From b0f1b7cab48d435d8d4cfcfbbcfa5e63d815212b Mon Sep 17 00:00:00 2001 From: John Doe Date: Wed, 12 Nov 2025 20:02:52 +0100 Subject: [PATCH] Corretto: rimossi tutti gli accapo inutili nei paragrafi --- Gibson/00_indice.md | 9 +- Gibson/00_prefazione.md | 210 +-- Gibson/01_johnny_mnemonico.md | 1204 ++------------ Gibson/02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md | 1346 +++------------- Gibson/03_il_continuum_di_gernsback.md | 674 +------- Gibson/04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md | 382 +---- Gibson/05_hinterland.md | 1172 ++------------ Gibson/06_new_rose_hotel.md | 814 ++-------- Gibson/07_il_mercato_dinverno.md | 1370 +++------------- Gibson/08_la_razza_giusta.md | 802 ++-------- Gibson/09_stella_rossa_orbita_dinverno.md | 1258 +++------------ Gibson/10_duello.md | 1424 +++-------------- 12 files changed, 1427 insertions(+), 9238 deletions(-) diff --git a/Gibson/00_indice.md b/Gibson/00_indice.md index ee16263..ce01959 100644 --- a/Gibson/00_indice.md +++ b/Gibson/00_indice.md @@ -1,12 +1,7 @@ # La notte che bruciammo Chrome -**William Gibson** - ---- - -Raccolta di racconti del cyberpunk (Urania 1110, 1989) +**William Gibson** --- Raccolta di racconti del cyberpunk (Urania 1110, 1989) ## Indice -1. [Prefazione](00_prefazione.md) -2. [Johnny Mnemonico](01_johnny_mnemonico.md) 3. [La notte che bruciammo Chrome](02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md) 4. [Il continuum di Gernsback](03_il_continuum_di_gernsback.md) 5. [Frammenti di una rosa olografica](04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md) 6. [Hinterland](05_hinterland.md) 7. [New Rose Hotel](06_new_rose_hotel.md) 8. [Il mercato d'inverno](07_il_mercato_dinverno.md) 9. [La razza giusta](08_la_razza_giusta.md) 10. [Stella rossa, orbita d'inverno](09_stella_rossa_orbita_dinverno.md) 11. [Duello](10_duello.md) +1. [Prefazione](00_prefazione.md) 2. [Johnny Mnemonico](01_johnny_mnemonico.md) 3. [La notte che bruciammo Chrome](02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md) 4. [Il continuum di Gernsback](03_il_continuum_di_gernsback.md) 5. [Frammenti di una rosa olografica](04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md) 6. [Hinterland](05_hinterland.md) 7. [New Rose Hotel](06_new_rose_hotel.md) 8. [Il mercato d'inverno](07_il_mercato_dinverno.md) 9. [La razza giusta](08_la_razza_giusta.md) 10. [Stella rossa, orbita d'inverno](09_stella_rossa_orbita_dinverno.md) 11. [Duello](10_duello.md) \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/00_prefazione.md b/Gibson/00_prefazione.md index 976b493..c798405 100644 --- a/Gibson/00_prefazione.md +++ b/Gibson/00_prefazione.md @@ -1,211 +1,41 @@ # Prefazione -Se i poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo, gli scrittori di +Se i poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo, gli scrittori di fantascienza sono i suoi buffoni di corte. Noi siamo Pazzi Saggi che fanno capriole, pronunciano profezie e si grattano in pubblico. Possiamo scherzare delle Grandi Idee perché le nostre sgargianti origini nelle riviste popolari ci fanno apparire innocui. -fantascienza sono i suoi buffoni di corte. Noi siamo Pazzi Saggi che fanno +Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura, si diffondono in maniera invisibile come una radiazione di fondo. -capriole, pronunciano profezie e si grattano in pubblico. Possiamo scherzare +Ma la triste verità è che la fantascienza negli ultimi tempi non ha divertito molto. Tutte le forme di cultura popolare attraversano momenti di depressione. -delle Grandi Idee perché le nostre sgargianti origini nelle riviste popolari ci +Se la fantascienza dei tardi anni Settanta era confusa, ripiegata su se stessa, stantia, non c'è da stupirsene. -fanno apparire innocui. +William Gibson è uno dei nostri migliori messaggeri di un futuro migliore. La sua breve carriera lo ha già consacrato come uno dei più importanti scrittori degli anni Ottanta. Il suo stupefacente primo romanzo, “Neuromante”, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L'effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la fantascienza dal suo letargo dogmatico. Uscita dall'ibernazione sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. E noi siamo magri, affamati, e non dell'umore migliore. -Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo +D'ora in poi le cose andranno in maniera diversa. L'antologia che avete fra le mani contiene tutte le opere brevi scritte finora da Gibson. È raro poter assistere allo sviluppo straordinariamente rapido di un grande scrittore. La strada che intendeva seguire era già visibile nella prima storia pubblicata, “Frammenti di una rosa olografica”, del 1977. I segni distintivi di Gibson sono già presenti: una complessa sintesi di moderna cultura pop, alta tecnologia, tecniche letterarie d'avanguardia. -influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul +Il secondo racconto di Gibson, “Il continuum di Gernsback”, ce lo mostra mentre prende di mira il padre fondatore della tradizione fantascientifica. È una denuncia devastante della “scientifiction” nella sua tradizione di miope tecnocrazia. Vediamo qui uno scrittore che conosce le sue radici, e si sta preparando a una radicale trasformazione. -serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura, si diffondono in maniera +Gibson ha dato la prova più matura delle sue capacità nella serie dell'”Agglomerato”: “Johnny Mnemonico”, “New Rose Hotel” e l'incredibile “La notte che bruciammo Chrome”. La pubblicazione di questi racconti sulla rivista “Omni” mostrò un livello di concentrazione e immaginazione che diede uno scossone all'intero genere fantascientifico. Queste storie densissime e barocche meritano di essere lette più volte, per la loro cupa e implacabile passione, per i dettagli intensamente precisi. -invisibile come una radiazione di fondo. +Il trionfo di questi pezzi sta nella loro capacità di evocare un futuro credibile. -Ma la triste verità è che la fantascienza negli ultimi tempi non ha divertito +Un compito difficilissimo, che molti scrittori di fantascienza hanno evitato di affrontare per anni. Questo fallimento intellettuale spiega lo spaventoso proliferare di storie sul dopo-olocausto, di fantasie di spada-e-magia, e di quelle onnipresenti “space opera” in cui imperi galattici crollano molto opportunamente nella barbarie. Tutti questi sotto-generi sono il prodotto del desiderio impellente da parte degli scrittori di non occuparsi realisticamente del futuro. -molto. Tutte le forme di cultura popolare attraversano momenti di depressione. +Ma nelle storie dell'Agglomerato vediamo un futuro ricavato in maniera riconoscibile e dolorosa dalle moderne situazioni sociali. È multiforme, sofisticato, globale nella sua visione. Deriva da una nuova serie di punti di partenza: non dalle formule trite dei robot, delle astronavi, del moderno miracolo atomico, ma dalla cibernetica, dalle biotecnologie, dalla rete informatica, per dirne solo alcune. Le tecniche estrapolative di Gibson sono quelle della fantascienza classica e pura, ma il modo in cui le sviluppa è tipico della New Wave. Al posto dei soliti tecnici spassionati e degli eroi tutti di un pezzo della fantascienza tecnologica, i suoi personaggi sono una ciurma di perdenti, truffatori, reietti, emarginati e schizofrenici. Vediamo questo futuro dall'interno, come è vissuto, non semplicemente come arida speculazione. -Se la fantascienza dei tardi anni Settanta era confusa, ripiegata su se stessa, +Gibson mette fine a quel fertile archetipo gernsbackiano, Ralph 124C41+, il tecnocrate ben educato che dalla sua torre d'avorio sparge la benedizione della superscienza sulle masse. Nelle opere di Gibson ci ritroviamo nelle strade e nei vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l'alta tecnologia è un ronzio costante, “come un esperimento impazzito di darwinismo sociale, inventato da un ricercatore annoiato che tiene perennemente premuto l'acceleratore.” La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. È un flusso di radiazioni mutagene che si diffondono fra una folla, un Autobus Globale stracarico che si inerpica a tutta velocità lungo una salita esponenziale. -stantia, non c'è da stupirsene. +Queste storie ci dipingono un ritratto immediatamente riconoscibile del destino moderno. Le estrapolazioni di Gibson mostrano con enorme nitidezza la massa nascosta di quell'iceberg che è il mutamento sociale. L'iceberg scivola in questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure. -William Gibson è uno dei nostri migliori messaggeri di un futuro migliore. La +Molti scrittori di fantascienza, posti di fronte a questo mostro in agguato, hanno alzato le mani al cielo, predicendo il disastro. Anche se nessuno potrebbe accusare Gibson di ingenuo ottimismo, egli ha evitato questa scappatoia. Questo è un altro tratto distintivo della scuola emergente di scrittori degli anni Ottanta: -sua breve carriera lo ha già consacrato come uno dei più importanti scrittori +la noia dell'Apocalisse. Gibson non perde tempo ad agitare il dito o a torcersi le mani. Tiene gli occhi bene aperti, e, come ha notato Algis Budrys, non ha paura di rimboccarsi le maniche. Queste sono cospicue virtù. -degli anni Ottanta. Il suo stupefacente primo romanzo, “Neuromante”, che ha +Un altro segno ci mostra che Gibson è parte di un consenso crescente nella fantascienza: prova ne è la facilità con cui collabora con altri scrittori. Tre di queste collaborazioni compaiono in questa antologia. “La razza giusta” è un raro esempio di horror spumeggiante di folle surrealismo. “Stella rossa, orbita d'inverno” è un altro pezzo sul futuro prossimo, con uno sfondo meravigliosamente dettagliato e autentico, con il suo punto di vista globale, multiculturale, tipico della fantascienza degli anni Ottanta, “Duello” è una storia brutale e terribile, con la combinazione di bassifondi e alta tecnologia che è tipica di Gibson. -vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile +Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l'aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia. Ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale: -capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L'effetto è +Le Carré, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”: -stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la fantascienza +quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo. La fantascienza ha vissuto di rendita per un lungo inverno. Gibson, insieme a una schiera di nuovi scrittori dotati di inventiva e ambizione, ha risvegliato il genere e l'ha lanciato alla ricerca di cibo fresco. E questo è un gran bene per noi tutti. -dal suo letargo dogmatico. Uscita dall'ibernazione sta sbucando dalla sua - -caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. E noi siamo magri, - -affamati, e non dell'umore migliore. - -D'ora in poi le cose andranno in maniera diversa. L'antologia che avete fra le - -mani contiene tutte le opere brevi scritte finora da Gibson. È raro poter assistere - -allo sviluppo straordinariamente rapido di un grande scrittore. La strada che - -intendeva seguire era già visibile nella prima storia pubblicata, “Frammenti di - -una rosa olografica”, del 1977. I segni distintivi di Gibson sono già presenti: una - -complessa sintesi di moderna cultura pop, alta tecnologia, tecniche letterarie - -d'avanguardia. - -Il secondo racconto di Gibson, “Il continuum di Gernsback”, ce lo mostra - -mentre prende di mira il padre fondatore della tradizione fantascientifica. È una - -denuncia devastante della “scientifiction” nella sua tradizione di miope - -tecnocrazia. Vediamo qui uno scrittore che conosce le sue radici, e si sta - -preparando a una radicale trasformazione. - -Gibson ha dato la prova più matura delle sue capacità nella serie - -dell'”Agglomerato”: “Johnny Mnemonico”, “New Rose Hotel” e l'incredibile “La - -notte che bruciammo Chrome”. La pubblicazione di questi racconti sulla rivista - -“Omni” mostrò un livello di concentrazione e immaginazione che diede uno - -scossone all'intero genere fantascientifico. Queste storie densissime e barocche - -meritano di essere lette più volte, per la loro cupa e implacabile passione, per i - -dettagli intensamente precisi. - -Il trionfo di questi pezzi sta nella loro capacità di evocare un futuro credibile. - -Un compito difficilissimo, che molti scrittori di fantascienza hanno evitato di - -affrontare per anni. Questo fallimento intellettuale spiega lo spaventoso - -proliferare di storie sul dopo-olocausto, di fantasie di spada-e-magia, e di quelle - -onnipresenti “space opera” in cui imperi galattici crollano molto - -opportunamente nella barbarie. Tutti questi sotto-generi sono il prodotto del - -desiderio impellente da parte degli scrittori di non occuparsi realisticamente del - -futuro. - -Ma nelle storie dell'Agglomerato vediamo un futuro ricavato in maniera - -riconoscibile e dolorosa dalle moderne situazioni sociali. È multiforme, - -sofisticato, globale nella sua visione. Deriva da una nuova serie di punti di - -partenza: non dalle formule trite dei robot, delle astronavi, del moderno - -miracolo atomico, ma dalla cibernetica, dalle biotecnologie, dalla rete - -informatica, per dirne solo alcune. Le tecniche estrapolative di Gibson sono - -quelle della fantascienza classica e pura, ma il modo in cui le sviluppa è tipico - -della New Wave. Al posto dei soliti tecnici spassionati e degli eroi tutti di un - -pezzo della fantascienza tecnologica, i suoi personaggi sono una ciurma di - -perdenti, truffatori, reietti, emarginati e schizofrenici. Vediamo questo futuro - -dall'interno, come è vissuto, non semplicemente come arida speculazione. - -Gibson mette fine a quel fertile archetipo gernsbackiano, Ralph 124C41+, il - -tecnocrate ben educato che dalla sua torre d'avorio sparge la benedizione della - -superscienza sulle masse. Nelle opere di Gibson ci ritroviamo nelle strade e nei - -vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l'alta tecnologia è un - -ronzio costante, “come un esperimento impazzito di darwinismo sociale, - -inventato da un ricercatore annoiato che tiene perennemente premuto - -l'acceleratore.” La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre - -meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. È un flusso di - -radiazioni mutagene che si diffondono fra una folla, un Autobus Globale - -stracarico che si inerpica a tutta velocità lungo una salita esponenziale. - -Queste storie ci dipingono un ritratto immediatamente riconoscibile del - -destino moderno. Le estrapolazioni di Gibson mostrano con enorme nitidezza la - -massa nascosta di quell'iceberg che è il mutamento sociale. L'iceberg scivola in - -questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo - -secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure. - -Molti scrittori di fantascienza, posti di fronte a questo mostro in agguato, - -hanno alzato le mani al cielo, predicendo il disastro. Anche se nessuno potrebbe - -accusare Gibson di ingenuo ottimismo, egli ha evitato questa scappatoia. Questo - -è un altro tratto distintivo della scuola emergente di scrittori degli anni Ottanta: - -la noia dell'Apocalisse. Gibson non perde tempo ad agitare il dito o a torcersi le - -mani. Tiene gli occhi bene aperti, e, come ha notato Algis Budrys, non ha paura di - -rimboccarsi le maniche. Queste sono cospicue virtù. - -Un altro segno ci mostra che Gibson è parte di un consenso crescente nella - -fantascienza: prova ne è la facilità con cui collabora con altri scrittori. Tre di - -queste collaborazioni compaiono in questa antologia. “La razza giusta” è un raro - -esempio di horror spumeggiante di folle surrealismo. “Stella rossa, orbita - -d'inverno” è un altro pezzo sul futuro prossimo, con uno sfondo - -meravigliosamente dettagliato e autentico, con il suo punto di vista globale, - -multiculturale, tipico della fantascienza degli anni Ottanta, “Duello” è una storia - -brutale e terribile, con la combinazione di bassifondi e alta tecnologia che è - -tipica di Gibson. - -Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua - -voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore - -dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura - -fantascientifica per farvi entrare l'aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura - -degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e - -tecnologia. Ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale: - -Le Carré, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è - -un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”: - -quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità - -specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo. La - -fantascienza ha vissuto di rendita per un lungo inverno. Gibson, insieme a una - -schiera di nuovi scrittori dotati di inventiva e ambizione, ha risvegliato il genere - -e l'ha lanciato alla ricerca di cibo fresco. E questo è un gran bene per noi tutti. - -Bruce Sterling +Bruce Sterling \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/01_johnny_mnemonico.md b/Gibson/01_johnny_mnemonico.md index 1247d8c..948cd24 100644 --- a/Gibson/01_johnny_mnemonico.md +++ b/Gibson/01_johnny_mnemonico.md @@ -2,1206 +2,328 @@ _(Johnny Mnemonic, 1981)_ -Misi il fucile da caccia in una borsa Adidas e la imbottii con quattro paia di +Misi il fucile da caccia in una borsa Adidas e la imbottii con quattro paia di calze da tennis. Tutto il contrario del mio stile abituale, ma era proprio questo il mio scopo: se ti credono rozzo, fai il raffinato; se ti credono raffinato, mostrati rozzo. Io sono molto raffinato. Perciò decisi di sembrare il più rozzo possibile. Di questi tempi, poi, uno deve essere piuttosto raffinato prima di poter anche aspirare alla grossolanità. Mi ero dovuto fabbricare tutte e due le cartucce calibro 12 a partire da un blocco di ottone, su un tornio, e caricarle personalmente; avevo dovuto scovare un vecchio microfilm con le istruzioni per le cartucce da caricare a mano; avevo dovuto costruire un meccanismo a leva per collocare il fulminante. . Una faccenda piuttosto complicata. Ma sapevo che avrebbe funzionato. L'incontro era fissato per le 23 al _Drome_ , ma scesi tre fermate di metropolitana dopo quella più vicina, e tornai indietro a piedi. -calze da tennis. Tutto il contrario del mio stile abituale, ma era proprio questo il +Procedura impeccabile. -mio scopo: se ti credono rozzo, fai il raffinato; se ti credono raffinato, mostrati +Mi controllai nella fiancata cromata di un chiosco del caffè: tipica faccia caucasica dai lineamenti marcati, chioma dritta e nera. Le ragazze all' _Under the_ -rozzo. Io sono molto raffinato. Perciò decisi di sembrare il più rozzo possibile. Di +_Knife_ andavano matte per Sony Mao, e avevo dovuto faticare per impedirgli di aggiungere un tocco chic di pieghe epicantiche. Probabilmente non sarebbe servito a ingannare Ralfi Face, ma poteva farmi arrivare vicino al suo tavolo. Il _Drome_ è costituito da un'unica stanza stretta, con un bancone lungo uno dei lati e tavoli lungo l'altro, pieno di papponi, allenatori di boxe e un arcano assortimento di trafficanti. Quella sera alla porta c'erano le Magnetic Dog Sisters, e non mi sorrideva l'idea di dover uscire in mezzo a loro, se le cose si mettevano male. Erano alte due metri, sottili come levrieri. Una era bianca e l'altra nera, ma a parte questo erano identiche quanto poteva renderle la chirurgia cosmetica. -questi tempi, poi, uno deve essere piuttosto raffinato prima di poter anche +Erano amanti da anni, e sapevano essere degli ossi duri in combattimento. Non ero mai riuscito a capire quale delle due fosse stata originariamente maschio. -aspirare alla grossolanità. Mi ero dovuto fabbricare tutte e due le cartucce +Ralfi era seduto al suo solito tavolo. E mi doveva un sacco di soldi. Avevo centinaia di megabyte riposti nella memoria, in modalità trasmissione automatica; informazioni a cui non potevo accedere coscientemente. Era stato Ralfi a mettercele. Ma non era venuto a riprendersele. Soltanto Ralfi poteva recuperare i dati, mediante una frase in codice che solo lui conosceva. Già i miei servizi non si possono considerare a buon mercato, ma la mia tariffa sul tempo supplementare è astronomica. E Ralfi era stato molto tirchio. Poi avevo sentito che Ralfi Face cercava qualcuno per farmi fuori. Così avevo organizzato un incontro al _Drome_ , ma sotto il nome di Edward Bax, importatore clandestino, già di Rio e Pechino. Il _Drome_ puzzava di affari: un odore acuto e metallico di tensione nervosa. Gorilla sparsi fra la folla mettevano in mostra la loro mercanzia con sorrisi freddi e sottili, alcuni talmente appesantiti da sovrastrutture di trapianti muscolari che i loro tratti non erano più neppure umani. -calibro 12 a partire da un blocco di ottone, su un tornio, e caricarle +Permesso. Permesso, ragazzi. È solo Eddie Bax, Fast Eddie l'importatore. Con la sua borsa da ginnastica, professionalmente anonima, e vi prego di non far caso a quella fessura grande abbastanza per infilarci dentro la mano. -personalmente; avevo dovuto scovare un vecchio microfilm con le istruzioni per +Ralfi non era solo. Ottanta chili di gorilla biondo californiano erano appollaiati sulla sedia accanto alla sua. Sembrava che avesse scritto addosso “arti marziali”. -le cartucce da caricare a mano; avevo dovuto costruire un meccanismo a leva +Eddie Bax, veloce come il lampo, si trovò sulla sedia di fronte a loro prima che il gorilla potesse staccare le mani dal tavolo. — Sei cintura nera? — chiesi prontamente. Lui annuì, mentre i suoi occhi azzurri correvano automaticamente dai miei occhi alle mie mani, e viceversa. — Anch'io — dissi. — La mia ce l'ho qui. — E infilai la mano nella borsa, togliendo la sicura. Clic. — Calibro 12, doppia canna, con i grilletti collegati. -per collocare il fulminante. . Una faccenda piuttosto complicata. Ma sapevo che +— È un fucile — disse Ralfi, appoggiando una mano grassoccia sul petto di nylon azzurro teso del suo uomo. — Johnny ha nella borsa una vecchia arma da fuoco. — Tanti saluti a Edward Bax. Immagino che sia sempre stato Ralfi Questo o Quell'altro, ma doveva il suo soprannome a una singolare vanità. Su un corpo che assomigliava a una pera troppo matura, indossava da vent'anni la faccia un tempo famosa di Christian White il Christian White della Aryan Reggae Band, il Sony Mao della sua generazione, il campione del rock razzista. Sono un mago per i dettagli. -avrebbe funzionato. L'incontro era fissato per le 23 al _Drome_ , ma scesi tre +Christian White: classica faccia pop, con i muscoli ben definiti di un cantante, gli zigomi cesellati. Angelica sotto una certa luce, bella e depravata sotto un'altra. -fermate di metropolitana dopo quella più vicina, e tornai indietro a piedi. +Ma gli occhi di Ralfi vivevano dietro quella faccia, ed erano piccoli, freddi e neri. -Procedura impeccabile. +— Per favore — disse — vediamo di sistemare questa faccenda da uomini d'affari. — Aveva la voce segnata da un'accattivante sincerità, e gli angoli della sua bellissima bocca alla Christian White erano sempre umidi. — Il nostro amico Lewis — accennò verso il gorilla — è un perfetto imbecille. — Lewis rimase impassibile: sembrava costruito con una scatola di montaggio. — Tu non sei un imbecille, Johnny. -Mi controllai nella fiancata cromata di un chiosco del caffè: tipica faccia +— Sicuro che lo sono, Ralfi: un imbecille pieno zeppo di trapianti dove puoi buttare i tuoi panni sporchi mentre vai in giro a cercare qualcuno che mi ammazzi. Vista la situazione dalla mia parte della barricata, Ralfi, direi che mi devi qualche spiegazione. -caucasica dai lineamenti marcati, chioma dritta e nera. Le ragazze all' _Under the_ +— Si tratta di questi ultimi articoli, Johnny. — Tirò un profondo respiro. — Nel mio ruolo di mediatore. . -_Knife_ andavano matte per Sony Mao, e avevo dovuto faticare per impedirgli di +— Di ricettatore — lo corressi. -aggiungere un tocco chic di pieghe epicantiche. Probabilmente non sarebbe +— Di mediatore, sono molto cauto con le mie fonti. -servito a ingannare Ralfi Face, ma poteva farmi arrivare vicino al suo tavolo. Il +— Compri solo da quelli che rubano bene. Ho capito. -_Drome_ è costituito da un'unica stanza stretta, con un bancone lungo uno dei lati +Lui sospirò di nuovo. — Cerco — disse stancamente — di non comprare dagli sciocchi. Questa volta ho paura di averlo fatto. — Il terzo sospiro fu il segnale a Lewis di azionare il distruttore neurale che avevano attaccato sotto il mio lato del tavolo. Cercai con tutte le mie forze di contrarre l'indice della destra, ma mi sembrava che non fosse più collegato a me. Sentivo il metallo del fucile e il nastro imbottito che avevo avvolto attorno al calcio tozzo, ma le mie mani erano cera fredda, lontane e inerti. Speravo che Lewis fosse davvero un imbecille, così stupido da venire a prendere la borsa e tirarmi il dito irrigidito, ma non lo era. -e tavoli lungo l'altro, pieno di papponi, allenatori di boxe e un arcano +— Siamo stati molto preoccupati per te, Johnny. Molto preoccupati. Vedi, quella roba che hai dentro è proprietà della Yakuza. Gliel'ha rubata uno stupido, Johnny. Uno stupido morto. Lewis ridacchiò. -assortimento di trafficanti. Quella sera alla porta c'erano le Magnetic Dog Sisters, +A quel punto era tutto chiaro, terribilmente chiaro. Mi sembrava di avere la testa piena di sacchi di sabbia bagnata. Ammazzare non era nello stile di Ralfi. -e non mi sorrideva l'idea di dover uscire in mezzo a loro, se le cose si mettevano +Neanche Lewis era nello stile di Ralfi. Ma si era trovato incastrato fra i Figli del Crisantemo Neon e qualcosa che apparteneva a loro. . O più probabilmente qualcosa di loro che apparteneva a qualcun altro. Ralfi naturalmente poteva usare la sua frase in codice per farmi passare in modalità trasmissione automatica, e io avrei sputato fuori tutto il loro programma senza poi ricordarmene una sola virgola. Per un ricettatore come Ralfi in genere avrebbe dovuto bastare. Ma non per la Yakuza. Tanto per cominciare, dovevano aver sentito parlare degli squid, e l'idea che qualcuno potesse prelevare dalla mia mente quelle tracce deboli ma permanenti del loro programma non doveva piacergli troppo. Io degli squid non ne sapevo molto, ma avevo sentito delle storie, e mi ero imposto di non ripeterle mai ai miei clienti. No, alla Yakuza non sarebbe piaciuto; assomigliava troppo a una prova. Quelli della Yakuza non erano diventati quello che erano lasciando in giro prove. O lasciandole vive. -male. Erano alte due metri, sottili come levrieri. Una era bianca e l'altra nera, ma +Lewis stava sogghignando. Penso che stesse mettendo a fuoco un punto appena dietro la mia fronte, immaginando come arrivarci con le maniere forti. -a parte questo erano identiche quanto poteva renderle la chirurgia cosmetica. +— Ehi — disse una voce bassa e femminile, da dietro la mia spalla destra. — Voi cowboy non avete l'aria di divertirvi molto. -Erano amanti da anni, e sapevano essere degli ossi duri in combattimento. Non +— Fila, troia — disse Lewis, con la faccia abbronzata immobile. Ralfi non aveva espressione. -ero mai riuscito a capire quale delle due fosse stata originariamente maschio. +— Su, allegri. Volete comprare della buona base? — Prese una sedia e si sedette prima che qualcuno potesse fermarla. Era appena all'interno del mio limitato campo visivo: una ragazza magra con occhiali a specchio. I capelli scuri e scomposti. — Ottomila al grammo. Lewis sbuffò esasperato e cercò di mandarla via con uno schiaffo. Non so come, ma non riuscì a colpirla. La mano della ragazza si alzò e parve sfiorare il suo polso, mentre passava. Uno spruzzo di sangue rosso vivo cadde sul tavolo. Lewis si strinse il polso, le nocche bianche, il sangue che gli colava fra le dita. -Ralfi era seduto al suo solito tavolo. E mi doveva un sacco di soldi. Avevo +Ma la mano della ragazza non era vuota? -centinaia di megabyte riposti nella memoria, in modalità trasmissione +Il gorilla avrebbe dovuto farsi ricucire il tendine. Si alzò adagio, senza spostare la sedia. La sedia cadde all'indietro, e lui uscì dal mio campo visivo senza una parola. -automatica; informazioni a cui non potevo accedere coscientemente. Era stato +— Dovrebbe farsi guardare da un medico — disse lei. — È un brutto taglio. -Ralfi a mettercele. Ma non era venuto a riprendersele. Soltanto Ralfi poteva +— Non hai neanche idea — disse Ralfi, con voce improvvisamente molto stanca — del casino in cui ti sei cacciata. -recuperare i dati, mediante una frase in codice che solo lui conosceva. Già i miei +— Davvero? Un mistero! Vado pazza per i misteri. Per esempio, perché il vostro amico qui è così tranquillo come una statua. O a cosa serve questa roba. -servizi non si possono considerare a buon mercato, ma la mia tariffa sul tempo +— E alzò la piccola unità di controllo che in qualche modo era riuscita a togliere a Lewis. — Ralfi sembrava sconvolto. -supplementare è astronomica. E Ralfi era stato molto tirchio. Poi avevo sentito +— Ti vanno duecentocinquantamila per darmi quella roba e andartene? — Sollevò la mano grassoccia ad accarezzarsi nervosamente la faccia pallida e magra. -che Ralfi Face cercava qualcuno per farmi fuori. Così avevo organizzato un +— Quello che voglio — disse lei, facendo ruotare fra le dita la piccola unità lucida, — è un lavoro. Un impiego. Il vostro uomo si è fatto male al polso. Ma duecentocinquantamila possono andare come anticipo. -incontro al _Drome_ , ma sotto il nome di Edward Bax, importatore clandestino, già +— Ralfi lasciò andare il respiro in un'esplosione, e cominciò a ridere, mettendo in mostra dei denti non all'altezza della sua faccia da Christian White. -di Rio e Pechino. Il _Drome_ puzzava di affari: un odore acuto e metallico di +Poi lei spense il distruttore. -tensione nervosa. Gorilla sparsi fra la folla mettevano in mostra la loro +— Due milioni — dissi io. -mercanzia con sorrisi freddi e sottili, alcuni talmente appesantiti da +— Sei il mio tipo — disse lei, e rise. — Che cosa c'è nella borsa? -sovrastrutture di trapianti muscolari che i loro tratti non erano più neppure +— Un fucile da caccia. -umani. +— Rozzo. — Forse era un complimento. -Permesso. Permesso, ragazzi. È solo Eddie Bax, Fast Eddie l'importatore. Con +Ralfi non disse niente. -la sua borsa da ginnastica, professionalmente anonima, e vi prego di non far caso +— Mi chiamo Million. Molly Million. Vogliamo andarcene da qui, capo? -a quella fessura grande abbastanza per infilarci dentro la mano. +La gente comincia a guardare. — Si alzò. Indossava jeans di pelle color sangue secco. -Ralfi non era solo. Ottanta chili di gorilla biondo californiano erano appollaiati +E per la prima volta mi accorsi che le lenti a specchio erano un innesto chirurgico: la superficie d'argento era la prosecuzione degli zigomi alti, e le sigillava gli occhi nelle orbite. Vidi la mia nuova faccia doppiamente riflessa. -sulla sedia accanto alla sua. Sembrava che avesse scritto addosso “arti marziali”. +— Io sono Johnny — dissi. — Portiamo con noi il signor Face. -Eddie Bax, veloce come il lampo, si trovò sulla sedia di fronte a loro prima che +Lui era fuori che ci aspettava. Sembrava il tipico turista: sandali di plastica e camicia hawaiana con stampato l'ingrandimento del microprocessore più famoso della sua ditta. Un ometto dall'aria tranquilla, di quelli che finiscono ubriachi di sake in un bar dove si servono cracker di riso con contorno di alghe. -il gorilla potesse staccare le mani dal tavolo. — Sei cintura nera? — chiesi +Aveva l'aria del tipo che canta l'inno della ditta con le lacrime agli occhi, che stringe sempre la mano al barista. E ruffiani e trafficanti lo lasciavano in pace, capendo che era un conservatore innato. Non cercava niente di insolito, e se lo faceva stava attento al portafoglio. Ripensandoci in seguito, mi parve di aver capito che dovevano avergli amputato un pezzo di pollice sinistro, appena sotto la prima articolazione, sostituendolo con una protesi, poi avevano praticato un foro nel moncone e vi avevano inserito un rocchetto con la sua boccola, modellati da un diamante sintetico Ono-Sendai. Infine vi avevano avvolto tre metri di filamento monomolecolare. Molly si mise a parlare con le Magnetic Dog Sisters, permettendomi di far passare Ralfi dalla porta, con la borsa da ginnastica che gli premeva delicatamente contro il fondo della schiena. Pareva che le conoscesse. Sentii quella nera ridere. -prontamente. Lui annuì, mentre i suoi occhi azzurri correvano automaticamente +Alzai gli occhi per un riflesso istintivo, forse perché non sono mai riuscito ad abituarmi agli archi di luci e alle ombre delle cupole geodesiche più su. Forse fu questo a salvarmi la vita. Ralfi continuò a camminare, ma non credo che cercasse di scappare. Credo che ci avesse già rinunciato. Probabilmente aveva idea di quello che ci aspettava. -dai miei occhi alle mie mani, e viceversa. — Anch'io — dissi. — La mia ce l'ho +Abbassai gli occhi appena in tempo per vederlo esplodere. Riproducendo la scena in playback si vede Ralfi avanzare, mentre il piccolo turista scivola fuori dal nulla, sorridendo. Un inchino appena accennato, e il suo pollice sinistro si stacca. Trucco da prestigiatore. Il pollice rimane sospeso. Fili? Specchi? E Ralfi si ferma, le spalle rivolte a noi, con scure mezzelune di sudore sotto le ascelle del suo abito estivo, chiaro. Lo sa. Doveva saperlo. E poi il pollice da prestigiatore, pesante come piombo, comincia a girare come uno yo-yo e il filo invisibile che lo unisce alla mano del killer attraversa il cranio di Ralfi appena sopra le sopracciglia, sale, e scende squarciando diagonalmente il torso gonfio, dalla spalla alla cassa toracica. Il taglio è così sottile che non scorre sangue finché le sinapsi non fanno cilecca e i primi tremori consegnano il corpo alla gravità. -qui. — E infilai la mano nella borsa, togliendo la sicura. Clic. — Calibro 12, +Ralfi crollò in una nuvola rosa di liquidi biologici, e le tre sezioni rotolarono sul marciapiede rivestito di piastrelle. In un silenzio totale. -doppia canna, con i grilletti collegati. +Sollevai la borsa da ginnastica e contrassi la mano. Il rinculo mi spezzò quasi il polso. -— È un fucile — disse Ralfi, appoggiando una mano grassoccia sul petto di +Probabilmente pioveva. Torrenti d'acqua scendevano dalla falla di una cupola schizzando sul marciapiede dietro di noi. Ci rannicchiammo nello stretto spazio fra una boutique chirurgica e un negozio di antiquariato. Lei aveva dato un'occhiata oltre l'angolo con quei suoi occhi a specchio, riferendomi che c'era un solo modulo Volks di fronte al _Drome_ , le luci rosse che lampeggiavano. -nylon azzurro teso del suo uomo. — Johnny ha nella borsa una vecchia arma da +Stavano raccogliendo Ralfi. Facevano domande. -fuoco. — Tanti saluti a Edward Bax. Immagino che sia sempre stato Ralfi Questo +Io ero ricoperto di peluria bianca bruciacchiata. Le calze da tennis. La borsa da ginnastica era un polsino stracciato di plastica attorno al mio polso. — Non capisco come diavolo ho fatto a mancarlo. -o Quell'altro, ma doveva il suo soprannome a una singolare vanità. Su un corpo +— Perché è veloce, molto veloce. — Si strinse le ginocchia, dondolandosi sui tacchi. — Ha il sistema nervoso iperstimolato. È stato fabbricato su ordinazione. -che assomigliava a una pera troppo matura, indossava da vent'anni la faccia un +— Sorrise ed emise uno squittio di piacere. — Farò fuori quel tipo. Questa notte. -tempo famosa di Christian White il Christian White della Aryan Reggae Band, il +È il migliore, il numero uno, l'ultimo grido. -Sony Mao della sua generazione, il campione del rock razzista. Sono un mago per +— Quello che farai, per i miei due milioni, è di farmi uscire da questo casino. Il tuo amico laggiù l'hanno fatto crescere in una vasca di Chiba City. È un assassino della Yakuza. -i dettagli. +— Chiba. Giusto. Vedi, anche Molly è stata a Chiba. — E mi fece vedere le mani, allargando leggermente le dita. Erano sottili, appuntite, pallidissime contro le unghie laccate di rosso borgogna. Dieci lame uscirono di scatto dai ricettacoli dietro le unghie, ciascuna un sottile bisturi a doppio taglio, acciaio azzurrino. -Christian White: classica faccia pop, con i muscoli ben definiti di un cantante, +Non ho mai avuto molto a che fare con la Città Oscura. Non c'è nessuno lì che mi paghi per ricordare. Anzi, c'è un sacco di gente che paga per dimenticare. -gli zigomi cesellati. Angelica sotto una certa luce, bella e depravata sotto un'altra. +Generazioni di cecchini avevano fatto a pezzi le luci al neon, finché le squadre di manutenzione non avevano gettato la spugna. Anche a mezzogiorno i lampioni erano macchie nero-fuliggine contro un biancore madreperlaceo. -Ma gli occhi di Ralfi vivevano dietro quella faccia, ed erano piccoli, freddi e neri. +Dove si può andare quando la più ricca organizzazione criminale del mondo sta cercando con dita leggere e decise? Dove ci si può nascondere dalla Yakuza, tanto potente da possedere satelliti di comunicazione propri e almeno tre navette spaziali? La Yakuza è una vera multinazionale, come l'I.T.T. e l'Ono- Sendai. Cinquant'anni prima che nascessi, la Yakuza aveva già assorbito le Triadi, la Mafia e l'Union Corse. -— Per favore — disse — vediamo di sistemare questa faccenda da uomini +Molly aveva una risposta: basta nascondersi nel Pozzo, nel girone più basso, dove qualsiasi influenza estranea è subito accolta come una minaccia. Ci si nasconde nella Città Oscura. Meglio ancora, ci si nasconde “sopra” la Città Oscura, perché il Pozzo è invertito, e il fondo tocca il cielo, il cielo che la Città Oscura non vede mai, sudando sotto il suo firmamento di resina acrilica; in alto, dove i Lo Tek si annidano nel buio come grottesche sculture, sigarette del mercato nero fra le labbra. -d'affari. — Aveva la voce segnata da un'accattivante sincerità, e gli angoli della +Lei aveva anche un'altra soluzione. -sua bellissima bocca alla Christian White erano sempre umidi. — Il nostro amico +— Allora sei chiuso come un'ostrica, Johnny-san? Non c'è modo di raggiungere quel programma senza la parola d'ordine? — Mi condusse verso le ombre che ci attendevano oltre la fermata della metropolitana. Le pareti di cemento erano ricoperte di graffiti, anni di graffiti, che si intersecavano in un'unica metafora caotica di rabbia e frustrazione. -Lewis — accennò verso il gorilla — è un perfetto imbecille. — Lewis rimase +— I dati vengono immessi attraverso una serie di microprotesi controautistiche modificate. — Le snocciolai una versione un po' ebete del mio discorsetto per i clienti. — Il codice del cliente viene immagazzinato in un chip speciale; a parte gli squid, di cui noi del mestiere preferiamo non parlare, non c'è alcun modo per recuperare la frase. Né con le droghe, né con la tortura. Non la conosco neanche io, non l'ho mai conosciuta. -impassibile: sembrava costruito con una scatola di montaggio. — Tu non sei un +— Squid? Calamari? Quei molluschi con i tentacoli? — Emergemmo in un mercato all'aperto, deserto. Figure indistinte ci osservavano da una piazzetta lercia di teste di pesce e frutta marcia. -imbecille, Johnny. +— Rilevatori di Superconduttori quantici a interferenza. Li usavano durante la guerra per scoprire i sottomarini, per individuare i sistemi cibernetici del nemico. -— Sicuro che lo sono, Ralfi: un imbecille pieno zeppo di trapianti dove puoi +— Davvero? Roba della Marina? Dell'epoca della guerra? Dici che se avessimo uno squid potremmo leggere quel tuo chip? — Aveva smesso di camminare, e mi sentivo i suoi occhi addosso, quei due specchi gemelli. -buttare i tuoi panni sporchi mentre vai in giro a cercare qualcuno che mi +— Anche i modelli primitivi erano in grado di misurare un campo magnetico di un miliardesimo della forza geomagnetica; è come sentire un sussurro in uno stadio di gente urlante. — I poliziotti possono già farlo, con microfoni parabolici e laser. -ammazzi. Vista la situazione dalla mia parte della barricata, Ralfi, direi che mi +— Ma i dati sono lo stesso al sicuro. — Orgoglio professionale. — Nessun governo permetterebbe ai suoi poliziotti di usare uno squid, neppure ai servizi segreti. È troppo forte il rischio che vengano usati per spionaggio interno; altro che Watergate. -devi qualche spiegazione. +— Roba della Marina — disse lei, e il suo sorriso balenò nell'ombra. — Roba della Marina. Ho un amico da queste parti che era nella Marina, si chiama Jones. -— Si tratta di questi ultimi articoli, Johnny. — Tirò un profondo respiro. — Nel +Credo che dovresti conoscerlo. Però è drogato. Dovremo portargli un po' di roba. -mio ruolo di mediatore. . +— Drogato? -— Di ricettatore — lo corressi. +— È un delfino. -— Di mediatore, sono molto cauto con le mie fonti. +Era più di un delfino, ma dal punto di vista di un altro delfino forse poteva sembrare meno. Lo guardai girare pigramente nella sua vasca di lamiera zincata. -— Compri solo da quelli che rubano bene. Ho capito. +L'acqua traboccò, bagnandomi le scarpe. Era un residuato dell'ultima guerra. Un cyborg. -Lui sospirò di nuovo. — Cerco — disse stancamente — di non comprare dagli +Uscì dall'acqua, mostrandoci le piastre incrostate sui fianchi: una specie di scherzo di natura, e tutta la sua grazia originaria era quasi scomparsa sotto l'armatura snodata, goffa e preistorica. Due protuberanze deformi, ai lati della testa contenevano i sensori. Ferite argentee luccicavano sulle zone scoperte della pelle grigiastra. -sciocchi. Questa volta ho paura di averlo fatto. — Il terzo sospiro fu il segnale a +Molly fischiò. Jones agitò la coda e l'acqua schizzò fuori dalla vasca. -Lewis di azionare il distruttore neurale che avevano attaccato sotto il mio lato +— Che posto è questo? — C'erano forme vaghe nel buio, catene arrugginite, altri oggetti coperti da teloni. Sopra il serbatoio era appesa una rozza intelaiatura di legno con appese file e file di lampadine polverose, come quelle di un albero di Natale. -del tavolo. Cercai con tutte le mie forze di contrarre l'indice della destra, ma mi +— Un luna park con zoo incorporato. “Parlate con la balena da guerra.” Roba del genere. Sai che balena il nostro Jones.. -sembrava che non fosse più collegato a me. Sentivo il metallo del fucile e il +Jones si sollevò nuovamente, fissandomi con occhi tristi e antichi. -nastro imbottito che avevo avvolto attorno al calcio tozzo, ma le mie mani erano +— Come fa a parlare? — D'improvviso ero ansioso di andarmene. -cera fredda, lontane e inerti. Speravo che Lewis fosse davvero un imbecille, così +— Questo è il trucco. Di' “ciao”, Jones. -stupido da venire a prendere la borsa e tirarmi il dito irrigidito, ma non lo era. +E tutte le lampadine si accesero insieme lampeggiando. Erano rosse, bianche e azzurre. -— Siamo stati molto preoccupati per te, Johnny. Molto preoccupati. Vedi, +RBARBARBA RBARBARBA RBARBARBA RBARBARBA RBARBARBA — È bravo coi simboli, capisci, ma il codice è ristretto. Nella Marina l'avevano collegato a un display audiovisivo. — Prese il piccolo involucro da una tasca della giacca. — Roba buona, Jones. La vuoi? — Lui si immobilizzò nell'acqua e cominciò ad affondare. Provai una strana sensazione di panico, sapendo che non era un pesce e che poteva affogare. — Ci serve la chiave per la banca dati di Johnny, Jones. Ci serve subito. -quella roba che hai dentro è proprietà della Yakuza. Gliel'ha rubata uno stupido, +Le luci lampeggiarono, poi si spensero. -Johnny. Uno stupido morto. Lewis ridacchiò. +— Forza, Jones! -A quel punto era tutto chiaro, terribilmente chiaro. Mi sembrava di avere la +A AAAAAAAAAA A A A Lampadine azzurre, a forma di croce. -testa piena di sacchi di sabbia bagnata. Ammazzare non era nello stile di Ralfi. +Buio. -Neanche Lewis era nello stile di Ralfi. Ma si era trovato incastrato fra i Figli del +— È roba buona! PULITA. Forza, Jones! -Crisantemo Neon e qualcosa che apparteneva a loro. . O più probabilmente +BBBBBBBBBBB BBBBBBBBBBB BBBBBBBBBBB BBBBBBBBBBB Un bagliore bianco al sodio illuminò il viso di Molly, scavando ombre sui suoi zigomi. -qualcosa di loro che apparteneva a qualcun altro. Ralfi naturalmente poteva +RRRRRRR RR RRRRRRRRR RR RRRRRRR I bracci della svastica rossa apparivano distorti sulle lenti d'argento. — Dagliela — dissi. — Abbiamo la chiave. Ralfi Face. Proprio niente immaginazione. -usare la sua frase in codice per farmi passare in modalità trasmissione +Jones sollevò metà del suo corpo corazzato sull'orlo della vasca, e io pensai che il metallo avrebbe ceduto. Molly gli praticò l'iniezione con una Syrette, infilando l'ago fra due piastre. Si sentì il sibilo del propellente. Ondate di luce esplosero sull'intelaiatura di legno, spasmodicamente, poi svanirono. -automatica, e io avrei sputato fuori tutto il loro programma senza poi +Lo lasciammo a rotolarsi languidamente nell'acqua scura. Forse sognava la sua guerra nel Pacifico, le mine cibernetiche che aveva disinnescato infilandosi delicatamente nei loro circuiti, con lo squid che aveva usato per individuare la ridicola parola d'ordine di Ralfi nel chip nascosto nella mia testa. -ricordarmene una sola virgola. Per un ricettatore come Ralfi in genere avrebbe +— Posso capire che ci sia stata una svista quando l'hanno dimesso dalla Marina, lasciandolo andare in giro con quella roba intatta nella testa; ma com'è possibile che un delfino cibernetico sia diventato eroinomane? -dovuto bastare. Ma non per la Yakuza. Tanto per cominciare, dovevano aver +— La guerra — disse lei. — Lo erano tutti. È stata la Marina. Come si può costringerli a lavorare, altrimenti? -sentito parlare degli squid, e l'idea che qualcuno potesse prelevare dalla mia +— Non sono sicuro che sia un buon affare — disse il pirata, cercando di spillarci più soldi. — Le coordinate di un satellite che non è neppure elencato. . -mente quelle tracce deboli ma permanenti del loro programma non doveva +— Se mi fai perdere tempo non ci sarà nessun affare — disse Molly, appoggiandosi alla scrivania di plastica coperta di sfregi e puntandogli un dito contro il petto. -piacergli troppo. Io degli squid non ne sapevo molto, ma avevo sentito delle +— Se volete, potete comprare le vostre microonde da qualche altra parte. — Era un tipo duro, dietro la sua faccia alla Mao. Nato nella Città Oscura, probabilmente. -storie, e mi ero imposto di non ripeterle mai ai miei clienti. No, alla Yakuza non +La mano di Molly scivolò veloce davanti alla sua giacca, tagliando di netto un risvolto senza neppure lasciare una piega sulla stoffa. -sarebbe piaciuto; assomigliava troppo a una prova. Quelli della Yakuza non +— Allora, affare fatto o no? -erano diventati quello che erano lasciando in giro prove. O lasciandole vive. +— Affare fatto — disse lui, guardandosi il risvolto con quella che sperava dovesse apparire come pacata curiosità. — Affare fatto. -Lewis stava sogghignando. Penso che stesse mettendo a fuoco un punto +Mentre io controllavo i due registratori che avevamo comprato, lei estrasse dalla tasca a cerniera sul polso della giacca il foglietto che le avevo dato. Lo aprì e lesse silenziosamente, muovendo le labbra. Alzò le spalle. — È questo? -appena dietro la mia fronte, immaginando come arrivarci con le maniere forti. +— Vai — dissi, schiacciando i bottoni di registrazione dei due registratori contemporaneamente. -— Ehi — disse una voce bassa e femminile, da dietro la mia spalla destra. — +— Christian White — disse lei — e la sua Aryan Reggae Band. -Voi cowboy non avete l'aria di divertirvi molto. +Fedele al suo idolo fino alla morte, il nostro Ralfi. La transizione in modalità trasmissione automatica è sempre meno violenta di quanto mi aspetti. L'ufficio del trasmettitore pirata si trovava in una falsa agenzia di viaggio: una squallida stanzetta a colori pastello con una scrivania, tre sedie e il poster ingiallito di una stazione orbitale svizzera. Un paio di uccelli giocattolo, con i corpi di vetro soffiato e gambe sottili bevevano annoiati da una tazza di materiale espanso su uno scaffale vicino alla spalla di Molly. Mentre io entravo nell'altra modalità accelerarono gradualmente, finché le loro creste fosforescenti non si trasformarono in immobili archi di colore. I “led” dei secondi sull'orologio appeso alla parete di plastica erano diventati griglie che pulsavano senza senso, mentre Molly e il ragazzo con la faccia di Mao apparivano confusi, e le loro braccia si agitavano ogni tanto indistintamente in movimenti-fantasma, da insetti. Poi tutto svanì in una scarica di gelo livido e un infinito poema atonale in linguaggio artificiale. Rimasi seduto per tre ore a snocciolare il programma rubato al morto Ralfi. -— Fila, troia — disse Lewis, con la faccia abbronzata immobile. Ralfi non +Il viale è lungo quaranta chilometri, da un'estremità all'altra: un sovrapporsi confuso di cupole di Fuller che coprono quella che un tempo era un'arteria suburbana. Se le lampade vengono spente, in una giornata serena, una grigia approssimazione della luce solare filtra attraverso strati di materiale acrilico, in una visione simile alle Prigioni incise da Giovanni Piranesi. Gli ultimi tre chilometri a sud coprono la Città Oscura. La Città Oscura non paga tasse né servizi. Le lampade al neon sono spente, e le cupole geodesiche sono state annerite da decenni di fumo dei fornelli. Nel buio quasi totale del mezzogiorno della Città Oscura, chi si accorge di qualche ragazzino folle perso fra i piloni di sostegno? -aveva espressione. +Ci stavamo arrampicando da due ore lungo scale di cemento e di ferro, incastellature abbandonate su cui erano sparsi attrezzi polverosi. Eravamo partiti da quella che sembrava una piazzuola in disuso per la manutenzione, piena di segmenti triangolari di coperture per soffitti. Tutto era stato ricoperto con lo stesso strato uniforme di scritte fatte con bombolette spray: nomi di bande, iniziali, date che risalivano alla fine del secolo precedente. I graffiti ci seguirono nella nostra ascesa, diradandosi finché un solo nome appariva ripetuto ad intervalli. LO TEK. In maiuscole nere, gocciolanti. -— Su, allegri. Volete comprare della buona base? — Prese una sedia e si +— Chi è Lo Tek? -sedette prima che qualcuno potesse fermarla. Era appena all'interno del mio +— Non noi, capo. — Si arrampicò lungo una tremante scaletta di alluminio e svanì in un buco praticato in una lastra di plastica ondulata. — “Low Technology”, bassa tecnologia. — La plastica le attutiva la voce. La seguii, massaggiandomi il polso dolorante. — Per i Lo Tek quel tuo fucile da caccia è fin troppo raffinato. Un'ora dopo mi issai attraverso un altro buco, quest'ultimo segato rozzamente in una lastra di compensato incurvato, e incontrai il mio primo Lo Tek. -limitato campo visivo: una ragazza magra con occhiali a specchio. I capelli scuri e +— Tranquillo — disse Molly, sfiorandomi la spalla. — È solo Cane. -scomposti. — Ottomila al grammo. Lewis sbuffò esasperato e cercò di mandarla +— Ciao, Cane. -via con uno schiaffo. Non so come, ma non riuscì a colpirla. La mano della +Nel fascio sottile della torcia elettrica di Molly, lui ci guardò con un occhio, poi lentamente allungò una lingua lunga e spessa, grigiastra, e si leccò i grossi canini. -ragazza si alzò e parve sfiorare il suo polso, mentre passava. Uno spruzzo di +Mi chiesi come si potesse definire bassa tecnologia un trapianto di denti di dobermann. Non credo che gli immunosoppressori si trovino sugli alberi. -sangue rosso vivo cadde sul tavolo. Lewis si strinse il polso, le nocche bianche, il +— Molly. — I grossi denti gli rendevano difficile parlare. Un filo di saliva gli sgocciolava dal labbro inferiore contorto. — Sentito venire. Tanto tempo. — Poteva avere quindici anni, ma le zanne, insieme a un mosaico di cicatrici e all'orbita vuota, formavano il ritratto della bestialità. Per mettere insieme una faccia del genere c'era voluto tempo e un certa qual creatività, e capii dalla sua posa che godeva a portarla. Indossava un paio di jeans stracciati, neri per lo sporco e lucidi lungo le cuciture. Il petto e i piedi erano nudi. Con la bocca fece qualcosa che si avvicinava a un sorriso. — Siete seguiti, voi. -sangue che gli colava fra le dita. +In basso, nella Città Oscura, un venditore di acqua lanciò il suo grido. -Ma la mano della ragazza non era vuota? +— Le corde si muovono, Cane? — Molly spostò la lampada, e vidi delle corde sottili legate a degli anelli, che arrivavano fino al bordo e sparivano. -Il gorilla avrebbe dovuto farsi ricucire il tendine. Si alzò adagio, senza spostare +— Spegni quella luce del cazzo! -la sedia. La sedia cadde all'indietro, e lui uscì dal mio campo visivo senza una +Molly la spense. -parola. +— Com'è che quello che vi segue non ha una luce? -— Dovrebbe farsi guardare da un medico — disse lei. — È un brutto taglio. +— Non ne ha bisogno. Questa è la cattiva notizia, Cane. Se le vostre sentinelle cercano di buttarlo giù, si troveranno ridotte in tanti bei pezzettini. -— Non hai neanche idea — disse Ralfi, con voce improvvisamente molto +— È un amico, vero Molly? — Sembrava a disagio. Sentii i suoi piedi strisciare sul compensato logoro. -stanca — del casino in cui ti sei cacciata. +— No. Ma è mio. E questo — dandomi una pacca sulla spalla — è un amico. -— Davvero? Un mistero! Vado pazza per i misteri. Per esempio, perché il +Capito? -vostro amico qui è così tranquillo come una statua. O a cosa serve questa roba. +— Sicuro — disse senza molto entusiasmo, andando fino all'orlo della piattaforma, dove c'erano gli anelli. Cominciò a pizzicare una specie di messaggio sulle corde tese. -— E alzò la piccola unità di controllo che in qualche modo era riuscita a togliere +La Città Oscura si stendeva sotto di noi come un villaggio in miniatura per topi; piccole finestre mostravano luci di candela, con pochi riquadri più intensi illuminati da lampade a batteria o a carburo. Immaginai i vecchi intenti a interminabili giochi di domino, sotto le grosse gocce calde che cadevano dai bucati stesi ad asciugare sui pali, fra le baracche di compensato. Poi cercai di immaginarmelo mentre si arrampicava pazientemente nel buio, con i suoi sandali e l'orribile camicia da turista, tranquillo, senza fretta. Come faceva a seguire le nostre tracce? -a Lewis. — Ralfi sembrava sconvolto. +— Facile — disse Molly. — Sente il nostro odore. -— Ti vanno duecentocinquantamila per darmi quella roba e andartene? — +— Sigaretta? — Cane tirò fuori dalla tasca un pacchetto stropicciato e ne estrasse una sigaretta appiattita. Osservai il marchio mentre me l'accendeva con un fiammifero da cucina. Yeheyuan con filtro. Fabbrica di Sigarette Pechino. -Sollevò la mano grassoccia ad accarezzarsi nervosamente la faccia pallida e +Capii che i Lo Tek lavoravano nel mercato nero. Cane e Molly tornarono alla loro discussione che riguardava la richiesta di Molly di servirsi di una certa porzione del territorio Lo Tek. -magra. +— Vi ho fatto un sacco di favori, amico. Voglio quel campo. E voglio la musica. -— Quello che voglio — disse lei, facendo ruotare fra le dita la piccola unità +— Tu non sei Lo Tek. . -lucida, — è un lavoro. Un impiego. Il vostro uomo si è fatto male al polso. Ma +Andava avanti così da quasi un chilometro, con Cane che ci guidava lungo passerelle oscillanti e su per scale di corda. I Lo Tek attaccano le loro ragnatele e le loro abitazioni alla struttura della città con grumi di resina epossidica, e dormono sull'abisso in amache di rete. Il loro territorio è così rarefatto che in alcuni punti consiste solo di appigli per i piedi e per le mani, ritagliati via nel supporto delle geodesiche. -duecentocinquantamila possono andare come anticipo. +Il Campo della Morte, lo chiamava Molly. Arrampicandomi dietro di lei, con le mie nuove scarpe da Eddie Bax che scivolavano sul metallo liscio e sul compensato umido, mi chiesi come quel territorio potesse essere più pericoloso del rimanente. Allo stesso tempo avvertivo che le proteste di Cane erano solo un proforma, e che lei già sapeva che avrebbe ottenuto quello che voleva. -— Ralfi lasciò andare il respiro in un'esplosione, e cominciò a ridere, +Da qualche parte sotto