in forma
umana. Viventi in funzione del bar. La razza giusta.
Qualcosa dentro di lui anelava a un confronto. Raggiunse il suo tavolo, ma
scoprì che non gli riusciva di sedersi. Si voltò, tirò un profondo respiro e
camminò rigidamente verso il bar. Voleva toccarla sulla spalla liscia e chiederle
chi era, e cosa era esattamente, e farle osservare l'ironia del fatto che era lui,
Coretti, quello che si vestiva come un marziano, quello che origliava, l'intruso, i
cui abiti e la cui conversazione non erano mai quelli giusti, ad aver finalmente
indovinato il loro segreto.
Ma poi gli mancò il coraggio, e si limitò a sedersi vicino a lei e a ordinare un
bourbon.
— Ma non credi — chiese lei al compagno — che sia tutto relativo?
I due posti oltre l'uomo vennero occupati da una coppia che parlava di
politica. Antoinette e Camicia da Golf raccolsero il tema politico senza fare una
piega, riciclandolo, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire. La faccia di
lei, mentre parlava, era priva di espressione. Un uccello che cinguettava su un
ramo. Sedeva sullo sgabello come se fosse un nido. Camicia da Golf pagò le
consumazioni. Aveva sempre il denaro contato, a meno che non volesse lasciare
una mancia.
Coretti li osservò bere metodicamente sei cocktail ciascuno, come insetti che
si nutrono di nettare. Ma non alzavano mai la voce, le loro guance non si
arrossarono, e quando alla fine si alzarono, si muovevano senza alcuna traccia di
ubriachezza. . una debolezza, pensò Coretti, una falla nel travestimento.
Non gli prestarono la minima attenzione mentre li seguiva nei tre bar
successivi.
Quando entrarono da Waylon's si tramutarono così rapidamente che Coretti
ebbe difficoltà a seguire le fasi della trasformazione. Era uno di quei posti dove
sulla porta della toilette maschile c'era scritto “Pointer” e su quella femminile
“Setter”, e cartellini in finto pino sui barattoli di carne secca e salsicce sottaceto:
“Abbiamo fatto un patto con la banca: loro non servono birra e noi non
prendiamo assegni”.
Da Waylon's lei era grassottella, con occhiaie pesanti. Aveva macchie di caffè
sui pantaloni di poliestere. Il suo compagno indossava jeans e maglietta e un
cappello da baseball rosso con uno scudetto bianco e rosso. Coretti rischiò di
perderli di vista mentre attraversava il caos ed entrava nel “Pointer” per trovarsi
davanti a un cartello scritto a mano che diceva: “Noi miriamo a servirvi. Voi
mirate e basta”.
La Terza Avenue si perdeva vicino al porto in un ghigno pietrificato di case in
mattoni. All'ultimo isolato, macchie colorate di vomito segnavano a intervalli il
marciapiede, e dei vecchi sonnecchiavano davanti a televisori in bianco e nero,
sigillati per sempre dietro le porte a vetri appannate di alberghetti sbiaditi. Il bar
in cui entrarono non aveva nome. Un asso di quadri si stava staccando a scaglie
dalla vetrina sporca, e il barista aveva una faccia che assomigliava a un pugno
chiuso. Una radio a transistor in plastica color avorio ululava del rock easy-
listening sulle file sbilenche di tavoli vuoti. Bevvero birra e liquore. Erano vecchi,
adesso, due zeri che bevevano e fumavano alla luce di lampadine nude tossendo
su un pacchetto accartocciato di Camel che lei aveva tirato fuori dalla tasca di un
impermeabile marrone, sporco.
Alle 2 e 25 erano nel bar sul tetto del nuovo hotel che sorgeva sulla riva del
fiume. Lei indossava un abito da sera, lui un vestito scuro. Bevvero cognac e
fecero finta di ammirare le luci della città. Bevvero tre cognac, mentre Coretti li
guardava alzando gli occhi dal bicchiere di cristallo di Waterford contenente
sessanta grammi di Wild Turkey. Bevvero fino all'ora di chiusura. Coretti li seguì
nell'ascensore. Gli sorrisero educatamente ma per il resto lo ignorarono. C'erano
due taxi di fronte all'hotel; loro presero il primo, Coretti il secondo.
— Seguite quel taxi — disse Coretti con voce roca, passando i suoi ultimi venti
dollari al vecchio autista hippy.
— Certo, come no. . — L'autista seguì l'altro taxi per sei isolati fino a un altro
hotel, più modesto. I due scesero ed entrarono. Coretti scese lentamente dal suo
taxi, respirando a fatica. Si sentiva bruciare di gelosia: per quella
personificazione di conformità sociale, per la donna che non era una donna,
quella tappezzeria umana. Coretti fissò l'albergo. . E perse il coraggio. Se ne andò.