di noi Jones stava girando nella sua vasca, avvertendo i primi sintomi della crisi di astinenza. La polizia stava interrogando i clienti abituali del _Drome_ , faceva domande su Ralfi. Cosa faceva? Chi era con lui prima che uscisse? E la Yakuza stava stendendo la sua rete occulta sulle banche dati della città, cercando pallide immagini di me stesso riflesse su numeri di conto corrente, assicurazioni, bollette. Siamo un'economia fondata sull'informazione. -mettendo in mostra dei denti non all'altezza della sua faccia da Christian White. +Lo insegnano a scuola. Quello che non dicono è che è impossibile muoversi, vivere, operare a qualunque livello senza lasciare tracce, segni, frammenti di informazione apparentemente privi di significato. Frammenti che possono essere recuperati e amplificati. . Ma ormai il pirata doveva aver trasmesso il nostro messaggio al satellite di comunicazioni della Yakuza, attraverso la sua scatola nera. Un messaggio semplice: richiamate i vostri scagnozzi o rendiamo di pubblico dominio il vostro programma. -Poi lei spense il distruttore. +Il programma. Non avevo alcuna idea di cosa contenesse. Non ce l'ho tuttora. -— Due milioni — dissi io. +Mi limito a esporlo senza comprenderlo. Probabilmente si trattava di dati tecnici: la Yakuza è specializzata in forme avanzate di spionaggio industriale. Un lavoro da gentiluomini: rubano alla Ono-Sendai e chiedono cortesemente un riscatto, minacciando di divulgare i dati e toglierle il primato delle ricerche più avanzate. Ma perché non poteva entrare qualcun altro nel gioco? Non sarebbe stato meglio per loro avere qualcosa da rivendere alla Ono-Sendai che un Johnny qualsiasi di Memory Lane morto? Il loro programma era in viaggio verso un indirizzo di Sydney, un posto dove si trattenevano le lettere per i clienti senza fare domande, una volta pagata una modesta tariffa. Posta ordinaria di quarta classe. Avevo cancellato la maggior parte dell'altro nastro, e nei vuoti avevo registrato il nostro messaggio, lasciando abbastanza programma per permettere di identificarlo come autentico. Il polso mi faceva male. Avevo voglia di fermarmi, di stendermi, di dormire. Sapevo che presto la presa mi sarebbe sfuggita e sarei caduto, sapevo che le scarpe nere a punta che avevo comprato per la mia serata come Eddie Bax sarebbero scivolate e mi avrebbero fatto precipitare nella Città Oscura. Ma lui mi appariva nella mente come un ologramma religioso da quattro soldi, luminoso, il chip ingrandito sulla camicia hawaiana simile alla foto aerea di un nucleo urbano da bombardare. -— Sei il mio tipo — disse lei, e rise. — Che cosa c'è nella borsa? +Così seguii Cane e Molly nel cielo dei Lo Tek, costruito con gli scarti che neppurela Città Oscura voleva. -— Un fucile da caccia. +Il Campo della Morte era un quadrato di otto metri di lato. Un gigante aveva intrecciato un cavo d'acciaio in mezzo a un deposito di robivecchi, e l'aveva teso bene. Scricchiolava quando si muoveva, e si muoveva in continuazione, ondeggiando e oscillando mentre i Lo Tek si sistemavano sulla piattaforma di compensato che lo circondava. Il legno era argenteo per l'età, consumato e crivellato di incisioni: iniziali, minacce, dichiarazioni di passione. Era attaccato a una serie separata di cavi, che si perdevano nel buio dietro il bagliore bianco di due vecchi riflettori sospesi sopra il Campo. Una ragazza con denti come quelli di Cane saltò sulla rete, a quattro zampe. Aveva spirali viola tatuate sui seni. -— Rozzo. — Forse era un complimento. +Attraversò ridendo il Campo, e si azzuffò con un ragazzo che stava bevendo un liquore scuro da una bottiglia da un litro. -Ralfi non disse niente. +Tutta la moda dei Lo Tek era nelle cicatrici e nei tatuaggi. E nei denti. -— Mi chiamo Million. Molly Million. Vogliamo andarcene da qui, capo? +L'elettricità che rubavano per illuminare il Campo della Morte sembrava un'eccezione alla loro regola estetica, fatta in nome di. . un rituale, uno sport, un'arte? Non lo sapevo, ma si vedeva che il Campo era qualcosa di speciale. -La gente comincia a guardare. — Si alzò. Indossava jeans di pelle color sangue +Aveva l'aria di essere stato costruito nel corso di molte generazioni. -secco. +Tenevo il fucile inutile sotto la giacca. Il peso e la rigidità dell'oggetto erano confortanti, anche se non avevo più cartucce. E mi venne in mente che non avevo la più pallida idea di quello che stava succedendo o che avrebbe dovuto succedere. E questo era nella natura del mio mestiere, perché avevo passato la maggior parte della mia vita come un ricettacolo inconsapevole che viveva unicamente per essere riempito delle conoscenze degli altri e poi prosciugato, declamando linguaggi sintetici che non avevo mai compreso. Un ragazzo molto raffinato. Come no. -E per la prima volta mi accorsi che le lenti a specchio erano un innesto +Poi mi accorsi di quanto erano diventati silenziosi i Lo Tek. Era arrivato. Era ai bordi dell'area illuminata, osservava il Campo della Morte e le file silenziose di Lo Tek con la calma del turista. E mentre i nostri occhi si incontravano per la prima volta e si riconoscevano vicendevolmente un ricordo scattò nel mio cervello: Parigi, lunghe Mercedes elettriche che scivolavano nella pioggia verso Notre Dame; serre mobili, facce giapponesi dietro i finestrini, e cento Nikon che si sollevavano in un cieco fototropismo. Dietro quegli occhi che mi localizzavano, gli stessi otturatori ronzanti. Cercai Molly Million, ma era sparita. -chirurgico: la superficie d'argento era la prosecuzione degli zigomi alti, e le +I Lo Tek si fecero da parte per lasciarlo salire sulla piattaforma. Lui si inchinò, sorridendo, e si tolse i sandali, lasciandoli affiancati e perfettamente allineati, poi posò i piedi sul Campo della Morte. Venne verso di me, attraverso la rete ondeggiante di rifiuti, tranquillamente come un turista che attraversi una moquette sintetica in un albergo anonimo. -sigillava gli occhi nelle orbite. Vidi la mia nuova faccia doppiamente riflessa. +Molly saltò sul Campo, muovendosi in fretta. -— Io sono Johnny — dissi. — Portiamo con noi il signor Face. +Il Campo urlò. -Lui era fuori che ci aspettava. Sembrava il tipico turista: sandali di plastica e +Era dotato di microfoni e amplificato, con ricevitori montati sulle quattro grosse molle agli angoli e microfoni a contatto sparsi su frammenti arrugginiti di macchine. Da qualche parte c'erano un amplificatore e un sintetizzatore, e riuscii a scorgere le forme degli altoparlanti in alto, sopra gli implacabili riflettori bianchi. Cominciò un battito di tamburi, elettronico, come un cuore amplificato, regolare come un metronomo. -camicia hawaiana con stampato l'ingrandimento del microprocessore più +Lei si era tolta la giacca di pelle e gli stivali; aveva una maglietta senza maniche, e sulle braccia sottili si scorgevano le deboli tracce dei circuiti di Chiba City. I jeans di pelle rilucevano sotto i riflettori. Cominciò a danzare. -famoso della sua ditta. Un ometto dall'aria tranquilla, di quelli che finiscono +Piegò le ginocchia, i piedi bianchi appoggiati su un serbatoio appiattito di benzina, e il Campo della Morte cominciò a ondeggiare in sintonia. Il suono che emetteva era come quello della fine del mondo, come se i fili che ormeggiavano il firmamento stessero per spezzarsi e attorcigliarsi nel cielo. -ubriachi di sake in un bar dove si servono cracker di riso con contorno di alghe. +Lui si lasciò dondolare per il tempo di qualche battito di cuore, poi si mosse, calcolando alla perfezione i movimenti del Campo, come un uomo che passi da una pietra all'altra del sentiero di un giardino ornamentale. -Aveva l'aria del tipo che canta l'inno della ditta con le lacrime agli occhi, che +Si tolse la punta del pollice con la grazia di un uomo abituato ai gesti in società, e la gettò verso di lei. Sotto i riflettori, il filamento era un frammento sottilissimo di arcobaleno. Lei si gettò stesa sulla rete e rotolò rialzandosi mentre il filò monomolecolare le passava sulla testa, le unghie di acciaio che balenavano per un attimo, in quella che doveva essere una reazione di difesa automatica. Il battito di tamburi si fece più rapido, e lei prese a saltare insieme ad esso, i capelli neri scarmigliati attorno alle lenti d'argento, le labbra sottili tese nella concentrazione. Il Campo della Morte tuonava e ruggiva, e i Lo Tek urlavano emozionati. Lui ritrasse il filamento, trasformandolo in un cerchio di policromia spettrale largo un metro, e lo fece girare davanti a sé, la mano senza pollice tenuta al livello dello sterno. Uno scudo. E Molly parve lasciar andare qualcosa, qualcosa dentro di lei, e quello fu il vero inizio della sua danza folle. -stringe sempre la mano al barista. E ruffiani e trafficanti lo lasciavano in pace, +Saltò di lato, contorcendosi, e atterrò con entrambi i piedi su un blocco motore in lega collegato direttamente ad una delle molle. Mi misi le mani sugli orecchi e caddi in ginocchio in una vertigine di suono, pensando che il Campo e le panche stessero precipitando verso la Città Oscura, vedendoci piombare sulle baracche, sul bucato steso ad asciugare, esplodere sulle piastrelle come frutti marci. Ma i cavi resistettero, e il Campo della Morte iniziò ad alzarsi e abbassarsi come un pazzesco mare di metallo. E Molly vi danzava sopra. Alla fine, un istante prima del suo lancio finale, vidi qualcosa sulla faccia dell'uomo, un'espressione che sembrava non appartenergli. Non era paura, e non era rabbia. Credo che fosse incredulità, stupefatta incomprensione unita a ripugnanza per quello che vedeva e sentiva. . per quello che gli stava succedendo. Ritrasse il filamento roteante, e il disco scintillante si ridusse alle dimensioni di un piatto, mentre portava la mano sulla testa e l'abbassava, la punta del dito che si curvava verso Molly come una cosa viva. -capendo che era un conservatore innato. Non cercava niente di insolito, e se lo +Il Campo la fece scendere, e il filo le passò appena sopra la testa; il Campo sobbalzò come per una frustata, sollevandolo sul tragitto del filo teso. Avrebbe dovuto passargli sopra la testa e venir ritratto sul suo rocchetto di diamante. Gli tagliò la mano appena dietro il polso. C'era un buco nel Campo, proprio davanti a lui, e ci si buttò come un tuffatore, deliberatamente con una strana grazia: un kamikaze sconfitto che scendeva sulla Città Notturna. In parte, credo, scelse di farlo per guadagnarsi la dignità di pochi secondi di silenzio. Lei l'aveva ucciso con uno shock culturale. -faceva stava attento al portafoglio. Ripensandoci in seguito, mi parve di aver +I Lo Tek urlarono, ma qualcuno spense l'amplificatore, e Molly rimase sul Campo, oscillando sempre più adagio, la faccia bianca e inespressiva, finché si sentì solo lo scricchiolio del metallo sotto sforzo, e il grattare della ruggine contro la ruggine. Cercammo la mano tagliata sul Campo, ma non la trovammo. -capito che dovevano avergli amputato un pezzo di pollice sinistro, appena sotto +L'unica cosa che trovammo fu un aggraziato taglio ricurvo in un pezzo di metallo arrugginito, dove era passato il filo monomolecolare. Il bordo della ferita era brillante come una cromatura nuova. -la prima articolazione, sostituendolo con una protesi, poi avevano praticato un +Non riuscimmo mai a sapere se la Yakuza aveva accettato le nostre condizioni o se aveva ricevuto il messaggio. Per quel che ne so io, il loro programma sta ancora aspettando Eddie Bax, su uno scaffale nel retro di un negozio di articoli da regalo, al terzo livello di Sydney Central-5. Probabilmente hanno rivenduto l'originale alla Ono-Sendai qualche mese fa. Ma probabilmente hanno ricevuto la trasmissione pirata, perché nessuno è ancora venuto a cercarmi, ed è passato quasi un anno. Se verranno dovranno farsi una lunga arrampicata, al buio, oltre le sentinelle di Cane, e da qualche tempo a questa parte non assomiglio più molto a Eddie Bax. Ci ha pensato Molly, con un'anestesia locale. E i denti nuovi mi sono quasi ricresciuti. Ho deciso di rimanere quassù. Quando ho guardato il Campo della Morte, prima del suo arrivo, ho visto quanto fossi vuoto. E ho capito che ero stufo di essere un ricettacolo. Perciò adesso scendo a trovare Jones, quasi ogni notte. -foro nel moncone e vi avevano inserito un rocchetto con la sua boccola, +Adesso siamo soci, io, Jones e Molly Million. Molly cura i nostri affari al _Drome_. -modellati da un diamante sintetico Ono-Sendai. Infine vi avevano avvolto tre +Jones è ancora al luna park, ma ha una vasca più grande, con acqua fresca che gli portano con una cisterna dal mare ogni settimana. E può avere la roba quando ne ha bisogno. Parla ancora insieme ai bambini, con le sue lampadine, ma parla anche con me per mezzo di un'unità display, in una baracca che ho affittato lì: -metri di filamento monomolecolare. Molly si mise a parlare con le Magnetic Dog +un'unità migliore di quelle che usava nella Marina. E ci facciamo tutti un sacco di soldi, più di quelli che facevo prima, perché lo squid di Jones legge le tracce di qualunque cosa è immagazzinata dentro di me e la traduce sull'unità display in linguaggi comprensibili. Perciò stiamo scoprendo un sacco di cose sui miei ex- clienti. E un giorno mi farò estrarre da un chirurgo tutto il silicio che ho nelle amigdale, e vivrò con i miei ricordi e con quelli di nessun altro, come fanno tutti. -Sisters, permettendomi di far passare Ralfi dalla porta, con la borsa da ginnastica - -che gli premeva delicatamente contro il fondo della schiena. Pareva che le - -conoscesse. Sentii quella nera ridere. - -Alzai gli occhi per un riflesso istintivo, forse perché non sono mai riuscito ad - -abituarmi agli archi di luci e alle ombre delle cupole geodesiche più su. Forse fu - -questo a salvarmi la vita. Ralfi continuò a camminare, ma non credo che cercasse - -di scappare. Credo che ci avesse già rinunciato. Probabilmente aveva idea di - -quello che ci aspettava. - -Abbassai gli occhi appena in tempo per vederlo esplodere. Riproducendo la - -scena in playback si vede Ralfi avanzare, mentre il piccolo turista scivola fuori - -dal nulla, sorridendo. Un inchino appena accennato, e il suo pollice sinistro si - -stacca. Trucco da prestigiatore. Il pollice rimane sospeso. Fili? Specchi? E Ralfi si - -ferma, le spalle rivolte a noi, con scure mezzelune di sudore sotto le ascelle del - -suo abito estivo, chiaro. Lo sa. Doveva saperlo. E poi il pollice da prestigiatore, - -pesante come piombo, comincia a girare come uno yo-yo e il filo invisibile che lo - -unisce alla mano del killer attraversa il cranio di Ralfi appena sopra le - -sopracciglia, sale, e scende squarciando diagonalmente il torso gonfio, dalla - -spalla alla cassa toracica. Il taglio è così sottile che non scorre sangue finché le - -sinapsi non fanno cilecca e i primi tremori consegnano il corpo alla gravità. - -Ralfi crollò in una nuvola rosa di liquidi biologici, e le tre sezioni rotolarono - -sul marciapiede rivestito di piastrelle. In un silenzio totale. - -Sollevai la borsa da ginnastica e contrassi la mano. Il rinculo mi spezzò quasi il - -polso. - -Probabilmente pioveva. Torrenti d'acqua scendevano dalla falla di una cupola - -schizzando sul marciapiede dietro di noi. Ci rannicchiammo nello stretto spazio - -fra una boutique chirurgica e un negozio di antiquariato. Lei aveva dato - -un'occhiata oltre l'angolo con quei suoi occhi a specchio, riferendomi che c'era - -un solo modulo Volks di fronte al _Drome_ , le luci rosse che lampeggiavano. - -Stavano raccogliendo Ralfi. Facevano domande. - -Io ero ricoperto di peluria bianca bruciacchiata. Le calze da tennis. La borsa da - -ginnastica era un polsino stracciato di plastica attorno al mio polso. — Non - -capisco come diavolo ho fatto a mancarlo. - -— Perché è veloce, molto veloce. — Si strinse le ginocchia, dondolandosi sui - -tacchi. — Ha il sistema nervoso iperstimolato. È stato fabbricato su ordinazione. - -— Sorrise ed emise uno squittio di piacere. — Farò fuori quel tipo. Questa notte. - -È il migliore, il numero uno, l'ultimo grido. - -— Quello che farai, per i miei due milioni, è di farmi uscire da questo casino. Il - -tuo amico laggiù l'hanno fatto crescere in una vasca di Chiba City. È un assassino - -della Yakuza. - -— Chiba. Giusto. Vedi, anche Molly è stata a Chiba. — E mi fece vedere le mani, - -allargando leggermente le dita. Erano sottili, appuntite, pallidissime contro le - -unghie laccate di rosso borgogna. Dieci lame uscirono di scatto dai ricettacoli - -dietro le unghie, ciascuna un sottile bisturi a doppio taglio, acciaio azzurrino. - -Non ho mai avuto molto a che fare con la Città Oscura. Non c'è nessuno lì che - -mi paghi per ricordare. Anzi, c'è un sacco di gente che paga per dimenticare. - -Generazioni di cecchini avevano fatto a pezzi le luci al neon, finché le squadre di - -manutenzione non avevano gettato la spugna. Anche a mezzogiorno i lampioni - -erano macchie nero-fuliggine contro un biancore madreperlaceo. - -Dove si può andare quando la più ricca organizzazione criminale del mondo - -sta cercando con dita leggere e decise? Dove ci si può nascondere dalla Yakuza, - -tanto potente da possedere satelliti di comunicazione propri e almeno tre - -navette spaziali? La Yakuza è una vera multinazionale, come l'I.T.T. e l'Ono- - -Sendai. Cinquant'anni prima che nascessi, la Yakuza aveva già assorbito le - -Triadi, la Mafia e l'Union Corse. - -Molly aveva una risposta: basta nascondersi nel Pozzo, nel girone più basso, - -dove qualsiasi influenza estranea è subito accolta come una minaccia. Ci si - -nasconde nella Città Oscura. Meglio ancora, ci si nasconde “sopra” la Città - -Oscura, perché il Pozzo è invertito, e il fondo tocca il cielo, il cielo che la Città - -Oscura non vede mai, sudando sotto il suo firmamento di resina acrilica; in alto, - -dove i Lo Tek si annidano nel buio come grottesche sculture, sigarette del - -mercato nero fra le labbra. - -Lei aveva anche un'altra soluzione. - -— Allora sei chiuso come un'ostrica, Johnny-san? Non c'è modo di raggiungere - -quel programma senza la parola d'ordine? — Mi condusse verso le ombre che ci - -attendevano oltre la fermata della metropolitana. Le pareti di cemento erano - -ricoperte di graffiti, anni di graffiti, che si intersecavano in un'unica metafora - -caotica di rabbia e frustrazione. - -— I dati vengono immessi attraverso una serie di microprotesi - -controautistiche modificate. — Le snocciolai una versione un po' ebete del mio - -discorsetto per i clienti. — Il codice del cliente viene immagazzinato in un chip - -speciale; a parte gli squid, di cui noi del mestiere preferiamo non parlare, non c'è - -alcun modo per recuperare la frase. Né con le droghe, né con la tortura. Non la - -conosco neanche io, non l'ho mai conosciuta. - -— Squid? Calamari? Quei molluschi con i tentacoli? — Emergemmo in un - -mercato all'aperto, deserto. Figure indistinte ci osservavano da una piazzetta - -lercia di teste di pesce e frutta marcia. - -— Rilevatori di Superconduttori quantici a interferenza. Li usavano durante la - -guerra per scoprire i sottomarini, per individuare i sistemi cibernetici del - -nemico. - -— Davvero? Roba della Marina? Dell'epoca della guerra? Dici che se avessimo - -uno squid potremmo leggere quel tuo chip? — Aveva smesso di camminare, e mi - -sentivo i suoi occhi addosso, quei due specchi gemelli. - -— Anche i modelli primitivi erano in grado di misurare un campo magnetico - -di un miliardesimo della forza geomagnetica; è come sentire un sussurro in uno - -stadio di gente urlante. — I poliziotti possono già farlo, con microfoni parabolici - -e laser. - -— Ma i dati sono lo stesso al sicuro. — Orgoglio professionale. — Nessun - -governo permetterebbe ai suoi poliziotti di usare uno squid, neppure ai servizi - -segreti. È troppo forte il rischio che vengano usati per spionaggio interno; altro - -che Watergate. - -— Roba della Marina — disse lei, e il suo sorriso balenò nell'ombra. — Roba - -della Marina. Ho un amico da queste parti che era nella Marina, si chiama Jones. - -Credo che dovresti conoscerlo. Però è drogato. Dovremo portargli un po' di roba. - -— Drogato? - -— È un delfino. - -Era più di un delfino, ma dal punto di vista di un altro delfino forse poteva - -sembrare meno. Lo guardai girare pigramente nella sua vasca di lamiera zincata. - -L'acqua traboccò, bagnandomi le scarpe. Era un residuato dell'ultima guerra. Un - -cyborg. - -Uscì dall'acqua, mostrandoci le piastre incrostate sui fianchi: una specie di - -scherzo di natura, e tutta la sua grazia originaria era quasi scomparsa sotto - -l'armatura snodata, goffa e preistorica. Due protuberanze deformi, ai lati della - -testa contenevano i sensori. Ferite argentee luccicavano sulle zone scoperte - -della pelle grigiastra. - -Molly fischiò. Jones agitò la coda e l'acqua schizzò fuori dalla vasca. - -— Che posto è questo? — C'erano forme vaghe nel buio, catene arrugginite, - -altri oggetti coperti da teloni. Sopra il serbatoio era appesa una rozza - -intelaiatura di legno con appese file e file di lampadine polverose, come quelle di - -un albero di Natale. - -— Un luna park con zoo incorporato. “Parlate con la balena da guerra.” Roba - -del genere. Sai che balena il nostro Jones.. - -Jones si sollevò nuovamente, fissandomi con occhi tristi e antichi. - -— Come fa a parlare? — D'improvviso ero ansioso di andarmene. - -— Questo è il trucco. Di' “ciao”, Jones. - -E tutte le lampadine si accesero insieme lampeggiando. Erano rosse, bianche e - -azzurre. - -RBARBARBA - -RBARBARBA - -RBARBARBA - -RBARBARBA - -RBARBARBA - -— È bravo coi simboli, capisci, ma il codice è ristretto. Nella Marina l'avevano - -collegato a un display audiovisivo. — Prese il piccolo involucro da una tasca - -della giacca. — Roba buona, Jones. La vuoi? — Lui si immobilizzò nell'acqua e - -cominciò ad affondare. Provai una strana sensazione di panico, sapendo che non - -era un pesce e che poteva affogare. — Ci serve la chiave per la banca dati di - -Johnny, Jones. Ci serve subito. - -Le luci lampeggiarono, poi si spensero. - -— Forza, Jones! - -A - -AAAAAAAAAA - -A - -A - -A - -Lampadine azzurre, a forma di croce. - -Buio. - -— È roba buona! PULITA. Forza, Jones! - -BBBBBBBBBBB - -BBBBBBBBBBB - -BBBBBBBBBBB - -BBBBBBBBBBB - -Un bagliore bianco al sodio illuminò il viso di Molly, scavando ombre sui suoi - -zigomi. - -RRRRRRR - -RR - -RRRRRRRRR - -RR - -RRRRRRR - -I bracci della svastica rossa apparivano distorti sulle lenti d'argento. — - -Dagliela — dissi. — Abbiamo la chiave. Ralfi Face. Proprio niente - -immaginazione. - -Jones sollevò metà del suo corpo corazzato sull'orlo della vasca, e io pensai - -che il metallo avrebbe ceduto. Molly gli praticò l'iniezione con una Syrette, - -infilando l'ago fra due piastre. Si sentì il sibilo del propellente. Ondate di luce - -esplosero sull'intelaiatura di legno, spasmodicamente, poi svanirono. - -Lo lasciammo a rotolarsi languidamente nell'acqua scura. Forse sognava la - -sua guerra nel Pacifico, le mine cibernetiche che aveva disinnescato infilandosi - -delicatamente nei loro circuiti, con lo squid che aveva usato per individuare la - -ridicola parola d'ordine di Ralfi nel chip nascosto nella mia testa. - -— Posso capire che ci sia stata una svista quando l'hanno dimesso dalla - -Marina, lasciandolo andare in giro con quella roba intatta nella testa; ma com'è - -possibile che un delfino cibernetico sia diventato eroinomane? - -— La guerra — disse lei. — Lo erano tutti. È stata la Marina. Come si può - -costringerli a lavorare, altrimenti? - -— Non sono sicuro che sia un buon affare — disse il pirata, cercando di - -spillarci più soldi. — Le coordinate di un satellite che non è neppure elencato. . - -— Se mi fai perdere tempo non ci sarà nessun affare — disse Molly, - -appoggiandosi alla scrivania di plastica coperta di sfregi e puntandogli un dito - -contro il petto. - -— Se volete, potete comprare le vostre microonde da qualche altra parte. — - -Era un tipo duro, dietro la sua faccia alla Mao. Nato nella Città Oscura, - -probabilmente. - -La mano di Molly scivolò veloce davanti alla sua giacca, tagliando di netto un - -risvolto senza neppure lasciare una piega sulla stoffa. - -— Allora, affare fatto o no? - -— Affare fatto — disse lui, guardandosi il risvolto con quella che sperava - -dovesse apparire come pacata curiosità. — Affare fatto. - -Mentre io controllavo i due registratori che avevamo comprato, lei estrasse - -dalla tasca a cerniera sul polso della giacca il foglietto che le avevo dato. Lo aprì e - -lesse silenziosamente, muovendo le labbra. Alzò le spalle. — È questo? - -— Vai — dissi, schiacciando i bottoni di registrazione dei due registratori - -contemporaneamente. - -— Christian White — disse lei — e la sua Aryan Reggae Band. - -Fedele al suo idolo fino alla morte, il nostro Ralfi. La transizione in modalità - -trasmissione automatica è sempre meno violenta di quanto mi aspetti. L'ufficio - -del trasmettitore pirata si trovava in una falsa agenzia di viaggio: una squallida - -stanzetta a colori pastello con una scrivania, tre sedie e il poster ingiallito di una - -stazione orbitale svizzera. Un paio di uccelli giocattolo, con i corpi di vetro - -soffiato e gambe sottili bevevano annoiati da una tazza di materiale espanso su - -uno scaffale vicino alla spalla di Molly. Mentre io entravo nell'altra modalità - -accelerarono gradualmente, finché le loro creste fosforescenti non si - -trasformarono in immobili archi di colore. I “led” dei secondi sull'orologio - -appeso alla parete di plastica erano diventati griglie che pulsavano senza senso, - -mentre Molly e il ragazzo con la faccia di Mao apparivano confusi, e le loro - -braccia si agitavano ogni tanto indistintamente in movimenti-fantasma, da - -insetti. Poi tutto svanì in una scarica di gelo livido e un infinito poema atonale in - -linguaggio artificiale. Rimasi seduto per tre ore a snocciolare il programma - -rubato al morto Ralfi. - -Il viale è lungo quaranta chilometri, da un'estremità all'altra: un sovrapporsi - -confuso di cupole di Fuller che coprono quella che un tempo era un'arteria - -suburbana. Se le lampade vengono spente, in una giornata serena, una grigia - -approssimazione della luce solare filtra attraverso strati di materiale acrilico, in - -una visione simile alle Prigioni incise da Giovanni Piranesi. Gli ultimi tre - -chilometri a sud coprono la Città Oscura. La Città Oscura non paga tasse né - -servizi. Le lampade al neon sono spente, e le cupole geodesiche sono state - -annerite da decenni di fumo dei fornelli. Nel buio quasi totale del mezzogiorno - -della Città Oscura, chi si accorge di qualche ragazzino folle perso fra i piloni di - -sostegno? - -Ci stavamo arrampicando da due ore lungo scale di cemento e di ferro, - -incastellature abbandonate su cui erano sparsi attrezzi polverosi. Eravamo - -partiti da quella che sembrava una piazzuola in disuso per la manutenzione, - -piena di segmenti triangolari di coperture per soffitti. Tutto era stato ricoperto - -con lo stesso strato uniforme di scritte fatte con bombolette spray: nomi di - -bande, iniziali, date che risalivano alla fine del secolo precedente. I graffiti ci - -seguirono nella nostra ascesa, diradandosi finché un solo nome appariva - -ripetuto ad intervalli. LO TEK. In maiuscole nere, gocciolanti. - -— Chi è Lo Tek? - -— Non noi, capo. — Si arrampicò lungo una tremante scaletta di alluminio e - -svanì in un buco praticato in una lastra di plastica ondulata. — “Low - -Technology”, bassa tecnologia. — La plastica le attutiva la voce. La seguii, - -massaggiandomi il polso dolorante. — Per i Lo Tek quel tuo fucile da caccia è fin - -troppo raffinato. Un'ora dopo mi issai attraverso un altro buco, quest'ultimo - -segato rozzamente in una lastra di compensato incurvato, e incontrai il mio - -primo Lo Tek. - -— Tranquillo — disse Molly, sfiorandomi la spalla. — È solo Cane. - -— Ciao, Cane. - -Nel fascio sottile della torcia elettrica di Molly, lui ci guardò con un occhio, poi - -lentamente allungò una lingua lunga e spessa, grigiastra, e si leccò i grossi canini. - -Mi chiesi come si potesse definire bassa tecnologia un trapianto di denti di - -dobermann. Non credo che gli immunosoppressori si trovino sugli alberi. - -— Molly. — I grossi denti gli rendevano difficile parlare. Un filo di saliva gli - -sgocciolava dal labbro inferiore contorto. — Sentito venire. Tanto tempo. — - -Poteva avere quindici anni, ma le zanne, insieme a un mosaico di cicatrici e - -all'orbita vuota, formavano il ritratto della bestialità. Per mettere insieme una - -faccia del genere c'era voluto tempo e un certa qual creatività, e capii dalla sua - -posa che godeva a portarla. Indossava un paio di jeans stracciati, neri per lo - -sporco e lucidi lungo le cuciture. Il petto e i piedi erano nudi. Con la bocca fece - -qualcosa che si avvicinava a un sorriso. — Siete seguiti, voi. - -In basso, nella Città Oscura, un venditore di acqua lanciò il suo grido. - -— Le corde si muovono, Cane? — Molly spostò la lampada, e vidi delle corde - -sottili legate a degli anelli, che arrivavano fino al bordo e sparivano. - -— Spegni quella luce del cazzo! - -Molly la spense. - -— Com'è che quello che vi segue non ha una luce? - -— Non ne ha bisogno. Questa è la cattiva notizia, Cane. Se le vostre sentinelle - -cercano di buttarlo giù, si troveranno ridotte in tanti bei pezzettini. - -— È un amico, vero Molly? — Sembrava a disagio. Sentii i suoi piedi strisciare - -sul compensato logoro. - -— No. Ma è mio. E questo — dandomi una pacca sulla spalla — è un amico. - -Capito? - -— Sicuro — disse senza molto entusiasmo, andando fino all'orlo della - -piattaforma, dove c'erano gli anelli. Cominciò a pizzicare una specie di - -messaggio sulle corde tese. - -La Città Oscura si stendeva sotto di noi come un villaggio in miniatura per - -topi; piccole finestre mostravano luci di candela, con pochi riquadri più intensi - -illuminati da lampade a batteria o a carburo. Immaginai i vecchi intenti a - -interminabili giochi di domino, sotto le grosse gocce calde che cadevano dai - -bucati stesi ad asciugare sui pali, fra le baracche di compensato. Poi cercai di - -immaginarmelo mentre si arrampicava pazientemente nel buio, con i suoi - -sandali e l'orribile camicia da turista, tranquillo, senza fretta. Come faceva a - -seguire le nostre tracce? - -— Facile — disse Molly. — Sente il nostro odore. - -— Sigaretta? — Cane tirò fuori dalla tasca un pacchetto stropicciato e ne - -estrasse una sigaretta appiattita. Osservai il marchio mentre me l'accendeva con - -un fiammifero da cucina. Yeheyuan con filtro. Fabbrica di Sigarette Pechino. - -Capii che i Lo Tek lavoravano nel mercato nero. Cane e Molly tornarono alla loro - -discussione che riguardava la richiesta di Molly di servirsi di una certa porzione - -del territorio Lo Tek. - -— Vi ho fatto un sacco di favori, amico. Voglio quel campo. E voglio la musica. - -— Tu non sei Lo Tek. . - -Andava avanti così da quasi un chilometro, con Cane che ci guidava lungo - -passerelle oscillanti e su per scale di corda. I Lo Tek attaccano le loro ragnatele e - -le loro abitazioni alla struttura della città con grumi di resina epossidica, e - -dormono sull'abisso in amache di rete. Il loro territorio è così rarefatto che in - -alcuni punti consiste solo di appigli per i piedi e per le mani, ritagliati via nel - -supporto delle geodesiche. - -Il Campo della Morte, lo chiamava Molly. Arrampicandomi dietro di lei, con le - -mie nuove scarpe da Eddie Bax che scivolavano sul metallo liscio e sul - -compensato umido, mi chiesi come quel territorio potesse essere più pericoloso - -del rimanente. Allo stesso tempo avvertivo che le proteste di Cane erano solo un - -proforma, e che lei già sapeva che avrebbe ottenuto quello che voleva. - -Da qualche parte sotto di noi Jones stava girando nella sua vasca, avvertendo i - -primi sintomi della crisi di astinenza. La polizia stava interrogando i clienti - -abituali del _Drome_ , faceva domande su Ralfi. Cosa faceva? Chi era con lui prima - -che uscisse? E la Yakuza stava stendendo la sua rete occulta sulle banche dati - -della città, cercando pallide immagini di me stesso riflesse su numeri di conto - -corrente, assicurazioni, bollette. Siamo un'economia fondata sull'informazione. - -Lo insegnano a scuola. Quello che non dicono è che è impossibile muoversi, - -vivere, operare a qualunque livello senza lasciare tracce, segni, frammenti di - -informazione apparentemente privi di significato. Frammenti che possono - -essere recuperati e amplificati. . Ma ormai il pirata doveva aver trasmesso il - -nostro messaggio al satellite di comunicazioni della Yakuza, attraverso la sua - -scatola nera. Un messaggio semplice: richiamate i vostri scagnozzi o rendiamo di - -pubblico dominio il vostro programma. - -Il programma. Non avevo alcuna idea di cosa contenesse. Non ce l'ho tuttora. - -Mi limito a esporlo senza comprenderlo. Probabilmente si trattava di dati - -tecnici: la Yakuza è specializzata in forme avanzate di spionaggio industriale. Un - -lavoro da gentiluomini: rubano alla Ono-Sendai e chiedono cortesemente un - -riscatto, minacciando di divulgare i dati e toglierle il primato delle ricerche più - -avanzate. Ma perché non poteva entrare qualcun altro nel gioco? Non sarebbe - -stato meglio per loro avere qualcosa da rivendere alla Ono-Sendai che un Johnny - -qualsiasi di Memory Lane morto? Il loro programma era in viaggio verso un - -indirizzo di Sydney, un posto dove si trattenevano le lettere per i clienti senza - -fare domande, una volta pagata una modesta tariffa. Posta ordinaria di quarta - -classe. Avevo cancellato la maggior parte dell'altro nastro, e nei vuoti avevo - -registrato il nostro messaggio, lasciando abbastanza programma per permettere - -di identificarlo come autentico. Il polso mi faceva male. Avevo voglia di - -fermarmi, di stendermi, di dormire. Sapevo che presto la presa mi sarebbe - -sfuggita e sarei caduto, sapevo che le scarpe nere a punta che avevo comprato - -per la mia serata come Eddie Bax sarebbero scivolate e mi avrebbero fatto - -precipitare nella Città Oscura. Ma lui mi appariva nella mente come un - -ologramma religioso da quattro soldi, luminoso, il chip ingrandito sulla camicia - -hawaiana simile alla foto aerea di un nucleo urbano da bombardare. - -Così seguii Cane e Molly nel cielo dei Lo Tek, costruito con gli scarti che - -neppurela Città Oscura voleva. - -Il Campo della Morte era un quadrato di otto metri di lato. Un gigante aveva - -intrecciato un cavo d'acciaio in mezzo a un deposito di robivecchi, e l'aveva teso - -bene. Scricchiolava quando si muoveva, e si muoveva in continuazione, - -ondeggiando e oscillando mentre i Lo Tek si sistemavano sulla piattaforma di - -compensato che lo circondava. Il legno era argenteo per l'età, consumato e - -crivellato di incisioni: iniziali, minacce, dichiarazioni di passione. Era attaccato a - -una serie separata di cavi, che si perdevano nel buio dietro il bagliore bianco di - -due vecchi riflettori sospesi sopra il Campo. Una ragazza con denti come quelli di - -Cane saltò sulla rete, a quattro zampe. Aveva spirali viola tatuate sui seni. - -Attraversò ridendo il Campo, e si azzuffò con un ragazzo che stava bevendo un - -liquore scuro da una bottiglia da un litro. - -Tutta la moda dei Lo Tek era nelle cicatrici e nei tatuaggi. E nei denti. - -L'elettricità che rubavano per illuminare il Campo della Morte sembrava - -un'eccezione alla loro regola estetica, fatta in nome di. . un rituale, uno sport, - -un'arte? Non lo sapevo, ma si vedeva che il Campo era qualcosa di speciale. - -Aveva l'aria di essere stato costruito nel corso di molte generazioni. - -Tenevo il fucile inutile sotto la giacca. Il peso e la rigidità dell'oggetto erano - -confortanti, anche se non avevo più cartucce. E mi venne in mente che non avevo - -la più pallida idea di quello che stava succedendo o che avrebbe dovuto - -succedere. E questo era nella natura del mio mestiere, perché avevo passato la - -maggior parte della mia vita come un ricettacolo inconsapevole che viveva - -unicamente per essere riempito delle conoscenze degli altri e poi prosciugato, - -declamando linguaggi sintetici che non avevo mai compreso. Un ragazzo molto - -raffinato. Come no. - -Poi mi accorsi di quanto erano diventati silenziosi i Lo Tek. Era arrivato. Era ai - -bordi dell'area illuminata, osservava il Campo della Morte e le file silenziose di - -Lo Tek con la calma del turista. E mentre i nostri occhi si incontravano per la - -prima volta e si riconoscevano vicendevolmente un ricordo scattò nel mio - -cervello: Parigi, lunghe Mercedes elettriche che scivolavano nella pioggia verso - -Notre Dame; serre mobili, facce giapponesi dietro i finestrini, e cento Nikon che - -si sollevavano in un cieco fototropismo. Dietro quegli occhi che mi localizzavano, - -gli stessi otturatori ronzanti. Cercai Molly Million, ma era sparita. - -I Lo Tek si fecero da parte per lasciarlo salire sulla piattaforma. Lui si inchinò, - -sorridendo, e si tolse i sandali, lasciandoli affiancati e perfettamente allineati, poi - -posò i piedi sul Campo della Morte. Venne verso di me, attraverso la rete - -ondeggiante di rifiuti, tranquillamente come un turista che attraversi una - -moquette sintetica in un albergo anonimo. - -Molly saltò sul Campo, muovendosi in fretta. - -Il Campo urlò. - -Era dotato di microfoni e amplificato, con ricevitori montati sulle quattro - -grosse molle agli angoli e microfoni a contatto sparsi su frammenti arrugginiti di - -macchine. Da qualche parte c'erano un amplificatore e un sintetizzatore, e riuscii - -a scorgere le forme degli altoparlanti in alto, sopra gli implacabili riflettori - -bianchi. Cominciò un battito di tamburi, elettronico, come un cuore amplificato, - -regolare come un metronomo. - -Lei si era tolta la giacca di pelle e gli stivali; aveva una maglietta senza - -maniche, e sulle braccia sottili si scorgevano le deboli tracce dei circuiti di Chiba - -City. I jeans di pelle rilucevano sotto i riflettori. Cominciò a danzare. - -Piegò le ginocchia, i piedi bianchi appoggiati su un serbatoio appiattito di - -benzina, e il Campo della Morte cominciò a ondeggiare in sintonia. Il suono che - -emetteva era come quello della fine del mondo, come se i fili che ormeggiavano il - -firmamento stessero per spezzarsi e attorcigliarsi nel cielo. - -Lui si lasciò dondolare per il tempo di qualche battito di cuore, poi si mosse, - -calcolando alla perfezione i movimenti del Campo, come un uomo che passi da - -una pietra all'altra del sentiero di un giardino ornamentale. - -Si tolse la punta del pollice con la grazia di un uomo abituato ai gesti in - -società, e la gettò verso di lei. Sotto i riflettori, il filamento era un frammento - -sottilissimo di arcobaleno. Lei si gettò stesa sulla rete e rotolò rialzandosi - -mentre il filò monomolecolare le passava sulla testa, le unghie di acciaio che - -balenavano per un attimo, in quella che doveva essere una reazione di difesa - -automatica. Il battito di tamburi si fece più rapido, e lei prese a saltare insieme - -ad esso, i capelli neri scarmigliati attorno alle lenti d'argento, le labbra sottili - -tese nella concentrazione. Il Campo della Morte tuonava e ruggiva, e i Lo Tek - -urlavano emozionati. Lui ritrasse il filamento, trasformandolo in un cerchio di - -policromia spettrale largo un metro, e lo fece girare davanti a sé, la mano senza - -pollice tenuta al livello dello sterno. Uno scudo. E Molly parve lasciar andare - -qualcosa, qualcosa dentro di lei, e quello fu il vero inizio della sua danza folle. - -Saltò di lato, contorcendosi, e atterrò con entrambi i piedi su un blocco motore in - -lega collegato direttamente ad una delle molle. Mi misi le mani sugli orecchi e - -caddi in ginocchio in una vertigine di suono, pensando che il Campo e le panche - -stessero precipitando verso la Città Oscura, vedendoci piombare sulle baracche, - -sul bucato steso ad asciugare, esplodere sulle piastrelle come frutti marci. Ma i - -cavi resistettero, e il Campo della Morte iniziò ad alzarsi e abbassarsi come un - -pazzesco mare di metallo. E Molly vi danzava sopra. Alla fine, un istante prima - -del suo lancio finale, vidi qualcosa sulla faccia dell'uomo, un'espressione che - -sembrava non appartenergli. Non era paura, e non era rabbia. Credo che fosse - -incredulità, stupefatta incomprensione unita a ripugnanza per quello che vedeva - -e sentiva. . per quello che gli stava succedendo. Ritrasse il filamento roteante, e il - -disco scintillante si ridusse alle dimensioni di un piatto, mentre portava la mano - -sulla testa e l'abbassava, la punta del dito che si curvava verso Molly come una - -cosa viva. - -Il Campo la fece scendere, e il filo le passò appena sopra la testa; il Campo - -sobbalzò come per una frustata, sollevandolo sul tragitto del filo teso. Avrebbe - -dovuto passargli sopra la testa e venir ritratto sul suo rocchetto di diamante. Gli - -tagliò la mano appena dietro il polso. C'era un buco nel Campo, proprio davanti a - -lui, e ci si buttò come un tuffatore, deliberatamente con una strana grazia: un - -kamikaze sconfitto che scendeva sulla Città Notturna. In parte, credo, scelse di - -farlo per guadagnarsi la dignità di pochi secondi di silenzio. Lei l'aveva ucciso - -con uno shock culturale. - -I Lo Tek urlarono, ma qualcuno spense l'amplificatore, e Molly rimase sul - -Campo, oscillando sempre più adagio, la faccia bianca e inespressiva, finché si - -sentì solo lo scricchiolio del metallo sotto sforzo, e il grattare della ruggine - -contro la ruggine. Cercammo la mano tagliata sul Campo, ma non la trovammo. - -L'unica cosa che trovammo fu un aggraziato taglio ricurvo in un pezzo di metallo - -arrugginito, dove era passato il filo monomolecolare. Il bordo della ferita era - -brillante come una cromatura nuova. - -Non riuscimmo mai a sapere se la Yakuza aveva accettato le nostre condizioni - -o se aveva ricevuto il messaggio. Per quel che ne so io, il loro programma sta - -ancora aspettando Eddie Bax, su uno scaffale nel retro di un negozio di articoli - -da regalo, al terzo livello di Sydney Central-5. Probabilmente hanno rivenduto - -l'originale alla Ono-Sendai qualche mese fa. Ma probabilmente hanno ricevuto la - -trasmissione pirata, perché nessuno è ancora venuto a cercarmi, ed è passato - -quasi un anno. Se verranno dovranno farsi una lunga arrampicata, al buio, oltre - -le sentinelle di Cane, e da qualche tempo a questa parte non assomiglio più - -molto a Eddie Bax. Ci ha pensato Molly, con un'anestesia locale. E i denti nuovi - -mi sono quasi ricresciuti. Ho deciso di rimanere quassù. Quando ho guardato il - -Campo della Morte, prima del suo arrivo, ho visto quanto fossi vuoto. E ho capito - -che ero stufo di essere un ricettacolo. Perciò adesso scendo a trovare Jones, - -quasi ogni notte. - -Adesso siamo soci, io, Jones e Molly Million. Molly cura i nostri affari al _Drome_. - -Jones è ancora al luna park, ma ha una vasca più grande, con acqua fresca che gli - -portano con una cisterna dal mare ogni settimana. E può avere la roba quando - -ne ha bisogno. Parla ancora insieme ai bambini, con le sue lampadine, ma parla - -anche con me per mezzo di un'unità display, in una baracca che ho affittato lì: - -un'unità migliore di quelle che usava nella Marina. E ci facciamo tutti un sacco di - -soldi, più di quelli che facevo prima, perché lo squid di Jones legge le tracce di - -qualunque cosa è immagazzinata dentro di me e la traduce sull'unità display in - -linguaggi comprensibili. Perciò stiamo scoprendo un sacco di cose sui miei ex- - -clienti. E un giorno mi farò estrarre da un chirurgo tutto il silicio che ho nelle - -amigdale, e vivrò con i miei ricordi e con quelli di nessun altro, come fanno tutti. - -Ma non subito. Nel frattempo sto benissimo quassù, nell'oscurità, a fumare una - -sigaretta cinese col filtro e ad ascoltare le gocce di condensa che cadono dalla - -cupola. È molto tranquillo quassù. . A meno che un paio di Lo Tek non decidano - -di ballare sul Campo della Morte. Ed è anche istruttivo. Con Jones che mi aiuta, - -sto diventando il tipo più tecnico del giro. +Ma non subito. Nel frattempo sto benissimo quassù, nell'oscurità, a fumare una sigaretta cinese col filtro e ad ascoltare le gocce di condensa che cadono dalla cupola. È molto tranquillo quassù. . A meno che un paio di Lo Tek non decidano di ballare sul Campo della Morte. Ed è anche istruttivo. Con Jones che mi aiuta, sto diventando il tipo più tecnico del giro. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md b/Gibson/02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md index 5db7d70..80d99d1 100644 --- a/Gibson/02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md +++ b/Gibson/02_la_notte_che_bruciammo_chrome.md @@ -2,1350 +2,388 @@ _(Burning Chrome, 1981)_ -Faceva caldo, la notte che bruciammo Chrome. Nei viali e nelle piazze le falene +Faceva caldo, la notte che bruciammo Chrome. Nei viali e nelle piazze le falene sbattevano fino a morire contro le luci al neon, ma nella mansarda di Bobby l'unica luce era quella del monitor e dei led rossi e verdi del simulatore di matrice. Conoscevo a memoria ogni chip del simulatore di Bobby: sembrava un normalissimo Ono-Sendai 7, il “Cyberspace Seven”, ma l'avevo ricostruito tante di quelle volte che sarebbe stato difficile trovare un millimetro quadrato di circuiti originali in quel silicio. -sbattevano fino a morire contro le luci al neon, ma nella mansarda di Bobby +Aspettammo fianco a fianco di fronte alla consolle del simulatore, osservando il contaminuti nell'angolo in basso a sinistra dello schermo. -l'unica luce era quella del monitor e dei led rossi e verdi del simulatore di +— Vai — dissi, quando fu il momento, ma Bobby si era già chinato in avanti a infilare il programma russo nella fessura con il palmo della mano. Lo fece con la grazia tesa di un ragazzino che infila la moneta in un gioco elettronico con la certezza di vincere una serie di giochi gratis. -matrice. Conoscevo a memoria ogni chip del simulatore di Bobby: sembrava un +Un'ondata fosforescente si sollevò nel mio campo visivo mentre la matrice cominciava a dispiegarmisi nella mente, una scacchiera tridimensionale perfettamente trasparente che si estendeva all'infinito. Mentre entravamo nella griglia mi parve che il programma avesse dato un sobbalzo. Se qualcun altro si fosse inserito in quella parte della matrice avrebbe visto un'ombra guizzante uscire dalla piccola piramide gialla che rappresentava il nostro computer. Il programma era un'arma mimetica, progettata per assorbire il colore locale e assumere la priorità assoluta in qualsiasi contesto incontrato. -normalissimo Ono-Sendai 7, il “Cyberspace Seven”, ma l'avevo ricostruito tante +— Congratulazioni — sentii dire Bobby. — Siamo appena diventati una sonda di ispezione dell'Ente Fissione della Costa Orientale. . — significava che stavamo scivolando lungo le linee fibro-ottiche con innestato l'equivalente cibernetico di una sirena d'emergenza, ma nella matrice di simulazione correvamo dritti verso il database di Chrome. Non potevo vederlo ancora, ma già sapevo che quelle mura ci attendevano. Mura di ombra, mura di ICE. -di quelle volte che sarebbe stato difficile trovare un millimetro quadrato di +Chrome: una graziosa faccia da bambina liscia come acciaio, occhi che sembravano nati in qualche fossa oceanica, occhi freddi e grigi sotto una pressione terribile. Dicevano che si divertisse a inventare forme particolari di cancro per quelli che le intralciavano il cammino: varianti macabre e barocche che impiegavano anni a uccidere. Di Chrome si dicevano un sacco di cose, nessuna molto rassicurante. Perciò cancellai nella mente la sua immagine, sovrapponendole quella di Rikki. Rikki inginocchiata in un raggio di luce polverosa che filtrava nella mansarda attraverso una griglia di acciaio e vetro: i pantaloni mimetici sbiaditi, i sandali rosa trasparenti, la linea armoniosa della sua schiena nuda mentre frugava in una borsa di nylon. Alza gli occhi, e un ricciolo biondo-castano le scende a solleticarle il naso. Sorride, allacciandosi una vecchia camicia di Bobby, il cotone logoro color kaki teso sui seni. -circuiti originali in quel silicio. +Sorride. -Aspettammo fianco a fianco di fronte alla consolle del simulatore, osservando +— Figlio di puttana — disse Bobby. — Abbiamo appena detto a Chrome che siamo un'ispezione fiscale e tre citazioni della Corte Suprema. . Stringi le chiappe, Jack. . -il contaminuti nell'angolo in basso a sinistra dello schermo. +Addio Rikki. Forse adesso non ti rivedrò più. -— Vai — dissi, quando fu il momento, ma Bobby si era già chinato in avanti a +Era buio, così buio nelle sale dell'ICE di Chrome. -infilare il programma russo nella fessura con il palmo della mano. Lo fece con la +Bobby era un cowboy, e l'ICE era il suo campo di azione: ICE significava “Contromisure Elettroniche d'Intrusione”. La matrice è una rappresentazione astratta delle relazioni fra i Sistemi di dati. I programmatori autorizzati si inseriscono nel settore della matrice appartenente ai loro datori di lavoro e si trovano circondati da luminose forme geometriche che rappresentano i dati della società. Torri e campi si dispiegano nel non-spazio incolore della matrice, questa allucinazione collettiva elettronica che facilita il trattamento e lo scambio di grandi quantità di dati. I programmatori autorizzati non vedono mai le pareti di ICE dietro cui lavorano, le mura d'ombra che nascondono le loro operazioni a occhi indiscreti, agli artisti dello spionaggio industriale, ai truffatori come Bobby Quine. -grazia tesa di un ragazzino che infila la moneta in un gioco elettronico con la - -certezza di vincere una serie di giochi gratis. - -Un'ondata fosforescente si sollevò nel mio campo visivo mentre la matrice - -cominciava a dispiegarmisi nella mente, una scacchiera tridimensionale - -perfettamente trasparente che si estendeva all'infinito. Mentre entravamo nella - -griglia mi parve che il programma avesse dato un sobbalzo. Se qualcun altro si - -fosse inserito in quella parte della matrice avrebbe visto un'ombra guizzante - -uscire dalla piccola piramide gialla che rappresentava il nostro computer. Il - -programma era un'arma mimetica, progettata per assorbire il colore locale e - -assumere la priorità assoluta in qualsiasi contesto incontrato. - -— Congratulazioni — sentii dire Bobby. — Siamo appena diventati una sonda - -di ispezione dell'Ente Fissione della Costa Orientale. . — significava che stavamo - -scivolando lungo le linee fibro-ottiche con innestato l'equivalente cibernetico di - -una sirena d'emergenza, ma nella matrice di simulazione correvamo dritti verso - -il database di Chrome. Non potevo vederlo ancora, ma già sapevo che quelle - -mura ci attendevano. Mura di ombra, mura di ICE. - -Chrome: una graziosa faccia da bambina liscia come acciaio, occhi che - -sembravano nati in qualche fossa oceanica, occhi freddi e grigi sotto una - -pressione terribile. Dicevano che si divertisse a inventare forme particolari di - -cancro per quelli che le intralciavano il cammino: varianti macabre e barocche - -che impiegavano anni a uccidere. Di Chrome si dicevano un sacco di cose, - -nessuna molto rassicurante. Perciò cancellai nella mente la sua immagine, - -sovrapponendole quella di Rikki. Rikki inginocchiata in un raggio di luce - -polverosa che filtrava nella mansarda attraverso una griglia di acciaio e vetro: i - -pantaloni mimetici sbiaditi, i sandali rosa trasparenti, la linea armoniosa della - -sua schiena nuda mentre frugava in una borsa di nylon. Alza gli occhi, e un - -ricciolo biondo-castano le scende a solleticarle il naso. Sorride, allacciandosi una - -vecchia camicia di Bobby, il cotone logoro color kaki teso sui seni. - -Sorride. - -— Figlio di puttana — disse Bobby. — Abbiamo appena detto a Chrome che - -siamo un'ispezione fiscale e tre citazioni della Corte Suprema. . Stringi le - -chiappe, Jack. . - -Addio Rikki. Forse adesso non ti rivedrò più. - -Era buio, così buio nelle sale dell'ICE di Chrome. - -Bobby era un cowboy, e l'ICE era il suo campo di azione: ICE significava - -“Contromisure Elettroniche d'Intrusione”. La matrice è una rappresentazione - -astratta delle relazioni fra i Sistemi di dati. I programmatori autorizzati si - -inseriscono nel settore della matrice appartenente ai loro datori di lavoro e si - -trovano circondati da luminose forme geometriche che rappresentano i dati - -della società. Torri e campi si dispiegano nel non-spazio incolore della matrice, - -questa allucinazione collettiva elettronica che facilita il trattamento e lo scambio - -di grandi quantità di dati. I programmatori autorizzati non vedono mai le pareti - -di ICE dietro cui lavorano, le mura d'ombra che nascondono le loro operazioni a - -occhi indiscreti, agli artisti dello spionaggio industriale, ai truffatori come Bobby - -Quine. - -Bobby era un cowboy. Bobby era uno scassinatore, un ladro che perlustrava il - -sistema nervoso elettronico dell'umanità, razziava dati e crediti nell'affollata - -matrice, lo spazio monocromatico dove le uniche stelle sono costituite da - -concentrazioni di dati, e in alto bruciano le galassie delle multinazionali e le - -fredde braccia a spirale dei sistemi militari. +Bobby era un cowboy. Bobby era uno scassinatore, un ladro che perlustrava il sistema nervoso elettronico dell'umanità, razziava dati e crediti nell'affollata matrice, lo spazio monocromatico dove le uniche stelle sono costituite da concentrazioni di dati, e in alto bruciano le galassie delle multinazionali e le fredde braccia a spirale dei sistemi militari. Bobby era una di quelle facce giovani-vecchie che si vedono al _Gentleman_ -_Loser_ , il bar chic dei cowboy del computer, razziatori, ladri cibernetici. Eravamo - -soci. - -Bobby Quine e Automatic Jack. Bobby è il tipo magro pallido, con gli occhiali - -scuri, Jack quello dall'aria poco raccomandabile, con il braccio mioelettrico. - -Bobby si occupa del software, Jack dell'hardware; Bobby manovra la tastiera e - -Jack si occupa di tutte quelle piccole cose che possono dare un vantaggio. O - -almeno questo è quanto avrebbero detto i fannulloni del _Gentleman Loser_ prima - -che Bobby decidesse di bruciare Chrome. Ma forse avrebbero detto anche che - -Bobby stava perdendo la grinta, che non era più quello di una volta. Aveva 28 - -anni, Bobby, e sono tanti per un cowboy della consolle. Eravamo tutti e due bravi - -nel nostro mestiere, ma per una ragione o per l'altra il colpo grosso non era - -ancora arrivato. Io sapevo dove andare per trovare la roba giusta, e Bobby era - -un vero mago. Si sedeva con una fascia di spugna bianca attorno alla fronte, e - -muoveva le dita sulla tastiera così veloce che non si riusciva a seguirlo, - -aprendosi la strada attraverso l'ICE più assurdo in circolazione; ma questo - -succedeva quando qualcosa riusciva a metterlo veramente in agitazione, e - -questo capitava di rado. Non era un tipo molto motivato, Bobby e quanto a me, - -mi bastava poter pagare l'affitto e mettermi una camicia pulita. - -Ma Bobby aveva il pallino delle ragazze, come se fossero i suoi tarocchi - -personali o qualcosa del genere; erano lo stimolo per farlo muovere. Non ne - -parlammo mai, ma quando sembrò che stesse cominciando a perdere il tocco, - -quell'estate, trascorreva sempre più tempo al _Gentleman Loser_. Sedeva a un - -tavolo vicino alla porta aperta e osservava la gente passare nelle sere in cui gli - -insetti si affollavano intorno alle luci al neon e l'aria puzzava di profumo e fast - -food. Si vedevano i suoi occhiali scuri passare in rassegna le facce, e fu così che - -decise che Rikki era quella che aspettava, il jolly, il colpo di fortuna. Quella - -nuova. - -Andai a New York per tastare il polso al mercato, per vedere cosa c'era di - -nuovo in fatto di software clandestino. Il locale di Finn ha un ologramma - -difettoso in vetrina, “metro holografix”, sopra tutta un'esposizione di mosche - -morte coperte di polvere grigia. All'interno la cianfrusaglia è come un oceano, - -accumulata contro le pareti appena visibili dietro immondizia informe dietro - -scaffali di truciolato incurvati pieni di vecchie riviste per soli uomini e annate di - -“National Geographic” dalla costa gialla. - -— Hai bisogno di una pistola — disse Finn. Sembra un prototipo di ingegneria - -genetica, un incrocio fra una talpa e un uomo fabbricato per scavare gallerie ad - -alta velocità. — Sei fortunato. Ho la nuova Smith & Wesson, la 408 Tattica. Ha un - -proiettore allo xeno sotto la canna, vedi; le batterie sono nel calcio. Crea un cono - -luminoso come il sole e largo 30 centimetri a 50 metri di distanza, nel buio più - -assoluto. La sorgente di luce è piccolissima, quasi impossibile da individuare. È - -fantastica in un eventuale combattimento notturno. Lasciai cadere il braccio sul - -tavolo e cominciai a tamburellare con le dita, i servomotori nella mano che - -ronzavano come mosche impazzite. Sapevo che Finn odiava quel rumore. - -— Vuoi venderla? — Toccò il polso di duralluminio con la canna smangiata di - -un pennarello. — Così magari te ne fai una più silenziosa. - -Io continuai. — Non ho bisogno di nessuna pistola, Finn. - -— Okay — disse lui — okay — e io smisi di tamburellare. — Ho solo questo - -articolo, e non so neanche che cosa sia. — Aveva un'aria infelice. — L'ho preso - -da certi ragazzini del Jersey la settimana scorsa. - -— Da quando in qua compri qualcosa che non conosci, Finn? - -— Furbastro. — E mi passò una busta trasparente con dentro qualcosa che - -sembrava una cassetta audio, attraverso l'imbottitura a bolle. — Avevano un - -passaporto — disse. — Carte di credito e un orologio. E questo. - -— Vuoi dire che lo avevano trovato in tasca a qualcuno. - -Lui annuì. - -— Il passaporto era belga. E aveva anche l'aria di essere falso, perciò l'ho - -messo nella fornace, e ci ho messo anche le carte. L'orologio era okay, un - -Porsche, bell'orologio. Era evidentemente un programma militare. Estratto dalla - -busta, assomigliava al caricatore di un piccolo fucile d'assalto rivestito di plastica - -nera opaca. Gli angoli mostravano del metallo bianco; doveva essere stato usato - -parecchio. - -— Ti faccio un prezzo di favore, Jack. In ricordo dei vecchi tempi. - -Non potei fare a meno di sorridere. Avere un prezzo di favore da Finn era - -come vedere Dio che faceva il favore di annullare la gravità quando si doveva - -portare una valigia pesante per un chilometro di corridoi d'aeroporto. - -— A me sembra russo — dissi. — Probabilmente ci sono dentro i controlli di - -emergenza per le fogne di qualche sobborgo di Leningrado. Proprio quello che - -mi serve. - -— Sai — disse Finn — ho un paio di scarpe più vecchie di te. Qualche volta - -penso che tu abbia tanta classe quanta quei teppisti di Jersey. Cosa vuoi che ti - -dica, che sono le chiavi del Cremlino? Scoprilo tu a cosa serve. Io la roba la vendo - -e basta. - -Lo comprai. - -Privi di corpo, ci infiliamo nel castello di ICE di Chrome. Siamo veloci, veloci. È - -come se corressimo sull'onda del programma invasore, scivolando sopra il - -ribollire in continuo mutamento dei sistemi sabotatori. Siamo macchie di olio - -pensanti, trasportate lungo corridoi d'ombra. - -Da qualche parte abbiamo dei corpi, molto lontano, in una mansarda stipata - -con il soffitto di acciaio e vetro. Da qualche parte abbiamo microsecondi, forse il - -tempo sufficiente per uscirne. Abbiamo sfondato i suoi cancelli camuffati come - -un'ispezione e tre citazioni, ma le sue difese sono programmate appositamente - -per reagire a questo tipo di intrusioni ufficiali Il suo ICE più sofisticato è - -strutturato per respingere mandati, ingiunzioni, citazioni. Una volta superato il - -primo cancello la massa dei suoi dati è svanita dietro l'ICE del nucleo centrale: - -queste pareti che vediamo come leghe di corridoi, labirinti d'ombra. Su cinque - -linee separate erano partiti segnali di allarme ad altrettanti studi legali, ma il - -virus aveva già intaccato l'ICE periferico. I sistemi sabotatori inghiottono le - -chiamate di allarme mentre i nostri subprogrammi mimetici analizzano tutto - -quello che non è coperto dall'ICE centrale. Il programma russo seleziona un - -numero di Tokyo fra i dati non protetti, scegliendolo in base alla frequenza delle - -chiamate, alla durata media, alla velocità con cui Chrome risponde a queste - -chiamate. - -— Okay — dice Bobby — adesso siamo una chiamata in codice in arrivo dal - -suo amico giapponese. Dovrebbe servire. Forza, cowboy. - -Bobby leggeva il suo futuro nelle donne; le sue ragazze erano presagi, - -cambiamenti atmosferici, e sedeva tutta la sera al _Gentleman Loser_ in attesa che - -la stagione gli servisse una nuova faccia, come una mano di carte. - -Io avevo lavorato fino a tardi nella mansarda, una sera, limando un chip, senza - -il braccio e con il manipolatore collegato direttamente al moncherino. - -Bobby arrivò con una ragazza che non avevo mai visto, e di solito mi sento un - -po' imbarazzato se un estraneo mi vede lavorare in quella maniera, con i fili - -attaccati agli spinotti di carbonio che sporgono dal moncherino. Mi venne vicino - -e guardò l'immagine ingrandita sullo schermo, poi vide il manipolatore che si - -muoveva sotto la calotta sigillata. Non disse nulla, si limitò a guardare. Ebbi - -subito una buona impressione di lei; a volte capita. - -— Automatic Jack, Rikki. Il mio socio. - -Rise e le mise un braccio attorno alla vita, e qualcosa nella sua voce mi fece - -capire che avrei dovuto passare la notte in una sudicia camera d'albergo. - -— Ciao — disse lei. Alta, 19, forse 20 anni, e decisamente aveva tutti i numeri - -giusti. Spruzzatina di lentiggini attorno all'attaccatura del naso, occhi di un - -colore a metà strada fra l'ambra scura e il caffè francese. Jeans stretti e neri, - -arrotolati fino a metà polpaccio e una stretta cintura di plastica in tinta con i - -sandali rosa. Ma adesso, quando mi capita di vederla mentre cerco di - -addormentarmi, la vedo da qualche parte ai bordi di questo agglomerato di città - -e di fumo, ed è come un ologramma incastrato dietro i miei occhi, con addosso - -un vestito chiaro che deve avere indossato una volta, quando la conoscevo, che - -non le arriva neppure alle ginocchia. Gambe nude, lunghe e dritte. Capelli castani - -con venature bionde, mossi dal vento, le nascondono la faccia. La vedo salutarmi - -con la mano. Bobby si stava dando un gran da fare frugando in una pila di - -cassette audio. — Arrivo, cowboy — dissi, staccando i cavi del manipolatore. Lei - -mi osservò attenta mentre mi rimettevo il braccio. - -— Sai aggiustare una cosa? — mi chiese. - -— Tutto quello che vuoi: basta chiedere e Automatic Jack te la sistema. — Feci - -schioccare in suo onore le dita di duralluminio. Lei prese dalla cintura una - -piccola piastra simstim e mi fece vedere la cerniera rotta del coperchio delle - -cassette. - -— Domani — dissi. — Nessun problema. - -“Oh-oh” mi dissi, mentre il sonno mi spingeva giù per sei rampe di scale, fino - -alla strada, “quale sarà la fortuna di Bobby, con una carta come quella? Se il suo - -sistema funziona, diventeremo ricchi da un giorno all'altro.” In strada sorrisi, - -sbadigliai e chiamai un taxi. - -Il castello di Chrome si sta dissolvendo, lastre di ICE scuro svaniscono - -lampeggiando, divorate dai sistemi di sabotaggio che si dipanano dal - -programma russo, espandendosi dal nostro nucleo logico centrale e - -infettandone la struttura stessa. I sistemi di sabotaggio sono virus cibernetici - -auto-replicanti voraci. Mutano in continuazione, all'unisono, sovvertendo e - -assorbendo le difese di Chrome. - -L'abbiamo già paralizzata, oppure un campanello sta suonando da qualche - -parte, una spia rossa lampeggia? Se n'è accorta? - -Bobby la chiamava Rikki Wildside, e probabilmente durante quelle prime - -settimane le era sembrato di avere tutto, che l'intero spettacolo fosse stato - -messo in scena per lei sola, nitido e brillante sotto le luci al neon. Era nuova del - -giro, e aveva chilometri di viali e piazze da esplorare, tutti i negozi e i club e - -Bobby a spiegarle il lato nascosto, i fili sotterranei, i giocatori e i loro nomi e i - -loro giochi. La fece sentire a casa. - -— Cosa ti è successo al braccio? — mi chiese una sera al _Gentleman Loser_ , - -mentre noi tre bevevamo in un tavolino d'angolo. - -— Mentre volavo — dissi. — Un incidente. - -— Mentre volava su un campo di grano — disse Bobby — vicino a un posto - -che si chiama Kiev. Il nostro Jack volava al buio su un deltaplano con un radar di - -50 chili fra le gambe, e uno stronzo russo gli ha bruciato accidentalmente un - -braccio con un laser. - -Non ricordo come sia riuscito a cambiare argomento, ma lo feci. Mi stavo - -tuttora dicendo che non era Rikki a darmi sui nervi, ma quello che Bobby faceva - -con lei. Lo conoscevo da un pezzo, dalla fine della guerra, e sapevo che usava le - -donne come gettoni in un gioco: Bobby Quine contro la fortuna, contro il tempo e - -la notte delle città. E Rikki era saltata fuori proprio nel momento in cui aveva - -bisogno di qualcosa che lo rimettesse in carreggiata, qualcosa a cui tendere. Così - -l'aveva elevata a simbolo di tutto quello che voleva e non poteva avere, di tutto - -quello che aveva avuto e non era riuscito a tenersi. Non mi piaceva ascoltarlo - -mentre mi diceva quanto l'amava, e sapere che ci credeva serviva solo a rendere - -la cosa peggiore. Era un esperto di cadute rovinose e altrettanto rapide risalite, - -gliel'avevo già visto fare una dozzina di volte. Avrebbe dovuto scriversi “Avanti - -un'altra” in lettere fosforescenti sugli occhiali da sole, pronto a rivolgerle alla - -prima faccia interessante che passava dai tavoli del _Gentleman Loser_. - -Sapevo cosa ne faceva. Le trasformava in emblemi, sigilli sulla mappa della sua - -vita di truffatore, fari con cui orientarsi nel mare di bar e luci al neon che - -attraversava quotidianamente. Cos'altro aveva per aiutarsi a trovare la strada? - -Non amava il denaro in se stesso, non abbastanza da seguirne il luccichio. Non - -avrebbe lavorato per avere potere sugli altri: odiava le responsabilità che ne - -derivavano. Aveva un certo orgoglio per la sua abilità, ma non bastava a farlo - -andare avanti. - -Perciò sistemava tutto con le donne. - -Quando apparve Rikki, aveva bisogno di una donna più di ogni altra cosa al - -mondo. Stava perdendo rapidamente smalto, e fra gli addetti al mestiere si - -diceva già che non ci sapesse più fare. Aveva bisogno di un colpo veramente - -grosso, e in fretta perché non conosceva nessun altro genere di vita, e tutti i suoi - -orologi erano regolati sul fuso orario delle truffe, calibrati in rischio e adrenalina - -e su quella calma celestiale che sopraggiunge quando ogni mossa è quella giusta - -e sul proprio conto viene accreditato un bel malloppo di soldi altrui. Era arrivato - -il momento per lui di fare il suo colpo e chiudere bottega; perciò Rikki si vide - -posta più in alto e più lontano di tutte le altre, anche se (e avrei voluto - -urlarglielo) lei era lì, viva, totalmente vera, umana, affamata, elastica, annoiata - -bellissima, eccitata, e tutte le altre cose che era. . - -Un pomeriggio Bobby uscì, circa una settimana prima che io facessi quel - -viaggio a New York per vedere Finn. Uscì e ci lasciò soli nella mansarda, ad - -aspettare che scoppiasse il temporale. Metà lucernario era oscurato da una - -cupola che non avevano mai finito, l'altra metà mostrava il cielo, nero e bluastro - -di nuvole. Io ero in piedi vicino al banco di lavoro e guardavo il cielo, istupidito - -dal pomeriggio afoso e dall'umidità, e lei mi tocco, mi toccò la spalla, e la - -cicatrice tesa e rosa, larga un centimetro, non coperta dal braccio. Tutte quelle - -che mi hanno toccato lì sono risalite alla spalla, al collo. . - -Ma lei non lo fece. Le sue unghie erano laccate di nero, non appuntite ma - -oblunghe, la lacca solo una sfumatura più scura del laminato in fibra di carbonio - -che mi ricopre il braccio. E la sua mano scese lungo il braccio, le unghie nere che - -seguivano una saldatura nel laminato fino all'articolazione del gomito in nero - -metallo anodizzato, e al polso; la sua mano dalle nocche morbide come quelle di - -un bambino, le dita allargate per intrecciarsi con le mie, il palmo contro il - -duralluminio perforato. - -L'altro palmo si sollevò per sfiorare i cuscinetti sensibili e piovve tutto il - -pomeriggio, le gocce che battevano sull'acciaio e sul vetro sporco di smog sopra - -il letto di Bobby. - -Le pareti di ICE scorrono via come farfalle supersoniche fatte d'ombra. Dietro - -di esse, l'illusione della matrice di uno spazio infinito. È come osservare un - -nastro con la costruzione di un edificio prefabbricato; solo che il nastro scorre al - -contrario e ad alta velocità, e le mura sono ali strappate. - -Cerco di rammentare a me stesso che quel posto e gli spazi al di là di esso sono - -solo rappresentazioni, che non siamo “dentro” il computer di Chrome, ma solo - -interfacciati con esso, mentre il simulatore di matrice nella mansarda di Bobby - -genera questa illusione. . I dati centrali cominciano ad emergere esposti, - -vulnerabili. Questo è il lato opposto dell'ICE, la matrice che non ho mai potuto - -scorgere, il paesaggio che 15 milioni di operatori cibernetici autorizzati vedono - -ogni giorno e danno per scontato. - -I dati centrali si innalzano attorno a noi come treni merci in verticale, con - -colori in codice per l'accesso. Colori primari, luminosi in maniera impossibile in - -quel vuoto trasparente, collegati da innumerevoli linee orizzontali in azzurro e - -rosa confetto. Ma l'ICE nasconde ancora qualcosa, al centro di tutto: il cuore di - -tutta la danarosa oscurità di Chrome, il cuore. . - -Era tardo pomeriggio quando tornai dal mio giro di compere a New York. - -Non passava molto sole dal lucernario, ma sul monitor di Bobby brillava un - -modello di ICE, una rappresentazione grafica bidimensionale delle difese di un - -computer, linee fluorescenti intrecciate come un tappeto da preghiera Art Deco. - -Spensi la consolle, e lo schermo divenne completamente nero. - -Le cose di Rikki erano sparse sul mio tavolo di lavoro, borse di nylon da cui - -uscivano vestiti e arnesi per il trucco, una paio di stivaletti da cowboy a colori - -vivaci, cassette audio, riviste giapponesi in carta patinata sulle stelle del simstim. - -Infilai tutto sotto il tavolo, poi mi staccai il braccio, dimenticando che il - -programma che avevo acquistato da Finn si trovava nella tasca destra della - -giacca, per cui dovetti tirarlo fuori con la sinistra e infilarlo nelle ganasce - -imbottite del morsetto da gioielliere. - -Il manipolatore assomiglia a un vecchio grammofono, di quelli che suonavano - -i dischi, con la morsa sotto una calotta trasparente. Il manipolatore vero e - -proprio è lungo poco più di un centimetro, ed esce da quello che sarebbe stato il - -braccio di uno di quei vecchi giradischi. Ma io non lo guardo, quando ho - -collegato i fili al mio moncherino; guardo lo schermo, perché lì c'è il braccio, in - -bianco e nero, ingrandito di 40 volte. - -Passai in rassegna gli attrezzi, e scelsi un laser. Sembrava un po' pesante, e - -regolai il sensore di peso a un quarto di chilo per grammo, e mi misi al lavoro. A - -40 ingrandimenti il lato del contenitore del programma sembrava un autocarro. - -Mi ci erano volute otto ore per decifrarlo: tre ore con il manipolatore e il laser - -e quattro dozzine di fori, due ore al telefono con un tale del Colorado, e tre ore - -per trovare un disco vocabolario in grado di tradurre il russo tecnico vecchio di - -otto anni. Poi i caratteri alfanumerici in cirillico cominciarono a scorrere sullo - -schermo, trasformandosi in inglese verso la metà. C'erano un sacco di lacune - -nella lettura, dove il lessico che mi aveva fornito il mio uomo nel Colorado si - -imbatteva in acronimi militari, ma riuscii a farmi un'idea di quello che avevo - -comprato da Finn. Mi sentivo come un teppista che fosse uscito per comprare un - -coltello a serramanico e fosse tornato a casa con una piccola bomba a neutroni. - -“Fregato un'altra volta” pensai. “Che te ne fai di una bomba a neutroni in una - -rissa da strada?” La cosa sotto la calotta era completamente fuori dal mio giro. - -Non sapevo neppure dove scaricarla, dove cercare un compratore. Qualcuno - -l'aveva saputo, ma era morto; qualcuno con un orologio Porsche e un falso - -passaporto belga, ma io non avevo mai cercato di muovermi in quelle sfere. I - -rapinatori di periferia di Finn avevano fatto fuori qualcuno con dei contatti - -molto particolari. - -Il programma nella morsa da gioielliere era un rompi-ICE militare russo, un - -programma killer. - -Era l'alba quando Bobby rientrò, solo. Io mi ero addormentato con un - -sacchetto di sandwich sulle gambe. - -— Vuoi mangiare? — gli chiesi, non ancora ben sveglio porgendogli i - -sandwich. Avevo sognato il programma, le sue ondate di voraci sistemi - -sabotatori e subprogrammi mimetici, e nel sogno era una specie di animale, - -informe e fluido. - -Lui scostò con una mano il sacchetto, mentre si dirigeva verso la consolle e - -schiacciava il pulsante di accensione. Lo schermo si illuminò con lo schema - -intricato che avevo visto nel pomeriggio. Mi fregai gli occhi con la sinistra; è una - -cosa che non posso fare con la destra. Mi ero addormentato mentre cercavo di - -decidere se dovevo dirgli del programma. Forse dovevo cercare di venderlo da - -solo, tenermi i soldi, andare da qualche parte, chiedere a Rikki di venire con me. - -— Di chi è? — chiesi. - -— Lui era lì in piedi, in una tuta da ginnastica nera, una vecchia giacca di pelle - -gettata sulle spalle come un mantello. Non si radeva da qualche giorno, e la sua - -faccia sembrava più magra del solito. - -— È di Chrome — disse. - -Il mio braccio ebbe una convulsione, cominciò a ticchettare la paura traslata ai - -mioelettrici attraverso gli spinotti di carbonio. Feci cadere i sandwich; germogli - -flosci e formaggio giallo chiaro si sparsero sul pavimento di legno sporco. - -— Sei fuori di cervello — dissi. - -— No — disse lui. — Credi che se ne sia accorta? Impossibile. Saremmo già - -morti. Mi sono collegato attraverso un sistema di noleggio di Mombasa, sotto - -tripla copertura, e un satellite di comunicazione algerino. Si è accorta che - -qualcuno la spiava, ma non ha potuto rintracciarmi. - -Se Chrome aveva identificato la persona che aveva toccato il suo ICE eravamo - -spacciati. Ma probabilmente lui aveva ragione, altrimenti mi avrebbe fatto fuori - -mentre tornavo da New York. — Ma perché lei, Bobby? Dammi una sola buona - -ragione. . - -Chrome: l'avevo vista cinque o sei volte al _Gentleman Loser_. Forse era venuta a - -osservare noi poveracci o a rendersi conto della triste condizione umana, una - -condizione a cui lei non aspirava minimamente. Un faccino dolce a forma di - -cuore, che incorniciava il paio di occhi più cattivi che si possano immaginare. - -Sembrava una quattordicenne, ed era così da sempre. Aveva il metabolismo - -modificato da massicce dosi di sieri e ormoni. Era uno dei tipi meno - -raccomandabili che mai fossero usciti dai bassifondi, ma non apparteneva più ai - -bassifondi. Era una dei Ragazzi, Chrome: un membro di rilievo della consociata - -locale della Banda. Si diceva che avesse cominciato come spacciatrice, quando gli - -ormoni pituitari sintetici erano ancora vietati. Ma non aveva dovuto vendere - -ormoni a lungo. Adesso possedeva la Casa delle Luci Blu. - -— Tu sei matto da legare, Quine. Dammi solo una buona ragione per avere - -quella roba sullo schermo. Dovresti farla sparire, e subito, chiaro? - -— Al _Loser_ si dicono certe cose — fece lui togliendosi la giacca di pelle. — - -Cose su Black Myron e Crow Jane. Jane, che sa tutto dei giri porno, dice di sapere - -dove vanno a finire i soldi. E secondo lei è Chrome che controlla la Casa delle - -Luci Blu, non è solo un prestanome per i Ragazzi. - -— I Ragazzi, Bobby — dissi io — sono la parola d'ordine da queste parti. - -Riesci ancora a capirlo? Non ci si immischia negli affari dei Ragazzi, ricordi? E - -per questo che siamo ancora vivi. - -— È per questo che siamo ancora poveri, socio. — Si sedette sulla poltroncina - -girevole davanti alla consolle, abbassò la cerniera della tuta e si grattò il petto - -magro e bianco. — Ma forse ancora per poco. - -— Secondo me questa società si è appena sciolta, e per sempre. - -— Allora lui mi sorrise. Era un sorriso folle, feroce e concentrato, e io capii che - -in quel momento non gli importava niente di morire. - -— Senti — dissi — ho qualche soldo da parte. Perché non prendi la - -metropolitana fino a Miami, e te ne vai a Montego Bay. Hai bisogno di riposo. Hai - -bisogno di rimetterti in sesto. - -— Jack — disse lui, schiacciando un bottone sulla tastiera — io non sono mai - -stato così in sesto come adesso. — Il tappeto da preghiera fluorescente sullo - -schermo ondeggiò e si mosse, mentre si inseriva un programma di animazione, e - -le linee dell'ICE si intrecciavano con ipnotica frequenza in un mandala vivente. - -Bobby batté altri tasti e il movimento rallentò, il disegno si sciolse, divenne un - -po' meno complesso, risolvendosi in un'alternanza fra due configurazioni - -separate. Un lavoro di prima classe: non credevo che fosse ancora così bravo. — - -Adesso — disse. — Vedi? Aspetta. Ecco. Ancora. Ancora. È facile lasciarselo - -sfuggire. Si inserisce ogni ora e venti minuti, con un segnale al loro satellite di - -comunicazione. Potremmo viverci per un anno, con quello che gli paga di - -interessi passivi. - -— Quale satellite? - -— Zurigo. I suoi banchieri. Questo è il suo deposito bancario, Jack. È qui che - -vanno i soldi. Crow Jane aveva ragione. - -Io rimasi lì come una statua. Il mio braccio dimenticò di reagire. - -— Be', cosa hai combinato a New York, socio? Hai trovato qualcosa che mi - -possa servire per tagliare quell'ICE? Avremo bisogno di tutto quello su cui - -potremo mettere le mani. - -— Io tenni gli occhi fissi sui suoi, sforzandomi di non guardare il - -manipolatore, la morsa da gioielliere. Il programma russo era lì, sotto la calotta - -antipolvere. - -Il jolly. Il colpo di fortuna. - -— Dov'è Rikki? — gli chiesi, avvicinandomi alla consolle facendo finta di - -studiare il disegno in movimento sullo schermo. - -— Da degli amici suoi. — Alzò le spalle. — Ragazzi, tutti maniaci del simstim. - -— Fece un sorriso assente. — Lo faccio per lei. - -— Esco e ci penso, Bobby. Se vuoi che torni, tieni le mani lontano da quel - -tavolo. - -— Lo faccio per lei — disse mentre la porta si chiudeva alle mie spalle. — Tu - -lo sai. - -Stavamo scendendo. Il programma come un carrello sulle montagne russe, - -attraverso un labirinto di pareti d'ombra che si andavano sfilacciando, grigi - -spazi di cattedrale fra le torri luminose. A rotta di collo. - -ICE nero. Non pensarci. ICE nero. - -Si sentivano troppe storie al _Gentleman Loser;_ l'ICE nero fa parte delle - -leggende. ICE che uccide. Illegale, certo, ma chi lavora legalmente nel nostro - -giro? Una specie di arma a risposta neurale, e si entra in contatto con essa solo - -una volta. Come un Verbo mostruoso che divora la mente dall'interno. Come uno - -spasmo epilettico che prosegue e prosegue, finché non resta nulla. . E ci stiamo - -tuffando verso il pavimento del castello d'ombra di Chrome. - -Cercando di prepararmi all'improvviso arresto del respiro, la nausea, il - -rilassamento finale dei nervi. Paura di quel Verbo gelido in attesa, laggiù nel - -buio. - -Andai a cercare Rikki e la trovai in un caffè, insieme a un ragazzo con occhi - -Sendai, le linee di sutura non ancora guarite che si irradiavano dalle orbite - -illividite. C'era un dépliant in carta patinata aperto sul tavolo, con Tally Isham - -che sorrideva da una dozzina di fotografie. La Ragazza con gli Occhi Zeiss Ikon. - -La sua piccola piastra simstim era una delle cose che avevo messo sotto il tavolo - -la sera prima, quella che le avevo aggiustato il giorno dopo averla incontrata la - -prima volta. Passava delle ore attaccata a quell'apparecchio, la striscia di - -contatto attorno alla testa come una tiara in plastica grigia. Tally Isham era la - -sua preferita, e con la striscia di plastica lei viveva in un altro mondo, nel - -sensorio registrato della più grande stella del simstim. Stimoli simulati: il mondo - -(o almeno le sue parti più interessanti) come veniva percepito da Tally Isham. - -Tally guidava un Fokker nero a effetto-suolo sulle cime delle mesas dell'Arizona. - -Tally si tuffava nelle riserve delle isole Truk. Tally partecipava alle feste dei - -super-ricchi su isole greche private, nella purezza mozzafiato di quei piccoli - -porti bianchi all'alba. - -In effetti assomigliava molto a Tally: la stessa carnagione gli stessi zigomi. - -Secondo me la bocca di Rikki era più ferma. Più impertinente. Lei non voleva - -essere Tally Isham ma desiderava quel lavoro. Era la sua ambizione: entrare nel - -simstim. Bobby ne rideva. Ma lei me ne aveva parlato. «Come starei con un paio - -di questi?» mi aveva chiesto, sollevando una pagina con un primo piano, gli Zeiss - -Ikon azzurri di Tally Isham all'altezza dei suoi occhi ambra-castano. Si era fatta - -operare due volte le cornee, ma non era arrivata a dieci decimi, perciò voleva gli - -Ikon. La marca delle dive. Molto costosi. - -— Stai sempre pensando agli occhi? — chiesi sedendomi. - -— Tigre se ne è appena fatti un paio — disse lei. Pensai che aveva un'aria - -stanca. - -Tigre era così soddisfatto dei suoi Sendai che non poté fare a meno di - -sorridere ma dubitavo che altrimenti avrebbe sorriso. Aveva quel tipo di - -bellezza uniforme che si acquisisce dopo la settima visita ad una boutique - -chirurgica, probabilmente avrebbe passato il resto della sua vita a cercare di - -assomigliare vagamente ai vari idoli stagionali dei media: non una copia troppo - -evidente, ma neppure qualcosa di originale. - -— Sendai, vero? — Sorrisi a mia volta. - -Lui annuì. Lo guardai mentre cercava di lanciarmi quella che secondo lui era - -un'occhiata professionale simstim. Faceva finta di registrare. Pensai che - -indugiasse troppo sul mio braccio. — Sono eccezionali sulle periferiche, quando i - -muscoli saranno guariti — disse, e vidi con quanta cautela allungava la mano per - -prendere la tazza del caffè. Gli occhi Sendai sono noti per i difetti di percezione - -della profondità di campo e per le controversie sull'assicurazione, fra le altre - -cose. - -— Tigre parte per Hollywood domattina. - -— Poi forse Chiba City, giusto? — Gli sorrisi. Lui non rispose al sorriso. — Hai - -un'offerta, Tigre? Conosci un agente? - -— È solo per dare un'occhiata in giro — disse lui a bassa voce. Poi si alzò e se - -ne andò. Rivolse un breve saluto a Rikki, ma non a me. - -— I nervi ottici di quel ragazzo potrebbero deteriorarsi nel giro di sei mesi. Lo - -sai Rikki? Quei Sendai sono illegali in Inghilterra, in Danimarca, in un sacco di - -altri posti. Non si possono sostituire i nervi. - -— Ehi, Jack, niente prediche. — Mi rubò un croissant e mordicchiò una delle - -punte. - -— Credevo di essere il tuo consigliere, bambina. - -— Sì, certo. Be', Tigre non sarà troppo sveglio, ma tutti sanno dei Sendai. È il - -massimo che può permettersi. Corre il rischio. Se trova lavoro, potrà sostituirli. - -— Con questi? — Battei il dito sul dépliant Zeiss. — Ci vogliono un sacco di - -soldi, Rikki. Tu non sei così scema da correre un rischio del genere. - -Lei annuì. — Voglio gli Ikon. - -— Se vai da Bobby, digli di starsene tranquillo finché non mi faccio vivo. - -— Va bene. Affari? - -Io bevvi il caffè e lei si mangiò tutti e due i miei croissant. Poi l'accompagnai - -da Bobby. Feci quindici chiamate, ognuna da un diverso telefono pubblico. - -Un lavoro folle. - -In tutto, ci vollero sei settimane per preparare l'attacco, sei settimane in cui - -Bobby non faceva che dirmi quanto l'amava. Io lavoravo ancora più sodo, - -cercando di non ascoltarlo. La maggior parte erano chiamate per telefono. I miei - -quindici iniziali, e molto obliqui, tentativi parvero dare origine ciascuno ad altre - -quindici chiamate. Eravamo in cerca di un certo servizio che entrambi - -consideravamo come parte essenziale dell'economia clandestina del mondo, ma - -che probabilmente non aveva mai più di cinque clienti contemporaneamente, e - -che non si faceva mai pubblicità. Cercavamo il ricettatore più grosso del mondo, - -un riciclatore di denaro sporco capace di ripulire un trasferimento in contanti di - -un milione di dollari e dimenticarsene subito dopo. Tutte quelle chiamate furono - -una perdita di tempo, alla fin fine, perché fu Finn a mettermi sulla strada giusta. - -Ero andato a New York per comprare una nuova scatola nera, perché - -rischiavamo di restare senza un soldo con tutte quelle chiamate. - -Gli sottoposi il problema nella maniera più ipotetica possibile. +_Loser_ , il bar chic dei cowboy del computer, razziatori, ladri cibernetici. Eravamo soci. -— Macao — disse lui. +Bobby Quine e Automatic Jack. Bobby è il tipo magro pallido, con gli occhiali scuri, Jack quello dall'aria poco raccomandabile, con il braccio mioelettrico. -— Macao? +Bobby si occupa del software, Jack dell'hardware; Bobby manovra la tastiera e Jack si occupa di tutte quelle piccole cose che possono dare un vantaggio. O almeno questo è quanto avrebbero detto i fannulloni del _Gentleman Loser_ prima che Bobby decidesse di bruciare Chrome. Ma forse avrebbero detto anche che Bobby stava perdendo la grinta, che non era più quello di una volta. Aveva 28 anni, Bobby, e sono tanti per un cowboy della consolle. Eravamo tutti e due bravi nel nostro mestiere, ma per una ragione o per l'altra il colpo grosso non era ancora arrivato. Io sapevo dove andare per trovare la roba giusta, e Bobby era un vero mago. Si sedeva con una fascia di spugna bianca attorno alla fronte, e muoveva le dita sulla tastiera così veloce che non si riusciva a seguirlo, aprendosi la strada attraverso l'ICE più assurdo in circolazione; ma questo succedeva quando qualcosa riusciva a metterlo veramente in agitazione, e questo capitava di rado. Non era un tipo molto motivato, Bobby e quanto a me, mi bastava poter pagare l'affitto e mettermi una camicia pulita. -— La famiglia Long Hum. Agenti di cambio. +Ma Bobby aveva il pallino delle ragazze, come se fossero i suoi tarocchi personali o qualcosa del genere; erano lo stimolo per farlo muovere. Non ne parlammo mai, ma quando sembrò che stesse cominciando a perdere il tocco, quell'estate, trascorreva sempre più tempo al _Gentleman Loser_. Sedeva a un tavolo vicino alla porta aperta e osservava la gente passare nelle sere in cui gli insetti si affollavano intorno alle luci al neon e l'aria puzzava di profumo e fast food. Si vedevano i suoi occhiali scuri passare in rassegna le facce, e fu così che decise che Rikki era quella che aspettava, il jolly, il colpo di fortuna. Quella nuova. -Aveva perfino il numero. Se si cerca un ricettatore, basta chiedere a un altro +Andai a New York per tastare il polso al mercato, per vedere cosa c'era di nuovo in fatto di software clandestino. Il locale di Finn ha un ologramma difettoso in vetrina, “metro holografix”, sopra tutta un'esposizione di mosche morte coperte di polvere grigia. All'interno la cianfrusaglia è come un oceano, accumulata contro le pareti appena visibili dietro immondizia informe dietro scaffali di truciolato incurvati pieni di vecchie riviste per soli uomini e annate di “National Geographic” dalla costa gialla. -ricettatore. +— Hai bisogno di una pistola — disse Finn. Sembra un prototipo di ingegneria genetica, un incrocio fra una talpa e un uomo fabbricato per scavare gallerie ad alta velocità. — Sei fortunato. Ho la nuova Smith & Wesson, la 408 Tattica. Ha un proiettore allo xeno sotto la canna, vedi; le batterie sono nel calcio. Crea un cono luminoso come il sole e largo 30 centimetri a 50 metri di distanza, nel buio più assoluto. La sorgente di luce è piccolissima, quasi impossibile da individuare. È fantastica in un eventuale combattimento notturno. Lasciai cadere il braccio sul tavolo e cominciai a tamburellare con le dita, i servomotori nella mano che ronzavano come mosche impazzite. Sapevo che Finn odiava quel rumore. -I Long Hum erano così imperscrutabili da rendere la mia concezione di +— Vuoi venderla? — Toccò il polso di duralluminio con la canna smangiata di un pennarello. — Così magari te ne fai una più silenziosa. -approccio indiretto simile a un attacco nucleare in forze. Bobby dovette fare due +Io continuai. — Non ho bisogno di nessuna pistola, Finn. -viaggi in navetta a Hong Kong per sistemare la faccenda. Stavamo finendo i +— Okay — disse lui — okay — e io smisi di tamburellare. — Ho solo questo articolo, e non so neanche che cosa sia. — Aveva un'aria infelice. — L'ho preso da certi ragazzini del Jersey la settimana scorsa. -capitali, e in fretta. Ancora non so perché avessi deciso di starci, tanto per +— Da quando in qua compri qualcosa che non conosci, Finn? -cominciare; avevo paura di Chrome, e non ero poi così ansioso di diventare +— Furbastro. — E mi passò una busta trasparente con dentro qualcosa che sembrava una cassetta audio, attraverso l'imbottitura a bolle. — Avevano un passaporto — disse. — Carte di credito e un orologio. E questo. -ricco. Cercavo di dirmi che era una buona idea bruciare la Casa delle Luci Blu, +— Vuoi dire che lo avevano trovato in tasca a qualcuno. -perché era un posto disgustoso, ma non riuscivo a mandarla giù. Non mi piaceva +Lui annuì. -la Casa delle Luci Blu, perché una volta ci avevo passato una serata +— Il passaporto era belga. E aveva anche l'aria di essere falso, perciò l'ho messo nella fornace, e ci ho messo anche le carte. L'orologio era okay, un Porsche, bell'orologio. Era evidentemente un programma militare. Estratto dalla busta, assomigliava al caricatore di un piccolo fucile d'assalto rivestito di plastica nera opaca. Gli angoli mostravano del metallo bianco; doveva essere stato usato parecchio. -assolutamente deprimente, ma questa non era una giustificazione per mettersi +— Ti faccio un prezzo di favore, Jack. In ricordo dei vecchi tempi. -alla caccia di Chrome. In effetti, mi ero mezzo convinto che saremmo morti nel +Non potei fare a meno di sorridere. Avere un prezzo di favore da Finn era come vedere Dio che faceva il favore di annullare la gravità quando si doveva portare una valigia pesante per un chilometro di corridoi d'aeroporto. -tentativo. Anche con quel programma killer, non si poteva dire che le probabilità +— A me sembra russo — dissi. — Probabilmente ci sono dentro i controlli di emergenza per le fogne di qualche sobborgo di Leningrado. Proprio quello che mi serve. -fossero in nostro favore. +— Sai — disse Finn — ho un paio di scarpe più vecchie di te. Qualche volta penso che tu abbia tanta classe quanta quei teppisti di Jersey. Cosa vuoi che ti dica, che sono le chiavi del Cremlino? Scoprilo tu a cosa serve. Io la roba la vendo e basta. -Bobby era impegnatissimo a scrivere una serie comandi che avremmo dovuto +Lo comprai. -infilare al centro del computer di Chrome. Questo sarebbe stato compito mio, +Privi di corpo, ci infiliamo nel castello di ICE di Chrome. Siamo veloci, veloci. È come se corressimo sull'onda del programma invasore, scivolando sopra il ribollire in continuo mutamento dei sistemi sabotatori. Siamo macchie di olio pensanti, trasportate lungo corridoi d'ombra. -perché Bobby avrebbe avuto il suo da fare per impedire al programma russo di +Da qualche parte abbiamo dei corpi, molto lontano, in una mansarda stipata con il soffitto di acciaio e vetro. Da qualche parte abbiamo microsecondi, forse il tempo sufficiente per uscirne. Abbiamo sfondato i suoi cancelli camuffati come un'ispezione e tre citazioni, ma le sue difese sono programmate appositamente per reagire a questo tipo di intrusioni ufficiali Il suo ICE più sofisticato è strutturato per respingere mandati, ingiunzioni, citazioni. Una volta superato il primo cancello la massa dei suoi dati è svanita dietro l'ICE del nucleo centrale: -buttarsi dritto addosso alla preda. Era troppo complesso per riscriverlo, perciò +queste pareti che vediamo come leghe di corridoi, labirinti d'ombra. Su cinque linee separate erano partiti segnali di allarme ad altrettanti studi legali, ma il virus aveva già intaccato l'ICE periferico. I sistemi sabotatori inghiottono le chiamate di allarme mentre i nostri subprogrammi mimetici analizzano tutto quello che non è coperto dall'ICE centrale. Il programma russo seleziona un numero di Tokyo fra i dati non protetti, scegliendolo in base alla frequenza delle chiamate, alla durata media, alla velocità con cui Chrome risponde a queste chiamate. -intendeva solo trattenerlo per i due secondi che mi servivano. +— Okay — dice Bobby — adesso siamo una chiamata in codice in arrivo dal suo amico giapponese. Dovrebbe servire. Forza, cowboy. -Presi accordi con un gorilla da strada di nome Miles. Avrebbe dovuto seguire +Bobby leggeva il suo futuro nelle donne; le sue ragazze erano presagi, cambiamenti atmosferici, e sedeva tutta la sera al _Gentleman Loser_ in attesa che la stagione gli servisse una nuova faccia, come una mano di carte. -Rikki la notte del colpo, senza perderla di vista, e telefonarmi ad una certa ora. +Io avevo lavorato fino a tardi nella mansarda, una sera, limando un chip, senza il braccio e con il manipolatore collegato direttamente al moncherino. -Se non c'ero, o non rispondevo in un certo modo, avrebbe dovuto prenderla e +Bobby arrivò con una ragazza che non avevo mai visto, e di solito mi sento un po' imbarazzato se un estraneo mi vede lavorare in quella maniera, con i fili attaccati agli spinotti di carbonio che sporgono dal moncherino. Mi venne vicino e guardò l'immagine ingrandita sullo schermo, poi vide il manipolatore che si muoveva sotto la calotta sigillata. Non disse nulla, si limitò a guardare. Ebbi subito una buona impressione di lei; a volte capita. -metterla sul primo convoglio sotterraneo in partenza. Gli diedi una busta per lei, +— Automatic Jack, Rikki. Il mio socio. -con del denaro e un biglietto. +Rise e le mise un braccio attorno alla vita, e qualcosa nella sua voce mi fece capire che avrei dovuto passare la notte in una sudicia camera d'albergo. -Bobby non aveva pensato molto a come si sarebbero messe le cose per lei se +— Ciao — disse lei. Alta, 19, forse 20 anni, e decisamente aveva tutti i numeri giusti. Spruzzatina di lentiggini attorno all'attaccatura del naso, occhi di un colore a metà strada fra l'ambra scura e il caffè francese. Jeans stretti e neri, arrotolati fino a metà polpaccio e una stretta cintura di plastica in tinta con i sandali rosa. Ma adesso, quando mi capita di vederla mentre cerco di addormentarmi, la vedo da qualche parte ai bordi di questo agglomerato di città e di fumo, ed è come un ologramma incastrato dietro i miei occhi, con addosso un vestito chiaro che deve avere indossato una volta, quando la conoscevo, che non le arriva neppure alle ginocchia. Gambe nude, lunghe e dritte. Capelli castani con venature bionde, mossi dal vento, le nascondono la faccia. La vedo salutarmi con la mano. Bobby si stava dando un gran da fare frugando in una pila di cassette audio. — Arrivo, cowboy — dissi, staccando i cavi del manipolatore. Lei mi osservò attenta mentre mi rimettevo il braccio. -facevamo cilecca. Continuava a ripetermi quanto l'amava, dove sarebbero andati +— Sai aggiustare una cosa? — mi chiese. -insieme, come avrebbero speso i soldi. +— Tutto quello che vuoi: basta chiedere e Automatic Jack te la sistema. — Feci schioccare in suo onore le dita di duralluminio. Lei prese dalla cintura una piccola piastra simstim e mi fece vedere la cerniera rotta del coperchio delle cassette. -— Per prima cosa comprale un paio di Ikon. È quello che vuole. Fa sul serio +— Domani — dissi. — Nessun problema. -con questa idea del simstim. +“Oh-oh” mi dissi, mentre il sonno mi spingeva giù per sei rampe di scale, fino alla strada, “quale sarà la fortuna di Bobby, con una carta come quella? Se il suo sistema funziona, diventeremo ricchi da un giorno all'altro.” In strada sorrisi, sbadigliai e chiamai un taxi. -— Ehi — disse lui, alzando gli occhi dalla tastiera — non avrà più bisogno di +Il castello di Chrome si sta dissolvendo, lastre di ICE scuro svaniscono lampeggiando, divorate dai sistemi di sabotaggio che si dipanano dal programma russo, espandendosi dal nostro nucleo logico centrale e infettandone la struttura stessa. I sistemi di sabotaggio sono virus cibernetici auto-replicanti voraci. Mutano in continuazione, all'unisono, sovvertendo e assorbendo le difese di Chrome. -lavorare. Ce la faremo, Jack. Lei è la mia fortuna. Non dovrà lavorare mai più. +L'abbiamo già paralizzata, oppure un campanello sta suonando da qualche parte, una spia rossa lampeggia? Se n'è accorta? -— La tua fortuna — dissi io. Non ero felice. Non riuscivo a ricordare quando +Bobby la chiamava Rikki Wildside, e probabilmente durante quelle prime settimane le era sembrato di avere tutto, che l'intero spettacolo fosse stato messo in scena per lei sola, nitido e brillante sotto le luci al neon. Era nuova del giro, e aveva chilometri di viali e piazze da esplorare, tutti i negozi e i club e Bobby a spiegarle il lato nascosto, i fili sotterranei, i giocatori e i loro nomi e i loro giochi. La fece sentire a casa. -ero stato felice. — Hai visto dov'è finita la tua fortuna, ultimamente? +— Cosa ti è successo al braccio? — mi chiese una sera al _Gentleman Loser_ , mentre noi tre bevevamo in un tavolino d'angolo. -Lui no, e neppure io. Eravamo stati tutti e due troppo occupati. Mi mancava. +— Mentre volavo — dissi. — Un incidente. -Sentirne la mancanza mi ricordava quell'unica sera alla Casa delle Luci Blu, +— Mentre volava su un campo di grano — disse Bobby — vicino a un posto che si chiama Kiev. Il nostro Jack volava al buio su un deltaplano con un radar di 50 chili fra le gambe, e uno stronzo russo gli ha bruciato accidentalmente un braccio con un laser. -perché c'ero andato a causa di un'altra. Mi ero ubriacato, tanto per cominciare, +Non ricordo come sia riuscito a cambiare argomento, ma lo feci. Mi stavo tuttora dicendo che non era Rikki a darmi sui nervi, ma quello che Bobby faceva con lei. Lo conoscevo da un pezzo, dalla fine della guerra, e sapevo che usava le donne come gettoni in un gioco: Bobby Quine contro la fortuna, contro il tempo e la notte delle città. E Rikki era saltata fuori proprio nel momento in cui aveva bisogno di qualcosa che lo rimettesse in carreggiata, qualcosa a cui tendere. Così l'aveva elevata a simbolo di tutto quello che voleva e non poteva avere, di tutto quello che aveva avuto e non era riuscito a tenersi. Non mi piaceva ascoltarlo mentre mi diceva quanto l'amava, e sapere che ci credeva serviva solo a rendere la cosa peggiore. Era un esperto di cadute rovinose e altrettanto rapide risalite, gliel'avevo già visto fare una dozzina di volte. Avrebbe dovuto scriversi “Avanti un'altra” in lettere fosforescenti sugli occhiali da sole, pronto a rivolgerle alla prima faccia interessante che passava dai tavoli del _Gentleman Loser_. -poi avevo cominciato a farmi delle inalazioni di Vasopressina. Se una ragazza ti +Sapevo cosa ne faceva. Le trasformava in emblemi, sigilli sulla mappa della sua vita di truffatore, fari con cui orientarsi nel mare di bar e luci al neon che attraversava quotidianamente. Cos'altro aveva per aiutarsi a trovare la strada? -ha appena piantato, l'alcool e la Vasopressina sono il massimo in fatto di +Non amava il denaro in se stesso, non abbastanza da seguirne il luccichio. Non avrebbe lavorato per avere potere sugli altri: odiava le responsabilità che ne derivavano. Aveva un certo orgoglio per la sua abilità, ma non bastava a farlo andare avanti. -farmacologia masochista: il primo fa venir voglia di piangere, la seconda fa +Perciò sistemava tutto con le donne. -ricordare. La Vasopressina è usata in medicina per curare l'amnesia senile, ma +Quando apparve Rikki, aveva bisogno di una donna più di ogni altra cosa al mondo. Stava perdendo rapidamente smalto, e fra gli addetti al mestiere si diceva già che non ci sapesse più fare. Aveva bisogno di un colpo veramente grosso, e in fretta perché non conosceva nessun altro genere di vita, e tutti i suoi orologi erano regolati sul fuso orario delle truffe, calibrati in rischio e adrenalina e su quella calma celestiale che sopraggiunge quando ogni mossa è quella giusta e sul proprio conto viene accreditato un bel malloppo di soldi altrui. Era arrivato il momento per lui di fare il suo colpo e chiudere bottega; perciò Rikki si vide posta più in alto e più lontano di tutte le altre, anche se (e avrei voluto urlarglielo) lei era lì, viva, totalmente vera, umana, affamata, elastica, annoiata bellissima, eccitata, e tutte le altre cose che era. . -nei bassifondi hanno fatto presto a trovare altri impieghi. Così mi ero comprato +Un pomeriggio Bobby uscì, circa una settimana prima che io facessi quel viaggio a New York per vedere Finn. Uscì e ci lasciò soli nella mansarda, ad aspettare che scoppiasse il temporale. Metà lucernario era oscurato da una cupola che non avevano mai finito, l'altra metà mostrava il cielo, nero e bluastro di nuvole. Io ero in piedi vicino al banco di lavoro e guardavo il cielo, istupidito dal pomeriggio afoso e dall'umidità, e lei mi tocco, mi toccò la spalla, e la cicatrice tesa e rosa, larga un centimetro, non coperta dal braccio. Tutte quelle che mi hanno toccato lì sono risalite alla spalla, al collo. . -una replica ad altissima intensità di una brutta storia d'amore; il guaio è che con +Ma lei non lo fece. Le sue unghie erano laccate di nero, non appuntite ma oblunghe, la lacca solo una sfumatura più scura del laminato in fibra di carbonio che mi ricopre il braccio. E la sua mano scese lungo il braccio, le unghie nere che seguivano una saldatura nel laminato fino all'articolazione del gomito in nero metallo anodizzato, e al polso; la sua mano dalle nocche morbide come quelle di un bambino, le dita allargate per intrecciarsi con le mie, il palmo contro il duralluminio perforato. -la parte buona si prende anche quella cattiva. Uno cerca grandi passioni ed estasi +L'altro palmo si sollevò per sfiorare i cuscinetti sensibili e piovve tutto il pomeriggio, le gocce che battevano sull'acciaio e sul vetro sporco di smog sopra il letto di Bobby. -animalesche e oltre a questo ottiene quello che ha detto lui, e quello che ha detto +Le pareti di ICE scorrono via come farfalle supersoniche fatte d'ombra. Dietro di esse, l'illusione della matrice di uno spazio infinito. È come osservare un nastro con la costruzione di un edificio prefabbricato; solo che il nastro scorre al contrario e ad alta velocità, e le mura sono ali strappate. -lei, e come se n'è andata senza neppure voltarsi. Non ricordo di aver deciso di +Cerco di rammentare a me stesso che quel posto e gli spazi al di là di esso sono solo rappresentazioni, che non siamo “dentro” il computer di Chrome, ma solo interfacciati con esso, mentre il simulatore di matrice nella mansarda di Bobby genera questa illusione. . I dati centrali cominciano ad emergere esposti, vulnerabili. Questo è il lato opposto dell'ICE, la matrice che non ho mai potuto scorgere, il paesaggio che 15 milioni di operatori cibernetici autorizzati vedono ogni giorno e danno per scontato. -andare alle Luci Blu, o come ci sia arrivato. Corridoi silenziosi e quella cascata +I dati centrali si innalzano attorno a noi come treni merci in verticale, con colori in codice per l'accesso. Colori primari, luminosi in maniera impossibile in quel vuoto trasparente, collegati da innumerevoli linee orizzontali in azzurro e rosa confetto. Ma l'ICE nasconde ancora qualcosa, al centro di tutto: il cuore di tutta la danarosa oscurità di Chrome, il cuore. . -decorativa, piuttosto volgare, che gorgoglia da qualche parte, o forse è solo un +Era tardo pomeriggio quando tornai dal mio giro di compere a New York. -ologramma. Avevo un sacco di soldi quella sera; qualcuno aveva dato a Bobby un +Non passava molto sole dal lucernario, ma sul monitor di Bobby brillava un modello di ICE, una rappresentazione grafica bidimensionale delle difese di un computer, linee fluorescenti intrecciate come un tappeto da preghiera Art Deco. -bel malloppo per aprire una finestra di tre secondi nell'ICE di qualcun altro. +Spensi la consolle, e lo schermo divenne completamente nero. -Non credo che a quelli di guardia alla porta piacesse molto il mio aspetto, ma +Le cose di Rikki erano sparse sul mio tavolo di lavoro, borse di nylon da cui uscivano vestiti e arnesi per il trucco, una paio di stivaletti da cowboy a colori vivaci, cassette audio, riviste giapponesi in carta patinata sulle stelle del simstim. -immagino che i miei soldi piacessero di più. Bevvi ancora, dopo aver fatto quello +Infilai tutto sotto il tavolo, poi mi staccai il braccio, dimenticando che il programma che avevo acquistato da Finn si trovava nella tasca destra della giacca, per cui dovetti tirarlo fuori con la sinistra e infilarlo nelle ganasce imbottite del morsetto da gioielliere. -che ero venuto a fare. Poi feci una battuta col barman sui necrofili in incognito, +Il manipolatore assomiglia a un vecchio grammofono, di quelli che suonavano i dischi, con la morsa sotto una calotta trasparente. Il manipolatore vero e proprio è lungo poco più di un centimetro, ed esce da quello che sarebbe stato il braccio di uno di quei vecchi giradischi. Ma io non lo guardo, quando ho collegato i fili al mio moncherino; guardo lo schermo, perché lì c'è il braccio, in bianco e nero, ingrandito di 40 volte. -che non fu accolta troppo bene. Poi c'era un tipo grande e grosso che insisteva a +Passai in rassegna gli attrezzi, e scelsi un laser. Sembrava un po' pesante, e regolai il sensore di peso a un quarto di chilo per grammo, e mi misi al lavoro. A 40 ingrandimenti il lato del contenitore del programma sembrava un autocarro. -chiamarmi eroe di guerra, e non mi piaceva. Credo di avergli fatto vedere un paio +Mi ci erano volute otto ore per decifrarlo: tre ore con il manipolatore e il laser e quattro dozzine di fori, due ore al telefono con un tale del Colorado, e tre ore per trovare un disco vocabolario in grado di tradurre il russo tecnico vecchio di otto anni. Poi i caratteri alfanumerici in cirillico cominciarono a scorrere sullo schermo, trasformandosi in inglese verso la metà. C'erano un sacco di lacune nella lettura, dove il lessico che mi aveva fornito il mio uomo nel Colorado si imbatteva in acronimi militari, ma riuscii a farmi un'idea di quello che avevo comprato da Finn. Mi sentivo come un teppista che fosse uscito per comprare un coltello a serramanico e fosse tornato a casa con una piccola bomba a neutroni. -di giochini col braccio, prima dell'ora di chiusura, e mi ero risvegliato due giorni +“Fregato un'altra volta” pensai. “Che te ne fai di una bomba a neutroni in una rissa da strada?” La cosa sotto la calotta era completamente fuori dal mio giro. -dopo in un modulo medico da qualche altra parte. Un posto da quattro soldi, non +Non sapevo neppure dove scaricarla, dove cercare un compratore. Qualcuno l'aveva saputo, ma era morto; qualcuno con un orologio Porsche e un falso passaporto belga, ma io non avevo mai cercato di muovermi in quelle sfere. I rapinatori di periferia di Finn avevano fatto fuori qualcuno con dei contatti molto particolari. -c'era neanche lo spazio per impiccarsi. E seduto su quello stretto materasso di +Il programma nella morsa da gioielliere era un rompi-ICE militare russo, un programma killer. -spugna, avevo pianto. +Era l'alba quando Bobby rientrò, solo. Io mi ero addormentato con un sacchetto di sandwich sulle gambe. -C'è di peggio che ritrovarsi soli. Ma quello che vendono alla Casa delle Luci Blu +— Vuoi mangiare? — gli chiesi, non ancora ben sveglio porgendogli i sandwich. Avevo sognato il programma, le sue ondate di voraci sistemi sabotatori e subprogrammi mimetici, e nel sogno era una specie di animale, informe e fluido. -è così diffuso da essere quasi legale. +Lui scostò con una mano il sacchetto, mentre si dirigeva verso la consolle e schiacciava il pulsante di accensione. Lo schermo si illuminò con lo schema intricato che avevo visto nel pomeriggio. Mi fregai gli occhi con la sinistra; è una cosa che non posso fare con la destra. Mi ero addormentato mentre cercavo di decidere se dovevo dirgli del programma. Forse dovevo cercare di venderlo da solo, tenermi i soldi, andare da qualche parte, chiedere a Rikki di venire con me. -Nel cuore del buio, nel centro immobile, i sistemi sabotatori fanno a brandelli +— Di chi è? — chiesi. -il buio con mulinelli di luce, rasoi trasparenti che si staccano ruotando da noi; +— Lui era lì in piedi, in una tuta da ginnastica nera, una vecchia giacca di pelle gettata sulle spalle come un mantello. Non si radeva da qualche giorno, e la sua faccia sembrava più magra del solito. -siamo sospesi al centro di un'esplosione silenziosa, al rallentatore, con +— È di Chrome — disse. -frammenti di ICE che cadono per sempre, e la voce di Bobby mi giunge da anni +Il mio braccio ebbe una convulsione, cominciò a ticchettare la paura traslata ai mioelettrici attraverso gli spinotti di carbonio. Feci cadere i sandwich; germogli flosci e formaggio giallo chiaro si sparsero sul pavimento di legno sporco. -luce di vuoto elettronico. . +— Sei fuori di cervello — dissi. -— Brucia quella troia, Jack. Non riesco più a trattenerlo. . +— No — disse lui. — Credi che se ne sia accorta? Impossibile. Saremmo già morti. Mi sono collegato attraverso un sistema di noleggio di Mombasa, sotto tripla copertura, e un satellite di comunicazione algerino. Si è accorta che qualcuno la spiava, ma non ha potuto rintracciarmi. -Il programma russo si solleva fra torri di dati, nasconde i colori da stanza dei +Se Chrome aveva identificato la persona che aveva toccato il suo ICE eravamo spacciati. Ma probabilmente lui aveva ragione, altrimenti mi avrebbe fatto fuori mentre tornavo da New York. — Ma perché lei, Bobby? Dammi una sola buona ragione. . -giochi. E io inserisco i comandi preparati da Bobby nel centro del freddo cuore di +Chrome: l'avevo vista cinque o sei volte al _Gentleman Loser_. Forse era venuta a osservare noi poveracci o a rendersi conto della triste condizione umana, una condizione a cui lei non aspirava minimamente. Un faccino dolce a forma di cuore, che incorniciava il paio di occhi più cattivi che si possano immaginare. -Chrome. La trasmissione ultrarapida scatta, un impulso di informazioni +Sembrava una quattordicenne, ed era così da sempre. Aveva il metabolismo modificato da massicce dosi di sieri e ormoni. Era uno dei tipi meno raccomandabili che mai fossero usciti dai bassifondi, ma non apparteneva più ai bassifondi. Era una dei Ragazzi, Chrome: un membro di rilievo della consociata locale della Banda. Si diceva che avesse cominciato come spacciatrice, quando gli ormoni pituitari sintetici erano ancora vietati. Ma non aveva dovuto vendere ormoni a lungo. Adesso possedeva la Casa delle Luci Blu. -condensate scagliato verso l'alto, oltre la torre di buio che si sta addensando, il +— Tu sei matto da legare, Quine. Dammi solo una buona ragione per avere quella roba sullo schermo. Dovresti farla sparire, e subito, chiaro? -programma russo, mentre Bobby lotta per controllare quel secondo cruciale. Un +— Al _Loser_ si dicono certe cose — fece lui togliendosi la giacca di pelle. — Cose su Black Myron e Crow Jane. Jane, che sa tutto dei giri porno, dice di sapere dove vanno a finire i soldi. E secondo lei è Chrome che controlla la Casa delle Luci Blu, non è solo un prestanome per i Ragazzi. -braccio informe di oscurità si allunga dalla torre di buio, troppo tardi. Ce +— I Ragazzi, Bobby — dissi io — sono la parola d'ordine da queste parti. -l'abbiamo fatta. +Riesci ancora a capirlo? Non ci si immischia negli affari dei Ragazzi, ricordi? E per questo che siamo ancora vivi. -La matrice si piega attorno a me come un origami. +— È per questo che siamo ancora poveri, socio. — Si sedette sulla poltroncina girevole davanti alla consolle, abbassò