— Camminò fino a casa. Sedici isolati. A un certo punto si rese conto di non
essere ubriaco. Neanche un po'.
La mattina telefonò per cancellare la prima lezione. Ma si accorse che i
postumi della sbronza non arrivavano. Non sentiva la bocca arida, e guardandosi
nello specchio del bagno vide che non aveva gli occhi iniettati di sangue.
Il pomeriggio dormì, e sognò gente con la faccia da pecora riflessa in specchi
dietro file di bottiglie.
Quella sera uscì a cena, da solo. E non mangiò niente. Gli sembrava quasi che il
cibo lo fissasse. Lo sparse un po' per il piatto per far sembrare che l'avesse
assaggiato, pagò e andò in un bar. Poi in un altro. E un altro, cercandola. Stava
usando la sua carta di credito, adesso, anche se era già in rosso con la Visa. Se la
vide, non la riconobbe.
Qualche volta andava all'hotel dove l'aveva vista entrare. Guardava con
attenzione ogni coppia che usciva ed entrava. Non perché sperasse di
riconoscerla semplicemente dal suo aspetto. . Ma capiva che doveva esserci una
“sensazione”, una sorta di riconoscimento intuitivo. Osservò le coppie e non ne
fu mai certo.
Nelle settimane seguenti visitò sistematicamente ogni posto della città dove si
vendesse alcool. Servendosi all'inizio di una pianta della città e di cinque pagine
gialle strappate, si introdusse a poco a poco fin nei locali più oscuri, posti senza
numero del telefono sulla guida.
Alcuni il telefono non ce l'avevano neppure. Si iscrisse a club privati di dubbia
reputazione, scoprì posti senza licenza che rimanevano aperti oltre le ore
consentite, dove bisognava portarsi da bere, e sedette nervosamente in stanze
buie utilizzate per un tipo anomalo di sessualità di cui non aveva mai neppure
sospettato l'esistenza.
Ma proseguì in quello che era diventato il suo circuito notturno. Cominciava
sempre dal Backdoor. Lei non era mai lì, né nel bar successivo, né in quello dopo
ancora. I baristi lo conoscevano, e lo accoglievano bene perché comprava da
bere in continuazione e sembrava che non si ubriacasse mai. Era vero che fissava
un po' gli altri clienti, ma che c'era di male?
Coretti perse il lavoro.
Aveva saltato troppe lezioni. Aveva cominciato a fare la guardia all'hotel anche
di giorno. Era stato visto in troppi bar. Sembrava che non si cambiasse mai
d'abito. Rifiutava i corsi serali. Interrompeva nel bel mezzo una lezione, per
fissare la finestra con occhi vuoti. Provò un segreto piacere ad essere licenziato.
Lo avevano guardato in maniera strana alla mensa, dove non riusciva a
mangiare. E adesso aveva più tempo per la sua ricerca.
Coretti la trovò alle 2.15 di un mercoledì notte in un bar gay chiamato il Barn.
Rivestito di legno grezzo, pieno di cavezze e attrezzi agricoli arrugginiti, il locale
era pieno di profumo, di risate, di birra.
Lei rideva e scherzava con tutti, in un vestito in lustrini blu e con una penna
verde nella cuffia sui capelli castani. Con un sollievo che sentiva quasi fin nelle
cellule, Coretti si rese conto di provare una sorta di ammirazione, uno strano
orgoglio per la donna e per la sua razza. Anche lì lei era a suo agio.
Era l'esempio tipico della donna che amava la compagnia degli omosessuali, e
che non rappresentava per loro alcun pericolo. Il suo compagno era diventato un
uomo senza età, con le tempie argentate, maglione di angora e impermeabile.
Bevevano e bevevano, e uscirono ridendo, con il giusto tipo di risata, nella
pioggia. Un taxi li aspettava. I tergicristalli sembravano duplicare il battito del
cuore di Coretti.
Correndo goffamente sul marciapiede umido, Coretti si infilò nel taxi,
pensando con terrore alla loro reazione.
Coretti si trovò sul sedile posteriore accanto a lei. L'uomo con le tempie
argentate parlò all'autista. L'autista mormorò qualcosa nel microfono, mise in
moto, e scivolarono via nella pioggia e nelle strade buie. Il paesaggio cittadino
non fece alcuna impressione su Coretti, che guardando dentro di sé vedeva il taxi
fermarsi, l'uomo grigio e la donna ridente che lo spingevano fuori e indicavano,
sorridendo, il cancello di un manicomio. Oppure: il taxi che si fermava, la coppia
che si voltava e scuoteva tristemente la testa. E una dozzina di volte gli sembrò
di vedere il taxi fermarsi in una stradina solitaria, dove i due lo strangolavano in
tutta calma. Coretti abbandonato morto nella pioggia. Perché era un intruso.