la cerniera della tuta e si grattò il petto magro e bianco. — Ma forse ancora per poco. -E la mansarda puzza di sudore e circuiti bruciati. Mi è sembrato di aver sentito +— Secondo me questa società si è appena sciolta, e per sempre. -Chrome urlare, un suono duro e metallico, ma non è possibile. +— Allora lui mi sorrise. Era un sorriso folle, feroce e concentrato, e io capii che in quel momento non gli importava niente di morire. -Bobby rideva, con le lacrime agli occhi. Il contaminuti all'angolo dello +— Senti — dissi — ho qualche soldo da parte. Perché non prendi la metropolitana fino a Miami, e te ne vai a Montego Bay. Hai bisogno di riposo. Hai bisogno di rimetterti in sesto. -schermo, diceva 07:24:05. Ci avevamo messo meno di otto minuti per bruciare +— Jack — disse lui, schiacciando un bottone sulla tastiera — io non sono mai stato così in sesto come adesso. — Il tappeto da preghiera fluorescente sullo schermo ondeggiò e si mosse, mentre si inseriva un programma di animazione, e le linee dell'ICE si intrecciavano con ipnotica frequenza in un mandala vivente. -Chrome. +Bobby batté altri tasti e il movimento rallentò, il disegno si sciolse, divenne un po' meno complesso, risolvendosi in un'alternanza fra due configurazioni separate. Un lavoro di prima classe: non credevo che fosse ancora così bravo. — Adesso — disse. — Vedi? Aspetta. Ecco. Ancora. Ancora. È facile lasciarselo sfuggire. Si inserisce ogni ora e venti minuti, con un segnale al loro satellite di comunicazione. Potremmo viverci per un anno, con quello che gli paga di interessi passivi. -E vidi che il programma russo si era fuso nella pressa. Avevamo passato il +— Quale satellite? -grosso del deposito di Chrome sulla banca di Zurigo a una decina di associazioni +— Zurigo. I suoi banchieri. Questo è il suo deposito bancario, Jack. È qui che vanno i soldi. Crow Jane aveva ragione. -caritatevoli sparse nel mondo. Era troppo grosso per trasferirlo, e sapevamo che +Io rimasi lì come una statua. Il mio braccio dimenticò di reagire. -dovevamo ridurla sul lastrico, bruciarla completamente, altrimenti sarebbe +— Be', cosa hai combinato a New York, socio? Hai trovato qualcosa che mi possa servire per tagliare quell'ICE? Avremo bisogno di tutto quello su cui potremo mettere le mani. -venuta a cercarci. Tenemmo per noi meno del dieci per cento e lo facemmo +— Io tenni gli occhi fissi sui suoi, sforzandomi di non guardare il manipolatore, la morsa da gioielliere. Il programma russo era lì, sotto la calotta antipolvere. -passare attraverso la ditta Long Hum, a Macao. Loro trattennero il sessanta per +Il jolly. Il colpo di fortuna. -cento e ci rispedirono quello che rimaneva attraverso il settore più +— Dov'è Rikki? — gli chiesi, avvicinandomi alla consolle facendo finta di studiare il disegno in movimento sullo schermo. -irraggiungibile della borsa di Hong Kong. Ci volle un'ora prima che i soldi +— Da degli amici suoi. — Alzò le spalle. — Ragazzi, tutti maniaci del simstim. -cominciassero a raggiungere i due conti correnti che avevamo aperto a Zurigo. +— Fece un sorriso assente. — Lo faccio per lei. -Osservai gli zeri accumularsi dietro un numero sul monitor. Ero ricco. Poi +— Esco e ci penso, Bobby. Se vuoi che torni, tieni le mani lontano da quel tavolo. -squillò il telefono. Era Miles. Per poco non sbagliai la frase in codice. +— Lo faccio per lei — disse mentre la porta si chiudeva alle mie spalle. — Tu lo sai. -— Ehi, Jack, non so, ma. . chi è questa ragazza? È successa una cosa strana. . +Stavamo scendendo. Il programma come un carrello sulle montagne russe, attraverso un labirinto di pareti d'ombra che si andavano sfilacciando, grigi spazi di cattedrale fra le torri luminose. A rotta di collo. -— Cosa? Dimmi. +ICE nero. Non pensarci. ICE nero. -— Le sono stato sempre dietro, come mi hai detto, senza farmi vedere. È stata +Si sentivano troppe storie al _Gentleman Loser;_ l'ICE nero fa parte delle leggende. ICE che uccide. Illegale, certo, ma chi lavora legalmente nel nostro giro? Una specie di arma a risposta neurale, e si entra in contatto con essa solo una volta. Come un Verbo mostruoso che divora la mente dall'interno. Come uno spasmo epilettico che prosegue e prosegue, finché non resta nulla. . E ci stiamo tuffando verso il pavimento del castello d'ombra di Chrome. -per un po' al _Loser_ , poi ha preso la metropolitana. È andata alla Casa delle Luci +Cercando di prepararmi all'improvviso arresto del respiro, la nausea, il rilassamento finale dei nervi. Paura di quel Verbo gelido in attesa, laggiù nel buio. -Blu. . +Andai a cercare Rikki e la trovai in un caffè, insieme a un ragazzo con occhi Sendai, le linee di sutura non ancora guarite che si irradiavano dalle orbite illividite. C'era un dépliant in carta patinata aperto sul tavolo, con Tally Isham che sorrideva da una dozzina di fotografie. La Ragazza con gli Occhi Zeiss Ikon. -— Cosa? +La sua piccola piastra simstim era una delle cose che avevo messo sotto il tavolo la sera prima, quella che le avevo aggiustato il giorno dopo averla incontrata la prima volta. Passava delle ore attaccata a quell'apparecchio, la striscia di contatto attorno alla testa come una tiara in plastica grigia. Tally Isham era la sua preferita, e con la striscia di plastica lei viveva in un altro mondo, nel sensorio registrato della più grande stella del simstim. Stimoli simulati: il mondo (o almeno le sue parti più interessanti) come veniva percepito da Tally Isham. -— La porta laterale. Riservata al personale. Non potevo superare le loro +Tally guidava un Fokker nero a effetto-suolo sulle cime delle mesas dell'Arizona. -guardie. +Tally si tuffava nelle riserve delle isole Truk. Tally partecipava alle feste dei super-ricchi su isole greche private, nella purezza mozzafiato di quei piccoli porti bianchi all'alba. -— È lì adesso? +In effetti assomigliava molto a Tally: la stessa carnagione gli stessi zigomi. -— No, l'ho persa. È successo il pandemonio, laggiù. Sembra che le luci Blu +Secondo me la bocca di Rikki era più ferma. Più impertinente. Lei non voleva essere Tally Isham ma desiderava quel lavoro. Era la sua ambizione: entrare nel simstim. Bobby ne rideva. Ma lei me ne aveva parlato. «Come starei con un paio di questi?» mi aveva chiesto, sollevando una pagina con un primo piano, gli Zeiss Ikon azzurri di Tally Isham all'altezza dei suoi occhi ambra-castano. Si era fatta operare due volte le cornee, ma non era arrivata a dieci decimi, perciò voleva gli Ikon. La marca delle dive. Molto costosi. -abbiano chiuso bottega, per sempre. Sette tipi di allarme che suonavano, tutti +— Stai sempre pensando agli occhi? — chiesi sedendomi. -che correvano, la polizia in tenuta antisommossa. . Adesso c'è un sacco di gente, +— Tigre se ne è appena fatti un paio — disse lei. Pensai che aveva un'aria stanca. -quelli delle assicurazioni, agenti immobiliari, furgoni con la targa del comune. . +Tigre era così soddisfatto dei suoi Sendai che non poté fare a meno di sorridere ma dubitavo che altrimenti avrebbe sorriso. Aveva quel tipo di bellezza uniforme che si acquisisce dopo la settima visita ad una boutique chirurgica, probabilmente avrebbe passato il resto della sua vita a cercare di assomigliare vagamente ai vari idoli stagionali dei media: non una copia troppo evidente, ma neppure qualcosa di originale. -— Miles, dov'è andata? +— Sendai, vero? — Sorrisi a mia volta. -— L'ho persa, Jack. +Lui annuì. Lo guardai mentre cercava di lanciarmi quella che secondo lui era un'occhiata professionale simstim. Faceva finta di registrare. Pensai che indugiasse troppo sul mio braccio. — Sono eccezionali sulle periferiche, quando i muscoli saranno guariti — disse, e vidi con quanta cautela allungava la mano per prendere la tazza del caffè. Gli occhi Sendai sono noti per i difetti di percezione della profondità di campo e per le controversie sull'assicurazione, fra le altre cose. -— Senti, Miles, tieniti la busta e i soldi, va bene? +— Tigre parte per Hollywood domattina. -— Sul serio? Senti, mi dispiace. Io. . +— Poi forse Chiba City, giusto? — Gli sorrisi. Lui non rispose al sorriso. — Hai un'offerta, Tigre? Conosci un agente? -Riappesi. +— È solo per dare un'occhiata in giro — disse lui a bassa voce. Poi si alzò e se ne andò. Rivolse un breve saluto a Rikki, ma non a me. -— Vedrai quando glielo diciamo — stava dicendo Bobby, fregandosi un +— I nervi ottici di quel ragazzo potrebbero deteriorarsi nel giro di sei mesi. Lo sai Rikki? Quei Sendai sono illegali in Inghilterra, in Danimarca, in un sacco di altri posti. Non si possono sostituire i nervi. -asciugamano sul petto nudo. +— Ehi, Jack, niente prediche. — Mi rubò un croissant e mordicchiò una delle punte. -— Diglielo tu, cowboy. Io vado a farmi una passeggiata. +— Credevo di essere il tuo consigliere, bambina. -Così uscii nella notte fluorescente di neon e lasciai che la folla mi trasportasse, +— Sì, certo. Be', Tigre non sarà troppo sveglio, ma tutti sanno dei Sendai. È il massimo che può permettersi. Corre il rischio. Se trova lavoro, potrà sostituirli. -camminando alla cieca, imponendomi di essere solo un segmento di +— Con questi? — Battei il dito sul dépliant Zeiss. — Ci vogliono un sacco di soldi, Rikki. Tu non sei così scema da correre un rischio del genere. -quell'organismo di massa, uno dei tanti frammenti di coscienza alla deriva sotto +Lei annuì. — Voglio gli Ikon. -le cupole geodesiche. Non pensavo; mettevo un piede davanti all'altro. Ma dopo +— Se vai da Bobby, digli di starsene tranquillo finché non mi faccio vivo. -un po' pensai, e tutto fu chiaro. Le servivano i soldi. +— Va bene. Affari? -Pensai anche a Chrome. Che l'avevamo uccisa, assassinata, esattamente come +Io bevvi il caffè e lei si mangiò tutti e due i miei croissant. Poi l'accompagnai da Bobby. Feci quindici chiamate, ognuna da un diverso telefono pubblico. -se le avessimo tagliato la gola. La notte che mi trascinava lungo i viali e le piazze +Un lavoro folle. -in quel momento le stava dando la caccia, e lei non aveva nessun posto dove +In tutto, ci vollero sei settimane per preparare l'attacco, sei settimane in cui Bobby non faceva che dirmi quanto l'amava. Io lavoravo ancora più sodo, cercando di non ascoltarlo. La maggior parte erano chiamate per telefono. I miei quindici iniziali, e molto obliqui, tentativi parvero dare origine ciascuno ad altre quindici chiamate. Eravamo in cerca di un certo servizio che entrambi consideravamo come parte essenziale dell'economia clandestina del mondo, ma che probabilmente non aveva mai più di cinque clienti contemporaneamente, e che non si faceva mai pubblicità. Cercavamo il ricettatore più grosso del mondo, un riciclatore di denaro sporco capace di ripulire un trasferimento in contanti di un milione di dollari e dimenticarsene subito dopo. Tutte quelle chiamate furono una perdita di tempo, alla fin fine, perché fu Finn a mettermi sulla strada giusta. -andare. Quanti nemici doveva avere in questa folla soltanto? Quanti si sarebbero +Ero andato a New York per comprare una nuova scatola nera, perché rischiavamo di restare senza un soldo con tutte quelle chiamate. -mossi, adesso che non erano più trattenuti dalla paura dei suoi soldi? Le +Gli sottoposi il problema nella maniera più ipotetica possibile. -avevamo tolto tutto quello che possedeva. Era tornata sulla strada. Dubitavo che +— Macao — disse lui. -sarebbe sopravvissuta fino all'alba. +— Macao? -Alla fine mi ricordai del caffè, quello dove avevo incontrato Tigre. I suoi +— La famiglia Long Hum. Agenti di cambio. -occhiali da sole dicevano tutta la storia: lenti grandi e nere, con una macchia +Aveva perfino il numero. Se si cerca un ricettatore, basta chiedere a un altro ricettatore. -rivelatrice di fondotinta all'angolo di una lente. — Ciao Rikki — dissi, ed ero +I Long Hum erano così imperscrutabili da rendere la mia concezione di approccio indiretto simile a un attacco nucleare in forze. Bobby dovette fare due viaggi in navetta a Hong Kong per sistemare la faccenda. Stavamo finendo i capitali, e in fretta. Ancora non so perché avessi deciso di starci, tanto per cominciare; avevo paura di Chrome, e non ero poi così ansioso di diventare ricco. Cercavo di dirmi che era una buona idea bruciare la Casa delle Luci Blu, perché era un posto disgustoso, ma non riuscivo a mandarla giù. Non mi piaceva la Casa delle Luci Blu, perché una volta ci avevo passato una serata assolutamente deprimente, ma questa non era una giustificazione per mettersi alla caccia di Chrome. In effetti, mi ero mezzo convinto che saremmo morti nel tentativo. Anche con quel programma killer, non si poteva dire che le probabilità fossero in nostro favore. -preparato quando se li tolse. Azzurri, azzurro come Tally Isham. Quell'azzurro +Bobby era impegnatissimo a scrivere una serie comandi che avremmo dovuto infilare al centro del computer di Chrome. Questo sarebbe stato compito mio, perché Bobby avrebbe avuto il suo da fare per impedire al programma russo di buttarsi dritto addosso alla preda. Era troppo complesso per riscriverlo, perciò intendeva solo trattenerlo per i due secondi che mi servivano. -trasparente per cui sono famosi, con il marchio “Zeiss ikon” intorno a ciascuna +Presi accordi con un gorilla da strada di nome Miles. Avrebbe dovuto seguire Rikki la notte del colpo, senza perderla di vista, e telefonarmi ad una certa ora. -iride, in piccole lettere maiuscole, sospese come pagliuzze d'oro. +Se non c'ero, o non rispondevo in un certo modo, avrebbe dovuto prenderla e metterla sul primo convoglio sotterraneo in partenza. Gli diedi una busta per lei, con del denaro e un biglietto. -— Molto belli — dissi. Il fondotinta copriva i lividi. Nessuna cicatrice, per un +Bobby non aveva pensato molto a come si sarebbero messe le cose per lei se facevamo cilecca. Continuava a ripetermi quanto l'amava, dove sarebbero andati insieme, come avrebbero speso i soldi. -lavoro del genere. — Hai fatto i soldi. +— Per prima cosa comprale un paio di Ikon. È quello che vuole. Fa sul serio con questa idea del simstim. -— Sì. — Ebbe un brivido. — Ma non ne farò altri. Non in quel modo. +— Ehi — disse lui, alzando gli occhi dalla tastiera — non avrà più bisogno di lavorare. Ce la faremo, Jack. Lei è la mia fortuna. Non dovrà lavorare mai più. -— Credo che quel posto abbia chiuso. +— La tua fortuna — dissi io. Non ero felice. Non riuscivo a ricordare quando ero stato felice. — Hai visto dov'è finita la tua fortuna, ultimamente? -— Oh. — Il volto le rimase inespressivo. I nuovi occhi erano immobili e molto +Lui no, e neppure io. Eravamo stati tutti e due troppo occupati. Mi mancava. -profondi. +Sentirne la mancanza mi ricordava quell'unica sera alla Casa delle Luci Blu, perché c'ero andato a causa di un'altra. Mi ero ubriacato, tanto per cominciare, poi avevo cominciato a farmi delle inalazioni di Vasopressina. Se una ragazza ti ha appena piantato, l'alcool e la Vasopressina sono il massimo in fatto di farmacologia masochista: il primo fa venir voglia di piangere, la seconda fa ricordare. La Vasopressina è usata in medicina per curare l'amnesia senile, ma nei bassifondi hanno fatto presto a trovare altri impieghi. Così mi ero comprato una replica ad altissima intensità di una brutta storia d'amore; il guaio è che con la parte buona si prende anche quella cattiva. Uno cerca grandi passioni ed estasi animalesche e oltre a questo ottiene quello che ha detto lui, e quello che ha detto lei, e come se n'è andata senza neppure voltarsi. Non ricordo di aver deciso di andare alle Luci Blu, o come ci sia arrivato. Corridoi silenziosi e quella cascata decorativa, piuttosto volgare, che gorgoglia da qualche parte, o forse è solo un ologramma. Avevo un sacco di soldi quella sera; qualcuno aveva dato a Bobby un bel malloppo per aprire una finestra di tre secondi nell'ICE di qualcun altro. -— Non ha importanza. Bobby ti aspetta. Abbiamo appena fatto un grosso +Non credo che a quelli di guardia alla porta piacesse molto il mio aspetto, ma immagino che i miei soldi piacessero di più. Bevvi ancora, dopo aver fatto quello che ero venuto a fare. Poi feci una battuta col barman sui necrofili in incognito, che non fu accolta troppo bene. Poi c'era un tipo grande e grosso che insisteva a chiamarmi eroe di guerra, e non mi piaceva. Credo di avergli fatto vedere un paio di giochini col braccio, prima dell'ora di chiusura, e mi ero risvegliato due giorni dopo in un modulo medico da qualche altra parte. Un posto da quattro soldi, non c'era neanche lo spazio per impiccarsi. E seduto su quello stretto materasso di spugna, avevo pianto. -colpo. +C'è di peggio che ritrovarsi soli. Ma quello che vendono alla Casa delle Luci Blu è così diffuso da essere quasi legale. -— No. Devo andare. Immagino che non capirebbe, ma devo andare. +Nel cuore del buio, nel centro immobile, i sistemi sabotatori fanno a brandelli il buio con mulinelli di luce, rasoi trasparenti che si staccano ruotando da noi; siamo sospesi al centro di un'esplosione silenziosa, al rallentatore, con frammenti di ICE che cadono per sempre, e la voce di Bobby mi giunge da anni luce di vuoto elettronico. . -Annuii, guardando il mio braccio che si alzava per prenderle la mano; +— Brucia quella troia, Jack. Non riesco più a trattenerlo. . -sembrava non fosse una parte di me, ma lei me la strinse come se lo fosse. +Il programma russo si solleva fra torri di dati, nasconde i colori da stanza dei giochi. E io inserisco i comandi preparati da Bobby nel centro del freddo cuore di Chrome. La trasmissione ultrarapida scatta, un impulso di informazioni condensate scagliato verso l'alto, oltre la torre di buio che si sta addensando, il programma russo, mentre Bobby lotta per controllare quel secondo cruciale. Un braccio informe di oscurità si allunga dalla torre di buio, troppo tardi. Ce l'abbiamo fatta. -— Ho un biglietto di sola andata per Hollywood. Tigre conosce della gente con +La matrice si piega attorno a me come un origami. -cui posso stare. Forse arriverò anche a Chiba City. Aveva ragione su Bobby. +E la mansarda puzza di sudore e circuiti bruciati. Mi è sembrato di aver sentito Chrome urlare, un suono duro e metallico, ma non è possibile. -Tornai indietro con lei. Non capì. Ma per Bobby lei era già servita allo scopo, e +Bobby rideva, con le lacrime agli occhi. Il contaminuti all'angolo dello schermo, diceva 07:24:05. Ci avevamo messo meno di otto minuti per bruciare Chrome. -volevo dirle di non sentirsi addolorata per lui, perché vedevo che lo era. Non +E vidi che il programma russo si era fuso nella pressa. Avevamo passato il grosso del deposito di Chrome sulla banca di Zurigo a una decina di associazioni caritatevoli sparse nel mondo. Era troppo grosso per trasferirlo, e sapevamo che dovevamo ridurla sul lastrico, bruciarla completamente, altrimenti sarebbe venuta a cercarci. Tenemmo per noi meno del dieci per cento e lo facemmo passare attraverso la ditta Long Hum, a Macao. Loro trattennero il sessanta per cento e ci rispedirono quello che rimaneva attraverso il settore più irraggiungibile della borsa di Hong Kong. Ci volle un'ora prima che i soldi cominciassero a raggiungere i due conti correnti che avevamo aperto a Zurigo. -volle nemmeno accompagnarla alla porta, dopo che ebbe fatto i bagagli. Io +Osservai gli zeri accumularsi dietro un numero sul monitor. Ero ricco. Poi squillò il telefono. Era Miles. Per poco non sbagliai la frase in codice. -appoggiai le valige nel corridoio e la baciai, rovinandole il fondo tinta, e qualcosa +— Ehi, Jack, non so, ma. . chi è questa ragazza? È successa una cosa strana. . -si mosse dentro di me, come quel programma killer si era sollevato sui dati di +— Cosa? Dimmi. -Chrome. Un arrestarsi improvviso del respiro, in un posto dove non ci sono +— Le sono stato sempre dietro, come mi hai detto, senza farmi vedere. È stata per un po' al _Loser_ , poi ha preso la metropolitana. È andata alla Casa delle Luci Blu. . -parole. Ma lei aveva un aereo da prendere. Bobby era abbandonato sulla +— Cosa? -poltroncina girevole di fronte al monitor, a guardare gli zeri del suo conto in +— La porta laterale. Riservata al personale. Non potevo superare le loro guardie. -banca. Aveva gli occhiali scuri, e sapevo che quella sera sarebbe stato al +— È lì adesso? -_Gentleman Loser_ , scrutando ansiosamente i segni del cielo, alla ricerca di +— No, l'ho persa. È successo il pandemonio, laggiù. Sembra che le luci Blu abbiano chiuso bottega, per sempre. Sette tipi di allarme che suonavano, tutti che correvano, la polizia in tenuta antisommossa. . Adesso c'è un sacco di gente, quelli delle assicurazioni, agenti immobiliari, furgoni con la targa del comune. . -qualcuno che gli dicesse come sarebbe stata la sua nuova vita. Non potevo +— Miles, dov'è andata? -immaginarmela molto diversa. Più comoda, ma avrebbe sempre e +— L'ho persa, Jack. -continuamente aspettato la carta successiva. +— Senti, Miles, tieniti la busta e i soldi, va bene? -Cercai di non immaginarmela nella Casa delle Luci Blu, mentre lavorava a +— Sul serio? Senti, mi dispiace. Io. . -turni di tre ore in qualcosa di simile al sonno REM, mentre il suo corpo e i riflessi +Riappesi. -condizionati si occupavano del lavoro. I clienti non si sarebbero mai lamentati +— Vedrai quando glielo diciamo — stava dicendo Bobby, fregandosi un asciugamano sul petto nudo. -che facesse finta, perché gli orgasmi erano veri. Ma lei li avvertiva, sempre che li +— Diglielo tu, cowboy. Io vado a farmi una passeggiata. -avvertisse, solo come pallide fiammate argentee ai bordi del sonno. Proprio così, +Così uscii nella notte fluorescente di neon e lasciai che la folla mi trasportasse, camminando alla cieca, imponendomi di essere solo un segmento di quell'organismo di massa, uno dei tanti frammenti di coscienza alla deriva sotto le cupole geodesiche. Non pensavo; mettevo un piede davanti all'altro. Ma dopo un po' pensai, e tutto fu chiaro. Le servivano i soldi. -è tanto diffuso da essere quasi legale. I clienti sono combattuti fra il bisogno di +Pensai anche a Chrome. Che l'avevamo uccisa, assassinata, esattamente come se le avessimo tagliato la gola. La notte che mi trascinava lungo i viali e le piazze in quel momento le stava dando la caccia, e lei non aveva nessun posto dove andare. Quanti nemici doveva avere in questa folla soltanto? Quanti si sarebbero mossi, adesso che non erano più trattenuti dalla paura dei suoi soldi? Le avevamo tolto tutto quello che possedeva. Era tornata sulla strada. Dubitavo che sarebbe sopravvissuta fino all'alba. -qualcuno e il desiderio di essere soli, il che è probabilmente sempre stata +Alla fine mi ricordai del caffè, quello dove avevo incontrato Tigre. I suoi occhiali da sole dicevano tutta la storia: lenti grandi e nere, con una macchia rivelatrice di fondotinta all'angolo di una lente. — Ciao Rikki — dissi, ed ero preparato quando se li tolse. Azzurri, azzurro come Tally Isham. Quell'azzurro trasparente per cui sono famosi, con il marchio “Zeiss ikon” intorno a ciascuna iride, in piccole lettere maiuscole, sospese come pagliuzze d'oro. -l'essenza di quel gioco, ancora prima che la neuroelettronica rendesse possibile +— Molto belli — dissi. Il fondotinta copriva i lividi. Nessuna cicatrice, per un lavoro del genere. — Hai fatto i soldi. -avere le due cose contemporaneamente. +— Sì. — Ebbe un brivido. — Ma non ne farò altri. Non in quel modo. -Presi il telefono e feci il numero della compagnia aerea. Diedi il suo vero nome +— Credo che quel posto abbia chiuso. -e il numero del volo. — Ha cambiato destinazione — dissi. — Chiba City. Esatto. +— Oh. — Il volto le rimase inespressivo. I nuovi occhi erano immobili e molto profondi. -Giappone. — Infilai la mia carta di credito nella fessura e battei il numero. — +— Non ha importanza. Bobby ti aspetta. Abbiamo appena fatto un grosso colpo. -Prima classe. — Un ronzio lontano mentre controllavano il mio conto corrente. +— No. Devo andare. Immagino che non capirebbe, ma devo andare. -— Andata e ritorno. +Annuii, guardando il mio braccio che si alzava per prenderle la mano; sembrava non fosse una parte di me, ma lei me la strinse come se lo fosse. -Ma immagino che abbia incassato il prezzo del biglietto di ritorno oppure che +— Ho un biglietto di sola andata per Hollywood. Tigre conosce della gente con cui posso stare. Forse arriverò anche a Chiba City. Aveva ragione su Bobby. -non ne abbia avuto bisogno, perché non è tornata. E qualche volta, a notte tarda, +Tornai indietro con lei. Non capì. Ma per Bobby lei era già servita allo scopo, e volevo dirle di non sentirsi addolorata per lui, perché vedevo che lo era. Non volle nemmeno accompagnarla alla porta, dopo che ebbe fatto i bagagli. Io appoggiai le valige nel corridoio e la baciai, rovinandole il fondo tinta, e qualcosa si mosse dentro di me, come quel programma killer si era sollevato sui dati di Chrome. Un arrestarsi improvviso del respiro, in un posto dove non ci sono parole. Ma lei aveva un aereo da prendere. Bobby era abbandonato sulla poltroncina girevole di fronte al monitor, a guardare gli zeri del suo conto in banca. Aveva gli occhiali scuri, e sapevo che quella sera sarebbe stato al _Gentleman Loser_ , scrutando ansiosamente i segni del cielo, alla ricerca di qualcuno che gli dicesse come sarebbe stata la sua nuova vita. Non potevo immaginarmela molto diversa. Più comoda, ma avrebbe sempre e continuamente aspettato la carta successiva. -mi capita di passare accanto a una vetrina con manifesti di dive del simstim, con +Cercai di non immaginarmela nella Casa delle Luci Blu, mentre lavorava a turni di tre ore in qualcosa di simile al sonno REM, mentre il suo corpo e i riflessi condizionati si occupavano del lavoro. I clienti non si sarebbero mai lamentati che facesse finta, perché gli orgasmi erano veri. Ma lei li avvertiva, sempre che li avvertisse, solo come pallide fiammate argentee ai bordi del sonno. Proprio così, è tanto diffuso da essere quasi legale. I clienti sono combattuti fra il bisogno di qualcuno e il desiderio di essere soli, il che è probabilmente sempre stata l'essenza di quel gioco, ancora prima che la neuroelettronica rendesse possibile avere le due cose contemporaneamente. -tutti quei bellissimi occhi identici che mi guardano da facce quasi identiche, e +Presi il telefono e feci il numero della compagnia aerea. Diedi il suo vero nome e il numero del volo. — Ha cambiato destinazione — dissi. — Chiba City. Esatto. -qualche volta gli occhi sono i suoi, ma nessuna delle facce lo è, mai, e io la vedo +Giappone. — Infilai la mia carta di credito nella fessura e battei il numero. — Prima classe. — Un ronzio lontano mentre controllavano il mio conto corrente. -lontano, ai bordi di questo agglomerato di notti e di città, che mi saluta con la +— Andata e ritorno. -mano. +Ma immagino che abbia incassato il prezzo del biglietto di ritorno oppure che non ne abbia avuto bisogno, perché non è tornata. E qualche volta, a notte tarda, mi capita di passare accanto a una vetrina con manifesti di dive del simstim, con tutti quei bellissimi occhi identici che mi guardano da facce quasi identiche, e qualche volta gli occhi sono i suoi, ma nessuna delle facce lo è, mai, e io la vedo lontano, ai bordi di questo agglomerato di notti e di città, che mi saluta con la mano. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/03_il_continuum_di_gernsback.md b/Gibson/03_il_continuum_di_gernsback.md index 9577207..768b43d 100644 --- a/Gibson/03_il_continuum_di_gernsback.md +++ b/Gibson/03_il_continuum_di_gernsback.md @@ -2,676 +2,136 @@ _(The Gernsback Continuum, 1981)_ -Per fortuna gli effetti stanno svanendo, la faccenda si sta rivelando un +Per fortuna gli effetti stanno svanendo, la faccenda si sta rivelando un episodio temporaneo. Quando ancora mi capita di vedere qualcosa, è ai margini del campo visivo: frammenti di assurde macchine cromate, appena intraviste. Ho visto un'ala volante sopra San Francisco, la settimana scorsa, ma era quasi trasparente. E le auto con le pinne di squalo si sono fatte più rare, le autostrade evitano discretamente di espandersi in mostri scintillanti a ottanta corsie, come quello in cui sono stato costretto a guidare la settimana scorsa con la mia Toyota a nolo. E so che niente di tutto ciò mi seguirà fino a New York, il mio campo visivo si sta restringendo a una sola lunghezza d'onda probabilistica. Ho lavorato duro per ottenere questo risultato. La televisione mi è stata di grande aiuto. -episodio temporaneo. Quando ancora mi capita di vedere qualcosa, è ai margini +Credo che sia cominciato a Londra, in quella taverna greca fasulla in Battersea Park Road, dove abbiamo pranzato a spese della ditta di Cohen. Tutta roba da tavola calda, e ci hanno messo mezz'ora per trovare un secchiello del ghiaccio per il vino. Cohen lavora perla Barris-Watford, che pubblica grandi libri illustrati molto chic sull'arte “commerciale”: la storia delle insegne al neon, i flipper, i giocattoli a molla del Giappone occupato. Ero andato in Inghilterra per una serie di fotografie pubblicitarie; ragazze californiane con le gambe abbronzate e scarpe da ginnastica dai vivaci colori fluorescenti che saltellavano in mio onore lungo le scale mobili di Saint John's Wood e sui marciapiedi di Tooting Bec. Un giovane funzionario, magro e ambizioso, aveva deciso che i misteri della metropolitana di Londra sarebbero serviti a vendere scarpe di nylon con la suola da montagna. Loro decidono, io fotografo. E Cohen, che conoscevo vagamente dai tempi di New York, mi aveva invitato a pranzo il giorno prima della partenza da Heathrow. Era accompagnato da una signorina vestita molto alla moda, di nome Dialta Downes, una tipa praticamente senza mento, nota studiosa di storia dell'arte pop. Se ci ripenso la vedo camminare a fianco di Cohen sotto un'insegna lampeggiante al neon, con scritto DIREZIONE: FOLLIA in grosse maiuscole “senza terminazioni”. Cohen ci presentò e spiegò che Dialta era l'artefice dell'ultimo progetto della Barris-Watford, una storia illustrata di quello che lei chiamava “Stile Modernista Aerodinamico Americano”. Cohen lo chiamava “gotico spaziale”. Il titolo provvisorio era “Futuropolis: La città mai esistita”. -del campo visivo: frammenti di assurde macchine cromate, appena intraviste. Ho +Gli inglesi hanno una tipica ossessione per gli aspetti più barocchi della cultura pop americana, qualcosa di simile al feticismo dei tedeschi occidentali verso gli indiani e i cowboy o all'assurda idolatria dei francesi per i vecchi film di Jerry Lewis. In Dialta Downes questo si manifestava in una mania per una forma di architettura squisitamente americana, ma di cui gli americani sono scarsamente consapevoli. All'inizio non ero ben sicuro di cosa stesse parlando, ma un po' alla volta cominciai a capire. Tornai con la mente ai programmi televisivi della domenica mattina, negli anni ‘50. Qualche volta, sulla stazione locale, trasmettevano vecchi cinegiornali, come riempitivo. E mentre si stava seduti con un panino al burro di arachidi e un bicchiere di latte, una voce baritonale, hollywoodiana e gracchiante, raccontava che c'era “Una Macchina Volante nel Vostro Futuro”. E tre ingegneri di Detroit si davano da fare su una vecchia, gigantesca Nash alata, che si lanciava poi rumorosamente lungo qualche pista deserta del Michigan. Non la si vedeva mai decollare veramente, ma volava verso la terra inesistente di Dialta Downes, la vera patria di una generazione di tecnofili privi di inibizioni. Quello di cui mi stava parlando erano quei pezzi di architettura “futuristica” degli anni Venti e Trenta che si incontrano ogni giorno nelle città americane senza accorgersene: le pensiline dei cinema con nervature che irradiano una misteriosa energia, i negozi con la facciata di alluminio scanalato, le sedie di tubo cromato che raccolgono la polvere negli androni degli alberghi di terza categoria. Lei vedeva queste cose come segmenti isolati di un mondo di sogno abbandonati in un presente indifferente; voleva che li fotografassi per lei. -visto un'ala volante sopra San Francisco, la settimana scorsa, ma era quasi +Gli anni Trenta avevano visto nascere la prima generazione di progettisti industriali americani. Fino agli anni 30 tutti i temperamatite sembravano temperamatite: il classico meccanismo vittoriano, al massimo un'ombra di decorazione. Dopo l'avvento dei designer, c'erano temperamatite che sembravano progettati nelle gallerie a vento. Nella maggior parte dei casi il cambiamento era solo superficiale; sotto il guscio cromato e aerodinamico c'era sempre il vecchio meccanismo vittoriano. Il che aveva una sua logica, perché i designer più abili erano usciti dalle file degli scenografi di Broadway. Era tutto un palcoscenico, una serie di fondali complicati per giocare a vivere nel futuro. -trasparente. E le auto con le pinne di squalo si sono fatte più rare, le autostrade +Mentre bevevamo il caffè, Cohen tirò fuori una grossa cartelletta piena di foto. -evitano discretamente di espandersi in mostri scintillanti a ottanta corsie, come +C'erano le statue alate che facevano la guardia alla diga di Hoover, come decorazioni di cemento alte dodici metri soffiate da un immaginario uragano. -quello in cui sono stato costretto a guidare la settimana scorsa con la mia Toyota +C'erano una dozzina di foto del Johnson's Wax Building di Frank Lloyd Wright, affiancate alle copertine della vecchia “Amazing Stories”, dipinte da un tale di nome Frank R. Paul; probabilmente i dipendenti della Johnson's Wax avevano avuto l'impressione di entrare in una delle utopie aerografate da rivista popolare di Paul. L'edificio di Wright sembrava progettato per gente che indossava tuniche bianche e sandali di perspex. Mi soffermai sul disegno di un aereo a elica particolarmente maestoso, tutto ali, come un grosso boomerang simmetrico dotato di finestrini nei posti più inverosimili. Delle frecce indicavano la posizione della sala da ballo e di due campi da squash. Era datato 1936. -a nolo. E so che niente di tutto ciò mi seguirà fino a New York, il mio campo +— Non mi direte che questa roba volava. — Guardai Dialta Downes. -visivo si sta restringendo a una sola lunghezza d'onda probabilistica. Ho lavorato +— Oh, no, impossibile, anche con quelle dodici eliche giganti; ma alla gente piaceva quel look, capite? Da New York a Londra in meno di due giorni, sale da pranzo di prima classe, cabine private, ponti per abbronzarsi, serate danzanti con orchestra jazz. . I progettisti cercavano di dare al pubblico quello che desiderava. E quello che il pubblico desiderava era il futuro. -duro per ottenere questo risultato. La televisione mi è stata di grande aiuto. +Ero a Burbank da tre giorni impegnato a cercare di soffondere di carisma un cantante rock molto insipido, quando ricevetti il pacco di Cohen. È possibile fotografare l'inesistente, ma è maledettamente difficile riuscirci, e di conseguenza questo è un talento molto ricercato sul mercato. Anche se ci so fare, non si può dire che sia il migliore, e quel tipo metteva a dura prova la credibilità della mia Nikon. Uscii depresso perché mi piace fare un buon lavoro, ma non del tutto, perché mi ero assicurato di ricevere comunque l'assegno, e decisi di tirarmi su con la sublime artisticità del lavoro per la Barris-Watford. Cohen mi aveva mandato alcuni libri sul design degli anni ‘30, foto di edifici aerodinamici, e una lista dei cinquanta esempi più importanti in California compilata da Dialta Downes. La fotografia architettonica può comportare lunghe attese; l'edificio diventa una specie di meridiana, mentre si aspetta che l'ombra si allontani da un particolare, che la massa e l'equilibrio della struttura si rivelino in una certa maniera. Mentre aspettavo, mi immaginai nell'America di Dialta Downes. -Credo che sia cominciato a Londra, in quella taverna greca fasulla in Battersea +Quando isolavo alcuni edifici industriali nel mirino smerigliato della Hasselblad, questi assumevano una specie di totalitaria dignità, come gli stadi che Albert Speer aveva costruito per Hitler. Ma il resto era implacabilmente volgare: roba effimera, secreta dall'inconscio collettivo americano degli anni ‘30, che sopravviveva lungo strade deprimenti su cui si allineavano motel polverosi, venditori all'ingrosso di materassi ed esposizioni di macchine usate. Mi buttai sulle stazioni di servizio. Al culmine dell'Era di Downes, Ming lo Spietato era stato incaricato di progettare le stazioni di servizio della California. Seguendo l'architettura della sua nativa Mongo, aveva percorso in lungo e in largo la costa erigendo postazioni di cannoni laser in stucco bianco. Nella maggior parte vi erano superflue torrette centrali circondate da quegli strani radiatori che erano il marchio distintivo dello stile e sembravano generare potenti flussi di entusiasmo per la tecnologia. Bastava trovare il modo per riportarle in vita. Ne fotografai una, a San José, un'ora prima che arrivassero i bulldozer e distruggessero la verità architettonica di stucco, incannicciato e cemento da poco prezzo. -Park Road, dove abbiamo pranzato a spese della ditta di Cohen. Tutta roba da +«Dovete immaginare» gli aveva detto Dialta Downes, «una specie di America alternativa: un 1980 mai esistito. Un'architettura di sogni infranti.» E quella era la mia disposizione mentale mentre percorrevo le stazioni della sua involuta via crucis socioarchitettonica nella mia Toyota rossa, e gradualmente mi sintonizzavo sulla sua immagine umbratile di un'America che non c'era, di fabbriche di Coca-Cola simili a sottomarini arenati, di cinema di quinta visione simili a templi di una setta perduta che aveva adorato specchi azzurri e la geometria. E mentre mi muovevo fra quelle rovine segrete mi trovai a pensare a cosa avrebbero pensato gli abitanti del futuro perduto del mondo in cui io vivevo. Gli anni ‘30 sognavano marmi bianchi e cromature aerodinamiche, cristalli immortali e bronzo brunito; ma i razzi sulla copertina delle riviste di Gernsback erano caduti su Londra in piena notte, sibilando. Dopo la guerra tutti avevano avuto una macchina, ma senza ali, e le autostrade promesse per farla correre, tanto che il cielo stesso si era oscurato e i fumi avevano divorato i marmi e corroso i cristalli miracolosi. . -tavola calda, e ci hanno messo mezz'ora per trovare un secchiello del ghiaccio +E un giorno, alla periferia di Bolinas, mentre mi stavo preparando a fotografare un esemplare particolarmente sontuoso di architettura militare Ming, penetrai una sottile membrana, una membrana probabilistica. . -per il vino. Cohen lavora perla Barris-Watford, che pubblica grandi libri illustrati +Senza accorgermene, superai il Confine. . -molto chic sull'arte “commerciale”: la storia delle insegne al neon, i flipper, i +E alzando gli occhi vidi un apparecchio a 12 motori, simile a un boomerang ingrossato, tutto ali, che si muoveva verso est con grazia elefantina, così basso che avrei potuto contarne i rivetti sullo scafo argento opaco, e sentire, forse, l'eco di un'orchestra jazz. -giocattoli a molla del Giappone occupato. Ero andato in Inghilterra per una serie +Andai da Kihn. -di fotografie pubblicitarie; ragazze californiane con le gambe abbronzate e +Merv Kihn, giornalista indipendente specializzato in pterodattili texani, contadini reazionari che avevano avuto contatti con gli UFO, mostri di Loch Ness di terza classe e le dieci più diffuse teorie sulle cospirazioni nate nelle zone retrograde dell'immaginario collettivo americano. -scarpe da ginnastica dai vivaci colori fluorescenti che saltellavano in mio onore +— Non è male — disse Kihn, pulendosi gli occhiali da tiro a segno Polaroid con un lembo della camicia hawaiana — ma non è veramente cerebrale. Gli manca quel certo quid. -lungo le scale mobili di Saint John's Wood e sui marciapiedi di Tooting Bec. Un +— Ma l'ho visto, Merv. — Eravamo seduti ai bordi di una piscina, sotto il sole splendente dell'Arizona. Lui era a Tucson, in attesa di un gruppo di impiegate statali di Las Vegas in pensione, la cui portavoce riceveva messaggi dagli Alieni per mezzo di un forno a microonde. Avevo guidato tutta notte, e me lo sentivo nelle ossa. -giovane funzionario, magro e ambizioso, aveva deciso che i misteri della +— Ma certo che l'hai visto. Hai letto i miei articoli — non hai ancora afferrato la mia soluzione definitiva del problema degli UFO? È semplicissimo: la gente — si sistemò accuratamente gli occhiali sul lungo naso aquilino e mi rivolse uno sguardo da basilisco — VEDE. . delle cose. La gente le vede. Non c'è niente, ma la gente le VEDE lo stesso, capisci? Perché ne hanno bisogno, probabilmente. Hai letto Jung, dovresti sapere qual è la causa. . Nel tuo caso è piuttosto ovvia: hai detto che stavi pensando a questa architettura demenziale, ci fantasticavi sopra. . -metropolitana di Londra sarebbero serviti a vendere scarpe di nylon con la suola +Ascolta, sono sicuro che anche tu ti sei fatto la tua parte di droghe, giusto? -da montagna. Loro decidono, io fotografo. E Cohen, che conoscevo vagamente +Quanti hanno visto passare gli anni ‘60 in California senza avere almeno una volta quelle strane allucinazioni? Per esempio quando sembrava che i jeans fossero diventati un ologramma di geroglifici disegnati dalla Walt Disney, o quando. . -dai tempi di New York, mi aveva invitato a pranzo il giorno prima della partenza +— Ma non era così. -da Heathrow. Era accompagnato da una signorina vestita molto alla moda, di +— Certo che non era così. Era completamente diverso. Era “su uno sfondo perfettamente reale”, giusto? Tutto normale, poi compare il mostro, il mandala, il sigaro fluorescente. Nel tuo caso un gigantesco aeroplano stile “Amazing”. -nome Dialta Downes, una tipa praticamente senza mento, nota studiosa di storia +Succede in continuazione. Non sei neppure pazzo. Lo sai, vero? — prese una birra dalla borsa refrigerante malandata che aveva vicino alla sedia a sdraio. -dell'arte pop. Se ci ripenso la vedo camminare a fianco di Cohen sotto un'insegna +— La settimana scorsa ero in Virginia. Grayson County. Ho intervistato una ragazzina di sedici anni che era stata assalita da una testa di orso. -lampeggiante al neon, con scritto DIREZIONE: FOLLIA in grosse maiuscole +— Che? -“senza terminazioni”. Cohen ci presentò e spiegò che Dialta era l'artefice +— La testa tagliata di un orso. Se ne svolazzava in giro sul suo disco volante, che sembrava il coprimozzo della vecchia Cadillac di suo cugino Wayne. Aveva occhi rossi, luccicanti come due mozziconi di sigaro e antenne telescopiche che gli uscivano da dietro le orecchie. — Fece un rutto. -dell'ultimo progetto della Barris-Watford, una storia illustrata di quello che lei +— E l'ha assalita? Come? -chiamava “Stile Modernista Aerodinamico Americano”. Cohen lo chiamava +— È meglio che non te lo dica. Sei un tipo impressionabile. “Era freddo” — fece una brutta imitazione dell'accento del sud — “e metallico.” Faceva suoni elettronici. È un prodotto genuino, amico: direttamente dall'inconscio collettivo; quella ragazzina è una strega. Non c'è posto per lei in questa società. -“gotico spaziale”. Il titolo provvisorio era “Futuropolis: La città mai esistita”. +Sicuramente se non fosse cresciuta con “L'uomo bionico” e le repliche di Star Trek avrebbe detto di aver visto il diavolo. Ha semplicemente seguito la corrente. E sa esattamente cosa le è successo. Ero uscito da dieci minuti quando sono arrivati gli ufologi con la macchina della verità. -Gli inglesi hanno una tipica ossessione per gli aspetti più barocchi della +Dovevo avere un'aria preoccupata, perché lui appoggiò la birra vicino alla borsa refrigerante e si alzò. -cultura pop americana, qualcosa di simile al feticismo dei tedeschi occidentali +— Se vuoi una spiegazione più intellettuale, direi che hai visto un fantasma semiotico. Tutte queste storie di incontri ravvicinati, per esempio, sono calate nella dimensione fantascientifica che permea la nostra cultura. Posso anche credere agli alieni, ma non a degli alieni che assomigliano a fumetti degli anni ‘50. Sono fantasmi semiotici, frammenti di un immaginario culturale che si è separato e ha acquistato una vita autonoma, come le navi volanti alla Giulio Verne che vedevano sempre quei vecchi contadini del Kansas. Tu hai visto un tipo diverso di fantasma, ecco tutto. Un tempo quell'aereo faceva parte dell'inconscio collettivo. In qualche maniera l'hai catturato. L'importante è non preoccuparsene. -verso gli indiani e i cowboy o all'assurda idolatria dei francesi per i vecchi film di +Ma io me ne preoccupavo. -Jerry Lewis. In Dialta Downes questo si manifestava in una mania per una forma +Kihn si pettinò i radi capelli biondi e uscì per sentire cosa dicevano gli alieni sulle frequenze radar, e io tirai le tende della mia camera e mi stesi nel buio ad aria condizionata per preoccuparmi. Stavo ancora preoccupandomi quando mi svegliai. Kihn aveva lasciato un biglietto sulla mia porta: aveva preso un volo charter diretto a nord, per controllare delle voci su mutazioni del bestiame. -di architettura squisitamente americana, ma di cui gli americani sono +Un'altra delle sue specialità giornalistiche. -scarsamente consapevoli. All'inizio non ero ben sicuro di cosa stesse parlando, +Io pranzai, feci una doccia, ingoiai una pillola dimagrante mezza sbriciolata che girava in fondo alla mia borsa da barba da tre anni, e ripartii per Los Angeles. -ma un po' alla volta cominciai a capire. Tornai con la mente ai programmi +La velocità mi limitava il campo visivo al tunnel creato dai fari della Toyota. Mi dissi che il corpo poteva guidare mentre la mente riposava. Riposava e si teneva lontana dalle bizzarre immagini prodotte dall'anfetamina, dalla stanchezza e dalla spettrale, luminosa vegetazione che cresce alla coda dell'occhio della mente, lungo un'autostrada a tarda notte. Ma la mente ha le sue idee, e l'opinione di Kihn su quello che ormai consideravo il mio “avvistamento” mi girava per la testa in un'orbita asimmetrica. -televisivi della domenica mattina, negli anni ‘50. Qualche volta, sulla stazione +Fantasmi semiotici. Frammenti del Sogno Collettivo, che svolazzavano nella scia della macchina. Probabilmente tutto quel ragionamento fece uno strano effetto alla pillola dietetica, e la vegetazione confusa ai margini della strada assunse il colore delle immagini all'infrarosso dei satelliti, frammenti luminosi soffiati via dalla Toyota. Allora parcheggiai, e il riflesso dei fari sulle lattine di birra sparse in strada cessò improvvisamente quando spensi i fari, come un augurio di buona notte. Calcolai che ore dovevano essere a Londra, e cercai di immaginarmi Dialta Downes che faceva colazione nel suo appartamento di Hampstead, circondata da statuette cromate e libri sulla cultura americana. -locale, trasmettevano vecchi cinegiornali, come riempitivo. E mentre si stava +Le notti del deserto, là, sono enormi; la luna è più vicina. Osservai a lungo la luna e decisi che Kihn aveva ragione. L'importante era non preoccuparsi. In tutto il continente, gente più normale di quanto avrei mai potuto essere, vedeva ogni giorno uccelli giganti, yeti, raffinerie petrolifere volanti; servivano a dare lavoro a Kihn. Perché sentirsi sconvolti da una visione dell'immaginario popolare a passeggio nel cielo di Bolinas? Decisi di addormentarmi avendo come unica preoccupazione i serpenti a sonagli e gli hippy cannibali, al sicuro fra l'amichevole spazzatura del mio continuum quotidiano. La mattina avrei raggiunto Nogales e fotografato i vecchi bordelli, una cosa che volevo fare da anni. La pillola dietetica aveva dato forfait. -seduti con un panino al burro di arachidi e un bicchiere di latte, una voce +Prima mi svegliò la luce, poi le voci. -baritonale, hollywoodiana e gracchiante, raccontava che c'era “Una Macchina +La luce veniva dalle mie spalle e gettava ombre mutevoli nella macchina. Le voci erano calme, indistinte, maschili e femminili, e conversavano fra alieni. -Volante nel Vostro Futuro”. E tre ingegneri di Detroit si davano da fare su una +Avevo il collo irrigidito, e mi sentivo gli occhi impastati. Mi si era addormentata una gamba, premuta contro il volante. Cercai gli occhiali nella tasca della camicia, e alla fine li trovai. Poi mi guardai alle spalle e vidi la città. -vecchia, gigantesca Nash alata, che si lanciava poi rumorosamente lungo qualche +I libri sul design degli anni ‘30 erano nel portabagagli; in uno di essi c'erano delle illustrazioni di una città idealizzata, ricavata da “Metropolis” e dal “Mondo futuro”, ma in cui tutto era più squadrato e si innalzava attraverso perfette nuvole architettoniche, fino a pontili di attracco per dirigibili e assurdi pinnacoli fluorescenti. Quella città era un modello in scala di quella che c'era alle mie spalle. Guglie si innalzavano su altre guglie, in scintillanti gradini da ziggurat che culminavano in un tempio dorato a forma di torre, con quelle pazzesche flange da radiatore delle stazioni di servizio Mongo. Nella più piccola di quelle torri avrebbe trovato posto l'intero Empire State Building. Strade di cristallo si snodavano fra i pinnacoli, e su di esse scorrevano forme lisce e argentee come perline di mercurio. L'aria era piena di navi: transatlantici tutti ali, piccoli oggetti argentei dardeggianti (qualche volta una delle gocce di mercurio si sollevava elegantemente dai pontili aerei e si univa alla danza), dirigibili lunghi un miglio, cose simili a libellule che erano girocotteri. . -pista deserta del Michigan. Non la si vedeva mai decollare veramente, ma volava +Chiusi forte gli occhi e mi girai sul sedile. “Quando li riapro” mi dissi “devo vedere il contachilometri, la polvere bianca della strada sul cruscotto di plastica nera, il portacenere pieno.” — Psicosi da anfetamine — dissi. Aprii gli occhi. Il cruscotto c'era ancora, con la polvere e i mozziconi schiacciati. Adagio senza muovere la testa, accesi i fari. -verso la terra inesistente di Dialta Downes, la vera patria di una generazione di +E li vidi. -tecnofili privi di inibizioni. Quello di cui mi stava parlando erano quei pezzi di +Erano biondi. Erano in piedi vicino alla Alieni-macchina, una pera di alluminio con una pinna da squalo che sporgeva dalla linea centrale e pneumatici neri e lisci come quelli di un giocattolo. Lui le teneva un braccio attorno alla vita e gesticolava verso la città. Indossavano fluenti vesti bianche che lasciavano scoperte le gambe, e sandali bianchi immacolati. Nessuno dei due sembrava essersi accorto dei miei fari. Lui stava dicendo qualcosa di saggio e importante, e lei annuiva, e d'improvviso io ebbi paura, paura in modo completamente diverso. L'equilibrio mentale aveva cessato di essere un problema; sapevo, in qualche maniera, che la città alle mie spalle era Tucson: una Tucson di sogno, creata dal desiderio collettivo di un'epoca. Sapevo che era reale, del tutto reale. -architettura “futuristica” degli anni Venti e Trenta che si incontrano ogni giorno +Ma la coppia di fronte a me viveva lì, ed erano gli Alieni a spaventarmi. -nelle città americane senza accorgersene: le pensiline dei cinema con nervature +Erano i figli degli “Anni-80 mai esistiti” di Dialta Downes, erano gli Eredi del Sogno. Erano bianchi, biondi, e probabilmente avevano occhi azzurri. Americani. -che irradiano una misteriosa energia, i negozi con la facciata di alluminio +Dialta aveva detto che il futuro era arrivato prima in America, ma che poi se l'era lasciata alle spalle. Ma non qui, nel cuore del Sogno. Noi avevamo proseguito, in una logica onirica che ignorava l'inquinamento, i limiti dei combustibili fossili, le guerre che era possibile perdere. Erano felici e del tutto soddisfatti di loro stessi e del loro mondo. E, nel Sogno, quel mondo era loro. -scanalato, le sedie di tubo cromato che raccolgono la polvere negli androni degli +Alle mie spalle, la città illuminata: riflettori fendevano gioiosi il cielo. Li immaginai radunati sulle piazze di bianco marmo, puliti e attenti, con gli occhi che brillavano di entusiasmo per i viali luminosi e le auto argentee. -alberghi di terza categoria. Lei vedeva queste cose come segmenti isolati di un +Avevano una sinistra vitalità da propaganda della Gioventù Hitleriana. Avviai la macchina e avanzai adagio, finché il paraurti fu a un metro da loro. Ancora non mi avevano visto. Abbassai il finestrino e ascoltai quello che diceva l'uomo. Le sue parole erano limpide e secche come un dépliant della Camera di Commercio, e io sapevo che lui credeva senza riserve a quello che stava dicendo. -mondo di sogno abbandonati in un presente indifferente; voleva che li +— John — sentii dire la donna — ci siamo dimenticati di prendere le pillole nutritive. — Tirò fuori due cialde da un oggetto che aveva alla cintura e ne passò una all'uomo. Io feci retromarcia fino all'autostrada e ripartii verso Los Angeles, rabbrividendo e scuotendo la testa. -fotografassi per lei. +Telefonai a Kihn da una stazione di servizio. Gli dissi che era una storia nuova di un brutto stile spagnolo moderno. Era appena tornato dalla sua spedizione, e non sembrava infastidito dalla mia chiamata. -Gli anni Trenta avevano visto nascere la prima generazione di progettisti +— Sì, è una cosa bizzarra. Hai cercato di fare delle foto? Non vengono mai, ma aggiungono un tocco di mistero alla storia, il fatto che non si riesca a svilupparle. . -industriali americani. Fino agli anni 30 tutti i temperamatite sembravano +Ma cosa dovevo fare? -temperamatite: il classico meccanismo vittoriano, al massimo un'ombra di +— Guarda molta televisione, in particolare quiz e telenovelas. Vai a vedere film porno. Hai mai visto “Nazi Love Motel”? Lo trasmettono via cavo. È veramente mostruoso. Proprio quello che ti serve. Ma di cosa stava parlando? -decorazione. Dopo l'avvento dei designer, c'erano temperamatite che +— Smettila di gridare e ascoltami. Ti svelerò un segreto del mestiere: i peggiori sottoprodotti dei media possono esorcizzare i fantasmi semiotici. Se con questo sistema sono riuscito a salvarmi dai marziani, allora dovrebbe andar bene anche per i tuoi incubi futuristi Art Deco. Cos'hai da perdere? -sembravano progettati nelle gallerie a vento. Nella maggior parte dei casi il +Poi si scusò, dicendo che aveva un appuntamento la mattina dopo con l'Eletta. -cambiamento era solo superficiale; sotto il guscio cromato e aerodinamico c'era +— Chi? -sempre il vecchio meccanismo vittoriano. Il che aveva una sua logica, perché i +— La vecchia che parla con Vega, quella del forno a microonde. -designer più abili erano usciti dalle file degli scenografi di Broadway. Era tutto +Presi in considerazione la possibilità di chiamare Londra a carico destinatario, scovare Cohen alla Barris-Watford e dirgli che il suo fotografo era partito per una lunga vacanza nella Zona Oscura. Alla fine mi lasciai preparare da una macchina una tazza di caffè imbevibile e risalii sulla Toyota per l'ultima tirata fino a Los Angeles. -un palcoscenico, una serie di fondali complicati per giocare a vivere nel futuro. +Scoprii che andare a Los Angeles era stata una pessima idea, e ci passai due settimane. Era tutto territorio di Downes; c'era troppo del Sogno, lì, troppi frammenti del Sogno pronti a catturarmi. Per poco non fracassai la macchina su un raccordo vicino a Disneyland, quando la strada si spalancò a ventaglio come un origami, e mi ritrovai a zigzagare fra una decina di corsie, in mezzo a centinaia di gocce cromate con pinne da Cadillac sul retrotreno. Peggio ancora: -Mentre bevevamo il caffè, Cohen tirò fuori una grossa cartelletta piena di foto. +Hollywood era piena di gente che assomigliava troppo alla coppia che avevo visto in Arizona. Mi misi d'accordo con un regista italiano che sbarcava il lunario facendo lavori di sviluppo e stampa e installando pavimentazioni attorno alle piscine in attesa che arrivasse la sua grande occasione. Lui mi stampò tutti i negativi che avevo accumulato per Downes. Io non volevo guardarle. Ma a Leonardo non facevano alcun effetto, e quando ebbe finito diedi un'occhiata alle stampe, sfogliandole come un mazzo di carte, le chiusi in busta e le spedii a Londra per posta aerea. Poi presi un taxi fino a un cinema dove davano “Nazi Love Motel”, e tenni gli occhi chiusi dall'inizio alla fine. Il telegramma di congratulazioni di Cohen mi arrivò a San Francisco una settimana dopo. Dialta aveva apprezzato molto le foto. Lui era rimasto colpito da come mi ero “immedesimato”, e sperava di lavorare ancora con me. Quel pomeriggio vidi un'ala volante sopra Castro Street, ma aveva un aspetto diafano, come se ci fosse solo per metà. Corsi all'edicola più vicina e presi tutto quello che riuscii a trovare sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare. Avevo appena deciso di comprare un biglietto aereo per New York. -C'erano le statue alate che facevano la guardia alla diga di Hoover, come +— In che razza di mondo viviamo, eh? — l'edicolante era un negro magro, con i denti cariati e un parrucchino quasi ostentato. Io annuii, frugandomi nelle tasche dei jeans alla ricerca dei soldi, ansioso di trovare una panchina in un parco per immergermi nella prova lampante della quasi-distopia in cui vivevamo. — Ma potrebbe essere peggio, eh? -decorazioni di cemento alte dodici metri soffiate da un immaginario uragano. +— Già — dissi io. — O peggio ancora, potrebbe essere perfetto. -C'erano una dozzina di foto del Johnson's Wax Building di Frank Lloyd Wright, - -affiancate alle copertine della vecchia “Amazing Stories”, dipinte da un tale di - -nome Frank R. Paul; probabilmente i dipendenti della Johnson's Wax avevano - -avuto l'impressione di entrare in una delle utopie aerografate da rivista - -popolare di Paul. L'edificio di Wright sembrava progettato per gente che - -indossava tuniche bianche e sandali di perspex. Mi soffermai sul disegno di un - -aereo a elica particolarmente maestoso, tutto ali, come un grosso boomerang - -simmetrico dotato di finestrini nei posti più inverosimili. Delle frecce indicavano - -la posizione della sala da ballo e di due campi da squash. Era datato 1936. - -— Non mi direte che questa roba volava. — Guardai Dialta Downes. - -— Oh, no, impossibile, anche con quelle dodici eliche giganti; ma alla gente - -piaceva quel look, capite? Da New York a Londra in meno di due giorni, sale da - -pranzo di prima classe, cabine private, ponti per abbronzarsi, serate danzanti - -con orchestra jazz. . I progettisti cercavano di dare al pubblico quello che - -desiderava. E quello che il pubblico desiderava era il futuro. - -Ero a Burbank da tre giorni impegnato a cercare di soffondere di carisma un - -cantante rock molto insipido, quando ricevetti il pacco di Cohen. È possibile - -fotografare l'inesistente, ma è maledettamente difficile riuscirci, e di - -conseguenza questo è un talento molto ricercato sul mercato. Anche se ci so fare, - -non si può dire che sia il migliore, e quel tipo metteva a dura prova la credibilità - -della mia Nikon. Uscii depresso perché mi piace fare un buon lavoro, ma non del - -tutto, perché mi ero assicurato di ricevere comunque l'assegno, e decisi di - -tirarmi su con la sublime artisticità del lavoro per la Barris-Watford. Cohen mi - -aveva mandato alcuni libri sul design degli anni ‘30, foto di edifici aerodinamici, - -e una lista dei cinquanta esempi più importanti in California compilata da Dialta - -Downes. La fotografia architettonica può comportare lunghe attese; l'edificio - -diventa una specie di meridiana, mentre si aspetta che l'ombra si allontani da un - -particolare, che la massa e l'equilibrio della struttura si rivelino in una certa - -maniera. Mentre aspettavo, mi immaginai nell'America di Dialta Downes. - -Quando isolavo alcuni edifici industriali nel mirino smerigliato della Hasselblad, - -questi assumevano una specie di totalitaria dignità, come gli stadi che Albert - -Speer aveva costruito per Hitler. Ma il resto era implacabilmente volgare: roba - -effimera, secreta dall'inconscio collettivo americano degli anni ‘30, che - -sopravviveva lungo strade deprimenti su cui si allineavano motel polverosi, - -venditori all'ingrosso di materassi ed esposizioni di macchine usate. Mi buttai - -sulle stazioni di servizio. Al culmine dell'Era di Downes, Ming lo Spietato era - -stato incaricato di progettare le stazioni di servizio della California. Seguendo - -l'architettura della sua nativa Mongo, aveva percorso in lungo e in largo la costa - -erigendo postazioni di cannoni laser in stucco bianco. Nella maggior parte vi - -erano superflue torrette centrali circondate da quegli strani radiatori che erano - -il marchio distintivo dello stile e sembravano generare potenti flussi di - -entusiasmo per la tecnologia. Bastava trovare il modo per riportarle in vita. Ne - -fotografai una, a San José, un'ora prima che arrivassero i bulldozer e - -distruggessero la verità architettonica di stucco, incannicciato e cemento da - -poco prezzo. - -«Dovete immaginare» gli aveva detto Dialta Downes, «una specie di America - -alternativa: un 1980 mai esistito. Un'architettura di sogni infranti.» E quella era - -la mia disposizione mentale mentre percorrevo le stazioni della sua involuta via - -crucis socioarchitettonica nella mia Toyota rossa, e gradualmente mi - -sintonizzavo sulla sua immagine umbratile di un'America che non c'era, di - -fabbriche di Coca-Cola simili a sottomarini arenati, di cinema di quinta visione - -simili a templi di una setta perduta che aveva adorato specchi azzurri e la - -geometria. E mentre mi muovevo fra quelle rovine segrete mi trovai a pensare a - -cosa avrebbero pensato gli abitanti del futuro perduto del mondo in cui io - -vivevo. Gli anni ‘30 sognavano marmi bianchi e cromature aerodinamiche, - -cristalli immortali e bronzo brunito; ma i razzi sulla copertina delle riviste di - -Gernsback erano caduti su Londra in piena notte, sibilando. Dopo la guerra tutti - -avevano avuto una macchina, ma senza ali, e le autostrade promesse per farla - -correre, tanto che il cielo stesso si era oscurato e i fumi avevano divorato i - -marmi e corroso i cristalli miracolosi. . - -E un giorno, alla periferia di Bolinas, mentre mi stavo preparando a - -fotografare un esemplare particolarmente sontuoso di architettura militare - -Ming, penetrai una sottile membrana, una membrana probabilistica. . - -Senza accorgermene, superai il Confine. . - -E alzando gli occhi vidi un apparecchio a 12 motori, simile a un boomerang - -ingrossato, tutto ali, che si muoveva verso est con grazia elefantina, così basso - -che avrei potuto contarne i rivetti sullo scafo argento opaco, e sentire, forse, - -l'eco di un'orchestra jazz. - -Andai da Kihn. - -Merv Kihn, giornalista indipendente specializzato in pterodattili texani, - -contadini reazionari che avevano avuto contatti con gli UFO, mostri di Loch Ness - -di terza classe e le dieci più diffuse teorie sulle cospirazioni nate nelle zone - -retrograde dell'immaginario collettivo americano. - -— Non è male — disse Kihn, pulendosi gli occhiali da tiro a segno Polaroid con - -un lembo della camicia hawaiana — ma non è veramente cerebrale. Gli manca - -quel certo quid. - -— Ma l'ho visto, Merv. — Eravamo seduti ai bordi di una piscina, sotto il sole - -splendente dell'Arizona. Lui era a Tucson, in attesa di un gruppo di impiegate - -statali di Las Vegas in pensione, la cui portavoce riceveva messaggi dagli Alieni - -per mezzo di un forno a microonde. Avevo guidato tutta notte, e me lo sentivo - -nelle ossa. - -— Ma certo che l'hai visto. Hai letto i miei articoli — non hai ancora afferrato - -la mia soluzione definitiva del problema degli UFO? È semplicissimo: la gente — - -si sistemò accuratamente gli occhiali sul lungo naso aquilino e mi rivolse uno - -sguardo da basilisco — VEDE. . delle cose. La gente le vede. Non c'è niente, ma la - -gente le VEDE lo stesso, capisci? Perché ne hanno bisogno, probabilmente. Hai - -letto Jung, dovresti sapere qual è la causa. . Nel tuo caso è piuttosto ovvia: hai - -detto che stavi pensando a questa architettura demenziale, ci fantasticavi sopra. . - -Ascolta, sono sicuro che anche tu ti sei fatto la tua parte di droghe, giusto? - -Quanti hanno visto passare gli anni ‘60 in California senza avere almeno una - -volta quelle strane allucinazioni? Per esempio quando sembrava che i jeans - -fossero diventati un ologramma di geroglifici disegnati dalla Walt Disney, o - -quando. . - -— Ma non era così. - -— Certo che non era così. Era completamente diverso. Era “su uno sfondo - -perfettamente reale”, giusto? Tutto normale, poi compare il mostro, il mandala, il - -sigaro fluorescente. Nel tuo caso un gigantesco aeroplano stile “Amazing”. - -Succede in continuazione. Non sei neppure pazzo. Lo sai, vero? — prese una - -birra dalla borsa refrigerante malandata che aveva vicino alla sedia a sdraio. - -— La settimana scorsa ero in Virginia. Grayson County. Ho intervistato una - -ragazzina di sedici anni che era stata assalita da una testa di orso. - -— Che? - -— La testa tagliata di un orso. Se ne svolazzava in giro sul suo disco volante, - -che sembrava il coprimozzo della vecchia Cadillac di suo cugino Wayne. Aveva - -occhi rossi, luccicanti come due mozziconi di sigaro e antenne telescopiche che - -gli uscivano da dietro le orecchie. — Fece un rutto. - -— E l'ha assalita? Come? - -— È meglio che non te lo dica. Sei un tipo impressionabile. “Era freddo” — - -fece una brutta imitazione dell'accento del sud — “e metallico.” Faceva suoni - -elettronici. È un prodotto genuino, amico: direttamente dall'inconscio collettivo; - -quella ragazzina è una strega. Non c'è posto per lei in questa società. - -Sicuramente se non fosse cresciuta con “L'uomo bionico” e le repliche di Star - -Trek avrebbe detto di aver visto il diavolo. Ha semplicemente seguito la - -corrente. E sa esattamente cosa le è successo. Ero uscito da dieci minuti quando - -sono arrivati gli ufologi con la macchina della verità. - -Dovevo avere un'aria preoccupata, perché lui appoggiò la birra vicino alla - -borsa refrigerante e si alzò. - -— Se vuoi una spiegazione più intellettuale, direi che hai visto un fantasma - -semiotico. Tutte queste storie di incontri ravvicinati, per esempio, sono calate - -nella dimensione fantascientifica che permea la nostra cultura. Posso anche - -credere agli alieni, ma non a degli alieni che assomigliano a fumetti degli anni - -‘50. Sono fantasmi semiotici, frammenti di un immaginario culturale che si è - -separato e ha acquistato una vita autonoma, come le navi volanti alla Giulio - -Verne che vedevano sempre quei vecchi contadini del Kansas. Tu hai visto un - -tipo diverso di fantasma, ecco tutto. Un tempo quell'aereo faceva parte - -dell'inconscio collettivo. In qualche maniera l'hai catturato. L'importante è non - -preoccuparsene. - -Ma io me ne preoccupavo. - -Kihn si pettinò i radi capelli biondi e uscì per sentire cosa dicevano gli alieni - -sulle frequenze radar, e io tirai le tende della mia camera e mi stesi nel buio ad - -aria condizionata per preoccuparmi. Stavo ancora preoccupandomi quando mi - -svegliai. Kihn aveva lasciato un biglietto sulla mia porta: aveva preso un volo - -charter diretto a nord, per controllare delle voci su mutazioni del bestiame. - -Un'altra delle sue specialità giornalistiche. - -Io pranzai, feci una doccia, ingoiai una pillola dimagrante mezza sbriciolata - -che girava in fondo alla mia borsa da barba da tre anni, e ripartii per Los - -Angeles. - -La velocità mi limitava il campo visivo al tunnel creato dai fari della Toyota. Mi - -dissi che il corpo poteva guidare mentre la mente riposava. Riposava e si teneva - -lontana dalle bizzarre immagini prodotte dall'anfetamina, dalla stanchezza e - -dalla spettrale, luminosa vegetazione che cresce alla coda dell'occhio della - -mente, lungo un'autostrada a tarda notte. Ma la mente ha le sue idee, e - -l'opinione di Kihn su quello che ormai consideravo il mio “avvistamento” mi - -girava per la testa in un'orbita asimmetrica. - -Fantasmi semiotici. Frammenti del Sogno Collettivo, che svolazzavano nella - -scia della macchina. Probabilmente tutto quel ragionamento fece uno strano - -effetto alla pillola dietetica, e la vegetazione confusa ai margini della strada - -assunse il colore delle immagini all'infrarosso dei satelliti, frammenti luminosi - -soffiati via dalla Toyota. Allora parcheggiai, e il riflesso dei fari sulle lattine di - -birra sparse in strada cessò improvvisamente quando spensi i fari, come un - -augurio di buona notte. Calcolai che ore dovevano essere a Londra, e cercai di - -immaginarmi Dialta Downes che faceva colazione nel suo appartamento di - -Hampstead, circondata da statuette cromate e libri sulla cultura americana. - -Le notti del deserto, là, sono enormi; la luna è più vicina. Osservai a lungo la - -luna e decisi che Kihn aveva ragione. L'importante era non preoccuparsi. In tutto - -il continente, gente più normale di quanto avrei mai potuto essere, vedeva ogni - -giorno uccelli giganti, yeti, raffinerie petrolifere volanti; servivano a dare lavoro - -a Kihn. Perché sentirsi sconvolti da una visione dell'immaginario popolare a - -passeggio nel cielo di Bolinas? Decisi di addormentarmi avendo come unica - -preoccupazione i serpenti a sonagli e gli hippy cannibali, al sicuro fra - -l'amichevole spazzatura del mio continuum quotidiano. La mattina avrei - -raggiunto Nogales e fotografato i vecchi bordelli, una cosa che volevo fare da - -anni. La pillola dietetica aveva dato forfait. - -Prima mi svegliò la luce, poi le voci. - -La luce veniva dalle mie spalle e gettava ombre mutevoli nella macchina. Le - -voci erano calme, indistinte, maschili e femminili, e conversavano fra alieni. - -Avevo il collo irrigidito, e mi sentivo gli occhi impastati. Mi si era - -addormentata una gamba, premuta contro il volante. Cercai gli occhiali nella - -tasca della camicia, e alla fine li trovai. Poi mi guardai alle spalle e vidi la città. - -I libri sul design degli anni ‘30 erano nel portabagagli; in uno di essi c'erano - -delle illustrazioni di una città idealizzata, ricavata da “Metropolis” e dal “Mondo - -futuro”, ma in cui tutto era più squadrato e si innalzava attraverso perfette - -nuvole architettoniche, fino a pontili di attracco per dirigibili e assurdi pinnacoli - -fluorescenti. Quella città era un modello in scala di quella che c'era alle mie - -spalle. Guglie si innalzavano su altre guglie, in scintillanti gradini da ziggurat che - -culminavano in un tempio dorato a forma di torre, con quelle pazzesche flange - -da radiatore delle stazioni di servizio Mongo. Nella più piccola di quelle torri - -avrebbe trovato posto l'intero Empire State Building. Strade di cristallo si - -snodavano fra i pinnacoli, e su di esse scorrevano forme lisce e argentee come - -perline di mercurio. L'aria era piena di navi: transatlantici tutti ali, piccoli oggetti - -argentei dardeggianti (qualche volta una delle gocce di mercurio si sollevava - -elegantemente dai pontili aerei e si univa alla danza), dirigibili lunghi un miglio, - -cose simili a libellule che erano girocotteri. . - -Chiusi forte gli occhi e mi girai sul sedile. “Quando li riapro” mi dissi “devo - -vedere il contachilometri, la polvere bianca della strada sul cruscotto di plastica - -nera, il portacenere pieno.” - -— Psicosi da anfetamine — dissi. Aprii gli occhi. Il cruscotto c'era ancora, con - -la polvere e i mozziconi schiacciati. Adagio senza muovere la testa, accesi i fari. - -E li vidi. - -Erano biondi. Erano in piedi vicino alla Alieni-macchina, una pera di alluminio - -con una pinna da squalo che sporgeva dalla linea centrale e pneumatici neri e - -lisci come quelli di un giocattolo. Lui le teneva un braccio attorno alla vita e - -gesticolava verso la città. Indossavano fluenti vesti bianche che lasciavano - -scoperte le gambe, e sandali bianchi immacolati. Nessuno dei due sembrava - -essersi accorto dei miei fari. Lui stava dicendo qualcosa di saggio e importante, e - -lei annuiva, e d'improvviso io ebbi paura, paura in modo completamente - -diverso. L'equilibrio mentale aveva cessato di essere un problema; sapevo, in - -qualche maniera, che la città alle mie spalle era Tucson: una Tucson di sogno, - -creata dal desiderio collettivo di un'epoca. Sapevo che era reale, del tutto reale. - -Ma la coppia di fronte a me viveva lì, ed erano gli Alieni a spaventarmi. - -Erano i figli degli “Anni-80 mai esistiti” di Dialta Downes, erano gli Eredi del - -Sogno. Erano bianchi, biondi, e probabilmente avevano occhi azzurri. Americani. - -Dialta aveva detto che il futuro era arrivato prima in America, ma che poi se l'era - -lasciata alle spalle. Ma non qui, nel cuore del Sogno. Noi avevamo proseguito, in - -una logica onirica che ignorava l'inquinamento, i limiti dei combustibili fossili, le - -guerre che era possibile perdere. Erano felici e del tutto soddisfatti di loro stessi - -e del loro mondo. E, nel Sogno, quel mondo era loro. - -Alle mie spalle, la città illuminata: riflettori fendevano gioiosi il cielo. Li - -immaginai radunati sulle piazze di bianco marmo, puliti e attenti, con gli occhi - -che brillavano di entusiasmo per i viali luminosi e le auto argentee. - -Avevano una sinistra vitalità da propaganda della Gioventù Hitleriana. Avviai - -la macchina e avanzai adagio, finché il paraurti fu a un metro da loro. Ancora non - -mi avevano visto. Abbassai il finestrino e ascoltai quello che diceva l'uomo. Le - -sue parole erano limpide e secche come un dépliant della Camera di Commercio, - -e io sapevo che lui credeva senza riserve a quello che stava dicendo. - -— John — sentii dire la donna — ci siamo dimenticati di prendere le pillole - -nutritive. — Tirò fuori due cialde da un oggetto che aveva alla cintura e ne passò - -una all'uomo. Io feci retromarcia fino all'autostrada e ripartii verso Los Angeles, - -rabbrividendo e scuotendo la testa. - -Telefonai a Kihn da una stazione di servizio. Gli dissi che era una storia nuova - -di un brutto stile spagnolo moderno. Era appena tornato dalla sua spedizione, e - -non sembrava infastidito dalla mia chiamata. - -— Sì, è una cosa bizzarra. Hai cercato di fare delle foto? Non vengono mai, ma - -aggiungono un tocco di mistero alla storia, il fatto che non si riesca a - -svilupparle. . - -Ma cosa dovevo fare? - -— Guarda molta televisione, in particolare quiz e telenovelas. Vai a vedere - -film porno. Hai mai visto “Nazi Love Motel”? Lo trasmettono via cavo. È - -veramente mostruoso. Proprio quello che ti serve. Ma di cosa stava parlando? - -— Smettila di gridare e ascoltami. Ti svelerò un segreto del mestiere: i - -peggiori sottoprodotti dei media possono esorcizzare i fantasmi semiotici. Se - -con questo sistema sono riuscito a salvarmi dai marziani, allora dovrebbe andar - -bene anche per i tuoi incubi futuristi Art Deco. Cos'hai da perdere? - -Poi si scusò, dicendo che aveva un appuntamento la mattina dopo con l'Eletta. - -— Chi? - -— La vecchia che parla con Vega, quella del forno a microonde. - -Presi in considerazione la possibilità di chiamare Londra a carico destinatario, - -scovare Cohen alla Barris-Watford e dirgli che il suo fotografo era partito per - -una lunga vacanza nella Zona Oscura. Alla fine mi lasciai preparare da una - -macchina una tazza di caffè imbevibile e risalii sulla Toyota per l'ultima tirata - -fino a Los Angeles. - -Scoprii che andare a Los Angeles era stata una pessima idea, e ci passai due - -settimane. Era tutto territorio di Downes; c'era troppo del Sogno, lì, troppi - -frammenti del Sogno pronti a catturarmi. Per poco non fracassai la macchina su - -un raccordo vicino a Disneyland, quando la strada si spalancò a ventaglio come - -un origami, e mi ritrovai a zigzagare fra una decina di corsie, in mezzo a - -centinaia di gocce cromate con pinne da Cadillac sul retrotreno. Peggio ancora: - -Hollywood era piena di gente che assomigliava troppo alla coppia che avevo - -visto in Arizona. Mi misi d'accordo con un regista italiano che sbarcava il lunario - -facendo lavori di sviluppo e stampa e installando pavimentazioni attorno alle - -piscine in attesa che arrivasse la sua grande occasione. Lui mi stampò tutti i - -negativi che avevo accumulato per Downes. Io non volevo guardarle. Ma a - -Leonardo non facevano alcun effetto, e quando ebbe finito diedi un'occhiata alle - -stampe, sfogliandole come un mazzo di carte, le chiusi in busta e le spedii a - -Londra per posta aerea. Poi presi un taxi fino a un cinema dove davano “Nazi - -Love Motel”, e tenni gli occhi chiusi dall'inizio alla fine. Il telegramma di - -congratulazioni di Cohen mi arrivò a San Francisco una settimana dopo. Dialta - -aveva apprezzato molto le foto. Lui era rimasto colpito da come mi ero - -“immedesimato”, e sperava di lavorare ancora con me. Quel pomeriggio vidi - -un'ala volante sopra Castro Street, ma aveva un aspetto diafano, come se ci fosse - -solo per metà. Corsi all'edicola più vicina e presi tutto quello che riuscii a trovare - -sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare. Avevo appena deciso di comprare un - -biglietto aereo per New York. - -— In che razza di mondo viviamo, eh? — l'edicolante era un negro magro, con - -i denti cariati e un parrucchino quasi ostentato. Io annuii, frugandomi nelle - -tasche dei jeans alla ricerca dei soldi, ansioso di trovare una panchina in un - -parco per immergermi nella prova lampante della quasi-distopia in cui - -vivevamo. — Ma potrebbe essere peggio, eh? - -— Già — dissi io. — O peggio ancora, potrebbe essere perfetto. - -Lui mi guardò mentre mi allontanavo stringendo sottobraccio il mio fagottino - -di catastrofi. +Lui mi guardò mentre mi allontanavo stringendo sottobraccio il mio fagottino di catastrofi. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md b/Gibson/04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md index 2e2a873..e8e0691 100644 --- a/Gibson/04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md +++ b/Gibson/04_frammenti_di_una_rosa_olografica.md @@ -2,384 +2,92 @@ _(Fragments of a Hologram Rose, 1977)_ -Quell'estate Parker faceva fatica a dormire. +Quell'estate Parker faceva fatica a dormire. -C'erano interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, e gli spegnimenti +C'erano interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, e gli spegnimenti improvvisi dell'induttore-delta provocavano dolorosi e improvvisi ritorni alla coscienza. -improvvisi dell'induttore-delta provocavano dolorosi e improvvisi ritorni alla +Per evitare l'inconveniente usò dei cavi con morsetti e del nastro adesivo nero per collegare l'induttore a una piastra A.S.P. a batteria. La caduta di tensione nell'induttore faceva scattare il circuito di riproduzione della piastra. -coscienza. +Aveva comprato una cassetta A.S.P. che iniziava mostrando il soggetto addormentato su una spiaggia tranquilla. Era stata registrata da uno yogi giovane e biondo, con dieci decimi di vista e una grande sensibilità per i colori. Il ragazzo era stato portato in aereo fino alle Barbados con il solo scopo di fargli fare un pisolino e fargli praticare i suoi esercizi mattutini su un lembo di spiaggia privata. La piastrina microfiche nella custodia trasparente della cassetta spiegava che lo yogi era in grado di passare volontariamente dal sonno alfa a quello delta senza bisogno di un induttore. Parker, che da due anni non riusciva a dormire senza induttore, si era chiesto se fosse possibile. -Per evitare l'inconveniente usò dei cavi con morsetti e del nastro adesivo nero +Aveva potuto rivivere l'intera sequenza una volta sola, anche se ormai conosceva ogni sensazione dei primi cinque minuti. La parte più interessante gli sembrava un piccolo guaio di ripresa all'inizio dell'elaborato esercizio respiratorio: un rapido sguardo lungo la spiaggia bianca che svelava la figura di una guardia vicino alla barriera di rete metallica, con una mitragliatrice nera a tracolla. Mentre Parker dormiva, in città mancò la corrente. La transizione da delta a delta-A.S.P. fu come esplodere in un corpo non suo. La familiarità attutì lo shock. Sentì la sabbia fresca sotto le spalle. I risvolti dei blue jeans sdruciti che gli sbattevano contro le caviglie, nella brezza mattutina. Presto il ragazzo si sarebbe svegliato del tutto e avrebbe cominciato il suo Ardha-Matsyendra-quel- che-era; Parker cercò nel buio la piastra A.S.P. con mani che appartenevano a un altro. -per collegare l'induttore a una piastra A.S.P. a batteria. La caduta di tensione +Tre del mattino. -nell'induttore faceva scattare il circuito di riproduzione della piastra. +Ti stai facendo una tazza di caffè al buio, usando una torcia elettrica per versare l'acqua bollente. -Aveva comprato una cassetta A.S.P. che iniziava mostrando il soggetto +Il sogno registrato del mattino sta svanendo: attraverso altri occhi, il fumo nero di un mercantile cubano. . svanisce insieme all'orizzonte, naviga sullo schermo grigio della mente. Tre del mattino. -addormentato su una spiaggia tranquilla. Era stata registrata da uno yogi +Lasciati circondare dalle immagini schematiche della giornata precedente. -giovane e biondo, con dieci decimi di vista e una grande sensibilità per i colori. Il +Quello che hai detto, quello che ha detto lei mentre la guardavi fare le valigie e telefonare per il taxi. In qualunque modo le si rimescoli formano lo stesso circuito stampato, i geroglifici che convergono su una componente centrale: sei in piedi sotto la pioggia, gridi al tassista. -ragazzo era stato portato in aereo fino alle Barbados con il solo scopo di fargli +La pioggia era acre ed acida, quasi simile a piscio. Il tassista ti ha dato dell'imbecille, e hai dovuto pagare lo stesso doppia tariffa. Lei aveva tre valigie. -fare un pisolino e fargli praticare i suoi esercizi mattutini su un lembo di spiaggia +Con il respiratore e gli occhiali, l'uomo assomigliava a una formica. Ha pedalato via nella pioggia. Lei non si è voltata indietro. -privata. La piastrina microfiche nella custodia trasparente della cassetta +L'ultima cosa che hai visto di lei è stata una grossa formica che ti rivolgeva il pugno chiuso col medio sollevato. -spiegava che lo yogi era in grado di passare volontariamente dal sonno alfa a +Parker aveva visto la sua prima unità AISIPI in una baraccopoli del Texas, un posto che si chiamava Judy's Jungle. Era una grossa consolle rinchiusa in plastica cromata. Una banconota da dieci dollari infilata nella fessura dava l'illusione di cinque minuti di ginnastica in caduta libera su una stazione orbitale svizzera, capriole di venti metri con una modella di “Vogue” di sedici anni. . Roba entusiasmante per Jungle, dove era più semplice avere una pistola che un bagno caldo. -quello delta senza bisogno di un induttore. Parker, che da due anni non riusciva +Un anno dopo, quando era a New York con documenti falsi, due ditte all'avanguardia avevano messo in vendita nei maggiori supermercati le prime piastre portatili, appena in tempo per Natale. I locali A.S.P.-porno, fioriti brevemente in California, non si erano più ripresi dal colpo. -a dormire senza induttore, si era chiesto se fosse possibile. +Dopo un po' era sparita anche l'olografia, e le cupole di Fuller, grandi quanto un isolato, che erano state i templi olografici durante l'infanzia di Parker, erano state trasformate in supermercati o locali polverosi di videogames dove si potevano ancora trovare le vecchie consolle, sotto neon sbiaditi che pulsavano percezioni sensoriali apparenti, offuscati dal fumo azzurrino delle sigarette. -Aveva potuto rivivere l'intera sequenza una volta sola, anche se ormai +Adesso Parker ha trenta anni. Scrive sceneggiature per le trasmissioni A.S.P. e programma i movimenti degli occhi per le telecamere umane. -conosceva ogni sensazione dei primi cinque minuti. La parte più interessante gli +Il semi-oscuramento prosegue. -sembrava un piccolo guaio di ripresa all'inizio dell'elaborato esercizio +Nella camera da letto, Parker armeggia con i tasti sul frontale in alluminio del suo Sendai Sleep-Master. La spia si accende per un attimo, poi si spegne. Posa la tazza di caffè sull'armadio che lei ha vuotato il giorno prima. Il cono di luce della torcia indaga fra gli scaffali vuoti, cercando qualche traccia di quell'amore, trovando il cinturino in pelle di un sandalo, una cassetta A.S.P., una cartolina. La cartolina è un ologramma a riflessione di una rosa. Infila il cinturino nell'unità per l'eliminazione dei rifiuti sotto il lavandino della cucina. L'apparecchio parte pigramente a causa del semi-oscuramento, cigola, ma alla fine inghiotte e digerisce tutto. Tenendola fra il pollice e l'indice Parker abbassa la cartolina verso le mascelle rotanti, nascoste. L'unità emette un sibilo sottile, mentre i denti di acciaio lacerano la plastica laminata e la rosa viene ridotta in mille frammenti. -respiratorio: un rapido sguardo lungo la spiaggia bianca che svelava la figura di +Più tardi Parker è seduto a fumare sul letto disfatto. La cassetta della ragazza è nella piastra, pronta per essere rivista. Ci sono cassette di donne che lo disorientano, ma dubita che sia questa la ragione per cui ora esita ad azionare la macchina. Per circa un quarto degli utenti A.S.P. è impossibile adattarsi alla rappresentazione fisica soggettiva del sesso opposto. Nel corso degli anni, alcune stelle delle trasmissioni A.S.P. sono diventate sempre più androgine, nel tentativo di catturare anche questo segmento di pubblico. -una guardia vicino alla barriera di rete metallica, con una mitragliatrice nera a +Ma i nastri di Angela non lo hanno mai messo a disagio, prima. (E se avesse registrato un amante?) No, non può essere. . È solo che la cassetta rappresenta una variabile del tutto sconosciuta. -tracolla. Mentre Parker dormiva, in città mancò la corrente. La transizione da +Quando Parker aveva compiuto quindici anni, i suoi genitori l'avevano vincolato con un contratto alla sussidiaria americana di un'industria plastica giapponese. A quell'epoca si era sentito fortunato: il rapporto fra aspiranti e assunti per il corso di formazione era enorme. Per tre anni aveva vissuto con la sua squadra in un dormitorio, cantando l'inno aziendale ogni mattina e riuscendo una volta al mese a scavalcare la recinzione del campo per andare a ragazze o all'olodromo. -delta a delta-A.S.P. fu come esplodere in un corpo non suo. La familiarità attutì lo +Il contratto sarebbe scaduto al compimento dei vent'anni, dandogli la possibilità di accedere allo status di dipendente effettivo. Una settimana prima del suo diciannovesimo compleanno, con due carte di credito rubate e un cambio d'abito, aveva scavalcato la recinzione per l'ultima volta. Era arrivato in California tre giorni prima del crollo del caotico regime dei Nuovi Secessionisti. -shock. Sentì la sabbia fresca sotto le spalle. I risvolti dei blue jeans sdruciti che +A San Francisco le varie fazioni si combattevano per le strade. Qualcuno dei quattro diversi governi “provvisori” della città era riuscito a fare piazza pulita delle derrate alimentari in maniera talmente efficiente che per i cittadini non c'era quasi più niente da mangiare. Parker aveva trascorso l'ultima notte della rivoluzione in un sobborgo devastato di Tucson, a fare l'amore con una magra ragazzina del New Jersey che gli spiegava in dettaglio il proprio oroscopo fra scoppi leggeri di pianto che parevano non avere rapporto con quello che lui diceva o faceva. -gli sbattevano contro le caviglie, nella brezza mattutina. Presto il ragazzo si +Diversi anni dopo si rese conto di non avere più alcuna idea del motivo per cui aveva rotto il contratto. -sarebbe svegliato del tutto e avrebbe cominciato il suo Ardha-Matsyendra-quel- +I primi tre quarti della cassetta sono stati cancellati. La fai avanzare velocemente fra una nebbia di cariche elettrostatiche, dove il gusto e l'odorato si confondono in un canale indistinto. L'ingresso audio è rumore bianco, il non- suono di un oceano oscuro. . (Ricevere per un lungo periodo il segnale di un nastro cancellato può indurre allucinazioni ipnotiche.) Parker era rannicchiato fra i cespugli ai margini di una strada, nel Nuovo Messico, a mezzanotte. Osservava un carro armato in fiamme. Il fuoco lambiva la linea bianca discontinua che aveva seguito da Tucson. L'esplosione era stata visibile a tre chilometri di distanza, un muro bianco di calore e luce che aveva trasformato i pallidi rami di un albero nudo in un negativo fotografico: rami di carbonio contro un cielo al magnesio. -che-era; Parker cercò nel buio la piastra A.S.P. con mani che appartenevano a un +Molti dei fuggitivi erano armati. -altro. +Il Texas doveva le sue baraccopoli, fumanti fra le calde piogge del Golfo, all'incerta neutralità mantenuta di fronte al tentativo di secessione della Costa Occidentale. -Tre del mattino. +Le città erano costruite di compensato, cartone, lastre di plastica che si gonfiavano al vento, carcasse di veicoli morti. Avevano nomi come Jump City e Sugaree, governi e amministrazioni dai confini incerti, che mutavano costantemente seguendo il ritmo dell'economia illecita. -Ti stai facendo una tazza di caffè al buio, usando una torcia elettrica per +Ben raramente le truppe federali e statali mandate a spazzare via le città fuorilegge trovavano qualcosa. Ma a ogni spedizione c'era un certo numero di uomini che non faceva ritorno ai propri reparti. Alcuni avevano venduto le armi e bruciato le uniformi, altri si erano avvicinati troppo al contrabbando che erano stati mandati a stroncare. Dopo tre mesi Parker aveva deciso di uscirne, ma l'unico modo per oltrepassare il cordone di soldati era avere qualcosa da vendere. L'occasione era arrivata per puro caso: un pomeriggio tardi, mentre percorreva la coltre di fumo nero che gravava su Jungle, provocata dai fuochi accesi per cucinare inciampò e per poco non cadde sul cadavere di una donna nel letto arido di un ruscello. Le mosche si erano sollevate in una nuvola ronzante, poi si erano posate di nuovo, senza fare caso a lui. La donna aveva una giacca di pelle, e di notte Parker aveva freddo. Aveva cercato un ramo spezzato nel letto del ruscello. Sulla schiena, appena sotto la scapola sinistra, c'era un buco rotondo, grande come una matita. La fodera della giacca un tempo era rossa, ma adesso era nera, rigida e lucida di sangue rappreso. Era andato a cercare dell'acqua con la giacca appesa all'estremità del bastone. -versare l'acqua bollente. +Ma poi non l'aveva lavata. Nella tasca sinistra aveva trovato quasi 30 grammi di cocaina avvolta in plastica chiusa con nastro trasparente. La tasca destra conteneva 15 fiale di Megacillina-D e un coltello a serramanico lungo 20 centimetri, con l'impugnatura di osso. L'antibiotico valeva il doppio del suo peso in cocaina. Piantò il coltello fino all'impugnatura in un tronco marcio lasciato in piedi dai raccoglitori di legno di Jungle, e vi appese la giacca, lasciandola alle mosche mentre se ne andava. Quella sera, in un bar con il soffitto di lamiera ondulata, in attesa di uno degli “avvocati” che procuravano il passaggio attraverso il cordone, aveva provato la sua prima macchina A.S.P. Era grossa, tutta cromature e luci al neon, e il proprietario ne era molto orgoglioso: aveva dato una mano anche lui ad assalire il camion. -Il sogno registrato del mattino sta svanendo: attraverso altri occhi, il fumo +“Se il caos degli anni 90 riflette un cambiamento radicale nei paradigmi della cultura visuale, la svolta definitiva rispetto alla tradizione di Lascaux/Gutenberg della società preolografica, cosa dobbiamo attenderci da questa nuova tecnologia che promette unicamente di codificare e ricostruire l'intero spettro della percezione sensoriale?” Roebuck e Pierhal, “Storia Moderna dell'America: analisi generale”. -nero di un mercantile cubano. . svanisce insieme all'orizzonte, naviga sullo +Avanti a tutta velocità attraverso il non-tempo ronzante del nastro cancellato. . -schermo grigio della mente. Tre del mattino. +. . nel corpo di Angela. Sole europeo. Strade di una città sconosciuta. -Lasciati circondare dalle immagini schematiche della giornata precedente. +Atene. Insegne in lettere greche e odore di polvere. . -Quello che hai detto, quello che ha detto lei mentre la guardavi fare le valigie e +“. . e odore di polvere”. -telefonare per il taxi. In qualunque modo le si rimescoli formano lo stesso +Guardi tutto attraverso i suoi occhi, pensando che questa donna non ti ha ancora incontrato, che sei appena uscito dal Texas. Monumento grigio, cavalli di pietra, piccioni che volano intorno. . -circuito stampato, i geroglifici che convergono su una componente centrale: sei +. . e le interferenze si prendono il corpo dell'amore, lo cancellano. -in piedi sotto la pioggia, gridi al tassista. +Ondate di rumore bianco si frangono su una spiaggia inesistente. E il nastro finisce. -La pioggia era acre ed acida, quasi simile a piscio. Il tassista ti ha dato +Adesso la spia dell'induttore è accesa. Parker è steso al buio e ricorda i mille frammenti della rosa olografica. Un ologramma ha una particolare caratteristica: -dell'imbecille, e hai dovuto pagare lo stesso doppia tariffa. Lei aveva tre valigie. +recuperato e illuminato, ciascun frammento rivelerà l'immagine intera della rosa. Mentre Parker scivola verso il sonno delta, vede se stesso nella rosa. Ogni frammento rivela un intero che non conoscerà mai: carte di credito rubate, un sobborgo bruciato, le congiunzioni astrali di una sconosciuta, un carro armato che brucia sulla strada, un sacchetto di droga appiattito, un coltello affilato sul cemento, sottile come il dolore. -Con il respiratore e gli occhiali, l'uomo assomigliava a una formica. Ha pedalato +E pensa: siamo frammenti gli uni degli altri. È stato sempre così? -via nella pioggia. Lei non si è voltata indietro. +Quell'istante di un viaggio in Europa, abbandonato nel mare grigio del nastro cancellato. . è più vicina, adesso, o più reale, solo perché è stato con lei ad Atene? -L'ultima cosa che hai visto di lei è stata una grossa formica che ti rivolgeva il +Lei l'aveva aiutato ad ottenere i documenti, gli aveva trovato il primo impiego all'A.S.P. Era quella la loro storia? No, la storia era il frontale nero dell'induttore delta, l'armadio vuoto, il letto disfatto. La storia era il disgusto per il corpo perfetto in cui si svegliava se mancava la corrente, la rabbia per il guidatore di taxi a pedali, lei che non si era voltata a guardarlo attraverso la pioggia contaminata. -pugno chiuso col medio sollevato. - -Parker aveva visto la sua prima unità AISIPI in una baraccopoli del Texas, un - -posto che si chiamava Judy's Jungle. Era una grossa consolle rinchiusa in plastica - -cromata. Una banconota da dieci dollari infilata nella fessura dava l'illusione di - -cinque minuti di ginnastica in caduta libera su una stazione orbitale svizzera, - -capriole di venti metri con una modella di “Vogue” di sedici anni. . Roba - -entusiasmante per Jungle, dove era più semplice avere una pistola che un bagno - -caldo. - -Un anno dopo, quando era a New York con documenti falsi, due ditte - -all'avanguardia avevano messo in vendita nei maggiori supermercati le prime - -piastre portatili, appena in tempo per Natale. I locali A.S.P.-porno, fioriti - -brevemente in California, non si erano più ripresi dal colpo. - -Dopo un po' era sparita anche l'olografia, e le cupole di Fuller, grandi quanto - -un isolato, che erano state i templi olografici durante l'infanzia di Parker, erano - -state trasformate in supermercati o locali polverosi di videogames dove si - -potevano ancora trovare le vecchie consolle, sotto neon sbiaditi che pulsavano - -percezioni sensoriali apparenti, offuscati dal fumo azzurrino delle sigarette. - -Adesso Parker ha trenta anni. Scrive sceneggiature per le trasmissioni A.S.P. e - -programma i movimenti degli occhi per le telecamere umane. - -Il semi-oscuramento prosegue. - -Nella camera da letto, Parker armeggia con i tasti sul frontale in alluminio del - -suo Sendai Sleep-Master. La spia si accende per un attimo, poi si spegne. Posa la - -tazza di caffè sull'armadio che lei ha vuotato il giorno prima. Il cono di luce della - -torcia indaga fra gli scaffali vuoti, cercando qualche traccia di quell'amore, - -trovando il cinturino in pelle di un sandalo, una cassetta A.S.P., una cartolina. La - -cartolina è un ologramma a riflessione di una rosa. Infila il cinturino nell'unità - -per l'eliminazione dei rifiuti sotto il lavandino della cucina. L'apparecchio parte - -pigramente a causa del semi-oscuramento, cigola, ma alla fine inghiotte e - -digerisce tutto. Tenendola fra il pollice e l'indice Parker abbassa la cartolina - -verso le mascelle rotanti, nascoste. L'unità emette un sibilo sottile, mentre i - -denti di acciaio lacerano la plastica laminata e la rosa viene ridotta in mille - -frammenti. - -Più tardi Parker è seduto a fumare sul letto disfatto. La cassetta della ragazza è - -nella piastra, pronta per essere rivista. Ci sono cassette di donne che lo - -disorientano, ma dubita che sia questa la ragione per cui ora esita ad azionare la - -macchina. Per circa un quarto degli utenti A.S.P. è impossibile adattarsi alla - -rappresentazione fisica soggettiva del sesso opposto. Nel corso degli anni, alcune - -stelle delle trasmissioni A.S.P. sono diventate sempre più androgine, nel - -tentativo di catturare anche questo segmento di pubblico. - -Ma i nastri di Angela non lo hanno mai messo a disagio, prima. (E se avesse - -registrato un amante?) No, non può essere. . È solo che la cassetta rappresenta - -una variabile del tutto sconosciuta. - -Quando Parker aveva compiuto quindici anni, i suoi genitori l'avevano - -vincolato con un contratto alla sussidiaria americana di un'industria plastica - -giapponese. A quell'epoca si era sentito fortunato: il rapporto fra aspiranti e - -assunti per il corso di formazione era enorme. Per tre anni aveva vissuto con la - -sua squadra in un dormitorio, cantando l'inno aziendale ogni mattina e - -riuscendo una volta al mese a scavalcare la recinzione del campo per andare a - -ragazze o all'olodromo. - -Il contratto sarebbe scaduto al compimento dei vent'anni, dandogli la - -possibilità di accedere allo status di dipendente effettivo. Una settimana prima - -del suo diciannovesimo compleanno, con due carte di credito rubate e un cambio - -d'abito, aveva scavalcato la recinzione per l'ultima volta. Era arrivato in - -California tre giorni prima del crollo del caotico regime dei Nuovi Secessionisti. - -A San Francisco le varie fazioni si combattevano per le strade. Qualcuno dei - -quattro diversi governi “provvisori” della città era riuscito a fare piazza pulita - -delle derrate alimentari in maniera talmente efficiente che per i cittadini non - -c'era quasi più niente da mangiare. Parker aveva trascorso l'ultima notte della - -rivoluzione in un sobborgo devastato di Tucson, a fare l'amore con una magra - -ragazzina del New Jersey che gli spiegava in dettaglio il proprio oroscopo fra - -scoppi leggeri di pianto che parevano non avere rapporto con quello che lui - -diceva o faceva. - -Diversi anni dopo si rese conto di non avere più alcuna idea del motivo per cui - -aveva rotto il contratto. - -I primi tre quarti della cassetta sono stati cancellati. La fai avanzare - -velocemente fra una nebbia di cariche elettrostatiche, dove il gusto e l'odorato si - -confondono in un canale indistinto. L'ingresso audio è rumore bianco, il non- - -suono di un oceano oscuro. . (Ricevere per un lungo periodo il segnale di un - -nastro cancellato può indurre allucinazioni ipnotiche.) - -Parker era rannicchiato fra i cespugli ai margini di una strada, nel Nuovo - -Messico, a mezzanotte. Osservava un carro armato in fiamme. Il fuoco lambiva la - -linea bianca discontinua che aveva seguito da Tucson. L'esplosione era stata - -visibile a tre chilometri di distanza, un muro bianco di calore e luce che aveva - -trasformato i pallidi rami di un albero nudo in un negativo fotografico: rami di - -carbonio contro un cielo al magnesio. - -Molti dei fuggitivi erano armati. - -Il Texas doveva le sue baraccopoli, fumanti fra le calde piogge del Golfo, - -all'incerta neutralità mantenuta di fronte al tentativo di secessione della Costa - -Occidentale. - -Le città erano costruite di compensato, cartone, lastre di plastica che si - -gonfiavano al vento, carcasse di veicoli morti. Avevano nomi come Jump City e - -Sugaree, governi e amministrazioni dai confini incerti, che mutavano - -costantemente seguendo il ritmo dell'economia illecita. - -Ben raramente le truppe federali e statali mandate a spazzare via le città - -fuorilegge trovavano qualcosa. Ma a ogni spedizione c'era un certo numero di - -uomini che non faceva ritorno ai propri reparti. Alcuni avevano venduto le armi - -e bruciato le uniformi, altri si erano avvicinati troppo al contrabbando che erano - -stati mandati a stroncare. Dopo tre mesi Parker aveva deciso di uscirne, ma - -l'unico modo per oltrepassare il cordone di soldati era avere qualcosa da - -vendere. L'occasione era arrivata per puro caso: un pomeriggio tardi, mentre - -percorreva la coltre di fumo nero che gravava su Jungle, provocata dai fuochi - -accesi per cucinare inciampò e per poco non cadde sul cadavere di una donna - -nel letto arido di un ruscello. Le mosche si erano sollevate in una nuvola - -ronzante, poi si erano posate di nuovo, senza fare caso a lui. La donna aveva una - -giacca di pelle, e di notte Parker aveva freddo. Aveva cercato un ramo spezzato - -nel letto del ruscello. Sulla schiena, appena sotto la scapola sinistra, c'era un - -buco rotondo, grande come una matita. La fodera della giacca un tempo era - -rossa, ma adesso era nera, rigida e lucida di sangue rappreso. Era andato a - -cercare dell'acqua con la giacca appesa all'estremità del bastone. - -Ma poi non l'aveva lavata. Nella tasca sinistra aveva trovato quasi 30 grammi - -di cocaina avvolta in plastica chiusa con nastro trasparente. La tasca destra - -conteneva 15 fiale di Megacillina-D e un coltello a serramanico lungo 20 - -centimetri, con l'impugnatura di osso. L'antibiotico valeva il doppio del suo peso - -in cocaina. Piantò il coltello fino all'impugnatura in un tronco marcio lasciato in - -piedi dai raccoglitori di legno di Jungle, e vi appese la giacca, lasciandola alle - -mosche mentre se ne andava. Quella sera, in un bar con il soffitto di lamiera - -ondulata, in attesa di uno degli “avvocati” che procuravano il passaggio - -attraverso il cordone, aveva provato la sua prima macchina A.S.P. Era grossa, - -tutta cromature e luci al neon, e il proprietario ne era molto orgoglioso: aveva - -dato una mano anche lui ad assalire il camion. - -“Se il caos degli anni 90 riflette un cambiamento radicale nei paradigmi della - -cultura visuale, la svolta definitiva rispetto alla tradizione di Lascaux/Gutenberg - -della società preolografica, cosa dobbiamo attenderci da questa nuova - -tecnologia che promette unicamente di codificare e ricostruire l'intero spettro - -della percezione sensoriale?” - -Roebuck e Pierhal, “Storia Moderna dell'America: analisi generale”. - -Avanti a tutta velocità attraverso il non-tempo ronzante del nastro - -cancellato. . - -. . nel corpo di Angela. Sole europeo. Strade di una città sconosciuta. - -Atene. Insegne in lettere greche e odore di polvere. . - -“. . e odore di polvere”. - -Guardi tutto attraverso i suoi occhi, pensando che questa donna non ti ha - -ancora incontrato, che sei appena uscito dal Texas. Monumento grigio, cavalli di - -pietra, piccioni che volano intorno. . - -. . e le interferenze si prendono il corpo dell'amore, lo cancellano. - -Ondate di rumore bianco si frangono su una spiaggia inesistente. E il nastro - -finisce. - -Adesso la spia dell'induttore è accesa. Parker è steso al buio e ricorda i mille - -frammenti della rosa olografica. Un ologramma ha una particolare caratteristica: - -recuperato e illuminato, ciascun frammento rivelerà l'immagine intera della - -rosa. Mentre Parker scivola verso il sonno delta, vede se stesso nella rosa. Ogni - -frammento rivela un intero che non conoscerà mai: carte di credito rubate, un - -sobborgo bruciato, le congiunzioni astrali di una sconosciuta, un carro armato - -che brucia sulla strada, un sacchetto di droga appiattito, un coltello affilato sul - -cemento, sottile come il dolore. - -E pensa: siamo frammenti gli uni degli altri. È stato sempre così? - -Quell'istante di un viaggio in Europa, abbandonato nel mare grigio del nastro - -cancellato. . è più vicina, adesso, o più reale, solo perché è stato con lei ad Atene? - -Lei l'aveva aiutato ad ottenere i documenti, gli aveva trovato il primo impiego - -all'A.S.P. Era quella la loro storia? No, la storia era il frontale nero dell'induttore - -delta, l'armadio vuoto, il letto disfatto. La storia era il disgusto per il corpo - -perfetto in cui si svegliava se mancava la corrente, la rabbia per il guidatore di - -taxi a pedali, lei che non si era voltata a guardarlo attraverso la pioggia - -contaminata. - -Ricordò che ogni frammento rivela la rosa da un diverso punto di vista, ma il - -sonno delta lo sommerse prima che riuscisse a chiedersi cosa potesse - -significare. +Ricordò che ogni frammento rivela la rosa da un diverso punto di vista, ma il sonno delta lo sommerse prima che riuscisse a chiedersi cosa potesse significare. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/05_hinterland.md b/Gibson/05_hinterland.md index e09550f..1d5c0ad 100644 --- a/Gibson/05_hinterland.md +++ b/Gibson/05_hinterland.md @@ -2,1174 +2,244 @@ _(Hinterlands, 1982)_ -Quando Hiro schiacciò il bottone, io stavo sognando Parigi, strade bagnate e +Quando Hiro schiacciò il bottone, io stavo sognando Parigi, strade bagnate e buie in inverno. Il dolore mi esplose nel cranio, dietro gli occhi, come un muro blu fluorescente. Balzai fuori dall'amaca urlando. Urlo sempre: ci tengo. Il feedback mi percorse il cervello. L'interruttore del dolore è un circuito ausiliario della radio ossea, collegato direttamente ai centri nervosi: proprio quello che ci vuole per penetrare la nebbia di un surrogato di barbiturici. Mi ci vollero alcuni secondi per rimettere a posto il tutto, iceberg di ricordi che incombevano nella nebbia: chi ero, dov'ero, perché ero là, chi mi stava svegliando. -buie in inverno. Il dolore mi esplose nel cranio, dietro gli occhi, come un muro +Sentii la voce gracchiante di Hiro attraverso l'innesto a conduzione ossea. — Accidenti, Toby, lo sai come mi riduci gli orecchi quando urli in quella maniera? -blu fluorescente. Balzai fuori dall'amaca urlando. Urlo sempre: ci tengo. Il +— E tu sai quanto me ne frega, dottor Nagashima? Non mi frega un. . -feedback mi percorse il cervello. L'interruttore del dolore è un circuito ausiliario +— Non c'è tempo per le dichiarazioni d'amore, ragazzo. Abbiamo un lavoro da fare. Ma cosa sono questi picchi da 50 millivolt che hai nelle onde cerebrali, eh? -della radio ossea, collegato direttamente ai centri nervosi: proprio quello che ci +Hai mescolato qualcos'altro ai sedativi per renderli più frizzanti? -vuole per penetrare la nebbia di un surrogato di barbiturici. Mi ci vollero alcuni +— È il tuo E.E.G. che non funziona, Hiro. Sei matto. Io voglio solo dormire. . — Mi lasciai cadere sull'amaca e cercai di rimboccarmi addosso il sonno, ma la sua voce c'era ancora. -secondi per rimettere a posto il tutto, iceberg di ricordi che incombevano nella +— Spiacente, amico, ma oggi devi lavorare. È tornata una nave, un'ora fa. La squadra esterna è al lavoro per tagliare i motori e farla passare dal portello. -nebbia: chi ero, dov'ero, perché ero là, chi mi stava svegliando. +— Chi è? -Sentii la voce gracchiante di Hiro attraverso l'innesto a conduzione ossea. — +— Leni Hoffmannstahl, chemiofisica, cittadina della Repubblica Federale Tedesca. Aspettò che smettessi di grugnire. — È confermato che si tratta di un relitto umano. -Accidenti, Toby, lo sai come mi riduci gli orecchi quando urli in quella maniera? +Quassù abbiamo sviluppato un gergo molto simpatico. Intendeva dire che si trattava di una nave a telemetria medica attiva, contenente numero uno corpi caldi, stato psicologico da definire. Chiusi gli occhi e rimasi a dondolarmi nel buio. -— E tu sai quanto me ne frega, dottor Nagashima? Non mi frega un. . +— A quanto pare sei il suo surrogato, Toby. Il profilo è in sincronia con quello di Taylor, ma lui è in ferie. -— Non c'è tempo per le dichiarazioni d'amore, ragazzo. Abbiamo un lavoro da +— Sapevo tutto delle “ferie” di Taylor. Era nel tubo agricolo pieno di amitriptilina a fare esercizi di aerobica per riprendersi dall'ultimo attacco di depressione. È uno dei rischi del mestiere di surrogato. Taylor ed io non andiamo molto d'accordo. È quello che succede di solito, quando due hanno profili psicosessuali troppo simili. -fare. Ma cosa sono questi picchi da 50 millivolt che hai nelle onde cerebrali, eh? +— Ehi, Toby, dove te la procuri tutta quella roba? — La domanda era rituale. -Hai mescolato qualcos'altro ai sedativi per renderli più frizzanti? +— Da Charmain? -— È il tuo E.E.G. che non funziona, Hiro. Sei matto. Io voglio solo dormire. . — +— Da tua madre, Hiro. — Lo sa benissimo anche lui che è Charmain. -Mi lasciai cadere sull'amaca e cercai di rimboccarmi addosso il sonno, ma la sua +— Grazie, Toby. Raggiungimi all'ascensore per il Paradiso fra cinque minuti, altrimenti mando giù qualche infermiere russo ad aiutarti. Infermieri maschi. -voce c'era ancora. +Io rimasi lì a dondolare sull'amaca a pensare alla “Collocazione di Toby Halpert nell'Universo”. Non essendo egocentrico, misi il sole in mezzo, il lume, la sfera del giorno. Attorno ci feci roteare minuscoli pianeti, il nostro accogliente sistema solare. Ma in un punto fisso a circa un ottavo di strada verso l'orbita di Marte, che per me era il qui sospesi un grosso cilindro in lega, come un modello in scala un quarto di Tsiolkovskij 1, il Paradiso dei Lavoratori a L-5. Tsiolkovskij 1 è in posizione stazionaria nel punto di equilibrio fra la gravità terrestre e quella lunare, ma c'è bisogno di una vela solare per tenerci fermi qui: 20 tonnellate di alluminio intessute a forma di esagono, dieci chilometri da un lato all'altro. La vela ci ha trasportato fuori dall'orbita terrestre, e adesso è la nostra ancora. La usiamo per bordeggiare la corrente fotonica, sospesi vicino alla cosa (il punto, la singolarità) che noi chiamiamo l'Autostrada. I francesi la chiamano “le métro”, e i russi il fiume, ma “metropolitana” non dà l'idea della distanza, e “fiume”, per gli americani, non dà la stessa sensazione di solitudine. Si potrebbe definirla con le Coordinate dell'Anomalia di Tovyevskij, se proprio si vuole metterci dentro anche Olga. Olga Tovyevskij, Nostra Signora della Singolarità, Santa Patrona dell'Autostrada. Hiro non si fidava di lasciarmi alzare da solo. Un momento prima dell'arrivo degli inservienti russi accese le lampade del mio cubicolo mediante un comando a distanza, e le fece lampeggiare per qualche secondo prima di vedere illuminati i ritratti di Santa Olga che Charmain aveva attaccato alle paratie con del nastro adesivo. Dozzine di ritratti, ritagliati da giornali e riviste in carta patinata. Nostra Signora dell'Autostrada. -— Spiacente, amico, ma oggi devi lavorare. È tornata una nave, un'ora fa. La +Il tenente colonnello Olga Tovyevskij, la donna più giovane del suo grado fra il personale spaziale sovietico, era in viaggio per Marte, sola, su una Alyut 6 modificata. Le modifiche servivano a renderla in grado di trasportare un nuovo depuratore d'aria, per metterlo alla prova nel laboratorio marziano orbitale sovietico con quattro uomini d'equipaggio. Avrebbero potuto benissimo guidare l'Alyut con telecomando, da Tsiolkovskij, ma Olga voleva avere al suo attivo più ore di volo. Tuttavia, per tenerla occupata, le avevano affidato una serie di esperimenti con dei segnali radio sulla frequenza dell'idrogeno, la parte conclusiva di un programma di scambi scientifici non segreti sovietico- australiani. Olga sapeva che la sua funzione nell'esperimento poteva essere svolta anche da un normalissimo timer da cucina. Ma era un ufficiale diligente, e schiacciava i bottoni esattamente agli intervalli giusti. Con i capelli castani pettinati all'indietro e trattenuti da una reticella, doveva sembrare il ritratto idealizzato della Lavoratrice dello Spazio, senza dubbio il cosmonauta più fotogenico dei due sessi. Aveva controllato nuovamente il cronometro dell'Alyut, posando le dita sui pulsanti che avrebbero lanciato il primo segnale. Il colonnello Tovyevskij non poteva sapere che si stava avvicinando al punto dello spazio in seguito conosciuto come l'Autostrada. Mentre schiacciava la sequenza di sei pulsanti, l'Alyut attraversò gli ultimi chilometri ed emise il segnale, un'esplosione prolungata di radioenergia a 1420 megahertz, la frequenza di trasmissione dell'atomo di idrogeno. Il radiotelescopio di Tsiolkovskij la stava seguendo, e ritrasmise il segnale a una serie di satelliti di comunicazione che lo deviarono a due stazioni di ascolto negli Urali e nel Nuovo Galles del Sud. Per 3,8 secondi l'immagine radio dell'Alyut fu oscurata dalla fosforescenza residua del segnale. -squadra esterna è al lavoro per tagliare i motori e farla passare dal portello. +Quando la fosforescenza svanì dagli schermi dei monitor terrestri, l'Alyut era sparita. -— Chi è? +Negli Urali, un tecnico georgiano di mezza età aveva troncato con un morso il bocchino della sua pipa di schiuma preferita. Nel Nuovo Galles del Sud un giovane fisico aveva preso a pugni il monitor come un giocatore di flipper infuriato per un tilt. -— Leni Hoffmannstahl, chemiofisica, cittadina della Repubblica Federale +L'ascensore che mi aspettava per portarmi in Paradiso sembrava la parodia hollywoodiana di un sarcofago in stile Bauhaus. Stretto, verticale, con un coperchio di resina acrilica trasparente. Più indietro c'erano file di quadri- comando che si stendevano fino a un orizzonte puntiforme. La solita folla di tecnici coi loro costumi assurdi di carta gialla, tutti indaffarati. Individuai Hiro in jeans blu, la camicia da cowboy con i bottoni di madreperla aperta sopra una maglietta sbiadita dell'U.C.L.A. Era concentrato sui numeri che scorrevano su uno schermo e non si accorse di me. Non se n'era accorto nessuno. -Tedesca. Aspettò che smettessi di grugnire. — È confermato che si tratta di un +Così rimasi a guardare il soffitto, cioè la parte inferiore del pavimento del Paradiso. Non sembrava gran che. Il nostro cilindro consiste in realtà di due cilindri, uno contenuto nell'altro. Quaggiù, in quello esterno (il nostro “giù” è determinato dalla rotazione assiale) ci sono gli aspetti più pratici della nostra impresa: dormitori, refettori, la camera di decompressione dove facciamo entrare le navi che ritornano, la sala comunicazioni. . E i Reparti, che sto bene attento a evitare. -relitto umano. +Il Paradiso è il cilindro interno: l'improbabile cuore verde di questo posto, il sogno disneyano del ritorno, come un orecchio avido di un'economia globale affamata di informazioni. Un flusso costante di dati che pulsa in direzione della Terra, una marea di voci, sussurri, segni di traffico transgalattico. Una volta mi capitava di irrigidirmi nella mia amaca a sentire la pressione di tutti quei dati, immaginando di sentirli scivolare lungo i cavi dietro la paratia, cavi come muscoli gonfi trattenuti da cinghie, pronti a contrarsi, a schiacciarmi. Poi Charmain è venuta a stare con me, e dopo averla messa al corrente della mia paura ha fatto un incantesimo e ha attaccato le sue icone di Santa Olga. E la pressione si è allontanata, è scomparsa. -Quassù abbiamo sviluppato un gergo molto simpatico. Intendeva dire che si +— Ti colleghiamo con un traduttore, Toby. Forse avrai bisogno del tedesco. — La sua voce mi graffiava il cervello, una scarica elettrostatica modulata. — Hillary. . -trattava di una nave a telemetria medica attiva, contenente numero uno corpi +— Pronta, dottor Nagashima — disse una voce tipo B.B.C., limpida come cristallo. — Conosci il francese, Toby? La Hoffmannsthal parla francese e inglese. -caldi, stato psicologico da definire. Chiusi gli occhi e rimasi a dondolarmi nel +— Tu non rompermi i coglioni, Hillary. Parla solo se sei interrogata, chiaro? — Il silenzio all'altro capo della linea parve aggiungersi all'incessante sfrigolio di disturbi radio. Hiro mi lanciò un'occhiataccia dall'altra parte della sala. Io sorrisi. -buio. +Stava cominciando: l'ebbrezza, il flusso di adrenalina. Lo avvertivo mentre svanivano gli effetti del barbiturico. Un ragazzo, con la faccia bionda e liscia da californiano, mi aiutò a infilare la tuta. La tuta puzzava. Era vecchia ma rimessa a nuovo, accuratamente consunta, impregnata di sudore sintetico e feromoni. -— A quanto pare sei il suo surrogato, Toby. Il profilo è in sincronia con quello +Entrambe le maniche erano ricoperte dai polsi alle spalle di etichette, quasi tutte di grosse compagnie, sponsor sussidiari di un'immaginaria spedizione sull'Autostrada, con il nome dello sponsor principale cucito molto più in grande sulle spalle: la ditta che aveva mandato “halpert, toby” al suo incontro con le stelle. Per lo meno c'era il mio nome, ricamato in maiuscole di nylon scarlatto appena sopra il cuore. -di Taylor, ma lui è in ferie. +Il ragazzo con la faccia da californiano aveva quel tipo di bellezza fatta in serie che per me è caratteristica dei membri più giovani della CIA, ma il nastro con il nome diceva “nevsky”, e lo ripeteva in cirillico. K.G.B., dunque. Non era uno “tsiolnik”; non aveva i gesti dinoccolati tipici di chi ha passato vent'anni in un ambiente L-5. Il ragazzo era moscovita puro, un gentile controllore che conosceva come minimo otto modi per uccidere con un giornale arrotolato. -— Sapevo tutto delle “ferie” di Taylor. Era nel tubo agricolo pieno di +Cominciammo il rituale delle droghe. Lui infilò la microsiringa contenente uno dei nuovi euforoallucinogeni nella tasca del polsino sinistro, fece un passo indietro e cancellò la voce sull'inventario. Aveva sul taccuino un disegno schematico di una tuta che sembrava la sagoma di un tiro al bersaglio. Prese una fiala con cinque grammi di oppio dalla cassetta che portava incatenata alla vita e raggiunse la tasca corrispondente. Crocetta sul foglio. Quattordici tasche. Per ultima la cocaina. Hiro arrivò proprio mentre il russo stava finendo. — Forse ha dei dati importanti, Toby; è una chemiofisica, ricorda. — Era strano ascoltarlo con gli orecchi e non come una vibrazione dell'innesto. -amitriptilina a fare esercizi di aerobica per riprendersi dall'ultimo attacco di +— Lassù è importante tutto, Hiro. -depressione. È uno dei rischi del mestiere di surrogato. Taylor ed io non +— Credi che non lo sappia? — La sentiva anche lui, quella vibrazione speciale. -andiamo molto d'accordo. È quello che succede di solito, quando due hanno +I nostri occhi non sembrano incontrarsi mai. Prima che l'imbarazzo diventasse eccessivo, lui si voltò e fece un segno con il pollice alzato a uno dei buffoni gialli. -profili psicosessuali troppo simili. +Due di loro mi aiutarono ad entrare nella bara stile Bauhaus, e fecero un passo indietro mentre il coperchio si chiudeva sibilando come una gigantesca visiera. -— Ehi, Toby, dove te la procuri tutta quella roba? — La domanda era rituale. +Iniziai la mia ascesa in Paradiso per accogliere a casa una straniera di nome Leni Hofmannsthal. Un viaggio breve, ma mi sembrò eterno. -— Da Charmain? +Olga, che era stata la nostra prima autostoppista, la prima a sollevare idealmente il pollice per farsi trasportare sulla lunghezza d'onda dell'idrogeno, era tornata due anni dopo. A Tyuratam, nel Kazakistan, in una grigia mattina d'inverno, avevano registrato il suo ritorno su 18 centimetri di nastro magnetico. Se un uomo religioso ed esperto di tecnologia cinematografica avesse osservato il punto dello spazio dove l'Alyut era svanita due anni prima, gli sarebbe sembrato che Dio avesse infilato dei fotogrammi della nave di Olga nelle sequenze che mostravano lo spazio vuoto. La nave era ricomparsa di colpo nel nostro spazio-tempo come un effetto speciale di serie B. Se fosse arrivata solo una settimana dopo non l'avrebbero mai raggiunta in tempo: la Terra avrebbe proseguito lungo la sua orbita, lasciando Olga a precipitare verso il Sole. A 53 ore dal suo ritorno un volontario di nome Kurtz, con addosso una tuta da lavoro corazzata, aveva varcato il portello dell'Alyut. Era uno specialista tedesco orientale in medicina spaziale, e le sigarette americane erano il suo vizio segreto; aveva una gran voglia di fumarne una mentre superava la camera di decompressione, strisciava accanto a una massa rettangolare di apparecchiature per depurare l'aria e accendeva con il mento le luci del casco. L'atmosfera dell'Alyut anche dopo due anni sembrava respirabile. Nel doppio fascio di luce del grosso casco, aveva visto globuli di sangue e vomito che orbitavano lentamente e si disperdevano dietro di lui mentre strisciava con la tuta ingombrante lungo il passaggio che portava al modulo di comando. Poi l'aveva trovata. -— Da tua madre, Hiro. — Lo sa benissimo anche lui che è Charmain. +Galleggiava sopra il quadro di navigazione, nuda, raggomitolata in una rigida posizione fetale. Aveva gli occhi aperti, fissi su qualcosa che Kurtz non avrebbe mai visto. Teneva le mani insanguinate strette in pugni duri come pietra, e i capelli castani, adesso sciolti, le ondeggiavano attorno alla faccia come alghe. -— Grazie, Toby. Raggiungimi all'ascensore per il Paradiso fra cinque minuti, +Molto lentamente, e con molta cautela, Kurtz era passato accanto alle tastiere bianche del quadro di comando e aveva agganciato la tuta al quadro di navigazione. Pensò che lei doveva avere cercato di fracassare i sistemi di comunicazione a mani nude. Kurtz aveva attivato il manipolatore destro della tuta, che si era dischiuso automaticamente come una morsa a forma di fiore. -altrimenti mando giù qualche infermiere russo ad aiutarti. Infermieri maschi. +Aveva allungato la mano avvolta dal guanto chirurgico grigio pressurizzato. -Io rimasi lì a dondolare sull'amaca a pensare alla “Collocazione di Toby +Poi, il più delicatamente possibile, le aveva aperto le dita della mano sinistra. -Halpert nell'Universo”. Non essendo egocentrico, misi il sole in mezzo, il lume, la +Niente. -sfera del giorno. Attorno ci feci roteare minuscoli pianeti, il nostro accogliente +Ma quando aveva aperto le dita della destra, qualcosa ne era uscito roteando lentamente, a pochi centimetri dal quarzo sintetico della visiera. Sembrava una conchiglia. -sistema solare. Ma in un punto fisso a circa un ottavo di strada verso l'orbita di +Olga venne riportata a casa, ma i suoi occhi azzurri non tornarono mai in vita Ci provarono, naturalmente, ma più ci provavano e più lei si spegneva. Nella loro ansia di sapere l'avevano assottigliata sempre più, finché dopo quel martirio intere biblioteche contenevano frammenti di lei, file di preziose reliquie. Nessun santo era mai stato sminuzzato così finemente; soltanto nei laboratori di Plesetsk lei era presente sotto forma di due milioni di campioni di tessuto, archiviati e numerati nei sotterranei a prova di bomba del complesso biologico. -Marte, che per me era il qui sospesi un grosso cilindro in lega, come un modello +Con la conchiglia avevano avuto miglior fortuna. L'esobiologia si trovò d'improvviso a poggiare su basi solidissime: un dato biologico di un grammo e sette decimi, altamente organizzato, decisamente extraterrestre. La conchiglia di Olga generò un'intera ramificazione della scienza dedicata esclusivamente allo studio della conchiglia di Olga. -in scala un quarto di Tsiolkovskij 1, il Paradiso dei Lavoratori a L-5. Tsiolkovskij +Le scoperte iniziali sulla conchiglia resero chiare due cose: che non era il prodotto della biosfera terrestre, e dal momento che non c'erano altre biosfere nel sistema solare, doveva provenire da un'altra stella. Olga aveva visitato il suo luogo di origine, oppure era entrata in contatto con qualcosa che era, o era stata un tempo, capace di compiere quel viaggio. -1 è in posizione stazionaria nel punto di equilibrio fra la gravità terrestre e +Mandarono un certo maggiore Grosz verso le Coordinate di Tovyevskij su una Alyut 9 dotata di equipaggiamento speciale. Un'altra nave lo seguiva. Era arrivato all'ultimo dei 20 segnali all'idrogeno, quando la nave svanì. -quella lunare, ma c'è bisogno di una vela solare per tenerci fermi qui: 20 +Registrarono la sua scomparsa e attesero. Tornò 234 giorni dopo. Nel frattempo avevano scandagliato la zona senza soste, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse indicare l'anomalia, il punto attorno a cui potesse crescere l'intera teoria. Non c'era niente: solo la nave di Grosz che roteava senza controllo. Si era suicidato prima che potessero raggiungerlo: la seconda vittima dell'Autostrada. -tonnellate di alluminio intessute a forma di esagono, dieci chilometri da un lato +Quando rimorchiarono l'Alyut a Tsiolkovskij, scoprirono che le sofisticate apparecchiature di registrazione non contenevano nulla. Era tutto in perfetto stato, ma non aveva funzionato niente. Grosz venne ibernato e messo sulla prima navetta per Plesetsk, dove i bulldozer stavano già scavando un nuovo sotterraneo. Tre anni dopo, la mattina dopo la perdita del settimo cosmonauta, un telefono suonò a Mosca. L'uomo si presentò. Era il direttore della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti d'America. Disse di essere autorizzato a fare un'offerta. A certe specifiche condizioni l'Unione Sovietica avrebbe potuto avvalersi delle menti migliori della psichiatria occidentale. Aggiunse che, secondo quanto risultava alla sua agenzia, un aiuto del genere sarebbe stato molto gradito. Parlava russo benissimo. -all'altro. La vela ci ha trasportato fuori dall'orbita terrestre, e adesso è la nostra +I disturbi della radio ossea erano una tempesta subliminale. L'ascensore si infilò nello stretto condotto che attraversava il pavimento del Paradiso. Contai luci blu a intervalli di due metri. Dopo la quinta luce, buio e quiete. -ancora. La usiamo per bordeggiare la corrente fotonica, sospesi vicino alla cosa +Nascosto nel quadro di comando vuoto della falsa barca, aspettai nell'ascensore, come in un passaggio segreto dietro la libreria in una storia dell'orrore per bambini. La barca era solo un arnese da scena, un oggetto teatrale, come la casetta bavarese incollata alle alpi di gesso nel parco dei divertimenti: un tocco simpatico, ma non strettamente necessario. Se i reduci ci accettano, non si curano di noi; tutte le nostre coperture non fanno molta differenza. -(il punto, la singolarità) che noi chiamiamo l'Autostrada. I francesi la chiamano +— Tutto a posto — disse Hiro. — Nessun cliente nei dintorni. — Io mi massaggiai soprappensiero la cicatrice dietro l'orecchio sinistro, dove avevano innestato la radio ossea. Il quadro comandi falso si aprì lasciando entrare la luce grigia dell'alba del Paradiso. L'interno della barca era familiare ed estraneo nello stesso tempo, come ritornare a casa dopo esserne stati lontani una settimana. -“le métro”, e i russi il fiume, ma “metropolitana” non dà l'idea della distanza, e +Una di quelle nuove edere brasiliane si era infilata nell'oblò di sinistra, dopo la mia ultima visita, ma non mi sembrava fosse cambiato altro. C'era stata battaglia su quelle viti, nelle riunioni della commissione biologica. Gli ecologisti americani protestavano per il rischio di penuria di azoto. I russi sono molto suscettibili in fatto di bioarchitettura, fin da quando hanno dovuto chiedere aiuto agli americani per il loro programma biotico su Tsiolkovskij 1. Un brutto problema con il grano idroponico che marciva; neanche con tutta la loro ingegneria super- raffinata riuscivano a mettere insieme un ecosistema funzionale. E il fatto che il loro fallimento iniziale ha prodotto come risultato la nostra presenza qui li irrita ancora di più; perciò insistono per l'edera brasiliana, o qualsiasi cosa offra loro occasione per litigare. Ma mi piacciono queste edere: le foglie sono a forma di cuore, e a strofinarle fra le dita si sente odore di cannella. -“fiume”, per gli americani, non dà la stessa sensazione di solitudine. Si potrebbe +Andai vicino all'oblò e osservai la luce riflessa che penetrava sempre più intensa nel Paradiso. Il Paradiso segue il tempo di Greenwich; grandi specchi di Mylar ruotano da qualche parte, nel vuoto, in orario per l'alba a Greenwich. Fra gli alberi cominciò il canto registrato degli uccelli. Gli uccelli hanno la vita dura in assenza di vera gravità. Non possiamo averne di veri, perché impazziscono a cercare di volare con la forza centrifuga. -definirla con le Coordinate dell'Anomalia di Tovyevskij, se proprio si vuole +La prima volta che lo si vede, il Paradiso tiene fede al suo nome: -metterci dentro anche Olga. Olga Tovyevskij, Nostra Signora della Singolarità, +lussureggiante, fresco, luminoso, l'erba alta punteggiata di fiori selvatici. Il che dura finché non si sa che la maggior parte degli alberi sono artificiali. O quanto sia difficile mantenere un equilibrio ottimale fra le alghe verde-azzurro e le diatomee negli stagni. Charmain dice sempre che si aspetta di vedere Bambi trotterellare fuori dal bosco e Hiro afferma di sapere esattamente quanti ingegneri della Walt Disney hanno giurato di mantenere il segreto in base alla Legge perla Sicurezza Nazionale. -Santa Patrona dell'Autostrada. Hiro non si fidava di lasciarmi alzare da solo. Un +— Riceviamo dei frammenti dalla Hoffmannstahl — disse Hiro. Era quasi come se parlasse a se stesso; stava formandosi la gestalt manipolatore- surrogato, e ben presto avremmo cessato di essere consapevoli l'uno dell'altro. -momento prima dell'arrivo degli inservienti russi accese le lampade del mio +L'effetto dell'adrenalina stava svanendo. — Niente di molto coerente: “Schöne Maschine” o qualcosa del genere. . “Bella macchina”. . Hillary dice che sembra molto calma, ma è completamente partita. — Non parlarmene. Non voglio previsioni, d'accordo? Entriamo alla cieca. — Aprii il boccaporto e respirai una boccata di aria del Paradiso; era come vino bianco fresco. — Dov'è Charmain? -cubicolo mediante un comando a distanza, e le fece lampeggiare per qualche +Lui sospirò, un fruscio di interferenze. — Charmain dovrebbe essere nella Radura Cinque a occuparsi di un cileno che è arrivato tre giorni fa. Ma non c'è. -secondo prima di vedere illuminati i ritratti di Santa Olga che Charmain aveva +Ha sentito che stavi arrivando. Ti sta aspettando vicino allo stagno delle carpe. -attaccato alle paratie con del nastro adesivo. Dozzine di ritratti, ritagliati da +Stronza — aggiunse. -giornali e riviste in carta patinata. Nostra Signora dell'Autostrada. +Charmain stava gettando sassolini a una carpa cinese. Aveva un mazzetto di fiori bianchi infilati dietro un orecchio e una Malboro spiegazzata dietro l'altro. -Il tenente colonnello Olga Tovyevskij, la donna più giovane del suo grado fra il +Era scalza, i piedi sporchi di fango, e aveva tagliato i calzoni della tuta a metà coscia. I capelli neri erano raccolti a coda di cavallo. -personale spaziale sovietico, era in viaggio per Marte, sola, su una Alyut 6 +Ci eravamo incontrati per la prima volta a una festa in una delle officine di saldatura, fra voci ubriache che rimbombavano nel vuoto della sfera in lega e vodka fatta in casa a zero-g. Qualcuno aveva portato una bottiglia d'acqua per allungare il liquore, ne aveva strizzato fuori un paio di manciate e ne aveva formato abilmente una palla floscia e roteante tenuta insieme dalla tensione superficiale, che ci eravamo passati in giro. Ma io sono piuttosto goffo a zero-g, e quando venne il mio turno ci infilai dentro una mano. Mi scossi un migliaio di palline argentee dai capelli, agitando le mani e roteando su me stesso, e la donna vicino a me rideva facendo lente capriole: una ragazza alta e magra, con i capelli neri. Indossava quei pantaloni larghi, allacciati con cordoni, che i turisti si portano a casa da Tsiolkovskij, e una maglietta NASA di tre misure troppo grande. Un minuto dopo, mi raccontava del volo a vela con i ragazzi “tsiolniki”, e di come erano orgogliosi della marijuana leggera che coltivavano in uno dei cilindri per il grano. Non mi resi conto che era anche lei un surrogato, finché Hiro si inserì per dirci che la festa era finita. Era venuta a vivere con me una settimana dopo. -modificata. Le modifiche servivano a renderla in grado di trasportare un nuovo +— Un minuto, d'accordo? — Hiro digrignò i denti, un suono orribile. — Uno solo, non di più. — Poi uscì dal circuito; forse non stava neppure ascoltando. -depuratore d'aria, per metterlo alla prova nel laboratorio marziano orbitale +— Come vanno le cose nella radura Cinque? — Mi accucciai vicino a lei e trovai dei sassi per me. -sovietico con quattro uomini d'equipaggio. Avrebbero potuto benissimo guidare +— Tutto abbastanza tranquillo. Ho dovuto lasciarlo per un po', gli ho dato degli ipnotici. Il mio traduttore mi ha detto che stavi salendo. -l'Alyut con telecomando, da Tsiolkovskij, ma Olga voleva avere al suo attivo più +— Charmain ha un accento texano che fa sembrare qualsiasi parola una volgarità. -ore di volo. Tuttavia, per tenerla occupata, le avevano affidato una serie di +— Credevo che parlassi spagnolo. Il tipo è cileno, no? — Buttai uno dei miei sassolini nello stagno. -esperimenti con dei segnali radio sulla frequenza dell'idrogeno, la parte +— Io parlo messicano. I duri della sezione cultura hanno detto che non gli sarebbe piaciuto il mio accento. Meglio così, comunque. Non riesco a seguirlo quando parla in fretta. — Uno dei suoi sassolini seguì il mio, creando anelli nell'acqua. — Cioè sempre. — Una carpa si avvicinò per vedere se il sasso era buono da mangiare. — Non ce la farà. — Non mi stava guardando. La voce era perfettamente inespressiva. — Il piccolo Jorge decisamente non ce la farà. -conclusiva di un programma di scambi scientifici non segreti sovietico- +Scelsi il sasso più piatto che avevo e cercai di farlo rimbalzare sulla superficie, ma affondò. Meno sapevo di Jorge il cileno, meglio era. Sapevo che era vivo, che faceva parte del dieci per cento. Quelli che arrivano morti sono il venti per cento. -australiani. Olga sapeva che la sua funzione nell'esperimento poteva essere +Suicidio. Il 70 per cento dei relitti umani sono candidati ai Reparti: sono quelli che se la fanno addosso, che gorgogliano suoni senza senso, quelli partiti del tutto. Charmain ed io siamo surrogati per il rimanente dieci per cento. -svolta anche da un normalissimo timer da cucina. Ma era un ufficiale diligente, e +Se i primi a tornare avessero portato con sé solo conchiglie, dubito che ci sarebbe un Paradiso. Il Paradiso era stato costruito dopo che un francese era tornato con un anello di 12 centimetri di acciaio registrato magneticamente stretto nella mano fredda, macabra parodia del bambino fortunato che vince un giro gratis sulla giostra. Forse non scopriremo mai dove se lo sia procurato, ma quell'anello era la stele di Rosetta del cancro. Perciò adesso è l'epoca del culto delle perline, per la razza umana. Possiamo raccogliere cose, là fuori, che non troveremmo mai neanche in mille anni di ricerche. Charmain dice che siamo come quei poveri selvaggi nella loro isola che passavano il tempo a costruire piste di atterraggio, nella speranza di far tornare i grandi uccelli d'argento. -schiacciava i bottoni esattamente agli intervalli giusti. Con i capelli castani +Charmain dice che il contatto con una civiltà “superiore” è qualcosa che non augurerebbe neppure al suo peggior nemico. -pettinati all'indietro e trattenuti da una reticella, doveva sembrare il ritratto +— Ti sei mai chiesto come hanno immaginato di farci questo bel pacco, Toby? -idealizzato della Lavoratrice dello Spazio, senza dubbio il cosmonauta più +— Guardava con gli occhi socchiusi verso est, lungo il nostro paese cilindrico verde e privo di orizzonte. — Dovevano esserci tutti i pezzi grossi, l'élite dei frugacervelli, seduti attorno a un lungo tavolo di palissandro finto fornito dal Pentagono. Un block notes intonso per ciascuno e una matita nuova di zecca, appuntita appositamente per l'occasione. C'erano tutti: freudiani, junghiani, adleriani, quegli stronzi di seguaci di Skinner, eccetera. E ognuno di quei bastardi ha capito in cuor suo che era il momento di giocare le carte migliori. -fotogenico dei due sessi. Aveva controllato nuovamente il cronometro dell'Alyut, +Come professione, non solo come rappresentanti di una certa fazione. La psichiatria occidentale incarnata. E non succede niente! La gente torna morta dall'Autostrada, oppure biascicando e canticchiando canzoncine da bambini. -posando le dita sui pulsanti che avrebbero lanciato il primo segnale. Il colonnello +Quelli vivi durano circa tre giorni, non dicono un accidente, poi si sparano o diventano catatonici. — Prese dalla cintura una piccola torcia elettrica e ne spezzò il guscio di plastica, estraendo il riflettore parabolico. — Il Cremlino urla. -Tovyevskij non poteva sapere che si stava avvicinando al punto dello spazio in +La CIA dà i numeri. E cosa ancora più grave, le multinazionali che dovrebbero sostenere lo spettacolo cominciano a ripensarci. “Astronauti morti? Nessuna informazione? Niente soldi, amici.” Perciò stanno diventando nervosi, tutti questi supercervelloni, finché qualche svitato, qualche buffone, magari di Berkeley, dice — e la sua pronuncia strascicata divenne pastosa, come quella di qualcuno su di giri — “Ehi, sentite, perché non mettiamo questa gente in un posto davvero carino sul serio, con un sacco di droga veramente O.K. e qualcuno con cui possa davvero “comunicare”, eh?” — Rise e scosse la testa. Stava usando il riflettore per accendere la sigaretta, concentrando la luce del sole. Non ci danno fiammiferi: le fiamme sconvolgono l'equilibrio fra ossigeno e ossido di carbonio. Un sottile filo di fumo grigio si alzò dal punto focale incandescente. -seguito conosciuto come l'Autostrada. Mentre schiacciava la sequenza di sei +— Okay — disse Hiro — il minuto è passato. — Guardai l'orologio. -pulsanti, l'Alyut attraversò gli ultimi chilometri ed emise il segnale, +Dovevano esserne passati almeno tre. -un'esplosione prolungata di radioenergia a 1420 megahertz, la frequenza di +— Buona fortuna — disse lei sottovoce, fingendo di essere intenta alla sigaretta. — Dio ti aiuti. -trasmissione dell'atomo di idrogeno. Il radiotelescopio di Tsiolkovskij la stava +La promessa del dolore. È lì, ogni volta. Sai cosa succederà, ma non sai quando, né esattamente come. Cerchi di tenerti stretto a loro, li culli nel buio. Ma se ti prepari al dolore, non puoi funzionare. C'è una poesia che Hiro cita: “Insegnaci ad avere e non avere a cuore qualcosa”. -seguendo, e ritrasmise il segnale a una serie di satelliti di comunicazione che lo +Siamo come mosche intelligenti che vagano in un aeroporto internazionale. -deviarono a due stazioni di ascolto negli Urali e nel Nuovo Galles del Sud. Per 3,8 +Alcuni di noi riescono a salire su un volo per Londra o per Rio, magari sopravvivono al viaggio e tornano indietro. “Ehi” dicono le altre mosche “cosa succede dall'altra parte di quella porta? Cosa sanno loro che noi non sappiamo?” Ai bordi dell'Autostrada ogni linguaggio umano si disfa fra le mani. . tranne forse il linguaggio dello sciamano, del cabalista, il linguaggio del mistico intento a tracciare la mappa delle gerarchie dei demoni, degli angeli, dei santi. -secondi l'immagine radio dell'Alyut fu oscurata dalla fosforescenza residua del +Ma l'Autostrada è governata da regole, e ne abbiamo imparate alcune. -segnale. +Ci danno qualcosa a cui aggrapparci. -Quando la fosforescenza svanì dagli schermi dei monitor terrestri, l'Alyut era +REGOLA NUMERO UNO: Una persona sola a viaggio; niente squadre, niente coppie. -sparita. +REGOLA NUMERO DUE: Nessuna intelligenza artificiale. Qualunque cosa ci sia là fuori non si ferma certo davanti a una macchina furba. Almeno non del tipo che sappiamo costruire noi. -Negli Urali, un tecnico georgiano di mezza età aveva troncato con un morso il +REGOLA NUMERO TRE: Gli strumenti di registrazione sono una perdita di tempo; tornano sempre fuori uso. -bocchino della sua pipa di schiuma preferita. Nel Nuovo Galles del Sud un +La vicenda di Santa Olga ha fatto sorgere decine di nuove scuole, eresie sempre più brillanti ed eleganti, ciascuna con la speranza di aprirsi un varco nella via segreta. Ad una ad una, cadono. Nel silenzio sussurrante delle notti in Paradiso, sembra quasi di sentirle andare in frantumi, teorie che si trasformano in polvere mentre il lavoro di una vita del pool di cervelli di qualche multinazionale si riduce a una concisa nota storica, e tutto questo nel tempo che impiega un viaggiatore a mormorare qualche parola nel buio. Mosche in un aeroporto, che fanno l'autostop. Le mosche sono pregate di non rivolgere troppe domande. Le mosche sono pregate di non cercare di capire il Grande Piano. -giovane fisico aveva preso a pugni il monitor come un giocatore di flipper +Ripetuti tentativi in questa direzione portano inevitabilmente al lento inarrestabile sbocciare della paranoia, la mente che proietta immense forme scure sulle pareti della notte, forme che solidificano, diventano pazzia, religione. -infuriato per un tilt. +Le mosche furbe si accontentano della teoria della Scatola Nera; la Scatola Nera è la metafora corrente: l'Autostrada rimane variabile indipendente in ogni equazione sensata. Non dobbiamo preoccuparci di cosa sia l'Autostrada, o di chi l'abbia costruita. Concentriamoci invece su quello che mettiamo nella Scatola Nera, e su quello che ne ricaviamo. Ci sono cose che mandiamo lungo l'Autostrada (una donna di nome Olga, la sua nave, tante altre che sono seguite), e cose che tornano indietro (una donna impazzita, una conchiglia, frammenti di tecnologia aliena). I teorici della Scatola Nera dicono che la nostra prima preoccupazione è di ottimizzare lo scambio. Noi siamo qui per assicurarci che la nostra specie abbia il suo tornaconto. E tuttavia, certe cose stanno diventando sempre più evidenti; una di queste è che non siamo le sole mosche ad aver trovato la strada dell'aeroporto. Abbiamo raccolto i prodotti di almeno cinque o sei culture ampiamente divergenti. “Altri selvaggi”, li chiama Charmain. Siamo come topi nella stiva di un mercantile, che scambiano piccole cianfrusaglie con i topi di altri porti. E sognano le luci splendenti, la grande città. Limitiamoci al Dentro e al Fuori. Leni Hofmannstahl: Fuori. -L'ascensore che mi aspettava per portarmi in Paradiso sembrava la parodia +Mettemmo in scena il ritorno a casa di Leni nella Radura Tre, detta anche Eliseo. Mi acquattai in una macchia di riproduzioni di aceri giovani ed esaminai la nave. In origine era simile a una libellula senza ali, con l'addome sottile lungo dieci metri, in cui era alloggiato il motore a reazione. Ora, senza motore, sembrava una pupa biancastra, gli occhi sporgenti da larva pieni del tradizionale ammasso di sensori e sonde. Era appoggiata su una collinetta al centro della radura, progettata appositamente per accogliere vascelli di varie forme. Quelli nuovi sono più piccoli, come lavatrici da Grand Prix, baccelli minimali senza pretesa di essere navi da esplorazione. Moduli per relitti umani. -hollywoodiana di un sarcofago in stile Bauhaus. Stretto, verticale, con un +— Non mi piace — disse Hiro. — Questa storia non mi piace. C'è qualcosa che non va. . — Sembrava che parlasse con se stesso; sembravo Io che parlavo con me stesso, il che significava che la gestalt manipolatore-surrogato era quasi operativa. Inserito nel mio ruolo, non sono più l'uomo di punta dell'orecchio avido del Paradiso, una sonda specializzata collegata via radio con uno psichiatra ancora più specializzato; quando la gestalt entra in azione, Hiro ed io ci fondiamo in qualcosa di diverso, qualcosa che non potremo mai ammettere l'uno con l'altro, non mentre succede. La nostra relazione farebbe venire gli incubi a un freudiano classico. Sapevo che aveva ragione: questa volta c'era qualcosa di veramente fuori posto. La radura era più o meno circolare. Doveva esserlo: si trattava in realtà di un cerchio di 15 metri tagliato nel pavimento del Paradiso e mascherato da prato alpino. Avevano staccato il motore di Leni, rimorchiato la nave nel cilindro esterno, abbassato la radura fino alla camera di decompressione, poi avevano sollevato la nave in Paradiso come una torta su un grande vassoio coperto d'erba e fiori selvatici. Avevano accecato i sensori saturandoli di trasmissioni e avevano sigillato oblò e portello. In teoria Paradiso dovrebbe essere una sorpresa per i nuovi arrivati. -coperchio di resina acrilica trasparente. Più indietro c'erano file di quadri- +Mi chiesi se Charmain era già tornata da Jorge. Forse gli stava cucinando qualcosa, uno dei pesci che “peschiamo”, vale a dire che ci vengono liberati fra le mani dalle gabbie in fondo allo stagno. Immaginai l'odore di pesce fritto, chiusi gli occhi e immaginai Charmain che guadava l'acqua bassa, goccioline scintillanti che le scendevano lungo le cosce, una ragazza dalle lunghe gambe in uno stagno del Paradiso. -comando che si stendevano fino a un orizzonte puntiforme. La solita folla di +— Vai, Toby! Adesso! -tecnici coi loro costumi assurdi di carta gialla, tutti indaffarati. Individuai Hiro in +Mi sentii rintronare il cranio. L'addestramento e i riflessi gestalt mi avevano già portato a metà della radura. — Maledizione, maledizione, maledizione. . — Era il mantra di Hiro, e allora capii che era tutto, TUTTO sbagliato. Hillary la traduttrice si sentiva in sottofondo, voce B.B.C. stridula come ghiaccio spezzato, che snocciolava veloce qualcosa a proposito di mappe anatomiche. Hiro doveva aver usato i comandi a distanza per aprire il portello, ma non aspettò che si spalancasse da solo. Azionò i sei bulloni esplosivi inseriti nello scafo, e l'intero meccanismo venne espulso fuori, intatto. Mi mancò per un pelo. Mi ero spostato istintivamente. Poi mi arrampicai sul fianco liscio della nave, afferrando la struttura a nido d'ape all'interno del portello; il meccanismo di scoppio si era portato via anche la scaletta. -jeans blu, la camicia da cowboy con i bottoni di madreperla aperta sopra una +E lì mi bloccai, rannicchiato nell'odore di esplosivo al plastico, perché fu allora che la Paura mi raggiunse per la prima volta. Avevo già sentito altre volte la Paura, ma solo i margini, la punta più esterna. Adesso era enorme, il vuoto stesso della notte, un nulla freddo e implacabile. Erano le ultime parole, lo spazio profondo, ogni lungo addio nella storia della nostra specie. Mi rannicchiai gemendo. Tremavo, strisciavo, piangevo. Ce la spiegano, ci avvertono cercano di mostrarcela come un tipo di agorafobia temporanea endemica al nostro lavoro. -maglietta sbiadita dell'U.C.L.A. Era concentrato sui numeri che scorrevano su +Ma noi sappiamo cos'è; i surrogati lo sanno, i manipolatori non possono saperlo. -uno schermo e non si accorse di me. Non se n'era accorto nessuno. +Nessuna spiegazione si è mai avvicinata alla realtà. -Così rimasi a guardare il soffitto, cioè la parte inferiore del pavimento del +È la Paura , il lungo dito della Grande Notte, il buio che nutre di dannati biascicanti le bianche e gentili fauci dei Reparti. Olga l'ha conosciuta per prima, Santa Olga. Ha cercato di nasconderci ad essa, assalendo a mani nude l'apparecchiatura radio fino a farsele sanguinare, per impedire che la nave trasmettesse, pregando che la Terra la perdesse, che la lasciasse morire. . -Paradiso. Non sembrava gran che. Il nostro cilindro consiste in realtà di due +Hiro era frenetico, ma doveva aver capito, e sapeva che cosa fare. Mi colpì con il bottone del dolore. Forte. Più volte, come con un pungolo per il bestiame. Mi costrinse a entrare nella nave. Mi mandò avanti attraverso la Paura. -cilindri, uno contenuto nell'altro. Quaggiù, in quello esterno (il nostro “giù” è +Oltre la Paura, c'era una stanza. Silenzio, e un odore estraneo, l'odore di una donna. -determinato dalla rotazione assiale) ci sono gli aspetti più pratici della nostra +Il modulo era piccolo, consumato, quasi simile a una casa, la plastica strappata della cuccetta di accelerazione rappezzata con pezzi di nastro argenteo che si stavano scollando. Tutto sembrava adattarsi a un'assenza. Lei non c'era. Poi vidi il fregio assurdo disegnato a biro: simboli indecifrabili, migliaia di piccole figure oblunghe, distorte, che si intersecavano e sovrapponevano. Macchiato da ditate, patetico, copriva la maggior parte della paratia di poppa. Hiro era un'interferenza, che sussurrava, implorava. “Trovala, Toby, subito, ti prego, Toby, trovala, trovala, trova. .” La trovai nella cabina chirurgica, una piccola alcova a fianco del corridoio. Sopra di lei la “Schöne Maschine”, il manipolatore chirurgico, scintillante, le sue braccia sottili e lucide ripiegate in ordine, arti cromati da granchio, con emostatici, forcipi, bisturi laser. Hillary era isterica, la sentivo indistinta su un canale lontano, che diceva qualcosa sull'anatomia del braccio umano, i tendini, le arterie, tassonomia elementare. Hillary urlava. Non c'era sangue. Il manipolatore è una macchina pulita, capace di lavorare senza sporcare a zero-g, aspirando il sangue. Era morta un momento prima che Hiro facesse saltare il portello, il braccio destro allungato sul piano di lavoro di plastica bianca come un disegno medievale, senza pelle, i muscoli e gli altri tessuti sistemati simmetricamente, tenuti fermi da spilli da dissezione in acciaio inossidabile. Era morta dissanguata. Un manipolatore chirurgico è programmato contro il suicidio, ma può servire anche per sezionare campioni biologici da conservare. -impresa: dormitori, refettori, la camera di decompressione dove facciamo +Lei aveva trovato un sistema per ingannarlo. Ci si riesce quasi sempre con le macchine, se si ha tempo a disposizione. E lei aveva avuto otto anni. -entrare le navi che ritornano, la sala comunicazioni. . E i Reparti, che sto bene +Era stesa nell'intelaiatura pieghevole, una cosa simile allo scheletro fossilizzato di una poltrona da dentista. Attraverso di essa potevo vedere la scritta sbiadita sulla schiena della sua tuta, il marchio di un'industria elettronica della Germania Ovest. Cercai di dirglielo. Dissi: — Ti prego, sei morta. Perdonaci, siamo venuti ad aiutarti, Hiro ed io. Capisci? Lui sà, Hiro; è qui nella mia testa. Ha letto il tuo dossier, il tuo profilo sessuale, i tuoi colori preferiti, conosce le tue paure infantili, il tuo primo amante, il nome di un insegnante che ti piaceva. E io ho i feromoni giusti, sono un arsenale ambulante di droghe. Qualcosa qui ti piacerà di sicuro. E sappiamo mentire, Hiro ed io; siamo dei campioni a dire bugie. Ti prego. Devi capire. Perfetti estranei, ma Hiro ed io siamo per te l'estraneo perfetto, Leni. -attento a evitare. +Era una donna piccola, bionda, i capelli lisci prematuramente spruzzati di grigio. Le toccai i capelli, una volta, e uscii sulla radura. Mentre ero fermo lì, l'erba alta rabbrividì, i fiori cominciarono a tremare, ed iniziammo la nostra discesa, con la nave al centro del suo ascensore rotondo e collinoso. La radura uscì dal Paradiso, e la luce del sole andò persa fra il bagliore delle grosse lampade a vapore, che gettavano ombre dure sull'ampio ponte della camera di decompressione. Figure in tuta rossa che correvano. Un'automobilina rossa eseguì una curva ad U sulle gomme larghe, per evitarci. -Il Paradiso è il cilindro interno: l'improbabile cuore verde di questo posto, il +Nevsky, il californiano del K.G.B., aspettava ai piedi della scaletta che avevano spinto fino alla radura. Non lo vidi finché non fui arrivato in fondo. -sogno disneyano del ritorno, come un orecchio avido di un'economia globale +— Devo prendere le droghe, signor Halpert. -affamata di informazioni. Un flusso costante di dati che pulsa in direzione della +Mi fermai lì, ondeggiando sbattendo le palpebre per le lacrime. Lui allungò una mano per sorreggermi. Mi chiesi se sapeva perché era lì nel portello, una tuta gialla in territorio rosso. Ma probabilmente non gli interessava; sembrava che non gli interessasse niente, aveva con sé il suo taccuino. -Terra, una marea di voci, sussurri, segni di traffico transgalattico. Una volta mi +— Devo prenderle, signor Halpert. -capitava di irrigidirmi nella mia amaca a sentire la pressione di tutti quei dati, +Io mi tolsi la tuta, l'arrotolai e gliela porsi. Lui la infilò in una borsa di plastica, mise la borsa in una valigetta legata al polso sinistro con una catena, e fece girare la ruota della combinazione. -immaginando di sentirli scivolare lungo i cavi dietro la paratia, cavi come +— Non prenderle tutte insieme, ragazzo — dissi. Poi svenni. -muscoli gonfi trattenuti da cinghie, pronti a contrarsi, a schiacciarmi. Poi +Quella notte, tardi, Charmain portò nella mia cabina una tenebra tutta speciale: dosi sigillate in alluminio spesso. Era completamente diversa dall'oscurità della Grande Notte, quel buio senziente e famelico, appostato in attesa di trascinare i malcapitati nei Reparti, il buio che genera la paura. Era un'oscurità simile alle ombre che si possono vedere dal sedile posteriore dell'auto in una notte piovosa quando si ha cinque anni e si sta tranquilli e al caldo. Charmain è molto più abile di me quando si tratta di fregare i controllori, quelli come Nevsky. -Charmain è venuta a stare con me, e dopo averla messa al corrente della mia +Non le chiesi perché era tornata dal Paradiso, o cosa era successo a Jorge. Lei non mi chiese niente di Leni. -paura ha fatto un incantesimo e ha attaccato le sue icone di Santa Olga. E la +Hiro era sparito, non si era più fatto sentire. L'avevo visto quando avevamo fatto rapporto, quel pomeriggio. Come al solito, i nostri occhi non si erano incontrati. Non aveva importanza. Sapevo che sarebbe tornato. Era stato un episodio come un altro, in effetti. Un brutto giorno in Paradiso, ma non è mai facile. È dura sentire la Paura per la prima volta, ma avevo sempre saputo che era lì, in attesa. Avevano parlato dei grafici di Leni, dei suoi schizzi a biro di catene molecolari che si spostano a comando. Molecole che possono funzionare come interruttori, elementi logici, perfino una specie di circuito, costruito a strati in una singola molecola molto grande, un computer piccolissimo. -pressione si è allontanata, è scomparsa. +Probabilmente non sapremo mai cosa ha incontrato là fuori; probabilmente non conosceremo mai i particolari della transazione. Potrebbe essere peggio scoprirlo. Non siamo l'unica tribù a vivere nell'hinterland, a frugare fra i rifiuti. -— Ti colleghiamo con un traduttore, Toby. Forse avrai bisogno del tedesco. — +Maledetta Leni, maledetto quel francese, maledetti tutti quelli che riportano indietro cure per il cancro, conchiglie, cose senza nome. . che ci tengono qui ad aspettare, che riempiono i Reparti, che portano la Paura. Mi aggrappai a quel buio caldo e vicino, e al lento respiro di Charmain, al ritmo del mare. Sei abbastanza in alto, quassù; sentirai il mare giù in fondo, oltre i disturbi della radio ossea. È qualcosa che portiamo con noi, per quanto lontani da casa. -La sua voce mi graffiava il cervello, una scarica elettrostatica modulata. — +Charmain si mosse vicino me, mormorò il nome di uno straniero, il nome di qualche viaggiatore passato da tempo nei Reparti. Detiene un record; ha tenuto vivo un uomo per due settimane finché non si è cavato gli occhi con i pollici. Lei ha urlato per tutta la discesa, si è spezzata le unghie sul coperchio di plastica dell'ascensore. Poi le hanno dato dei sedativi. -Hillary. . +Ma entrambi abbiamo la spinta, quel particolare bisogno, quella folle dinamica che ci costringe a tornare in Paradiso. Entrambi ce la siamo procurata nello stesso modo, aspettando per settimane nelle nostre piccole navi che l'Autostrada ci prendesse. E una volta lanciato l'ultimo segnale, i rimorchiatori ci hanno portati qui. Qualcuno non viene preso, e nessuno sa perché. E non si ha mai una seconda occasione. Dicono che è troppo costoso, ma quello che in realtà vogliono dire, mentre ti guardano le bende sui polsi, è che sei troppo prezioso, troppo utile per loro come potenziale surrogato. Non preoccuparti per il tentativo di suicidio, ti diranno: succede sempre. È perfettamente comprensibile: la reazione per essere stati respinti. Ma io volevo andare, lo desideravo tanto. Anche Charmain. Lei ha provato con le pillole. Ma loro hanno lavorato su di noi, ci hanno cambiato un po', hanno raddrizzato le nostre pulsioni ci hanno innestato la radio ossea e accoppiato con i manipolatori. Olga deve averlo saputo, deve aver capito tutto, in qualche maniera, e ha cercato di impedirci di trovare la strada per tornare dove lei era stata. Sapeva che se l'avessimo trovata avremmo dovuto andare. Anche adesso, sapendo ciò che so, vorrei andare. Non andrò mai. -— Pronta, dottor Nagashima — disse una voce tipo B.B.C., limpida come - -cristallo. — Conosci il francese, Toby? La Hoffmannsthal parla francese e inglese. - -— Tu non rompermi i coglioni, Hillary. Parla solo se sei interrogata, chiaro? — - -Il silenzio all'altro capo della linea parve aggiungersi all'incessante sfrigolio di - -disturbi radio. Hiro mi lanciò un'occhiataccia dall'altra parte della sala. Io sorrisi. - -Stava cominciando: l'ebbrezza, il flusso di adrenalina. Lo avvertivo mentre - -svanivano gli effetti del barbiturico. Un ragazzo, con la faccia bionda e liscia da - -californiano, mi aiutò a infilare la tuta. La tuta puzzava. Era vecchia ma rimessa a - -nuovo, accuratamente consunta, impregnata di sudore sintetico e feromoni. - -Entrambe le maniche erano ricoperte dai polsi alle spalle di etichette, quasi tutte - -di grosse compagnie, sponsor sussidiari di un'immaginaria spedizione - -sull'Autostrada, con il nome dello sponsor principale cucito molto più in grande - -sulle spalle: la ditta che aveva mandato “halpert, toby” al suo incontro con le - -stelle. Per lo meno c'era il mio nome, ricamato in maiuscole di nylon scarlatto - -appena sopra il cuore. - -Il ragazzo con la faccia da californiano aveva quel tipo di bellezza fatta in serie - -che per me è caratteristica dei membri più giovani della CIA, ma il nastro con il - -nome diceva “nevsky”, e lo ripeteva in cirillico. K.G.B., dunque. Non era uno - -“tsiolnik”; non aveva i gesti dinoccolati tipici di chi ha passato vent'anni in un - -ambiente L-5. Il ragazzo era moscovita puro, un gentile controllore che - -conosceva come minimo otto modi per uccidere con un giornale arrotolato. - -Cominciammo il rituale delle droghe. Lui infilò la microsiringa contenente uno - -dei nuovi euforoallucinogeni nella tasca del polsino sinistro, fece un passo - -indietro e cancellò la voce sull'inventario. Aveva sul taccuino un disegno - -schematico di una tuta che sembrava la sagoma di un tiro al bersaglio. Prese una - -fiala con cinque grammi di oppio dalla cassetta che portava incatenata alla vita e - -raggiunse la tasca corrispondente. Crocetta sul foglio. Quattordici tasche. Per - -ultima la cocaina. Hiro arrivò proprio mentre il russo stava finendo. — Forse ha - -dei dati importanti, Toby; è una chemiofisica, ricorda. — Era strano ascoltarlo - -con gli orecchi e non come una vibrazione dell'innesto. - -— Lassù è importante tutto, Hiro. - -— Credi che non lo sappia? — La sentiva anche lui, quella vibrazione speciale. - -I nostri occhi non sembrano incontrarsi mai. Prima che l'imbarazzo diventasse - -eccessivo, lui si voltò e fece un segno con il pollice alzato a uno dei buffoni gialli. - -Due di loro mi aiutarono ad entrare nella bara stile Bauhaus, e fecero un passo - -indietro mentre il coperchio si chiudeva sibilando come una gigantesca visiera. - -Iniziai la mia ascesa in Paradiso per accogliere a casa una straniera di nome Leni - -Hofmannsthal. Un viaggio breve, ma mi sembrò eterno. - -Olga, che era stata la nostra prima autostoppista, la prima a sollevare - -idealmente il pollice per farsi trasportare sulla lunghezza d'onda dell'idrogeno, - -era tornata due anni dopo. A Tyuratam, nel Kazakistan, in una grigia mattina - -d'inverno, avevano registrato il suo ritorno su 18 centimetri di nastro - -magnetico. Se un uomo religioso ed esperto di tecnologia cinematografica avesse - -osservato il punto dello spazio dove l'Alyut era svanita due anni prima, gli - -sarebbe sembrato che Dio avesse infilato dei fotogrammi della nave di Olga nelle - -sequenze che mostravano lo spazio vuoto. La nave era ricomparsa di colpo nel - -nostro spazio-tempo come un effetto speciale di serie B. Se fosse arrivata solo - -una settimana dopo non l'avrebbero mai raggiunta in tempo: la Terra avrebbe - -proseguito lungo la sua orbita, lasciando Olga a precipitare verso il Sole. A 53 ore - -dal suo ritorno un volontario di nome Kurtz, con addosso una tuta da lavoro - -corazzata, aveva varcato il portello dell'Alyut. Era uno specialista tedesco - -orientale in medicina spaziale, e le sigarette americane erano il suo vizio - -segreto; aveva una gran voglia di fumarne una mentre superava la camera di - -decompressione, strisciava accanto a una massa rettangolare di apparecchiature - -per depurare l'aria e accendeva con il mento le luci del casco. L'atmosfera - -dell'Alyut anche dopo due anni sembrava respirabile. Nel doppio fascio di luce - -del grosso casco, aveva visto globuli di sangue e vomito che orbitavano - -lentamente e si disperdevano dietro di lui mentre strisciava con la tuta - -ingombrante lungo il passaggio che portava al modulo di comando. Poi l'aveva - -trovata. - -Galleggiava sopra il quadro di navigazione, nuda, raggomitolata in una rigida - -posizione fetale. Aveva gli occhi aperti, fissi su qualcosa che Kurtz non avrebbe - -mai visto. Teneva le mani insanguinate strette in pugni duri come pietra, e i - -capelli castani, adesso sciolti, le ondeggiavano attorno alla faccia come alghe. - -Molto lentamente, e con molta cautela, Kurtz era passato accanto alle tastiere - -bianche del quadro di comando e aveva agganciato la tuta al quadro di - -navigazione. Pensò che lei doveva avere cercato di fracassare i sistemi di - -comunicazione a mani nude. Kurtz aveva attivato il manipolatore destro della - -tuta, che si era dischiuso automaticamente come una morsa a forma di fiore. - -Aveva allungato la mano avvolta dal guanto chirurgico grigio pressurizzato. - -Poi, il più delicatamente possibile, le aveva aperto le dita della mano sinistra. - -Niente. - -Ma quando aveva aperto le dita della destra, qualcosa ne era uscito roteando - -lentamente, a pochi centimetri dal quarzo sintetico della visiera. Sembrava una - -conchiglia. - -Olga venne riportata a casa, ma i suoi occhi azzurri non tornarono mai in vita - -Ci provarono, naturalmente, ma più ci provavano e più lei si spegneva. Nella loro - -ansia di sapere l'avevano assottigliata sempre più, finché dopo quel martirio - -intere biblioteche contenevano frammenti di lei, file di preziose reliquie. Nessun - -santo era mai stato sminuzzato così finemente; soltanto nei laboratori di - -Plesetsk lei era presente sotto forma di due milioni di campioni di tessuto, - -archiviati e numerati nei sotterranei a prova di bomba del complesso biologico. - -Con la conchiglia avevano avuto miglior fortuna. L'esobiologia si trovò - -d'improvviso a poggiare su basi solidissime: un dato biologico di un grammo e - -sette decimi, altamente organizzato, decisamente extraterrestre. La conchiglia di - -Olga generò un'intera ramificazione della scienza dedicata esclusivamente allo - -studio della conchiglia di Olga. - -Le scoperte iniziali sulla conchiglia resero chiare due cose: che non era il - -prodotto della biosfera terrestre, e dal momento che non c'erano altre biosfere - -nel sistema solare, doveva provenire da un'altra stella. Olga aveva visitato il suo - -luogo di origine, oppure era entrata in contatto con qualcosa che era, o era stata - -un tempo, capace di compiere quel viaggio. - -Mandarono un certo maggiore Grosz verso le Coordinate di Tovyevskij su una - -Alyut 9 dotata di equipaggiamento speciale. Un'altra nave lo seguiva. Era - -arrivato all'ultimo dei 20 segnali all'idrogeno, quando la nave svanì. - -Registrarono la sua scomparsa e attesero. Tornò 234 giorni dopo. Nel frattempo - -avevano scandagliato la zona senza soste, alla disperata ricerca di qualcosa che - -potesse indicare l'anomalia, il punto attorno a cui potesse crescere l'intera - -teoria. Non c'era niente: solo la nave di Grosz che roteava senza controllo. Si era - -suicidato prima che potessero raggiungerlo: la seconda vittima dell'Autostrada. - -Quando rimorchiarono l'Alyut a Tsiolkovskij, scoprirono che le sofisticate - -apparecchiature di registrazione non contenevano nulla. Era tutto in perfetto - -stato, ma non aveva funzionato niente. Grosz venne ibernato e messo sulla prima - -navetta per Plesetsk, dove i bulldozer stavano già scavando un nuovo - -sotterraneo. Tre anni dopo, la mattina dopo la perdita del settimo cosmonauta, - -un telefono suonò a Mosca. L'uomo si presentò. Era il direttore della Central - -Intelligence Agency degli Stati Uniti d'America. Disse di essere autorizzato a fare - -un'offerta. A certe specifiche condizioni l'Unione Sovietica avrebbe potuto - -avvalersi delle menti migliori della psichiatria occidentale. Aggiunse che, - -secondo quanto risultava alla sua agenzia, un aiuto del genere sarebbe stato - -molto gradito. Parlava russo benissimo. - -I disturbi della radio ossea erano una tempesta subliminale. L'ascensore si - -infilò nello stretto condotto che attraversava il pavimento del Paradiso. Contai - -luci blu a intervalli di due metri. Dopo la quinta luce, buio e quiete. - -Nascosto nel quadro di comando vuoto della falsa barca, aspettai - -nell'ascensore, come in un passaggio segreto dietro la libreria in una storia - -dell'orrore per bambini. La barca era solo un arnese da scena, un oggetto - -teatrale, come la casetta bavarese incollata alle alpi di gesso nel parco dei - -divertimenti: un tocco simpatico, ma non strettamente necessario. Se i reduci ci - -accettano, non si curano di noi; tutte le nostre coperture non fanno molta - -differenza. - -— Tutto a posto — disse Hiro. — Nessun cliente nei dintorni. — Io mi - -massaggiai soprappensiero la cicatrice dietro l'orecchio sinistro, dove avevano - -innestato la radio ossea. Il quadro comandi falso si aprì lasciando entrare la luce - -grigia dell'alba del Paradiso. L'interno della barca era familiare ed estraneo nello - -stesso tempo, come ritornare a casa dopo esserne stati lontani una settimana. - -Una di quelle nuove edere brasiliane si era infilata nell'oblò di sinistra, dopo la - -mia ultima visita, ma non mi sembrava fosse cambiato altro. C'era stata battaglia - -su quelle viti, nelle riunioni della commissione biologica. Gli ecologisti americani - -protestavano per il rischio di penuria di azoto. I russi sono molto suscettibili in - -fatto di bioarchitettura, fin da quando hanno dovuto chiedere aiuto agli - -americani per il loro programma biotico su Tsiolkovskij 1. Un brutto problema - -con il grano idroponico che marciva; neanche con tutta la loro ingegneria super- - -raffinata riuscivano a mettere insieme un ecosistema funzionale. E il fatto che il - -loro fallimento iniziale ha prodotto come risultato la nostra presenza qui li irrita - -ancora di più; perciò insistono per l'edera brasiliana, o qualsiasi cosa offra loro - -occasione per litigare. Ma mi piacciono queste edere: le foglie sono a forma di - -cuore, e a strofinarle fra le dita si sente odore di cannella. - -Andai vicino all'oblò e osservai la luce riflessa che penetrava sempre più - -intensa nel Paradiso. Il Paradiso segue il tempo di Greenwich; grandi specchi di - -Mylar ruotano da qualche parte, nel vuoto, in orario per l'alba a Greenwich. Fra - -gli alberi cominciò il canto registrato degli uccelli. Gli uccelli hanno la vita dura - -in assenza di vera gravità. Non possiamo averne di veri, perché impazziscono a - -cercare di volare con la forza centrifuga. - -La prima volta che lo si vede, il Paradiso tiene fede al suo nome: - -lussureggiante, fresco, luminoso, l'erba alta punteggiata di fiori selvatici. Il che - -dura finché non si sa che la maggior parte degli alberi sono artificiali. O quanto - -sia difficile mantenere un equilibrio ottimale fra le alghe verde-azzurro e le - -diatomee negli stagni. Charmain dice sempre che si aspetta di vedere