Ma arrivarono all'albergo di Coretti.
Nella luce fioca della cabina del taxi guardò attentamente l'uomo mentre
infilava una mano nell'impermeabile per pagare. Coretti vide chiaramente la
fodera dell'impermeabile, ed era un pezzo unico con il maglione di angora. Non
c'era alcun rigonfio del portafoglio, nessuna tasca. Ma una fessura si aprì, si
allargò quando le dita dell'uomo vi si appoggiarono sopra e ne uscì del denaro.
Tre banconote ripiegate scivolarono fuori dalla fessura. Il denaro era
leggermente umido. Si asciugò mentre l'uomo lo apriva, come le ali di una
farfalla appena emersa dalla crisalide.
— Tenete il resto — disse l'uomo uscendo dal taxi. Anche Antoinette uscì, e
Coretti la seguì, vedendo con la mente solo la fessura. La fessura umida, con i
bordi rossi, come una branchia. La hall era deserta il portiere di notte intento a
fare le parole crociate. La coppia attraversò silenziosamente la hall ed entrò
nell'ascensore, con Coretti alle calcagna.
— Una volta lui cercò di guardarla negli occhi, ma lei lo ignorò. E una volta,
mentre l'ascensore saliva sette piani oltre quello di Coretti, lei si chinò e annusò
il portacenere cromato appeso alla parete, come un cane che annusi il terreno.
Gli alberghi, a notte fonda, non sono mai tranquilli. I corridoi non sono mai del
tutto silenziosi. Ci sono innumerevoli sospiri appena udibili, il fruscio delle
lenzuola, voci soffocate che mormorano frasi spezzate nel sonno. Ma nel
corridoio del nono piano a Coretti parve di muoversi in un vuoto perfetto, senza
suoni, le scarpe che non facevano alcun rumore sul tappeto incolore, e anche il
battito del suo cuore da intruso risucchiato nel disegno indistinto che decorava
la tappezzeria.
Cercò di contare i piccoli ovali di plastica avvitati alle porte, ciascuno con i
suoi tre numeri, ma il corridoio sembrava proseguire all'infinito. Alla fine l'uomo
si fermò di fronte a una porta, una porta impiallacciata come le altre in finto
palissandro, e appoggiò la mano sulla maniglia, il palmo piatto sul metallo. Si
sentì un rumore stridente, soffocato, poi la serratura che scattava, la porta che si
apriva. Mentre l'uomo ritraeva la mano Coretti vide una scheggia ossea grigio-
rosa a forma di chiave, ritirarsi umida nella carne pallida.
Non c'era nessuna luce accesa nella stanza, ma il bagliore al neon della città
filtrava attraverso le veneziane, permettendogli di vedere le facce di una dozzina
o più di persone sedute sul letto, sul divano, sulle poltrone, sugli sgabelli in
cucina. All'inizio gli parve che tenessero gli occhi aperti, poi si rese conto che le
pupille spente erano coperte da membrane, come una terza palpebra che
rifletteva la luce proveniente dalla finestra. Indossavano gli abiti dell'ultimo bar:
cappotti informi dell'Esercito della Salvezza e abiti sportivi colorati, vestiti
lunghi da sera e tute da lavoro polverose, giacche da motociclista in pelle e
Harris tweed. Con il sonno era svanita ogni traccia di umanità.
Stavano facendo il nido.
La coppia si sedette sul bordo del tavolo in formica della cucina, e Coretti
rimase fermo, incerto, in mezzo al tappeto vuoto. Anni luce di tappeto
sembravano separarlo dagli altri, ma qualcosa lo chiamò, promettendogli riposo,
pace e sicurezza. Ma esitava ancora, scosso da un'indecisione che sembrava
nascergli nel codice genetico di ciascuna cellula.
Fino a quando non aprirono gli occhi, tutti insieme simultaneamente le
membrane che scivolavano di lato rivelando una calma aliena, da abitatori della
fossa più oscura dell'oceano.
Coretti urlò, e corse via, scappò lungo i corridoi e le scale echeggianti in
cemento, fino alla pioggia fresca e alle strade quasi vuote.
Coretti non tornò più alla sua stanza, al terzo piano. Un detective d'albergo
annoiato raccolse i testi di linguistica, l'unica valigia con i vestiti, e alla fine il
tutto venne venduto all'asta. Coretti prese una stanza in una pensione diretta da
un'arcigna signora astemia, di religione battista, che faceva pregare i suoi
inquilini prima di iniziare le cene squallide. Non le importava se Coretti non
partecipava mai. Lui le aveva spiegato che mangiava gratis in mensa. Mentiva
abilmente e abbondantemente. Non beveva mai nella pensione e non tornava
mai a casa ubriaco. Il signor Coretti era un po' strano, ma pagava sempre
puntuale. Ed era molto tranquillo. Coretti smise di cercarla. Smise di andare nei
bar. Beveva da una bottiglia in un sacchetto di carta mentre andava e tornava dal
lavoro, al deposito di una casa editrice, in una zona industriale dove c'erano
pochi bar.
Lavorava di notte.
Qualche volta, all'alba, seduto sul bordo del letto disfatto, mentre scivolava nel
sonno (non dormiva più sdraiato), pensava a lei. Antoinette. E a loro. La razza
giusta. Qualche volta faceva delle ipotesi, sognava. . Forse erano come topi
domestici, animali evoluti per vivere soltanto fra le strutture costruite
dall'uomo. Un animale che si nutre solo di bevande alcooliche. Un particolare
metabolismo che trasforma l'alcool e le varie proteine dei cocktail e del vino e
della birra in qualsiasi cosa serva loro. E possono cambiare il loro aspetto
esteriore come camaleonti o scorpene, per proteggersi. Per poter vivere fra di
noi. E forse, pensò Coretti, passano attraverso vari stadi di crescita. In quelli
iniziali sembrano uomini, mangiano il cibo degli uomini, avvertono la propria
differenza solo per la sensazione fastidiosa di essere degli intrusi. Un animale
dotato di una sua astuzia, di un suo istinto. E della capacità di accorgersi dei suoi
simili, quando sono vicini. Forse. E forse no.
Coretti scivolò nel sonno.
Un mercoledì, tre settimane dopo che aveva iniziato il suo nuovo lavoro, la
padrona di casa aprì la porta (non bussava mai) e gli disse che era desiderato al
telefono. La sua voce era carica di sospetto, come al solito, e Coretti la seguì
lungo il corridoio buio, fino al salotto al secondo piano dove era il telefono.
Sollevando la vecchia cornetta nera all'orecchio, all'inizio sentì solo della musica,
poi un rumore indefinibile che si risolse in un amalgama frammentario di
conversazioni e risate. I rumori del bar non vennero spezzati da alcuna voce, ma
la canzone in sottofondo era “You're the Reason Our Rids Are Ugly”.
Poi il segnale di occupato, quando riappesero.
Più tardi, solo nella sua stanza, ascoltando il passo della padrona di casa al
piano di sotto, Coretti capì che non c'era più alcuna necessità di rimanere
dov'era. La chiamata era arrivata. Ma la padrona chiedeva tre settimane di
preavviso se si intendeva andarsene. Per cui Coretti le doveva del denaro.
L'istinto gli disse di lasciarglielo. Un operaio nella stanza accanto tossì nel sonno,
mentre Coretti si alzava e raggiungeva il telefono. Coretti disse al caposquadra
del turno serale che si licenziava. Riappese e tornò nella sua stanza, chiuse la
porta a chiave e si tolse lentamente i vestiti, fino a rimanere nudo davanti alla
sgargiante litografia di Gesù incorniciata sopra la scrivania in metallo marrone.
Poi contò nove banconote da dieci dollari. Le mise per bene accanto alla targa
con le mani giunte che decorava il piano della scrivania. Erano ottime banconote,
perfettamente legali. Le aveva fatte lui.
Questa volta non aveva nessun desiderio di fare conversazione. Lei stava
bevendo un Margarita, e lui ordinò lo stesso. Lei pagò, estraendo il denaro con
un movimento abile della mano fra i seni che le ondeggiavano sotto la scollatura
bassa. Lui scorse la branchia che si chiudeva. Si sentì eccitato, ma, chissà perché,
l'eccitamento non si risolse in un'erezione.
Dopo il terzo Margarita le loro anche si toccarono, e lui sentì qualcosa
crescergli dentro in lente ondate orgasmiche. Sentiva appiccicaticcio dove si
toccavano, una zona larga quanto un pollice dove i vestiti si erano aperti. Era due
uomini: quello dentro che si fondeva con lei in una comunione totale, e il guscio
che sedeva tranquillo su uno sgabello del bar, i gomiti ai due lati del bicchiere, le
dita che giocherellavano con una bacchetta per mescolare i cocktail. Sorrideva
beatamente. Calmo, nella penombra fresca. E una volta, ma una volta sola, una
parte lontana e preoccupata di lui lo spinse a guardare in basso a vedere morbidi
tubi rossi che pulsavano, viticci sormontati da labbra sottili che si muovevano
nell'ombra. Come i tentacoli intrecciati di due bizzarre anemoni.
Si stavano accoppiando, e nessuno lo sapeva.
E il barista, quando portò ancora una volta da bere, fece un sorriso stanco e
disse: — Non vuole proprio smetterla di piovere, oggi.
— Va avanti così da una settimana — rispose Coretti. — Non se ne può più.
E lo disse proprio bene. Come un vero essere umano.

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