Bambi - -trotterellare fuori dal bosco e Hiro afferma di sapere esattamente quanti - -ingegneri della Walt Disney hanno giurato di mantenere il segreto in base alla - -Legge perla Sicurezza Nazionale. - -— Riceviamo dei frammenti dalla Hoffmannstahl — disse Hiro. Era quasi - -come se parlasse a se stesso; stava formandosi la gestalt manipolatore- - -surrogato, e ben presto avremmo cessato di essere consapevoli l'uno dell'altro. - -L'effetto dell'adrenalina stava svanendo. — Niente di molto coerente: “Schöne - -Maschine” o qualcosa del genere. . “Bella macchina”. . Hillary dice che sembra - -molto calma, ma è completamente partita. — Non parlarmene. Non voglio - -previsioni, d'accordo? Entriamo alla cieca. — Aprii il boccaporto e respirai una - -boccata di aria del Paradiso; era come vino bianco fresco. — Dov'è Charmain? - -Lui sospirò, un fruscio di interferenze. — Charmain dovrebbe essere nella - -Radura Cinque a occuparsi di un cileno che è arrivato tre giorni fa. Ma non c'è. - -Ha sentito che stavi arrivando. Ti sta aspettando vicino allo stagno delle carpe. - -Stronza — aggiunse. - -Charmain stava gettando sassolini a una carpa cinese. Aveva un mazzetto di - -fiori bianchi infilati dietro un orecchio e una Malboro spiegazzata dietro l'altro. - -Era scalza, i piedi sporchi di fango, e aveva tagliato i calzoni della tuta a metà - -coscia. I capelli neri erano raccolti a coda di cavallo. - -Ci eravamo incontrati per la prima volta a una festa in una delle officine di - -saldatura, fra voci ubriache che rimbombavano nel vuoto della sfera in lega e - -vodka fatta in casa a zero-g. Qualcuno aveva portato una bottiglia d'acqua per - -allungare il liquore, ne aveva strizzato fuori un paio di manciate e ne aveva - -formato abilmente una palla floscia e roteante tenuta insieme dalla tensione - -superficiale, che ci eravamo passati in giro. Ma io sono piuttosto goffo a zero-g, e - -quando venne il mio turno ci infilai dentro una mano. Mi scossi un migliaio di - -palline argentee dai capelli, agitando le mani e roteando su me stesso, e la donna - -vicino a me rideva facendo lente capriole: una ragazza alta e magra, con i capelli - -neri. Indossava quei pantaloni larghi, allacciati con cordoni, che i turisti si - -portano a casa da Tsiolkovskij, e una maglietta NASA di tre misure troppo - -grande. Un minuto dopo, mi raccontava del volo a vela con i ragazzi “tsiolniki”, e - -di come erano orgogliosi della marijuana leggera che coltivavano in uno dei - -cilindri per il grano. Non mi resi conto che era anche lei un surrogato, finché - -Hiro si inserì per dirci che la festa era finita. Era venuta a vivere con me una - -settimana dopo. - -— Un minuto, d'accordo? — Hiro digrignò i denti, un suono orribile. — Uno - -solo, non di più. — Poi uscì dal circuito; forse non stava neppure ascoltando. - -— Come vanno le cose nella radura Cinque? — Mi accucciai vicino a lei e - -trovai dei sassi per me. - -— Tutto abbastanza tranquillo. Ho dovuto lasciarlo per un po', gli ho dato - -degli ipnotici. Il mio traduttore mi ha detto che stavi salendo. - -— Charmain ha un accento texano che fa sembrare qualsiasi parola una - -volgarità. - -— Credevo che parlassi spagnolo. Il tipo è cileno, no? — Buttai uno dei miei - -sassolini nello stagno. - -— Io parlo messicano. I duri della sezione cultura hanno detto che non gli - -sarebbe piaciuto il mio accento. Meglio così, comunque. Non riesco a seguirlo - -quando parla in fretta. — Uno dei suoi sassolini seguì il mio, creando anelli - -nell'acqua. — Cioè sempre. — Una carpa si avvicinò per vedere se il sasso era - -buono da mangiare. — Non ce la farà. — Non mi stava guardando. La voce era - -perfettamente inespressiva. — Il piccolo Jorge decisamente non ce la farà. - -Scelsi il sasso più piatto che avevo e cercai di farlo rimbalzare sulla superficie, - -ma affondò. Meno sapevo di Jorge il cileno, meglio era. Sapevo che era vivo, che - -faceva parte del dieci per cento. Quelli che arrivano morti sono il venti per cento. - -Suicidio. Il 70 per cento dei relitti umani sono candidati ai Reparti: sono quelli - -che se la fanno addosso, che gorgogliano suoni senza senso, quelli partiti del - -tutto. Charmain ed io siamo surrogati per il rimanente dieci per cento. - -Se i primi a tornare avessero portato con sé solo conchiglie, dubito che ci - -sarebbe un Paradiso. Il Paradiso era stato costruito dopo che un francese era - -tornato con un anello di 12 centimetri di acciaio registrato magneticamente - -stretto nella mano fredda, macabra parodia del bambino fortunato che vince un - -giro gratis sulla giostra. Forse non scopriremo mai dove se lo sia procurato, ma - -quell'anello era la stele di Rosetta del cancro. Perciò adesso è l'epoca del culto - -delle perline, per la razza umana. Possiamo raccogliere cose, là fuori, che non - -troveremmo mai neanche in mille anni di ricerche. Charmain dice che siamo - -come quei poveri selvaggi nella loro isola che passavano il tempo a costruire - -piste di atterraggio, nella speranza di far tornare i grandi uccelli d'argento. - -Charmain dice che il contatto con una civiltà “superiore” è qualcosa che non - -augurerebbe neppure al suo peggior nemico. - -— Ti sei mai chiesto come hanno immaginato di farci questo bel pacco, Toby? - -— Guardava con gli occhi socchiusi verso est, lungo il nostro paese cilindrico - -verde e privo di orizzonte. — Dovevano esserci tutti i pezzi grossi, l'élite dei - -frugacervelli, seduti attorno a un lungo tavolo di palissandro finto fornito dal - -Pentagono. Un block notes intonso per ciascuno e una matita nuova di zecca, - -appuntita appositamente per l'occasione. C'erano tutti: freudiani, junghiani, - -adleriani, quegli stronzi di seguaci di Skinner, eccetera. E ognuno di quei - -bastardi ha capito in cuor suo che era il momento di giocare le carte migliori. - -Come professione, non solo come rappresentanti di una certa fazione. La - -psichiatria occidentale incarnata. E non succede niente! La gente torna morta - -dall'Autostrada, oppure biascicando e canticchiando canzoncine da bambini. - -Quelli vivi durano circa tre giorni, non dicono un accidente, poi si sparano o - -diventano catatonici. — Prese dalla cintura una piccola torcia elettrica e ne - -spezzò il guscio di plastica, estraendo il riflettore parabolico. — Il Cremlino urla. - -La CIA dà i numeri. E cosa ancora più grave, le multinazionali che dovrebbero - -sostenere lo spettacolo cominciano a ripensarci. “Astronauti morti? Nessuna - -informazione? Niente soldi, amici.” Perciò stanno diventando nervosi, tutti - -questi supercervelloni, finché qualche svitato, qualche buffone, magari di - -Berkeley, dice — e la sua pronuncia strascicata divenne pastosa, come quella di - -qualcuno su di giri — “Ehi, sentite, perché non mettiamo questa gente in un - -posto davvero carino sul serio, con un sacco di droga veramente O.K. e qualcuno - -con cui possa davvero “comunicare”, eh?” — Rise e scosse la testa. Stava usando - -il riflettore per accendere la sigaretta, concentrando la luce del sole. Non ci - -danno fiammiferi: le fiamme sconvolgono l'equilibrio fra ossigeno e ossido di - -carbonio. Un sottile filo di fumo grigio si alzò dal punto focale incandescente. - -— Okay — disse Hiro — il minuto è passato. — Guardai l'orologio. - -Dovevano esserne passati almeno tre. - -— Buona fortuna — disse lei sottovoce, fingendo di essere intenta alla - -sigaretta. — Dio ti aiuti. - -La promessa del dolore. È lì, ogni volta. Sai cosa succederà, ma non sai quando, - -né esattamente come. Cerchi di tenerti stretto a loro, li culli nel buio. Ma se ti - -prepari al dolore, non puoi funzionare. C'è una poesia che Hiro cita: “Insegnaci - -ad avere e non avere a cuore qualcosa”. - -Siamo come mosche intelligenti che vagano in un aeroporto internazionale. - -Alcuni di noi riescono a salire su un volo per Londra o per Rio, magari - -sopravvivono al viaggio e tornano indietro. “Ehi” dicono le altre mosche “cosa - -succede dall'altra parte di quella porta? Cosa sanno loro che noi non sappiamo?” - -Ai bordi dell'Autostrada ogni linguaggio umano si disfa fra le mani. . tranne forse - -il linguaggio dello sciamano, del cabalista, il linguaggio del mistico intento a - -tracciare la mappa delle gerarchie dei demoni, degli angeli, dei santi. - -Ma l'Autostrada è governata da regole, e ne abbiamo imparate alcune. - -Ci danno qualcosa a cui aggrapparci. - -REGOLA NUMERO UNO: Una persona sola a viaggio; niente squadre, niente - -coppie. - -REGOLA NUMERO DUE: Nessuna intelligenza artificiale. Qualunque cosa ci sia - -là fuori non si ferma certo davanti a una macchina furba. Almeno non del tipo - -che sappiamo costruire noi. - -REGOLA NUMERO TRE: Gli strumenti di registrazione sono una perdita di - -tempo; tornano sempre fuori uso. - -La vicenda di Santa Olga ha fatto sorgere decine di nuove scuole, eresie - -sempre più brillanti ed eleganti, ciascuna con la speranza di aprirsi un varco - -nella via segreta. Ad una ad una, cadono. Nel silenzio sussurrante delle notti in - -Paradiso, sembra quasi di sentirle andare in frantumi, teorie che si trasformano - -in polvere mentre il lavoro di una vita del pool di cervelli di qualche - -multinazionale si riduce a una concisa nota storica, e tutto questo nel tempo che - -impiega un viaggiatore a mormorare qualche parola nel buio. Mosche in un - -aeroporto, che fanno l'autostop. Le mosche sono pregate di non rivolgere troppe - -domande. Le mosche sono pregate di non cercare di capire il Grande Piano. - -Ripetuti tentativi in questa direzione portano inevitabilmente al lento - -inarrestabile sbocciare della paranoia, la mente che proietta immense forme - -scure sulle pareti della notte, forme che solidificano, diventano pazzia, religione. - -Le mosche furbe si accontentano della teoria della Scatola Nera; la Scatola Nera è - -la metafora corrente: l'Autostrada rimane variabile indipendente in ogni - -equazione sensata. Non dobbiamo preoccuparci di cosa sia l'Autostrada, o di chi - -l'abbia costruita. Concentriamoci invece su quello che mettiamo nella Scatola - -Nera, e su quello che ne ricaviamo. Ci sono cose che mandiamo lungo - -l'Autostrada (una donna di nome Olga, la sua nave, tante altre che sono seguite), - -e cose che tornano indietro (una donna impazzita, una conchiglia, frammenti di - -tecnologia aliena). I teorici della Scatola Nera dicono che la nostra prima - -preoccupazione è di ottimizzare lo scambio. Noi siamo qui per assicurarci che la - -nostra specie abbia il suo tornaconto. E tuttavia, certe cose stanno diventando - -sempre più evidenti; una di queste è che non siamo le sole mosche ad aver - -trovato la strada dell'aeroporto. Abbiamo raccolto i prodotti di almeno cinque o - -sei culture ampiamente divergenti. “Altri selvaggi”, li chiama Charmain. Siamo - -come topi nella stiva di un mercantile, che scambiano piccole cianfrusaglie con i - -topi di altri porti. E sognano le luci splendenti, la grande città. Limitiamoci al - -Dentro e al Fuori. Leni Hofmannstahl: Fuori. - -Mettemmo in scena il ritorno a casa di Leni nella Radura Tre, detta anche - -Eliseo. Mi acquattai in una macchia di riproduzioni di aceri giovani ed esaminai - -la nave. In origine era simile a una libellula senza ali, con l'addome sottile lungo - -dieci metri, in cui era alloggiato il motore a reazione. Ora, senza motore, - -sembrava una pupa biancastra, gli occhi sporgenti da larva pieni del tradizionale - -ammasso di sensori e sonde. Era appoggiata su una collinetta al centro della - -radura, progettata appositamente per accogliere vascelli di varie forme. Quelli - -nuovi sono più piccoli, come lavatrici da Grand Prix, baccelli minimali senza - -pretesa di essere navi da esplorazione. Moduli per relitti umani. - -— Non mi piace — disse Hiro. — Questa storia non mi piace. C'è qualcosa che - -non va. . — Sembrava che parlasse con se stesso; sembravo Io che parlavo con - -me stesso, il che significava che la gestalt manipolatore-surrogato era quasi - -operativa. Inserito nel mio ruolo, non sono più l'uomo di punta dell'orecchio - -avido del Paradiso, una sonda specializzata collegata via radio con uno - -psichiatra ancora più specializzato; quando la gestalt entra in azione, Hiro ed io - -ci fondiamo in qualcosa di diverso, qualcosa che non potremo mai ammettere - -l'uno con l'altro, non mentre succede. La nostra relazione farebbe venire gli - -incubi a un freudiano classico. Sapevo che aveva ragione: questa volta c'era - -qualcosa di veramente fuori posto. La radura era più o meno circolare. Doveva - -esserlo: si trattava in realtà di un cerchio di 15 metri tagliato nel pavimento del - -Paradiso e mascherato da prato alpino. Avevano staccato il motore di Leni, - -rimorchiato la nave nel cilindro esterno, abbassato la radura fino alla camera di - -decompressione, poi avevano sollevato la nave in Paradiso come una torta su un - -grande vassoio coperto d'erba e fiori selvatici. Avevano accecato i sensori - -saturandoli di trasmissioni e avevano sigillato oblò e portello. In teoria Paradiso - -dovrebbe essere una sorpresa per i nuovi arrivati. - -Mi chiesi se Charmain era già tornata da Jorge. Forse gli stava cucinando - -qualcosa, uno dei pesci che “peschiamo”, vale a dire che ci vengono liberati fra le - -mani dalle gabbie in fondo allo stagno. Immaginai l'odore di pesce fritto, chiusi - -gli occhi e immaginai Charmain che guadava l'acqua bassa, goccioline scintillanti - -che le scendevano lungo le cosce, una ragazza dalle lunghe gambe in uno stagno - -del Paradiso. - -— Vai, Toby! Adesso! - -Mi sentii rintronare il cranio. L'addestramento e i riflessi gestalt mi avevano - -già portato a metà della radura. — Maledizione, maledizione, maledizione. . — - -Era il mantra di Hiro, e allora capii che era tutto, TUTTO sbagliato. Hillary la - -traduttrice si sentiva in sottofondo, voce B.B.C. stridula come ghiaccio spezzato, - -che snocciolava veloce qualcosa a proposito di mappe anatomiche. Hiro doveva - -aver usato i comandi a distanza per aprire il portello, ma non aspettò che si - -spalancasse da solo. Azionò i sei bulloni esplosivi inseriti nello scafo, e l'intero - -meccanismo venne espulso fuori, intatto. Mi mancò per un pelo. Mi ero spostato - -istintivamente. Poi mi arrampicai sul fianco liscio della nave, afferrando la - -struttura a nido d'ape all'interno del portello; il meccanismo di scoppio si era - -portato via anche la scaletta. - -E lì mi bloccai, rannicchiato nell'odore di esplosivo al plastico, perché fu allora - -che la Paura mi raggiunse per la prima volta. Avevo già sentito altre volte la - -Paura, ma solo i margini, la punta più esterna. Adesso era enorme, il vuoto stesso - -della notte, un nulla freddo e implacabile. Erano le ultime parole, lo spazio - -profondo, ogni lungo addio nella storia della nostra specie. Mi rannicchiai - -gemendo. Tremavo, strisciavo, piangevo. Ce la spiegano, ci avvertono cercano di - -mostrarcela come un tipo di agorafobia temporanea endemica al nostro lavoro. - -Ma noi sappiamo cos'è; i surrogati lo sanno, i manipolatori non possono saperlo. - -Nessuna spiegazione si è mai avvicinata alla realtà. - -È la Paura , il lungo dito della Grande Notte, il buio che nutre di dannati - -biascicanti le bianche e gentili fauci dei Reparti. Olga l'ha conosciuta per prima, - -Santa Olga. Ha cercato di nasconderci ad essa, assalendo a mani nude - -l'apparecchiatura radio fino a farsele sanguinare, per impedire che la nave - -trasmettesse, pregando che la Terra la perdesse, che la lasciasse morire. . - -Hiro era frenetico, ma doveva aver capito, e sapeva che cosa fare. Mi colpì con - -il bottone del dolore. Forte. Più volte, come con un pungolo per il bestiame. Mi - -costrinse a entrare nella nave. Mi mandò avanti attraverso la Paura. - -Oltre la Paura, c'era una stanza. Silenzio, e un odore estraneo, l'odore di una - -donna. - -Il modulo era piccolo, consumato, quasi simile a una casa, la plastica strappata - -della cuccetta di accelerazione rappezzata con pezzi di nastro argenteo che si - -stavano scollando. Tutto sembrava adattarsi a un'assenza. Lei non c'era. Poi vidi - -il fregio assurdo disegnato a biro: simboli indecifrabili, migliaia di piccole figure - -oblunghe, distorte, che si intersecavano e sovrapponevano. Macchiato da ditate, - -patetico, copriva la maggior parte della paratia di poppa. Hiro era - -un'interferenza, che sussurrava, implorava. “Trovala, Toby, subito, ti prego, - -Toby, trovala, trovala, trova. .” La trovai nella cabina chirurgica, una piccola - -alcova a fianco del corridoio. Sopra di lei la “Schöne Maschine”, il manipolatore - -chirurgico, scintillante, le sue braccia sottili e lucide ripiegate in ordine, arti - -cromati da granchio, con emostatici, forcipi, bisturi laser. Hillary era isterica, la - -sentivo indistinta su un canale lontano, che diceva qualcosa sull'anatomia del - -braccio umano, i tendini, le arterie, tassonomia elementare. Hillary urlava. Non - -c'era sangue. Il manipolatore è una macchina pulita, capace di lavorare senza - -sporcare a zero-g, aspirando il sangue. Era morta un momento prima che Hiro - -facesse saltare il portello, il braccio destro allungato sul piano di lavoro di - -plastica bianca come un disegno medievale, senza pelle, i muscoli e gli altri - -tessuti sistemati simmetricamente, tenuti fermi da spilli da dissezione in acciaio - -inossidabile. Era morta dissanguata. Un manipolatore chirurgico è programmato - -contro il suicidio, ma può servire anche per sezionare campioni biologici da - -conservare. - -Lei aveva trovato un sistema per ingannarlo. Ci si riesce quasi sempre con le - -macchine, se si ha tempo a disposizione. E lei aveva avuto otto anni. - -Era stesa nell'intelaiatura pieghevole, una cosa simile allo scheletro - -fossilizzato di una poltrona da dentista. Attraverso di essa potevo vedere la - -scritta sbiadita sulla schiena della sua tuta, il marchio di un'industria elettronica - -della Germania Ovest. Cercai di dirglielo. Dissi: — Ti prego, sei morta. Perdonaci, - -siamo venuti ad aiutarti, Hiro ed io. Capisci? Lui sà, Hiro; è qui nella mia testa. Ha - -letto il tuo dossier, il tuo profilo sessuale, i tuoi colori preferiti, conosce le tue - -paure infantili, il tuo primo amante, il nome di un insegnante che ti piaceva. E io - -ho i feromoni giusti, sono un arsenale ambulante di droghe. Qualcosa qui ti - -piacerà di sicuro. E sappiamo mentire, Hiro ed io; siamo dei campioni a dire - -bugie. Ti prego. Devi capire. Perfetti estranei, ma Hiro ed io siamo per te - -l'estraneo perfetto, Leni. - -Era una donna piccola, bionda, i capelli lisci prematuramente spruzzati di - -grigio. Le toccai i capelli, una volta, e uscii sulla radura. Mentre ero fermo lì, - -l'erba alta rabbrividì, i fiori cominciarono a tremare, ed iniziammo la nostra - -discesa, con la nave al centro del suo ascensore rotondo e collinoso. La radura - -uscì dal Paradiso, e la luce del sole andò persa fra il bagliore delle grosse - -lampade a vapore, che gettavano ombre dure sull'ampio ponte della camera di - -decompressione. Figure in tuta rossa che correvano. Un'automobilina rossa - -eseguì una curva ad U sulle gomme larghe, per evitarci. - -Nevsky, il californiano del K.G.B., aspettava ai piedi della scaletta che avevano - -spinto fino alla radura. Non lo vidi finché non fui arrivato in fondo. - -— Devo prendere le droghe, signor Halpert. - -Mi fermai lì, ondeggiando sbattendo le palpebre per le lacrime. Lui allungò - -una mano per sorreggermi. Mi chiesi se sapeva perché era lì nel portello, una - -tuta gialla in territorio rosso. Ma probabilmente non gli interessava; sembrava - -che non gli interessasse niente, aveva con sé il suo taccuino. - -— Devo prenderle, signor Halpert. - -Io mi tolsi la tuta, l'arrotolai e gliela porsi. Lui la infilò in una borsa di plastica, - -mise la borsa in una valigetta legata al polso sinistro con una catena, e fece - -girare la ruota della combinazione. - -— Non prenderle tutte insieme, ragazzo — dissi. Poi svenni. - -Quella notte, tardi, Charmain portò nella mia cabina una tenebra tutta - -speciale: dosi sigillate in alluminio spesso. Era completamente diversa - -dall'oscurità della Grande Notte, quel buio senziente e famelico, appostato in - -attesa di trascinare i malcapitati nei Reparti, il buio che genera la paura. Era - -un'oscurità simile alle ombre che si possono vedere dal sedile posteriore - -dell'auto in una notte piovosa quando si ha cinque anni e si sta tranquilli e al - -caldo. Charmain è molto più abile di me quando si tratta di fregare i controllori, - -quelli come Nevsky. - -Non le chiesi perché era tornata dal Paradiso, o cosa era successo a Jorge. Lei - -non mi chiese niente di Leni. - -Hiro era sparito, non si era più fatto sentire. L'avevo visto quando avevamo - -fatto rapporto, quel pomeriggio. Come al solito, i nostri occhi non si erano - -incontrati. Non aveva importanza. Sapevo che sarebbe tornato. Era stato un - -episodio come un altro, in effetti. Un brutto giorno in Paradiso, ma non è mai - -facile. È dura sentire la Paura per la prima volta, ma avevo sempre saputo che - -era lì, in attesa. Avevano parlato dei grafici di Leni, dei suoi schizzi a biro di - -catene molecolari che si spostano a comando. Molecole che possono funzionare - -come interruttori, elementi logici, perfino una specie di circuito, costruito a - -strati in una singola molecola molto grande, un computer piccolissimo. - -Probabilmente non sapremo mai cosa ha incontrato là fuori; probabilmente non - -conosceremo mai i particolari della transazione. Potrebbe essere peggio - -scoprirlo. Non siamo l'unica tribù a vivere nell'hinterland, a frugare fra i rifiuti. - -Maledetta Leni, maledetto quel francese, maledetti tutti quelli che riportano - -indietro cure per il cancro, conchiglie, cose senza nome. . che ci tengono qui ad - -aspettare, che riempiono i Reparti, che portano la Paura. Mi aggrappai a quel - -buio caldo e vicino, e al lento respiro di Charmain, al ritmo del mare. Sei - -abbastanza in alto, quassù; sentirai il mare giù in fondo, oltre i disturbi della - -radio ossea. È qualcosa che portiamo con noi, per quanto lontani da casa. - -Charmain si mosse vicino me, mormorò il nome di uno straniero, il nome di - -qualche viaggiatore passato da tempo nei Reparti. Detiene un record; ha tenuto - -vivo un uomo per due settimane finché non si è cavato gli occhi con i pollici. Lei - -ha urlato per tutta la discesa, si è spezzata le unghie sul coperchio di plastica - -dell'ascensore. Poi le hanno dato dei sedativi. - -Ma entrambi abbiamo la spinta, quel particolare bisogno, quella folle dinamica - -che ci costringe a tornare in Paradiso. Entrambi ce la siamo procurata nello - -stesso modo, aspettando per settimane nelle nostre piccole navi che l'Autostrada - -ci prendesse. E una volta lanciato l'ultimo segnale, i rimorchiatori ci hanno - -portati qui. Qualcuno non viene preso, e nessuno sa perché. E non si ha mai una - -seconda occasione. Dicono che è troppo costoso, ma quello che in realtà vogliono - -dire, mentre ti guardano le bende sui polsi, è che sei troppo prezioso, troppo - -utile per loro come potenziale surrogato. Non preoccuparti per il tentativo di - -suicidio, ti diranno: succede sempre. È perfettamente comprensibile: la reazione - -per essere stati respinti. Ma io volevo andare, lo desideravo tanto. Anche - -Charmain. Lei ha provato con le pillole. Ma loro hanno lavorato su di noi, ci - -hanno cambiato un po', hanno raddrizzato le nostre pulsioni ci hanno innestato - -la radio ossea e accoppiato con i manipolatori. Olga deve averlo saputo, deve - -aver capito tutto, in qualche maniera, e ha cercato di impedirci di trovare la - -strada per tornare dove lei era stata. Sapeva che se l'avessimo trovata avremmo - -dovuto andare. Anche adesso, sapendo ciò che so, vorrei andare. Non andrò mai. - -Ma possiamo dondolarci qui, in questo buio che si innalza sopra di noi, con la - -mano di Charmain nella mano. L'involucro strappato della droga fra le mani. E - -Santa Olga ci sorride dalle pareti; sappiamo che è lì, tutte quelle stampe della - -stessa foto, strappate e appiccicate ai muri della notte, il suo bianco sorriso, per - -sempre. +Ma possiamo dondolarci qui, in questo buio che si innalza sopra di noi, con la mano di Charmain nella mano. L'involucro strappato della droga fra le mani. E Santa Olga ci sorride dalle pareti; sappiamo che è lì, tutte quelle stampe della stessa foto, strappate e appiccicate ai muri della notte, il suo bianco sorriso, per sempre. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/06_new_rose_hotel.md b/Gibson/06_new_rose_hotel.md index 97502ab..5c282b8 100644 --- a/Gibson/06_new_rose_hotel.md +++ b/Gibson/06_new_rose_hotel.md @@ -2,816 +2,262 @@ _(New Rose Hotel, 1983)_ -Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii. New Rose Hotel. Come ti +Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii. New Rose Hotel. Come ti desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo tutto adagio, dolcemente e crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche volta prendo dalla borsa la tua piccola automatica e faccio scorrere il pollice sulla cromatura liscia, da poco prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della canna non più grande della pupilla dilatata del tuo occhio scomparso. -desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo tutto adagio, dolcemente e +Fox è morto, Sandii. -crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche volta prendo dalla borsa la tua +Fox mi aveva detto di dimenticarti. -piccola automatica e faccio scorrere il pollice sulla cromatura liscia, da poco +Ricordo Fox appoggiato al bancone imbottito di un bar in qualche albergo di Singapore, Bencoolen Street, le sue mani che descrivono sfere di influenza, rivalità interne, l'arco di tutta una carriera, un punto debole scoperto nella corazza di qualche centro di ricerca. Fox era un uomo di punta nella guerra dei cervelli, l'intermediario del traffico interaziendale. Era un soldato nella guerra segreta delle “zaibatsu”, le multinazionali che controllavano intere economie. -prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della canna non più grande della pupilla +Vedo Fox che sorride, parlando rapidamente, lasciando cadere il racconto delle mie imprese nello spionaggio industriale con una scossa del capo. Il Talento, diceva, devi cercare il Talento. Faceva sentire bene la T maiuscola. Il Talento era il Sacro Graal di Fox, quella frazione di genio fondamentale, non trasferibile, chiusa nel cervello dei migliori ricercatori del mondo. -dilatata del tuo occhio scomparso. +Non si può mettere il Talento su carta, diceva Fox, non si può registrare il Talento su un dischetto. -Fox è morto, Sandii. +I disertori delle multinazionali significavano soldi. Fox era un tipo simpatico. -Fox mi aveva detto di dimenticarti. +La severità dei suoi vestiti francesi scuri era temperata da una ciocca di capelli perennemente scomposta, da ragazzino. Non mi è mai piaciuto il modo in cui l'effetto si rovinava quando si spostava dal bar. La spalla sinistra era contorta a un angolo che nessun sarto di Parigi poteva nascondere. Qualcuno gli era passato sopra con un taxi a Berna, e nessuno aveva saputo rimetterlo a posto. -Ricordo Fox appoggiato al bancone imbottito di un bar in qualche albergo di +Immagino di essere andato con lui perché mi aveva detto di essere alla ricerca del Talento. -Singapore, Bencoolen Street, le sue mani che descrivono sfere di influenza, +E mentre cercavamo il Talento, a un certo punto, trovai te, Sandii. Il New Rose Hotel è una rastrelliera di bare ai margini frastagliati del Narita International. -rivalità interne, l'arco di tutta una carriera, un punto debole scoperto nella +Capsule di plastica alte un metro e lunghe tre, ammucchiate come denti di Godzilla in uno spiazzo di cemento ai lati della strada principale per l'aeroporto. -corazza di qualche centro di ricerca. Fox era un uomo di punta nella guerra dei +Ciascuna capsula ha una televisione montata a filo del soffitto. Passo intere giornate a guardare concorsi a premio giapponesi e vecchi film. Qualche volta tengo la tua pistola in mano. -cervelli, l'intermediario del traffico interaziendale. Era un soldato nella guerra +Qualche volta sento i jet che intrecciano rotte di attesa sul Narita. Chiudo gli occhi e immagino le scie nette e bianche che sfumano nel vento. -segreta delle “zaibatsu”, le multinazionali che controllavano intere economie. +Tu stavi entrando in un bar di Yokohama, la prima volta che ti ho vista. -Vedo Fox che sorride, parlando rapidamente, lasciando cadere il racconto delle +Eurasiana, mezza “gaijm”, anche lunghe e passo fluido, con addosso la copia cinese di un modello di qualche stilista di Tokyo. Occhi scuri, europei, zigomi asiatici. Ti ricordo mentre vuotavi la borsetta sul letto, più tardi, in qualche stanza d'albergo, frugando fra gli arnesi per il trucco. Un rotolo spiegazzato di nuovi yen, un'agendina sfasciata tenuta insieme con elastici, un chip bancario Mitsubishi, passaporto giapponese con il crisantemo d'oro stampato sulla copertina, e la 22 cinese. -mie imprese nello spionaggio industriale con una scossa del capo. Il Talento, +Mi raccontasti la tua storia. Tuo padre era stato un dirigente, a Tokyo, ma era caduto in disgrazia, ripudiato e umiliato dall'Hosaka, la più grande “zaibatsu” di tutte. Quella notte tua madre era olandese, e ti ascoltai mentre mi raccontavi di quelle estati ad Amsterdam, i piccioni di piazza Dam come un tappeto marrone, morbido. Non ti ho mai chiesto cosa aveva fatto tuo padre per cadere in disgrazia. Ti guardai mentre ti vestivi, guardai i tuoi capelli scuri e dritti che quasi fendevano l'aria. -diceva, devi cercare il Talento. Faceva sentire bene la T maiuscola. Il Talento era +Adesso l'Hosaka mi sta dando la caccia. -il Sacro Graal di Fox, quella frazione di genio fondamentale, non trasferibile, +Le bare del New Rose sono sistemate su una impalcatura riciclata. Tubi di acciaio verniciati di chiaro. La pittura si stacca quando salgo la scaletta, cade a ogni passo quando cammino sulla passerella. Con la sinistra conto i portelli e le loro etichette poliglotte che avvertono della multa per la perdita delle chiavi. -chiusa nel cervello dei migliori ricercatori del mondo. +Alzo gli occhi a guardare gli aerei che partono da Narita, verso casa, lontana adesso come la Luna. -Non si può mettere il Talento su carta, diceva Fox, non si può registrare il +Fox fu veloce ad accorgersi di come potevamo servirci di te, ma non abbastanza acuto da attribuirti ambizioni. Ma d'altra parte, lui non è mai rimasto sdraiato con te tutta la notte sulla spiaggia di Kamakura, non ha mai ascoltato i tuoi incubi, non ha mai ascoltato i ricordi di un'immaginaria infanzia mutare sotto quelle stelle, mutare e rotolare su se stessa, la tua bocca da bambina che si apriva per rivelare qualche nuovo passato, e ogni volta giuravi che era quello vero, quello autentico. -Talento su un dischetto. +Non mi importava, mentre ti tenevo i fianchi, mentre la sabbia ti si raffreddava sulla pelle. -I disertori delle multinazionali significavano soldi. Fox era un tipo simpatico. +Una volta mi hai lasciato e sei corsa verso quella spiaggia dicendo che avevi dimenticato la nostra chiave. La trovai nella porta e venni a cercarti, e ti trovai con i piedi nella risacca, la schiena liscia irrigidita, tremante, gli occhi persi lontano. Non riuscivi a parlare. Avevi i brividi. Brividi per futuri differenti e passati migliori. -La severità dei suoi vestiti francesi scuri era temperata da una ciocca di capelli +Sandii, mi hai lasciato qui. -perennemente scomposta, da ragazzino. Non mi è mai piaciuto il modo in cui +Mi hai lasciato tutte le tue cose. -l'effetto si rovinava quando si spostava dal bar. La spalla sinistra era contorta a +Questa pistola. Il trucco, tutte le ombre e i rossori incapsulati in plastica. Il microcomputer Cray, regalo di Fox, con una lista di spese che vi hai registrato. -un angolo che nessun sarto di Parigi poteva nascondere. Qualcuno gli era +Qualche volta la richiamo, facendo passare gli articoli sul piccolo schermo argenteo. -passato sopra con un taxi a Berna, e nessuno aveva saputo rimetterlo a posto. +Un frigorifero. Un fermentatore. Un'incubatrice. Un sistema di elettroforesi con cella agarica integrata e transilluminatore. Un inclusore di tessuti. Un cromatografo per liquidi ad alta capacità. Un citometro a flusso. Uno spettrofotometro. Seicento fiale per scintillazione al boro-silicio. Una microcentrifuga. E un sintetizzatore di D.N.A. con computer incorporato. Più il software. Molto costoso, Sandii, ma allora era l'Hosaka a pagare il conto. Più tardi li hai fatti pagare ancora di più, ma te n'eri già andata. Hiroshi aveva preparato quella lista per te. A letto, probabilmente. -Immagino di essere andato con lui perché mi aveva detto di essere alla ricerca +Hiroshi Yomiuri. Lui era con la Maas Biolabs GmbH. L'Hosaka lo voleva. Era uno dei migliori. Aveva Talento, in abbondanza. Fox seguiva gli ingegneri genetici come un tifoso segue i giocatori della sua squadra. Fox voleva Hiroshi a tal punto che gli sembrava di sentirselo nel sangue. -del Talento. +Mi aveva mandato a Francoforte tre volte prima che comparissi tu, soltanto per farmi dare un'occhiata a Hiroshi. Non per tentare un approccio o fargli un saluto. Solo per guardarlo. Hiroshi aveva tutta l'aria di essersi sistemato. Aveva trovato una ragazza tedesca appassionata di loden tradizionali e stivali da cavallerizza lucidi color castano chiaro. Aveva comprato una casa ristrutturata, nella piazza giusta della città. Aveva cominciato a tirare di scherma, abbandonando il kendo. -E mentre cercavamo il Talento, a un certo punto, trovai te, Sandii. Il New Rose +E dappertutto le squadre di sicurezza della Maas, efficienti e massicce, una melassa attaccaticcia di sorveglianti. Tornai e dissi a Fox che non saremmo mai riusciti a raggiungerlo. Tu lo raggiungesti per noi, Sandii. Lo raggiungesti nel modo migliore. I nostri contatti con l'Hosaka erano come cellule specializzate che proteggevano l'organismo-madre. Noi eravamo mutageni, Fox ed io, ambigui agenti che stavano dalla parte nascosta dell'attività delle multinazionali. -Hotel è una rastrelliera di bare ai margini frastagliati del Narita International. +Dopo averti piazzato a Vienna, gli offrimmo Hiroshi. Non fecero una piega. -Capsule di plastica alte un metro e lunghe tre, ammucchiate come denti di +Calma mortale in una stanza d'albergo, a Los Angeles. Dissero che dovevano pensarci. -Godzilla in uno spiazzo di cemento ai lati della strada principale per l'aeroporto. +Fox disse il nome del principale concorrente dell'Hosaka nel campo genetico, lo svelò nudo e crudo, violando il protocollo che vietava di fare nomi. -Ciascuna capsula ha una televisione montata a filo del soffitto. Passo intere +Dissero che dovevano pensarci. -giornate a guardare concorsi a premio giapponesi e vecchi film. Qualche volta +Fox gli diede tre giorni. -tengo la tua pistola in mano. +Una settimana prima di portarti a Vienna ti portai a Barcellona. Ti ricordo con i capelli raccolti da un berretto grigio, gli zigomi alti, mongolici, riflessi nelle vetrine dei negozi di antiquariato. Passeggiando lungo le Ramblas, verso il porto fenicio, passando accanto al “Mercado” dal tetto dorato, dove vendevano arance africane. Il vecchio Ritz, con la nostra stanza calda e buia, e tutto il morbido peso dell'Europa su di noi come una trapunta. Potevo penetrarti mentre dormivi. Eri sempre pronta. Vedendo le tue labbra incurvarsi morbidamente per la sorpresa, la tua faccia che affondava nel cuscino spesso e giallo. . biancheria arcaica del Ritz. Dentro di te immaginavo tutte quelle luci al neon, la folla che si accalcava attorno alla stazione di Shinjuku, pazzesca notte elettrica. Tu ti muovevi in quella maniera, il ritmo della nuova era, sognante e lontano dal suolo di qualsiasi nazione. -Qualche volta sento i jet che intrecciano rotte di attesa sul Narita. Chiudo gli +Quando siamo arrivati a Vienna ti ho sistemato nell'albergo preferito della moglie di Hiroshi. Tranquillo, solido, hall con pavimento a scacchi di marmo, ascensori di ottone profumati di olio di limone e sigari. Era facile immaginarla lì, con gli stivali da cavallerizza lucidi riflessi sul marmo, ma noi sapevamo che non sarebbe venuta, non quella volta. -occhi e immagino le scie nette e bianche che sfumano nel vento. +Era in qualche stazione della Renania, e Hiroshi era a Vienna per una conferenza. Quando gli uomini della Maas arrivarono per ispezionare l'albergo, tu ti eri eclissata. -Tu stavi entrando in un bar di Yokohama, la prima volta che ti ho vista. +Hiroshi arrivò un'ora dopo, da solo. -Eurasiana, mezza “gaijm”, anche lunghe e passo fluido, con addosso la copia +Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra per identificare la forma di intelligenza dominante del pianeta. L'alieno dà un'occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io probabilmente alzai le spalle. -cinese di un modello di qualche stilista di Tokyo. Occhi scuri, europei, zigomi +Le “zaibatsu”, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una “zaibatsu” è fatto di informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che la compongono. Le aziende sono una forma di vita. -asiatici. Ti ricordo mentre vuotavi la borsetta sul letto, più tardi, in qualche +Io gli avevo detto di non farmi un'altra conferenza sul Talento. -stanza d'albergo, frugando fra gli arnesi per il trucco. Un rotolo spiegazzato di +Lui aveva detto che la Maas non era così, ignorandomi. La Maas era piccola, veloce, spietata. Un arcaismo. La Maas era tutto Talento. -nuovi yen, un'agendina sfasciata tenuta insieme con elastici, un chip bancario +Ricordo Fox parlare della natura del Talento di Hiroshi. Nucleasi radioattive, anticorpi monoclonali, qualcosa che aveva a che fare con la concatenazione delle proteine, dei nucleotidi. . Fox le chiamava proteine calde. Catene ad alta velocità. -Mitsubishi, passaporto giapponese con il crisantemo d'oro stampato sulla +Diceva che Hiroshi era un fenomeno, il tipo capace di mandare in frantumi i paradigmi, di rovesciare un campo intero del sapere, di costringere con la forza alla revisione di un intero corpo di conoscenze. Brevetti fondamentali, diceva, con la voce arrochita immaginando simili ricchezze, l'odore ideale acuto e sottile dei milioni esentasse che emanavano. -copertina, e la 22 cinese. +L'Hosaka voleva Hiroshi, ma il suo Talento era tanto radicale da preoccuparli. -Mi raccontasti la tua storia. Tuo padre era stato un dirigente, a Tokyo, ma era +Lo volevano per farlo lavorare in isolamento. -caduto in disgrazia, ripudiato e umiliato dall'Hosaka, la più grande “zaibatsu” di +Andai a Marrakech, nella città vecchia, la Medina. Trovai un laboratorio per la raffinazione dell'eroina convertito per l'estrazione di feromoni. Lo comprai, con i soldi dell'Hosaka. Passeggiai nel mercato di Djemaa-el-Fta con un uomo d'affari portoghese sudaticcio, discutendo dell'illuminazione fluorescente e dell'installazione di gabbie ventilate per animali da esperimento. Oltre le mura della città si vedeva la catena dell'Atlante. Djemaa-el-Fta era piena di saltimbanchi, danzatori, narratori di storie, ragazzini che facevano girare i torni a pedale, mendicanti senza gambe che protendevano le tazze di legno sotto ologrammi animati che propagandavano software francesi. -tutte. Quella notte tua madre era olandese, e ti ascoltai mentre mi raccontavi di +Camminammo accanto a balle di lana grezza e bidoni di plastica con microchip cinesi. Gli diedi a intendere che i miei datori di lavoro intendevano fabbricare beta-endorfina sintetica. Conviene dire sempre qualcosa che possano capire. -quelle estati ad Amsterdam, i piccioni di piazza Dam come un tappeto marrone, +Sandii, ti ricordo ad Harajuku, qualche volta. Chiudo gli occhi in questa bara e ti vedo là, fra lo scintillio del labirinto di cristallo delle boutique, l'odore dei vestiti nuovi. Vedo i tuoi zigomi passare davanti agli scaffali cromati di pelletteria di Parigi. Qualche volta ti stringo la mano. -morbido. Non ti ho mai chiesto cosa aveva fatto tuo padre per cadere in +Credevamo di averti trovato, Sandii, ma in realtà eri stata tu a trovare noi. -disgrazia. Ti guardai mentre ti vestivi, guardai i tuoi capelli scuri e dritti che +Adesso so che ci stavi cercando, noi o qualcuno come noi. Fox era felice, sorrideva per la nostra scoperta: un nuovo, delizioso strumento, scintillante come un bisturi. Proprio quello che ci serviva per separare un Talento ostinato come Hiroshi dalla placenta della Maas Biolab. -quasi fendevano l'aria. +Dovevi aver cercato a lungo una via d'uscita, durante tutte quelle notti a Shinjuku. Notti che avevi accuratamente eliminato dal mazzo rimescolato del tuo passato. -Adesso l'Hosaka mi sta dando la caccia. +Il mio passato era sparito anni prima, perso insieme a tutto il resto, nessuna traccia. Capisco l'abitudine di Fox, a tarda notte, di vuotare il portafoglio e frugare tra i documenti di identificazione. -Le bare del New Rose sono sistemate su una impalcatura riciclata. Tubi di +Distribuiva i pezzi in configurazioni diverse, li spostava, aspettando che si formasse un'immagine. Sapevo cosa cercava. Tu facevi la stessa cosa con le tue svariate infanzie. -acciaio verniciati di chiaro. La pittura si stacca quando salgo la scaletta, cade a +Nel New Rose, questa notte, scelgo una carta dal tuo mazzo di passati. -ogni passo quando cammino sulla passerella. Con la sinistra conto i portelli e le +Scelgo la versione originale, il famoso testo della stanza d'albergo di Yokohama, recitatomi durante quella prima notte a letto. Scelgo il padre in disgrazia, il dirigente dell'Hosaka. Perfetto. E la madre olandese, le estati ad Amsterdam, il morbido tappeto di piccioni nel pomeriggio sulla piazza Dam. -loro etichette poliglotte che avvertono della multa per la perdita delle chiavi. +Passai dal caldo di Marrakech all'aria condizionata dell'Hilton. La camicia umida appiccicata alla schiena mentre leggevo il messaggio che mi avevi trasmesso attraverso Fox. Stavi arrivando; Hiroshi avrebbe lasciato la moglie. -Alzo gli occhi a guardare gli aerei che partono da Narita, verso casa, lontana +Non ti fu difficile comunicare con noi, anche attraverso la cortina strettissima dei servizi di sicurezza della Maas; avevi mostrato a Hiroshi il posticino perfetto per prendere caffè con croissant. Il tuo cameriere preferito era gentile, coi capelli bianchi, zoppicava, e lavorava per noi. Lasciavi i messaggi sotto il tovagliolo di lino. -adesso come la Luna. +Per tutta la giornata ho guardato un piccolo elicottero che passava più volte come per uno schema preciso sopra questo mio territorio, la terra del mio esilio, il New Rose Hotel. Ho guardato dal portello mentre la sua ombra paziente attraversava il cemento macchiato di olio. Vicino, molto vicino. -Fox fu veloce ad accorgersi di come potevamo servirci di te, ma non +Lasciai Marrakech per Berlino. Mi incontrai con un gallese in un bar, e cominciai ad organizzare la sparizione di Hiroshi. -abbastanza acuto da attribuirti ambizioni. Ma d'altra parte, lui non è mai rimasto +Sarebbe stata una faccenda complicata, intricata come gli ingranaggi di ottone e gli specchi mobili dei trucchi da palcoscenico vittoriani, ma l'effetto desiderato era abbastanza semplice. Hiroshi sarebbe passato dietro una Mercedes a cellule d'idrogeno e sarebbe sparito. La decina di agenti della Maas che lo seguivano costantemente avrebbero sciamato attorno al furgone come api; l'apparato di sicurezza della Maas si sarebbe accentrato attorno al punto di sparizione come una resina. -sdraiato con te tutta la notte sulla spiaggia di Kamakura, non ha mai ascoltato i +Sanno come fare le cose a dovere, a Berlino. Riuscii perfino ad organizzare un'ultima notte con te. Non lo dissi a Fox, avrebbe potuto disapprovare. Adesso ho dimenticato il nome della città. L'ho saputo per un'ora, sull'autostrada, sotto il grigio cielo renano, e l'ho dimenticato fra le tue braccia. -tuoi incubi, non ha mai ascoltato i ricordi di un'immaginaria infanzia mutare +Verso mattina cominciò a piovere. La nostra stanza aveva un'unica finestra alta e stretta, da dove guardavo la pioggia che ricopriva il fiume di aghi argentei. -sotto quelle stelle, mutare e rotolare su se stessa, la tua bocca da bambina che si +Il rumore del tuo respiro. Il fiume scorreva sotto bassi archi di pietra. La strada era vuota. L'Europa era un museo morto. -apriva per rivelare qualche nuovo passato, e ogni volta giuravi che era quello +Ti avevo già prenotato un posto sul volo per Marrakech in partenza da Orly, usando il tuo ultimissimo nome. Saresti stata lontana quando avessi tirato gli ultimi fili e fatto sparire Hiroshi. -vero, quello autentico. +Avevi lasciato la borsetta sul vecchio cassettone scuro. Mentre dormivi frugai fra le tue cose, togliendo tutto quello che poteva entrare in conflitto con la nuova identità che ti avevo comprato a Berlino. Tolsi la calibro 22 cinese, il microcomputer e il chip bancario. Dalla mia borsa presi un nuovo passaporto, olandese, il chip di una banca svizzera intestato allo stesso nome, e li infilai nella tua borsa. -Non mi importava, mentre ti tenevo i fianchi, mentre la sabbia ti si raffreddava +Sfiorai con la mano qualcosa di piatto. Lo tirai fuori. Un dischetto, senza etichetta. Era lì nel palmo della mia mano, quella morte latente, codificata, in attesa. -sulla pelle. +Rimasi in piedi a guardarti respirare, guardandoti i seni alzarsi e abbassarsi. -Una volta mi hai lasciato e sei corsa verso quella spiaggia dicendo che avevi +Vedevo le tue labbra semiaperte, e sul labbro inferiore un po' sporgente la lievissima traccia di un livido. Rimisi il dischetto nella tua borsetta. Quando mi stesi al tuo fianco ti rotolasti contro di me, svegliandoti, e nel tuo respiro c'era tutta la notte elettrica di una nuova Asia, il futuro che ti saliva dentro come un fluido luminoso, che mi toglieva tutto tranne il momento presente. Era questa la cosa veramente magica: che vivevi al di fuori della storia, tutta nel presente. -dimenticato la nostra chiave. La trovai nella porta e venni a cercarti, e ti trovai +E sapevi come prendermi. -con i piedi nella risacca, la schiena liscia irrigidita, tremante, gli occhi persi +Per l'ultima volta, mi prendesti. -lontano. Non riuscivi a parlare. Avevi i brividi. Brividi per futuri differenti e +Mentre mi radevo ti sentii vuotare gli arnesi per il trucco nella mia borsa. -passati migliori. +Sono olandese ora, dicesti; voglio un nuovo look. -Sandii, mi hai lasciato qui. +Il dottor Hiroshi Yomiuri scomparve a Vienna, in una tranquilla traversa della Singerstrasse, a due isolati dall'albergo preferito della moglie. In un chiaro pomeriggio di ottobre, alla presenza di una dozzina di testimoni, il dottor Yomiuri svanì. -Mi hai lasciato tutte le tue cose. +Passò attraverso uno specchio. Da qualche parte, dietro le quinte, il movimento ben oliato di un meccanismo vittoriano. -Questa pistola. Il trucco, tutte le ombre e i rossori incapsulati in plastica. Il +Io ero seduto in una stanza d'albergo di Ginevra quando ricevetti la chiamata del gallese. Era fatta, Hiroshi si era infilato nella mia trappola ed era partito per Marrakech. Mi versai da bere pensando alle tue gambe. -microcomputer Cray, regalo di Fox, con una lista di spese che vi hai registrato. +Fox ed io ci incontrammo a Narita il giorno dopo, in un bar del terminal della JAL. Lui era appena sceso da un aereo della Air Maroc, esausto e trionfante. -Qualche volta la richiamo, facendo passare gli articoli sul piccolo schermo +Disse che gli piaceva, intendendo Hiroshi. Disse che l'amava, intendendo te. -argenteo. +Io sorrisi. Mi avevi promesso di incontrarmi a Shinjuku fra un mese. -Un frigorifero. Un fermentatore. Un'incubatrice. Un sistema di elettroforesi +La tua pistola da poco prezzo, nel New Rose Hotel. La cromatura comincia a staccarsi. Il meccanismo è rozzo, con caratteri cinesi stampati sull'acciaio ruvido. -con cella agarica integrata e transilluminatore. Un inclusore di tessuti. Un +L'impugnatura è di plastica rossa, con un drago su ciascun lato. Come un giocattolo. -cromatografo per liquidi ad alta capacità. Un citometro a flusso. Uno +Fox mangiò “sushi” nel terminal della JAL, su di giri per quello che avevamo fatto. La spalla gli aveva dato dei fastidi, ma diceva che non gli importava. Adesso aveva i soldi per andare da medici migliori. -spettrofotometro. Seicento fiale per scintillazione al boro-silicio. Una +Soldi per tutto. -microcentrifuga. E un sintetizzatore di D.N.A. con computer incorporato. Più il +Per qualche ragione i soldi che avevamo preso dall'Hosaka non mi sembravano molto importanti. Non che dubitassi della nostra nuova ricchezza, ma quell'ultima notte con te mi aveva lasciato la convinzione che tutto venisse con naturalezza, nel nuovo ordine delle cose, come funzione di chi e cosa eravamo. -software. Molto costoso, Sandii, ma allora era l'Hosaka a pagare il conto. Più +Povero Fox. Con le sue camicie oxford azzurre più linde che mai, i suoi abiti di Parigi più scuri e più lussuosi. Seduto nel terminal, mentre intingeva il “sushi” in un piccolo vassoio rettangolare di barbaforte verde, aveva meno di una settimana di vita. È buio adesso, e le rastrelliere di bare del New Rose sono illuminate tutta notte da riflettori posti in cima a piloni di metallo verniciato. -tardi li hai fatti pagare ancora di più, ma te n'eri già andata. Hiroshi aveva +Nulla qui pare servire al suo scopo originale. È tutto di seconda mano, riciclato, anche le bare. Quarant'anni fa queste capsule di plastica erano ammucchiate a Tokyo o a Yokohama, una moderna comodità per uomini d'affari in viaggio. -preparato quella lista per te. A letto, probabilmente. +Forse tuo padre ha dormito in una di esse. Quando le impalcature erano nuove circondavano l'una o l'altra delle torri con i vetri a specchio sulla Ginza, piene di squadre di operai. -Hiroshi Yomiuri. Lui era con la Maas Biolabs GmbH. L'Hosaka lo voleva. Era +Il vento questa notte porta il frastuono di una sala di “pachinko”, l'odore di verdure cotte dai venditori ambulanti dall'altra parte della strada. -uno dei migliori. Aveva Talento, in abbondanza. Fox seguiva gli ingegneri +Spalmo paté di krill al granchio su cracker di riso. Sento gli aerei. Durante quegli ultimi giorni a Tokyo, Fox ed io avevamo appartamenti contigui al cinquantaduesimo piano dell'Hyatt. Nessun contatto con l'Hosaka. Ci avevano pagato, poi ci avevano cancellato dai loro archivi aziendali. -genetici come un tifoso segue i giocatori della sua squadra. Fox voleva Hiroshi a +Ma Fox non riusciva a dimenticarlo. Hiroshi era la sua creazione, il suo progetto del cuore. Aveva sviluppato un interesse possessivo, quasi paterno per Hiroshi. Lo amava per il suo Talento. Perciò Fox mi faceva restare in contatto con il mio uomo d'affari portoghese nella Medina, il quale era disposto a tenere d'occhio il laboratorio di Hiroshi per noi. -tal punto che gli sembrava di sentirselo nel sangue. +Quando telefonava lo faceva da una cabina pubblica a Djemaa-el-Fta, con sottofondo di voci lamentose di venditori e di flauti dell'Atlante. Disse che uomini dei servizi di sicurezza stavano arrivando a Marrakech. Fox annuì. -Mi aveva mandato a Francoforte tre volte prima che comparissi tu, soltanto +Hosaka. -per farmi dare un'occhiata a Hiroshi. Non per tentare un approccio o fargli un +Dopo meno di dieci chiamate notai un cambiamento in Fox, una certa tensione, lo sguardo perso nel vuoto. Lo trovavo davanti alla finestra a guardare i giardini imperiali da un'altezza di 52 piani, perso in qualcosa di cui non voleva parlare. -saluto. Solo per guardarlo. Hiroshi aveva tutta l'aria di essersi sistemato. Aveva +Chiedigli una descrizione più dettagliata, disse, dopo una chiamata. Aveva l'impressione che un uomo che il nostro contatto aveva visto entrare nel laboratorio di Hiroshi potesse essere Moenner, il capo della divisione genetica dell'Hosaka. -trovato una ragazza tedesca appassionata di loden tradizionali e stivali da +Dopo la chiamata successiva confermò che era Moenner. Dopo un'altra ancora gli parve di aver identificato Chedanne, capo della squadra proteine dell'Hosaka. -cavallerizza lucidi color castano chiaro. Aveva comprato una casa ristrutturata, +Nessuno dei due era stato visto fuori dall'arcologia dell'azienda da più di due anni. Ormai era evidente che i ricercatori di punta dell'Hosaka stavano arrivando alla chetichella alla Medina, i Lear dirigenziali neri che arrivavano all'aeroporto di Marrakech su alianti in fibra di carbonio. Fox scosse la testa. Era un professionista, uno specialista, e vide in quell'improvviso assieparsi dei migliori Talenti dell'Hosaka nella Medina un drastico errore nell'operato della multinazionale. Cristo, disse versandosi un bicchiere di Black Label, hanno la loro sezione biologica al completo, laggiù. Una bomba. Scosse la testa. Una granata nel posto giusto e al momento giusto. . Gli ricordai le tecniche di saturazione che sicuramente i servizi di sicurezza dell'Hosaka stavano impiegando. L'Hosaka aveva dei contatti nel cuore della Dieta, e la forte infiltrazione di agenti a Marrakech poteva avvenire solo con la conoscenza e la cooperazione del governo marocchino. -nella piazza giusta della città. Aveva cominciato a tirare di scherma, +Lascia perdere, dissi. È finita. Gli hai venduto Hiroshi. Adesso lascia perdere. -abbandonando il kendo. +Lo so cos'è, disse. Lo so. L'ho già visto una volta. Disse che esiste un certo fattore imprevedibile nel lavoro di laboratorio. Il talento del Talento, lo chiamava. Succede quando un ricercatore sviluppa qualcosa di completamente nuovo e altri trovano impossibile duplicare i risultati. -E dappertutto le squadre di sicurezza della Maas, efficienti e massicce, una +Questo era ancora più probabile con Hiroshi, il cui lavoro andava in direzione contraria alle teorie correnti nel suo campo. La risposta, spesso, consisteva nel far venire il ricercatore dal suo laboratorio in quello dell'azienda, per scoprire ritualmente le carte. Qualche piccola regolazione delle apparecchiature e il processo funzionava. È strano, disse, nessuno sa perché succeda così, ma succede. Sorrise. Ma stanno correndo un rischio, disse. I bastardi ci hanno detto che volevano isolare Hiroshi tenerlo lontano dal loro centro di ricerca. Balle. -melassa attaccaticcia di sorveglianti. Tornai e dissi a Fox che non saremmo mai +Scommetto la camicia che c'è qualche lotta per il potere in corso all'Hosaka. -riusciti a raggiungerlo. Tu lo raggiungesti per noi, Sandii. Lo raggiungesti nel +Qualche pezzo grosso sta portando lì i suoi pupilli per strofinarli su Hiroshi come se fosse un portafortuna. Quando Hiroshi manderà a gambe all'aria l'ingegneria genetica, quelli della Medina saranno pronti. -modo migliore. I nostri contatti con l'Hosaka erano come cellule specializzate +Bevve il suo whisky e alzò le spalle. -che proteggevano l'organismo-madre. Noi eravamo mutageni, Fox ed io, ambigui +Vai a letto, disse. Hai ragione, è finita. -agenti che stavano dalla parte nascosta dell'attività delle multinazionali. +Andai a letto, ma il telefono mi svegliò. Era Marrakech, i disturbi statici del collegamento via satellite, un fiotto di parole spaventate, in portoghese. -Dopo averti piazzato a Vienna, gli offrimmo Hiroshi. Non fecero una piega. +L'Hosaka non ci bloccò il conto, no. Lo vaporizzò. Come l'oro delle fate. Prima eravamo milionari, nella valuta più forte del mondo, un minuto dopo eravamo diventati poveri. Svegliai Fox. Sandii, disse. Ci ha venduto. I servizi della Maas l'hanno assoldata a Vienna. Cristo. -Calma mortale in una stanza d'albergo, a Los Angeles. Dissero che dovevano +Lo guardai sventrare la sua vecchia valigia con un coltello a serramanico dell'esercito svizzero. C'erano tre piastre d'oro incollate lì. Piastre morbide, con il marchio del tesoro di qualche governo africano estinto. -pensarci. +Non avresti dovuto vederla, disse con voce atona. -Fox disse il nome del principale concorrente dell'Hosaka nel campo genetico, +No, dissi io. Credo di aver detto il tuo nome. Dimenticala, mi disse. L'Hosaka ci vuole morti. Penseranno che li abbiamo traditi. Prendi il telefono e controlla il nostro conto. Il nostro conto era sparito. Quelli della banca negarono che noi due avessimo mai avuto un conto. -lo svelò nudo e crudo, violando il protocollo che vietava di fare nomi. +Tagliamo la corda, disse Fox. -Dissero che dovevano pensarci. +Corremmo. Dalla porta di servizio, nel traffico di Tokyo, giù fino a Shinjuku. Fu lì che compresi per la prima volta fin dove giungeva il potere dell'Hosaka. Gente con cui facevamo affari da due anni ci vedeva arrivare, ed era come se chiudessero la saracinesca dei ricordi. -Fox gli diede tre giorni. +Uscivamo prima che potessero mettere le mani sul telefono. La tensione superficiale del mondo illegale si era triplicata, e dovunque incontravamo la stessa membrana tesa venivamo respinti. Nessuna possibilità di scomparire, di sfuggire. -Una settimana prima di portarti a Vienna ti portai a Barcellona. Ti ricordo con +L'Hosaka ci lasciò scappare per la maggior parte del primo giorno. Poi mandarono qualcuno a rompere la schiena a Fox una seconda volta. Non li vidi farlo, ma vidi Fox cadere. Eravamo in un grande magazzino di Ginza un'ora prima della chiusura, e lo vidi cadere dall'ammezzato scintillante, in mezzo alle merci della nuova Asia. Mi mancarono, non so perché, e continuai a scappare. -i capelli raccolti da un berretto grigio, gli zigomi alti, mongolici, riflessi nelle +Fox aveva con sé l'oro, ma avevo un centinaio di nuovi yen in tasca. Scappai. Fino al New Rose Hotel. -vetrine dei negozi di antiquariato. Passeggiando lungo le Ramblas, verso il porto +È arrivato il momento. -fenicio, passando accanto al “Mercado” dal tetto dorato, dove vendevano arance +Vieni da me, Sandii. Ascolta il ronzio delle luci al neon sulla strada per il Narita International. Le ultime falene tracciano cerchi interrotti attorno ai riflettori che illuminano il New Rose. E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma richiamato dalle forze dell'economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su mille letti negli Hyatt del mondo, negli Hilton del mondo. -africane. Il vecchio Ritz, con la nostra stanza calda e buia, e tutto il morbido peso +Adesso ho la tua pistola in mano, nella tasca della giacca, e la mia mano sembra lontana. Staccata da me. -dell'Europa su di noi come una trapunta. Potevo penetrarti mentre dormivi. Eri +Ricordo il mio amico d'affari portoghese che si era dimenticato l'inglese e cercava di spiegarsi in quattro lingue che io capivo appena, e pensavo che mi stesse dicendo che la Medina stava bruciando. Non la Medina. I cervelli dei migliori ricercatori dell'Hosaka. -sempre pronta. Vedendo le tue labbra incurvarsi morbidamente per la sorpresa, +Un'infezione, sussurrava il mio uomo, infezione, febbre e morte. L'astuto Fox mise tutto assieme mentre scappavamo. Non dovetti nemmeno dirgli di aver trovato il dischetto nella tua borsetta, in Germania. Qualcuno aveva riprogrammato il sintetizzatore di D.N.A., disse. Quella cosa serviva per costruire da un giorno all'altro la macromolecola giusta. Con il computer integrato e il software su ordinazione. Costoso, Sandii. Ma non così costoso come alla fine risultasti tu per l'Hosaka. -la tua faccia che affondava nel cuscino spesso e giallo. . biancheria arcaica del +Spero che la Maas ti abbia pagato bene. -Ritz. Dentro di te immaginavo tutte quelle luci al neon, la folla che si accalcava +Il dischetto nella mia mano. Pioggia sul fiume. Sapevo, ma non potevo ammetterlo. Rimisi il codice per il virus meningeo nella tua borsetta e mi stesi accanto a te. -attorno alla stazione di Shinjuku, pazzesca notte elettrica. Tu ti muovevi in +Così Moenner è morto, insieme agli altri ricercatori dell'Hosaka. -quella maniera, il ritmo della nuova era, sognante e lontano dal suolo di qualsiasi +Compreso Hiroshi. Chedanne ha subito danni permanenti al cervello. Hiroshi non aveva preso precauzioni per la contaminazione. Le proteine che fabbricava erano innocue. Così il sintetizzatore è rimasto acceso tutta la notte a costruire un virus secondo le indicazioni della Maas Biolabs GmbH. -nazione. +Maas. Piccola, veloce, spietata. Tutta Talento. -Quando siamo arrivati a Vienna ti ho sistemato nell'albergo preferito della +La strada per l'aeroporto è una lunga striscia dritta. Stai nell'ombra. -moglie di Hiroshi. Tranquillo, solido, hall con pavimento a scacchi di marmo, +E io che gridavo a quella voce portoghese, chiedendole cosa fosse successo alla ragazza, alla donna di Hiroshi. Svanita, disse. Il ronzio di un meccanismo vittoriano. -ascensori di ottone profumati di olio di limone e sigari. Era facile immaginarla lì, +Così Fox doveva cadere, cadere con le sue tre patetiche piastre d'oro, e fracassarsi la spina dorsale per l'ultima volta. Sul pavimento del grande magazzino di Ginza, tutti i clienti che spalancavano gli occhi, un istante prima di gridare. -con gli stivali da cavallerizza lucidi riflessi sul marmo, ma noi sapevamo che non +Non riesco a odiarti, amore. -sarebbe venuta, non quella volta. +E l'elicottero dell'Hosaka è tornato, senza luci, a caccia con l'infrarosso, cercando il calore del corpo. Un gemito attutito mentre ruota, a un chilometro di distanza, tornando verso di noi, verso il New Rose. Un'ombra fin troppo rapida contro le luci di Narita. -Era in qualche stazione della Renania, e Hiroshi era a Vienna per una - -conferenza. Quando gli uomini della Maas arrivarono per ispezionare l'albergo, - -tu ti eri eclissata. - -Hiroshi arrivò un'ora dopo, da solo. - -Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra per - -identificare la forma di intelligenza dominante del pianeta. L'alieno dà - -un'occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io probabilmente alzai le - -spalle. - -Le “zaibatsu”, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una “zaibatsu” è fatto di - -informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che - -la compongono. Le aziende sono una forma di vita. - -Io gli avevo detto di non farmi un'altra conferenza sul Talento. - -Lui aveva detto che la Maas non era così, ignorandomi. La Maas era piccola, - -veloce, spietata. Un arcaismo. La Maas era tutto Talento. - -Ricordo Fox parlare della natura del Talento di Hiroshi. Nucleasi radioattive, - -anticorpi monoclonali, qualcosa che aveva a che fare con la concatenazione delle - -proteine, dei nucleotidi. . Fox le chiamava proteine calde. Catene ad alta velocità. - -Diceva che Hiroshi era un fenomeno, il tipo capace di mandare in frantumi i - -paradigmi, di rovesciare un campo intero del sapere, di costringere con la forza - -alla revisione di un intero corpo di conoscenze. Brevetti fondamentali, diceva, - -con la voce arrochita immaginando simili ricchezze, l'odore ideale acuto e sottile - -dei milioni esentasse che emanavano. - -L'Hosaka voleva Hiroshi, ma il suo Talento era tanto radicale da preoccuparli. - -Lo volevano per farlo lavorare in isolamento. - -Andai a Marrakech, nella città vecchia, la Medina. Trovai un laboratorio per la - -raffinazione dell'eroina convertito per l'estrazione di feromoni. Lo comprai, con i - -soldi dell'Hosaka. Passeggiai nel mercato di Djemaa-el-Fta con un uomo d'affari - -portoghese sudaticcio, discutendo dell'illuminazione fluorescente e - -dell'installazione di gabbie ventilate per animali da esperimento. Oltre le mura - -della città si vedeva la catena dell'Atlante. Djemaa-el-Fta era piena di - -saltimbanchi, danzatori, narratori di storie, ragazzini che facevano girare i torni - -a pedale, mendicanti senza gambe che protendevano le tazze di legno sotto - -ologrammi animati che propagandavano software francesi. - -Camminammo accanto a balle di lana grezza e bidoni di plastica con microchip - -cinesi. Gli diedi a intendere che i miei datori di lavoro intendevano fabbricare - -beta-endorfina sintetica. Conviene dire sempre qualcosa che possano capire. - -Sandii, ti ricordo ad Harajuku, qualche volta. Chiudo gli occhi in questa bara e - -ti vedo là, fra lo scintillio del labirinto di cristallo delle boutique, l'odore dei - -vestiti nuovi. Vedo i tuoi zigomi passare davanti agli scaffali cromati di - -pelletteria di Parigi. Qualche volta ti stringo la mano. - -Credevamo di averti trovato, Sandii, ma in realtà eri stata tu a trovare noi. - -Adesso so che ci stavi cercando, noi o qualcuno come noi. Fox era felice, - -sorrideva per la nostra scoperta: un nuovo, delizioso strumento, scintillante - -come un bisturi. Proprio quello che ci serviva per separare un Talento ostinato - -come Hiroshi dalla placenta della Maas Biolab. - -Dovevi aver cercato a lungo una via d'uscita, durante tutte quelle notti a - -Shinjuku. Notti che avevi accuratamente eliminato dal mazzo rimescolato del tuo - -passato. - -Il mio passato era sparito anni prima, perso insieme a tutto il resto, nessuna - -traccia. Capisco l'abitudine di Fox, a tarda notte, di vuotare il portafoglio e - -frugare tra i documenti di identificazione. - -Distribuiva i pezzi in configurazioni diverse, li spostava, aspettando che si - -formasse un'immagine. Sapevo cosa cercava. Tu facevi la stessa cosa con le tue - -svariate infanzie. - -Nel New Rose, questa notte, scelgo una carta dal tuo mazzo di passati. - -Scelgo la versione originale, il famoso testo della stanza d'albergo di - -Yokohama, recitatomi durante quella prima notte a letto. Scelgo il padre in - -disgrazia, il dirigente dell'Hosaka. Perfetto. E la madre olandese, le estati ad - -Amsterdam, il morbido tappeto di piccioni nel pomeriggio sulla piazza Dam. - -Passai dal caldo di Marrakech all'aria condizionata dell'Hilton. La camicia - -umida appiccicata alla schiena mentre leggevo il messaggio che mi avevi - -trasmesso attraverso Fox. Stavi arrivando; Hiroshi avrebbe lasciato la moglie. - -Non ti fu difficile comunicare con noi, anche attraverso la cortina strettissima dei - -servizi di sicurezza della Maas; avevi mostrato a Hiroshi il posticino perfetto per - -prendere caffè con croissant. Il tuo cameriere preferito era gentile, coi capelli - -bianchi, zoppicava, e lavorava per noi. Lasciavi i messaggi sotto il tovagliolo di - -lino. - -Per tutta la giornata ho guardato un piccolo elicottero che passava più volte - -come per uno schema preciso sopra questo mio territorio, la terra del mio esilio, - -il New Rose Hotel. Ho guardato dal portello mentre la sua ombra paziente - -attraversava il cemento macchiato di olio. Vicino, molto vicino. - -Lasciai Marrakech per Berlino. Mi incontrai con un gallese in un bar, e - -cominciai ad organizzare la sparizione di Hiroshi. - -Sarebbe stata una faccenda complicata, intricata come gli ingranaggi di ottone - -e gli specchi mobili dei trucchi da palcoscenico vittoriani, ma l'effetto desiderato - -era abbastanza semplice. Hiroshi sarebbe passato dietro una Mercedes a cellule - -d'idrogeno e sarebbe sparito. La decina di agenti della Maas che lo seguivano - -costantemente avrebbero sciamato attorno al furgone come api; l'apparato di - -sicurezza della Maas si sarebbe accentrato attorno al punto di sparizione come - -una resina. - -Sanno come fare le cose a dovere, a Berlino. Riuscii perfino ad organizzare - -un'ultima notte con te. Non lo dissi a Fox, avrebbe potuto disapprovare. Adesso - -ho dimenticato il nome della città. L'ho saputo per un'ora, sull'autostrada, sotto - -il grigio cielo renano, e l'ho dimenticato fra le tue braccia. - -Verso mattina cominciò a piovere. La nostra stanza aveva un'unica finestra - -alta e stretta, da dove guardavo la pioggia che ricopriva il fiume di aghi argentei. - -Il rumore del tuo respiro. Il fiume scorreva sotto bassi archi di pietra. La strada - -era vuota. L'Europa era un museo morto. - -Ti avevo già prenotato un posto sul volo per Marrakech in partenza da Orly, - -usando il tuo ultimissimo nome. Saresti stata lontana quando avessi tirato gli - -ultimi fili e fatto sparire Hiroshi. - -Avevi lasciato la borsetta sul vecchio cassettone scuro. Mentre dormivi frugai - -fra le tue cose, togliendo tutto quello che poteva entrare in conflitto con la nuova - -identità che ti avevo comprato a Berlino. Tolsi la calibro 22 cinese, il - -microcomputer e il chip bancario. Dalla mia borsa presi un nuovo passaporto, - -olandese, il chip di una banca svizzera intestato allo stesso nome, e li infilai nella - -tua borsa. - -Sfiorai con la mano qualcosa di piatto. Lo tirai fuori. Un dischetto, senza - -etichetta. Era lì nel palmo della mia mano, quella morte latente, codificata, in - -attesa. - -Rimasi in piedi a guardarti respirare, guardandoti i seni alzarsi e abbassarsi. - -Vedevo le tue labbra semiaperte, e sul labbro inferiore un po' sporgente la - -lievissima traccia di un livido. Rimisi il dischetto nella tua borsetta. Quando mi - -stesi al tuo fianco ti rotolasti contro di me, svegliandoti, e nel tuo respiro c'era - -tutta la notte elettrica di una nuova Asia, il futuro che ti saliva dentro come un - -fluido luminoso, che mi toglieva tutto tranne il momento presente. Era questa la - -cosa veramente magica: che vivevi al di fuori della storia, tutta nel presente. - -E sapevi come prendermi. - -Per l'ultima volta, mi prendesti. - -Mentre mi radevo ti sentii vuotare gli arnesi per il trucco nella mia borsa. - -Sono olandese ora, dicesti; voglio un nuovo look. - -Il dottor Hiroshi Yomiuri scomparve a Vienna, in una tranquilla traversa della - -Singerstrasse, a due isolati dall'albergo preferito della moglie. In un chiaro - -pomeriggio di ottobre, alla presenza di una dozzina di testimoni, il dottor - -Yomiuri svanì. - -Passò attraverso uno specchio. Da qualche parte, dietro le quinte, il - -movimento ben oliato di un meccanismo vittoriano. - -Io ero seduto in una stanza d'albergo di Ginevra quando ricevetti la chiamata - -del gallese. Era fatta, Hiroshi si era infilato nella mia trappola ed era partito per - -Marrakech. Mi versai da bere pensando alle tue gambe. - -Fox ed io ci incontrammo a Narita il giorno dopo, in un bar del terminal della - -JAL. Lui era appena sceso da un aereo della Air Maroc, esausto e trionfante. - -Disse che gli piaceva, intendendo Hiroshi. Disse che l'amava, intendendo te. - -Io sorrisi. Mi avevi promesso di incontrarmi a Shinjuku fra un mese. - -La tua pistola da poco prezzo, nel New Rose Hotel. La cromatura comincia a - -staccarsi. Il meccanismo è rozzo, con caratteri cinesi stampati sull'acciaio ruvido. - -L'impugnatura è di plastica rossa, con un drago su ciascun lato. Come un - -giocattolo. - -Fox mangiò “sushi” nel terminal della JAL, su di giri per quello che avevamo - -fatto. La spalla gli aveva dato dei fastidi, ma diceva che non gli importava. Adesso - -aveva i soldi per andare da medici migliori. - -Soldi per tutto. - -Per qualche ragione i soldi che avevamo preso dall'Hosaka non mi - -sembravano molto importanti. Non che dubitassi della nostra nuova ricchezza, - -ma quell'ultima notte con te mi aveva lasciato la convinzione che tutto venisse - -con naturalezza, nel nuovo ordine delle cose, come funzione di chi e cosa - -eravamo. - -Povero Fox. Con le sue camicie oxford azzurre più linde che mai, i suoi abiti di - -Parigi più scuri e più lussuosi. Seduto nel terminal, mentre intingeva il “sushi” in - -un piccolo vassoio rettangolare di barbaforte verde, aveva meno di una - -settimana di vita. È buio adesso, e le rastrelliere di bare del New Rose sono - -illuminate tutta notte da riflettori posti in cima a piloni di metallo verniciato. - -Nulla qui pare servire al suo scopo originale. È tutto di seconda mano, riciclato, - -anche le bare. Quarant'anni fa queste capsule di plastica erano ammucchiate a - -Tokyo o a Yokohama, una moderna comodità per uomini d'affari in viaggio. - -Forse tuo padre ha dormito in una di esse. Quando le impalcature erano nuove - -circondavano l'una o l'altra delle torri con i vetri a specchio sulla Ginza, piene di - -squadre di operai. - -Il vento questa notte porta il frastuono di una sala di “pachinko”, l'odore di - -verdure cotte dai venditori ambulanti dall'altra parte della strada. - -Spalmo paté di krill al granchio su cracker di riso. Sento gli aerei. Durante - -quegli ultimi giorni a Tokyo, Fox ed io avevamo appartamenti contigui al - -cinquantaduesimo piano dell'Hyatt. Nessun contatto con l'Hosaka. Ci avevano - -pagato, poi ci avevano cancellato dai loro archivi aziendali. - -Ma Fox non riusciva a dimenticarlo. Hiroshi era la sua creazione, il suo - -progetto del cuore. Aveva sviluppato un interesse possessivo, quasi paterno per - -Hiroshi. Lo amava per il suo Talento. Perciò Fox mi faceva restare in contatto con - -il mio uomo d'affari portoghese nella Medina, il quale era disposto a tenere - -d'occhio il laboratorio di Hiroshi per noi. - -Quando telefonava lo faceva da una cabina pubblica a Djemaa-el-Fta, con - -sottofondo di voci lamentose di venditori e di flauti dell'Atlante. Disse che - -uomini dei servizi di sicurezza stavano arrivando a Marrakech. Fox annuì. - -Hosaka. - -Dopo meno di dieci chiamate notai un cambiamento in Fox, una certa - -tensione, lo sguardo perso nel vuoto. Lo trovavo davanti alla finestra a guardare - -i giardini imperiali da un'altezza di 52 piani, perso in qualcosa di cui non voleva - -parlare. - -Chiedigli una descrizione più dettagliata, disse, dopo una chiamata. Aveva - -l'impressione che un uomo che il nostro contatto aveva visto entrare nel - -laboratorio di Hiroshi potesse essere Moenner, il capo della divisione genetica - -dell'Hosaka. - -Dopo la chiamata successiva confermò che era Moenner. Dopo un'altra ancora - -gli parve di aver identificato Chedanne, capo della squadra proteine dell'Hosaka. - -Nessuno dei due era stato visto fuori dall'arcologia dell'azienda da più di due - -anni. Ormai era evidente che i ricercatori di punta dell'Hosaka stavano arrivando - -alla chetichella alla Medina, i Lear dirigenziali neri che arrivavano all'aeroporto - -di Marrakech su alianti in fibra di carbonio. Fox scosse la testa. Era un - -professionista, uno specialista, e vide in quell'improvviso assieparsi dei migliori - -Talenti dell'Hosaka nella Medina un drastico errore nell'operato della - -multinazionale. Cristo, disse versandosi un bicchiere di Black Label, hanno la - -loro sezione biologica al completo, laggiù. Una bomba. Scosse la testa. Una - -granata nel posto giusto e al momento giusto. . Gli ricordai le tecniche di - -saturazione che sicuramente i servizi di sicurezza dell'Hosaka stavano - -impiegando. L'Hosaka aveva dei contatti nel cuore della Dieta, e la forte - -infiltrazione di agenti a Marrakech poteva avvenire solo con la conoscenza e la - -cooperazione del governo marocchino. - -Lascia perdere, dissi. È finita. Gli hai venduto Hiroshi. Adesso lascia perdere. - -Lo so cos'è, disse. Lo so. L'ho già visto una volta. Disse che esiste un certo - -fattore imprevedibile nel lavoro di laboratorio. Il talento del Talento, lo - -chiamava. Succede quando un ricercatore sviluppa qualcosa di completamente - -nuovo e altri trovano impossibile duplicare i risultati. - -Questo era ancora più probabile con Hiroshi, il cui lavoro andava in direzione - -contraria alle teorie correnti nel suo campo. La risposta, spesso, consisteva nel - -far venire il ricercatore dal suo laboratorio in quello dell'azienda, per scoprire - -ritualmente le carte. Qualche piccola regolazione delle apparecchiature e il - -processo funzionava. È strano, disse, nessuno sa perché succeda così, ma - -succede. Sorrise. Ma stanno correndo un rischio, disse. I bastardi ci hanno detto - -che volevano isolare Hiroshi tenerlo lontano dal loro centro di ricerca. Balle. - -Scommetto la camicia che c'è qualche lotta per il potere in corso all'Hosaka. - -Qualche pezzo grosso sta portando lì i suoi pupilli per strofinarli su Hiroshi - -come se fosse un portafortuna. Quando Hiroshi manderà a gambe all'aria - -l'ingegneria genetica, quelli della Medina saranno pronti. - -Bevve il suo whisky e alzò le spalle. - -Vai a letto, disse. Hai ragione, è finita. - -Andai a letto, ma il telefono mi svegliò. Era Marrakech, i disturbi statici del - -collegamento via satellite, un fiotto di parole spaventate, in portoghese. - -L'Hosaka non ci bloccò il conto, no. Lo vaporizzò. Come l'oro delle fate. Prima - -eravamo milionari, nella valuta più forte del mondo, un minuto dopo eravamo - -diventati poveri. Svegliai Fox. Sandii, disse. Ci ha venduto. I servizi della Maas - -l'hanno assoldata a Vienna. Cristo. - -Lo guardai sventrare la sua vecchia valigia con un coltello a serramanico - -dell'esercito svizzero. C'erano tre piastre d'oro incollate lì. Piastre morbide, con - -il marchio del tesoro di qualche governo africano estinto. - -Non avresti dovuto vederla, disse con voce atona. - -No, dissi io. Credo di aver detto il tuo nome. Dimenticala, mi disse. L'Hosaka ci - -vuole morti. Penseranno che li abbiamo traditi. Prendi il telefono e controlla il - -nostro conto. Il nostro conto era sparito. Quelli della banca negarono che noi due - -avessimo mai avuto un conto. - -Tagliamo la corda, disse Fox. - -Corremmo. Dalla porta di servizio, nel traffico di Tokyo, giù fino a Shinjuku. Fu - -lì che compresi per la prima volta fin dove giungeva il potere dell'Hosaka. Gente - -con cui facevamo affari da due anni ci vedeva arrivare, ed era come se - -chiudessero la saracinesca dei ricordi. - -Uscivamo prima che potessero mettere le mani sul telefono. La tensione - -superficiale del mondo illegale si era triplicata, e dovunque incontravamo la - -stessa membrana tesa venivamo respinti. Nessuna possibilità di scomparire, di - -sfuggire. - -L'Hosaka ci lasciò scappare per la maggior parte del primo giorno. Poi - -mandarono qualcuno a rompere la schiena a Fox una seconda volta. Non li vidi - -farlo, ma vidi Fox cadere. Eravamo in un grande magazzino di Ginza un'ora - -prima della chiusura, e lo vidi cadere dall'ammezzato scintillante, in mezzo alle - -merci della nuova Asia. Mi mancarono, non so perché, e continuai a scappare. - -Fox aveva con sé l'oro, ma avevo un centinaio di nuovi yen in tasca. Scappai. Fino - -al New Rose Hotel. - -È arrivato il momento. - -Vieni da me, Sandii. Ascolta il ronzio delle luci al neon sulla strada per il Narita - -International. Le ultime falene tracciano cerchi interrotti attorno ai riflettori che - -illuminano il New Rose. E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri - -neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma - -richiamato dalle forze dell'economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su - -mille letti negli Hyatt del mondo, negli Hilton del mondo. - -Adesso ho la tua pistola in mano, nella tasca della giacca, e la mia mano - -sembra lontana. Staccata da me. - -Ricordo il mio amico d'affari portoghese che si era dimenticato l'inglese e - -cercava di spiegarsi in quattro lingue che io capivo appena, e pensavo che mi - -stesse dicendo che la Medina stava bruciando. Non la Medina. I cervelli dei - -migliori ricercatori dell'Hosaka. - -Un'infezione, sussurrava il mio uomo, infezione, febbre e morte. L'astuto Fox - -mise tutto assieme mentre scappavamo. Non dovetti nemmeno dirgli di aver - -trovato il dischetto nella tua borsetta, in Germania. Qualcuno aveva - -riprogrammato il sintetizzatore di D.N.A., disse. Quella cosa serviva per costruire - -da un giorno all'altro la macromolecola giusta. Con il computer integrato e il - -software su ordinazione. Costoso, Sandii. Ma non così costoso come alla fine - -risultasti tu per l'Hosaka. - -Spero che la Maas ti abbia pagato bene. - -Il dischetto nella mia mano. Pioggia sul fiume. Sapevo, ma non potevo - -ammetterlo. Rimisi il codice per il virus meningeo nella tua borsetta e mi stesi - -accanto a te. - -Così Moenner è morto, insieme agli altri ricercatori dell'Hosaka. - -Compreso Hiroshi. Chedanne ha subito danni permanenti al cervello. Hiroshi - -non aveva preso precauzioni per la contaminazione. Le proteine che fabbricava - -erano innocue. Così il sintetizzatore è rimasto acceso tutta la notte a costruire un - -virus secondo le indicazioni della Maas Biolabs GmbH. - -Maas. Piccola, veloce, spietata. Tutta Talento. - -La strada per l'aeroporto è una lunga striscia dritta. Stai nell'ombra. - -E io che gridavo a quella voce portoghese, chiedendole cosa fosse successo - -alla ragazza, alla donna di Hiroshi. Svanita, disse. Il ronzio di un meccanismo - -vittoriano. - -Così Fox doveva cadere, cadere con le sue tre patetiche piastre d'oro, e - -fracassarsi la spina dorsale per l'ultima volta. Sul pavimento del grande - -magazzino di Ginza, tutti i clienti che spalancavano gli occhi, un istante prima di - -gridare. - -Non riesco a odiarti, amore. - -E l'elicottero dell'Hosaka è tornato, senza luci, a caccia con l'infrarosso, - -cercando il calore del corpo. Un gemito attutito mentre ruota, a un chilometro di - -distanza, tornando verso di noi, verso il New Rose. Un'ombra fin troppo rapida - -contro le luci di Narita. - -Va tutto bene, bambina. Ma torna, ti prego. Prendimi la mano. +Va tutto bene, bambina. Ma torna, ti prego. Prendimi la mano. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/07_il_mercato_dinverno.md b/Gibson/07_il_mercato_dinverno.md index c845492..0a1bb46 100644 --- a/Gibson/07_il_mercato_dinverno.md +++ b/Gibson/07_il_mercato_dinverno.md @@ -2,1372 +2,362 @@ _(The Winter Market, 1986)_ -Piove molto, quassù; ci sono giorni, in inverno, in cui il cielo non diventa mai +Piove molto, quassù; ci sono giorni, in inverno, in cui il cielo non diventa mai veramente chiaro, solo di un grigio uniforme. Ma ci sono anche giorni in cui è come se si aprisse di colpo per tre minuti un sipario sulle montagne illuminate dal sole, sospese nell'aria: come il prologo di un film girato da Dio. Era così il giorno in cui telefonarono i suoi agenti, dal cuore della loro piramide di specchi sul Beverly Boulevard, per dirmi che lei era entrata nella rete, che era arrivata in cima e che “I re del sonno” era tre volte platino. Io ho curato la maggior parte dei Re, ho fatto il lavoro di rilevamento cerebrale, ho rivisto tutto con il modulo di cancellazione rapida, perciò mi spettava una parte dei diritti d'autore. No, dissi, no. Poi sì, sì, e riappesi. Mi infilai la giacca e feci le scale tre gradini alla volta, entrai nel bar più vicino e mi procurai un black-out di otto ore, che finì su un cornicione, dove mi ritrovai a solo due metri dalla tenebra della mezzanotte. Le acque del False Creek. -veramente chiaro, solo di un grigio uniforme. Ma ci sono anche giorni in cui è +Le luci della città e la solita calotta grigia del cielo, più piccola adesso, illuminata dai neon e dalle lampade ai vapori di mercurio. E nevicava, grossi fiocchi ma non fitti, che quando toccavano l'acqua nera sparivano senza lasciare alcuna traccia. Mi guardai i piedi, e vidi che le punte sporgevano dal bordo di cemento bagnato. Indossavo scarpe giapponesi, nuove e costose, stivaletti in pelle morbida di Ginza con le punte in gomma. Rimasi lì a lungo, prima di fare il primo passo indietro. -come se si aprisse di colpo per tre minuti un sipario sulle montagne illuminate +Perché lei era morta, e io l'avevo lasciata andare. Perché adesso lei era immortale, e io l'avevo aiutata a diventarlo. E perché sapevo che mi avrebbe telefonato, la mattina. -dal sole, sospese nell'aria: come il prologo di un film girato da Dio. Era così il +Mio padre era tecnico del suono. Aveva cominciato molto tempo fa, prima ancora dell'avvento del digitale. I procedimenti che usava erano in parte meccanici, fatti di una tecnologia goffa e quasi vittoriana tipica del ventesimo secolo. Fondamentalmente, era un tornitore: la gente gli portava delle registrazioni e lui preparava il disco master di lacca. Quindi il disco veniva placcato elettroliticamente e usato per costruire una lastra dalla quale si stampavano dischi, quelle cose nere che si vedono nei negozi di antiquariato. E ricordo che una volta, pochi mesi prima di morire, mi disse che certe frequenze, credo che le chiamasse transienti, potevano bruciare la testina di taglio del tornio. Le testine erano costosissime, perciò si usava una cosa chiamata accelerometro per evitare che si bruciassero. Ed era a questo che pensavo, con i piedi che sporgevano sull'acqua: quella testina che bruciava. -giorno in cui telefonarono i suoi agenti, dal cuore della loro piramide di specchi +Perché era questo che le avevano fatto. -sul Beverly Boulevard, per dirmi che lei era entrata nella rete, che era arrivata in +Ed era questo quello che lei voleva. -cima e che “I re del sonno” era tre volte platino. Io ho curato la maggior parte dei +Nessun accelerometro per Lise. -Re, ho fatto il lavoro di rilevamento cerebrale, ho rivisto tutto con il modulo di +Andando a letto staccai il telefono. Lo feci con un treppiedi tedesco da studio, che mi sarebbe costato una settimana di paga per farlo riparare. -cancellazione rapida, perciò mi spettava una parte dei diritti d'autore. No, dissi, +Mi svegliai qualche tempo dopo e presi un taxi fino a Granville Island, dove abitava Rubin. -no. Poi sì, sì, e riappesi. Mi infilai la giacca e feci le scale tre gradini alla volta, +Rubin, anche se nessuno capisce bene come, è un maestro, una guida, quello che i giapponesi chiamano “sensei”. Ciò di cui è maestro, in realtà, sono i rifiuti, la spazzatura, le cianfrusaglie, il mare di merci gettate via su cui galleggia la nostra civiltà. “Gomi no sensei”. Maestro dei rifiuti. -entrai nel bar più vicino e mi procurai un black-out di otto ore, che finì su un +Questa volta lo trovai accoccolato fra due batterie elettroniche dall'aria tetra che non avevo mai visto: braccia sottili e arrugginite ripiegate sul cuore di una costellazione di barattoli di ferro ripescati nelle discariche di Richmond. Lui non chiama mai il suo posto studio, non dice mai di essere un artista. Quello che fa lo chiama “trafficare”, e sembra considerarlo una specie di prolungamento dei pomeriggi noiosi passati da bambino in cortile. Vaga nel suo laboratorio pieno zeppo di cianfrusaglie, una specie di minihangar ricavato sul lato verso il fiume del Mercato, seguito dalle sue creature più agili e più sveglie, simile a un Satana quasi benevolo intento a elaborare artifici sempre più bizzarri nel suo Inferno di “gomi”. Ho visto Rubin programmare le sue costruzioni per identificare e insultare i pedoni che indossano i vestiti di questo o quello stilista di moda in una data stagione; altre sono impegnate in missioni più oscure, e alcune sembrano costruite solo allo scopo di smontarsi con il maggiore fracasso possibile. È come un bambino, Rubin; ma vale anche un sacco di soldi nelle gallerie di Tokyo e Parigi. -cornicione, dove mi ritrovai a solo due metri dalla tenebra della mezzanotte. Le +Così gli raccontai di Lise. Lui mi lasciò parlare, sfogarmi poi annuì. -acque del False Creek. +— Lo so — disse. — Un cazzone della C.B.C. mi ha telefonato otto volte. — Sorseggiò da una tazza ammaccata. — Vuoi del Wild Turkey sour? -Le luci della città e la solita calotta grigia del cielo, più piccola adesso, +— Perché ti hanno chiamato? -illuminata dai neon e dalle lampade ai vapori di mercurio. E nevicava, grossi +— Perché c'è il mio nome sul retro dei “Re del sonno”. Una dedica. -fiocchi ma non fitti, che quando toccavano l'acqua nera sparivano senza lasciare +— Non l'ho ancora visto. -alcuna traccia. Mi guardai i piedi, e vidi che le punte sporgevano dal bordo di +— Ti ha già chiamato? -cemento bagnato. Indossavo scarpe giapponesi, nuove e costose, stivaletti in +— No. -pelle morbida di Ginza con le punte in gomma. Rimasi lì a lungo, prima di fare il +— Lo farà. -primo passo indietro. +— Rubin, è morta. L'hanno già cremata. -Perché lei era morta, e io l'avevo lasciata andare. Perché adesso lei era +— Lo so — disse lui. — Ti chiamerà. -immortale, e io l'avevo aiutata a diventarlo. E perché sapevo che mi avrebbe +“Gomi”. -telefonato, la mattina. +Dove finisce il “gomi” e inizia il mondo? I giapponesi, un secolo fa, avevano già esaurito lo spazio per il “gomi” attorno a Tokyo, perciò idearono un piano per creare spazio dal “gomi”. Entro il 1969 si erano costruiti una piccola isola nella baia di Tokyo, e l'avevano battezzata Isola dei Sogni. Ma la città continuava a produrre le sue novemila tonnellate al giorno, così costruirono una Nuova Isola dei Sogni, e oggi l'intero processo è coordinato, e dal Pacifico continuano a sorgere nuovi pezzi di Giappone. Rubin osserva tutto questo alla T.V. e non dice assolutamente nulla. Non ha nulla da dire sul “gomi”. È il suo mezzo, l'aria che respira, vi ha nuotato per tutta la vita. Gira Vancouver su una specie di furgone sovradimensionato ricavato da un vecchio Mercedes aeroportuale, il tetto nascosto da un sacco di gomma mezzo pieno di gas naturale. Cerca oggetti che possano entrare a fare parte degli strani progetti che la sua inconoscibile Musa gli disegna nel cervello. Porta a casa altro “gomi”. Certe volte ancora funzionante. -Mio padre era tecnico del suono. Aveva cominciato molto tempo fa, prima +Certe volte, come Lise, umano. -ancora dell'avvento del digitale. I procedimenti che usava erano in parte +Incontrai Lise ad una delle feste di Rubin. Rubin dà un sacco di feste. Lui sembra non divertirsi mai particolarmente, ma sono ottime feste. Avevo perso il conto, quell'autunno, di tutte le volte in cui mi ero svegliato su un materasso di spugna per sentire il rumore della vecchia macchina da caffè di Rubin, un mostro annerito sormontato da una grande aquila cromata, il rumore che rimbombava contro le pareti di lamiera ondulata, assordante ma anche confortante: c'era il caffè. La vita sarebbe continuata. -meccanici, fatti di una tecnologia goffa e quasi vittoriana tipica del ventesimo +La prima volta che la vidi: nella Zona Cucina. Non la definirei esattamente una cucina: soltanto tre frigoriferi, una piastra elettrica e un forno a convezione rotto, che faceva parte del “gomi”. La prima volta che la vidi: aveva aperto il frigo della birra e nella luce interna vidi gli zigomi e la linea decisa della bocca ma vidi anche il luccichio nero del policarbonio ai polsi, e la piaga liscia e chiara prodotta dallo sfregamento dell'esoscheletro. Ero troppo ubriaco per connettere, per capire cos'era, ma sapevo che non era divertente. Così feci quello che fa di solito la gente con Lise: cambiai rotta. Mi diressi verso il vino, sul tavolo vicino al forno a convezione. Non mi guardai alle spalle. -secolo. Fondamentalmente, era un tornitore: la gente gli portava delle +Ma lei mi trovò. Venne a cercarmi due ore dopo, insinuandosi fra i corpi e il ciarpame con quella grazia terribile programmata nell'esoscheletro. Sapevo cos'era, allora, mentre la guardavo dirigersi sul bersaglio, troppo imbarazzato per schivarla, per scappare, per farfugliare qualche scusa e uscire. Bloccato lì, con un braccio attorno alla vita di una ragazza che non conoscevo, mentre Lise avanzava, anzi, che veniva spinta avanti, con quella grazia beffarda, dritta verso di me, gli occhi che le bruciavano di wiz, e la ragazza si liberò di me allontanandosi in un panico silenzioso, era sparita, e Lise era lì di fronte a me, sostenuta dalla sottile protesi di policarbonio. Guardai dentro quegli occhi, e mi sembrò quasi di sentirle ronzare le sinapsi, un grido stridulo, mentre il wiz le apriva tutti i circuiti del cervello. -registrazioni e lui preparava il disco master di lacca. Quindi il disco veniva +— Portami a casa — disse, e le parole mi colpirono come una frustata. -placcato elettroliticamente e usato per costruire una lastra dalla quale si +Credo di aver scosso la testa. — Portami a casa. — Sentivo dolore, in quella voce, e astuzia, e una crudeltà stupefacente. E in quel momento capii che nessuno mi aveva mai odiato così profondamente e completamente come quella ragazzina distrutta: mi odiava per come l'avevo guardata e poi avevo distolto lo sguardo, accanto al frigorifero della birra di Rubin. -stampavano dischi, quelle cose nere che si vedono nei negozi di antiquariato. E +Così feci una di quelle cose che si fanno e di cui non si scopre mai il perché, anche se qualcosa dentro sa che non c'era modo di fare altrimenti. -ricordo che una volta, pochi mesi prima di morire, mi disse che certe frequenze, +La portai a casa. -credo che le chiamasse transienti, potevano bruciare la testina di taglio del +Ho due stanze in un vecchio condominio all'angolo dell'incrocio fra la Quarta e la MacDonald, decimo piano. Gli ascensori di solito funzionano, e se ci si siede sulla balaustra del balcone, sporgendosi in fuori e tenendosi attaccato all'angolo dell'edificio vicino, si riesce a vedere una piccola sezione verticale di mare e montagne. Lei non aveva detto una parola per tutto il tragitto, e io cominciavo a essere abbastanza sobrio per sentirmi a disagio, mentre aprivo la porta e la facevo entrare. -tornio. Le testine erano costosissime, perciò si usava una cosa chiamata +La prima cosa che lei vide fu il modulo portatile di cancellazione rapida che mi ero portato a casa dal Pilot la sera prima. L'esoscheletro la spinse ad attraversare il tappeto polveroso con quel passo da modella a una sfilata. Una volta lontani dal frastuono della festa lo sentivo ticchettare sommessamente a ogni suo gesto. Rimase lì a guardare il modulo. Vedevo i supporti dell'apparecchio, quando stava ferma, sporgere sotto la giacca di pelle nera consunta. Una di quelle vecchie malattie per cui non sono mai riusciti a trovare una cura, o una di quelle nuove, evidentemente di origine ambientale, a cui hanno appena dato un nome. Non poteva muoversi senza quello scheletro supplementare, ed era collegato direttamente al suo cervello, interfaccia mioelettrica. I supporti di policarbonio apparentemente fragili le muovevano le braccia e le gambe, ma un sistema più sofisticato si occupava delle mani sottili, mediante innesti galvanici. Mi vennero in mente delle zampe di rana che si contraevano in un nastro visto a scuola, poi ebbi disgusto di me stesso per averci pensato. -accelerometro per evitare che si bruciassero. Ed era a questo che pensavo, con i +— Questo è un modulo per la cancellazione veloce — disse lei, in una voce che non avevo sentito prima, assente, e pensai allora che forse gli effetti del wiz si stavano esaurendo. — Cosa ci fa qui. -piedi che sporgevano sull'acqua: quella testina che bruciava. +— Faccio il curatore — dissi, chiudendomi la porta alle spalle. -Perché era questo che le avevano fatto. +— Davvero? — disse lei, e rise. — E dove lavori? -Ed era questo quello che lei voleva. +— Sull'Isola. Un posto che si chiama Automatic Pilot. -Nessun accelerometro per Lise. +Lei si voltò; poi, con una mano appoggiata all'anca, girò su se stessa (o meglio, l'esoscheletro la girò), e quegli occhi grigio slavato mi trafissero con uno sguardo carico di wiz e odio e una terribile parodia di passione. — Vuoi scoparmi, curatore? E sentii di nuovo il colpo di frusta, ma questa volta non intendevo rimanere passivo. Perciò le rivolsi uno sguardo gelido che proveniva dal profondo di me, di quel corpo pieno di birra che parlava e camminava e si muoveva da sé, ma altrimenti del tutto normale. Le parole mi uscirono di bocca come uno sputo. — Proveresti qualcosa, se lo facessi? -Andando a letto staccai il telefono. Lo feci con un treppiedi tedesco da studio, +Colpita. Forse sbatté le sopracciglia, ma non vidi altro segno di emozione. — No — disse. — Ma qualche volta mi piace guardare. -che mi sarebbe costato una settimana di paga per farlo riparare. +Rubin è in piedi vicino alla finestra, due giorni dopo la sua morte a Los Angeles, a fissare la neve che cade nel False Creek. — Allora non sei mai andato a letto con lei? -Mi svegliai qualche tempo dopo e presi un taxi fino a Granville Island, dove +Uno dei suoi giocattolini simili a piccole lucertole alla Escher su ruote, corre sul tavolo di fronte a me, tutto raggomitolato. -abitava Rubin. +— No — dico, ed è vero. Poi rido. — Ma ci siamo collegati. Quella prima notte. -Rubin, anche se nessuno capisce bene come, è un maestro, una guida, quello +— Sei matto — dice, con una certa approvazione nella voce. — Potevi morire. -che i giapponesi chiamano “sensei”. Ciò di cui è maestro, in realtà, sono i rifiuti, +Poteva fermarsi il cuore, o il respiro. . — Si volta verso la finestra. — Ti ha chiamato? -la spazzatura, le cianfrusaglie, il mare di merci gettate via su cui galleggia la +Ci collegammo. -nostra civiltà. “Gomi no sensei”. Maestro dei rifiuti. +Non l'avevo mai fatto prima. Se mi avessero chiesto il perché, avrei risposto che ero un curatore e che la cosa non era professionale. La verità sarebbe piuttosto qualcosa del genere: nel nostro mestiere, in quello legale (non mi occupo di porno) il prodotto grezzo lo definiamo “sogno asciutto”. I sogni asciutti sono l'emissione neurale di livelli di coscienza a cui la maggior parte delle persone può accedere solo in sogno. Ma gli artisti, quelli con cui io lavoro all'Automatic Pilot, sono in grado di rompere la tensione superficiale, di immergersi nel profondo del mare di Jung, e di risalire riportando. . Be' dei sogni. -Questa volta lo trovai accoccolato fra due batterie elettroniche dall'aria tetra +Mettiamola in termini semplici. Immagino che certi artisti l'abbiano sempre fatto, con qualsiasi mezzo, ma la neuroelettronica ci permette di entrare in contatto diretto con l'esperienza, e la rete la diffonde dappertutto via cavo; perciò possiamo impacchettarla venderla, vedere come si comporta sul mercato. -che non avevo mai visto: braccia sottili e arrugginite ripiegate sul cuore di una +Be', più le cose cambiano. . è una cosa che mi diceva sempre mio padre. -costellazione di barattoli di ferro ripescati nelle discariche di Richmond. Lui non +Di solito io ricevo il materiale grezzo in studio, filtrato da macchinari che valgono parecchi milioni di dollari, e non vedo neppure l'artista. La merce che vendiamo è stata strutturata, bilanciata, trasformata in arte. C'è ancora gente tanto ingenua da credere che proverebbe piacere a collegarsi direttamente a qualcuno che ama. Penso che la maggior parte dei ragazzini ci provino, almeno una volta. Certo è facile a farsi; basta prendere unità centrale, elettrodi e cavi alla Radio Shack. Ma io non l'ho mai fatto. E adesso che ci penso, non sono tanto sicuro di saperne spiegare il perché. O di volerci provare. -chiama mai il suo posto studio, non dice mai di essere un artista. Quello che fa lo +So perché lo feci con Lise, perché mi sedetti accanto a lei sul divanetto messicano e infilai il cavo ottico nella presa che aveva sulla spina dorsale, il bordo liscio dell'esoscheletro. Era in alto, alla base del collo, nascosta dai capelli scuri. Perché lei affermava di essere un'artista, e perché io sapevo che eravamo in qualche modo impegnati in un duello senza tregua, e io non volevo perdere. -chiama “trafficare”, e sembra considerarlo una specie di prolungamento dei +Può darsi che per altri non abbia molto senso, ma gli altri non l'hanno mai conosciuta, oppure la conoscono attraverso “I re del sonno”, che non è la stessa cosa. Gli altri non hanno mai sentito quella sua avidità ridotta a un bisogno arido, spaventoso nella sua determinazione. La gente che sa sempre esattamente quello che vuole mi spaventa, e Lise sapeva quello che voleva da molto tempo. -pomeriggi noiosi passati da bambino in cortile. Vaga nel suo laboratorio pieno +Non voleva altro. -zeppo di cianfrusaglie, una specie di minihangar ricavato sul lato verso il fiume +E io avevo paura, allora, di ammettere di avere paura, e avevo visto abbastanza sogni di estranei, nella sala di missaggio dell'Automatic Pilot, per sapere che i mostri interiori della maggior parte della gente sono cose sciocche, ridicole alla luce della propria coscienza. Ed ero ancora ubriaco. -del Mercato, seguito dalle sue creature più agili e più sveglie, simile a un Satana +Mi misi gli elettrodi e allungai la mano verso il pulsante dell'unità. Avevo escluso le funzioni di studio, trasformando momentaneamente un apparecchio elettronico giapponese da 80 mila dollari nell'equivalente di una di quelle scatolette da niente della Radio Shack. — Via — dissi, e schiacciai il pulsante. -quasi benevolo intento a elaborare artifici sempre più bizzarri nel suo Inferno di +Parole. Le parole non possono. O forse sì, solo lontanamente, se sapessi almeno come cominciare a descriverlo, quello che uscì da lei, quello che fece. . -“gomi”. Ho visto Rubin programmare le sue costruzioni per identificare e +C'è una sequenza nei “Re del sonno”: è come trovarsi su una motocicletta a mezzanotte, senza luci ma non ce n'è bisogno, e si corre lungo una strada, alta su una scogliera, così veloci da stare sospesi in un cono di silenzio, il tuono della moto perso alle spalle. . È solo un attimo nei “Re”, ma è una delle mille cose che si ricordano, a cui si torna, che si incorporano nel proprio vocabolario di sensazioni. -insultare i pedoni che indossano i vestiti di questo o quello stilista di moda in +Straordinario. Libertà e morte, proprio lì, lì: la lama del rasoio per sempre. -una data stagione; altre sono impegnate in missioni più oscure, e alcune +Quello che provai era la versione originale di quella corsa, un pugno nello stomaco, un'esplosione di povertà, di solitudine, di oscurità. E quella era l'ambizione di Lise, quella corsa, “vista dall'interno”. -sembrano costruite solo allo scopo di smontarsi con il maggiore fracasso +Probabilmente non durò più di quattro secondi. -possibile. È come un bambino, Rubin; ma vale anche un sacco di soldi nelle +E naturalmente lei vinse. -gallerie di Tokyo e Parigi. +Mi tolsi gli elettrodi e fissai la parete, gli occhi umidi, i poster incorniciati che ondeggiavano davanti a me. -Così gli raccontai di Lise. Lui mi lasciò parlare, sfogarmi poi annuì. +Non potevo guardarla. La sentii staccare il cavo ottico, sentii l'esoscheletro scricchiolare mentre la sollevava dal divano. Lo sentii ticchettare sommessamente mentre la trasportava in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. -— Lo so — disse. — Un cazzone della C.B.C. mi ha telefonato otto volte. — +Poi cominciai a piangere. -Sorseggiò da una tazza ammaccata. — Vuoi del Wild Turkey sour? +Rubin inserisce una sottile sonda nella pancia di un giocattolo più lento degli altri e osserva i circuiti attraverso occhiali a ingrandimento con faretti in miniatura montati sulle tempie. -— Perché ti hanno chiamato? +— E allora? Ti sei fatto incastrare. — Si stringe nelle spalle, alza gli occhi. È buio adesso, e i due raggi di luce mi colpiscono la faccia; è umido in quel suo hangar di ferro, e si sente l'ululato solitario di una sirena da nebbia, sul fiume. — E allora? Stavolta sono io ad alzare le spalle. — Ho solo. . Mi sembrava che non ci fosse altro da fare. -— Perché c'è il mio nome sul retro dei “Re del sonno”. Una dedica. +I raggi tornano al cuore in silicio del suo giocattolo difettoso. — Allora sei a posto. È stata una vera scelta. Voglio dire che lei era destinata ad essere quello che è. Hai a che fare con quello che lei è oggi quanto ne ha quel modulo di cancellazione veloce. Se non avesse trovato te avrebbe trovato qualcun altro. -— Non l'ho ancora visto. +Feci un patto con Barry, il redattore capo, e ottenni venti minuti, alle cinque di una fredda mattina di settembre. Lisa venne e mi colpì con la stessa intensità, ma stavolta ero preparato con i filtri e le mappe cerebrali e non ero costretto a sentirlo. Mi ci vollero due settimane, rubando i minuti nella sala di montaggio, per montare quello che lei aveva fatto in maniera da poterlo mostrare a Max Bell, che sarebbe il proprietario del Pilot. -— Ti ha già chiamato? +Bell non era apparso per niente entusiasta mentre gli spiegavo quello che avevo fatto. I curatori troppo indipendenti possono creare problemi; capita spesso che si convincano di aver trovato qualcuno di eccezionale, un genio, e cominciano a sprecare tempo e denaro. Annuì quando ebbi finito il mio discorsetto, poi si grattò il naso con il cappuccio del suo pennarello rosso. — Hmm. Ho capito. La cosa più straordinaria dal giorno che ai pesci sono cresciute le gambe, giusto? Ma aveva inserito la cassetta che avevo registrato, e quando uscì dalla fessura della sua unità Braun da tavolo, fissava il muro, la faccia inespressiva. -— No. +— Max? -— Lo farà. +— Eh? -— Rubin, è morta. L'hanno già cremata. +— Cosa ne pensi? -— Lo so — disse lui. — Ti chiamerà. +— Penso? Be'.. Come hai detto che si chiama? — Sbatté le palpebre. — Lisa? -“Gomi”. +Con chi ha firmato? -Dove finisce il “gomi” e inizia il mondo? I giapponesi, un secolo fa, avevano già +— Lise. Nessuno, Max. Non ha ancora firmato con nessuno. -esaurito lo spazio per il “gomi” attorno a Tokyo, perciò idearono un piano per +— Cristo. — La sua faccia era ancora inespressiva. -creare spazio dal “gomi”. Entro il 1969 si erano costruiti una piccola isola nella +— Sai come l'ho trovata? — chiede Rubin, facendosi strada fra scatole di cartone sfasciate per raggiungere l'interruttore della luce. Le scatole sono piene di “gomi” accuratamente catalogato: batterie al litio, condensatori al tantalio, morsetti R.F. lastre per circuiti, nastri barriera, trasformatori ferrorisonanti, bobine di cavi per sbarre collettrici. . Una scatola è piena di teste tagliate di Barbie, un'altra di guanti industriali, simili a quelli delle tute spaziali. La luce riempie la stanza, e una specie di mantide di Kandinsky, in latta tagliuzzata e dipinta, ruota la testa grande come una palla da golf verso il bulbo luminoso. — Ero dalle parti di Granville, alla ricerca di “gomi”, in un vicolo, e l'ho trovata seduta lì. Ho visto lo scheletro e lei che non sembrava stesse troppo bene, e le ho chiesto se aveva bisogno di aiuto. Niente. Ha chiuso solo gli occhi. Non sono affari miei, penso. Ma mi capita di ripassare di lì circa quattro ore dopo, e lei non si è mossa. «Senti, tesoro» le dico «forse quell'aggeggio si è guastato. Posso aiutarti, d'accordo?» Niente. «Da quanto tempo sei qui?» Niente. Così riparto. — Va al tavolo di lavoro, e sfiora le sottili membra metalliche della cosa-mantide con un indice pallido. Dietro il bancone, appesi a vecchie lastre di compensato perforato e gonfio di umidità, ci sono attrezzi: pinze, cacciaviti, pistole incollanastri, un fucile Daisy B.B. arrugginito, spelafili, piegatubi, sonde logiche, cannelli ossidrici, un oscilloscopio tascabile, apparentemente tutti gli strumenti della storia umana, e sembra che nessuno abbia mai fatto il tentativo di metterli in ordine, anche se non ho mai visto la mano di Rubin esitare. -baia di Tokyo, e l'avevano battezzata Isola dei Sogni. Ma la città continuava a +— Così sono tornato indietro — dice. — Dopo un'ora circa. Era svenuta priva di sensi, perciò l'ho portata qui e ho dato una controllata all'esoscheletro. Le batterie erano esaurite. Era strisciata fin là, quando l'energia stava finendo, preparandosi a morire di fame, immagino. -produrre le sue novemila tonnellate al giorno, così costruirono una Nuova Isola +— Quando è successo? -dei Sogni, e oggi l'intero processo è coordinato, e dal Pacifico continuano a +— Circa una settimana prima che tu la portassi a casa. -sorgere nuovi pezzi di Giappone. Rubin osserva tutto questo alla T.V. e non dice +— E se fosse morta? Se tu non l'avessi trovata? -assolutamente nulla. Non ha nulla da dire sul “gomi”. È il suo mezzo, l'aria che +— L'avrebbe trovata qualcun altro. Lei non poteva “chiedere” niente, capisci. -respira, vi ha nuotato per tutta la vita. Gira Vancouver su una specie di furgone +Solo prendere. Non poteva sopportare un favore. -sovradimensionato ricavato da un vecchio Mercedes aeroportuale, il tetto +Max le trovò degli agenti, e un trio di soci giovani, elegantissimi, arrivò su un Lear all'Y.V.R., il giorno dopo. Lise si rifiuta di venire al Pilot per incontrarli, e insistette perché li portassimo da Rubin, dove lei dormiva. -nascosto da un sacco di gomma mezzo pieno di gas naturale. Cerca oggetti che +— Benvenuti a Couverville — disse Rubin mentre entravano. Aveva la lunga faccia macchiata di grasso, e la patta dei pantaloni da lavoro stracciati tenuta più o meno chiusa da una graffetta storta. I due ragazzi sorrisero automaticamente, ma c'era qualcosa di più autentico nel sorriso della ragazza. — Signor Stark — disse — ero a Londra la settimana scorsa. Ho visto la vostra installazione alla Tate. -possano entrare a fare parte degli strani progetti che la sua inconoscibile Musa +— “La fabbrica di batterie di Marcello” — disse Rubin. — Dicono che sia scatologica, gli inglesi. . — Alzò le spalle. — Inglesi. Cioè, chi lo sa? -gli disegna nel cervello. Porta a casa altro “gomi”. Certe volte ancora funzionante. +— Hanno ragione. È anche molto divertente. -Certe volte, come Lise, umano. +I ragazzi facevano grandi sorrisi luminosi, abbronzati nei loro vestiti eleganti. -Incontrai Lise ad una delle feste di Rubin. Rubin dà un sacco di feste. Lui +Il nastro dimostrativo aveva raggiunto Los Angeles. Sapevano tutto. -sembra non divertirsi mai particolarmente, ma sono ottime feste. Avevo perso il +— E tu sei Lise — disse lei, facendosi strada fra il “gomi” ammucchiato di Rubin. — Presto sarai una persona molto famosa, Lise. Abbiamo un sacco di cose di cui parlare. . -conto, quell'autunno, di tutte le volte in cui mi ero svegliato su un materasso di +E Lise rimase ferma lì, tenuta in piedi dal policarbonio, e l'espressione sulla sua faccia era quella che le avevo visto quella prima sera nel mio appartamento, quando mi aveva chiesto se volevo andare a letto con lei. Ma se la giovane agente se ne accorse, non lo diede a vedere. Era una professionista. -spugna per sentire il rumore della vecchia macchina da caffè di Rubin, un mostro +Mi dissi che anch'io ero un professionista. -annerito sormontato da una grande aquila cromata, il rumore che rimbombava +Mi dissi di prendermela calma. -contro le pareti di lamiera ondulata, assordante ma anche confortante: c'era il +Fuochi fatti coi rifiuti bruciano in bidoni di ferro attorno al Mercato. La neve sta ancora cadendo e i bambini si raccolgono attorno alle fiamme come clown artritici, saltellando da un piede all'altro, con il vento che fa sbattere i cappotti scuri. Fra la confusione pseudoartistica di Fairview c'è del bucato steso gelato, lenzuola quadrate rosa che si stagliano contro il nero dello sfondo e l'ammasso di antenne per satellite e pannelli solari. Il mulino a vento di un ecologista gira instancabile, come in un gesto osceno rivolto ai prezzi della Hydro. -caffè. La vita sarebbe continuata. +Rubin cammina pesantemente con scarpe di gomma L. L Bean sporche di pittura, la grossa testa affondata in un giaccone da lavoro troppo grande. Ogni tanto uno dei ragazzini accoccolati vicino ai fuochi lo indica mentre passiamo: il tipo che costruisce quelle cose assurde, i robot, quelle cazzate là. -La prima volta che la vidi: nella Zona Cucina. Non la definirei esattamente una +— Sai qual è il tuo guaio? — dice quando siamo sotto il ponte, diretti verso la Quarta. — Tu sei il classico stronzo che vuol sempre leggere prima il manuale. -cucina: soltanto tre frigoriferi, una piastra elettrica e un forno a convezione +Qualunque cosa la gente costruisca, qualsiasi tipo di tecnologia, deve avere qualche scopo specifico. Serve a fare qualcosa che qualcuno ha già capito. Ma se si tratta di una nuova tecnologia, aprirà degli spazi a cui nessuno aveva mai pensato prima. Tu invece leggi il manuale e non ti sogni neanche di cambiare una virgola. E ti senti sconvolto quando qualcuno la usa per fare qualcosa a cui non avevi mai pensato. Come Lise. -rotto, che faceva parte del “gomi”. La prima volta che la vidi: aveva aperto il frigo +— Non è stata la prima. — Rumore di traffico, sopra le nostre teste. -della birra e nella luce interna vidi gli zigomi e la linea decisa della bocca ma vidi +— No, ma sicuramente è la prima persona che tu conosca che si sia tradotta in un programma. Sei stato sveglio la notte quando quel francese, come si chiamava, lo scrittore, l'ha fatto, tre o quattro anni fa? -anche il luccichio nero del policarbonio ai polsi, e la piaga liscia e chiara prodotta +— Non ci ho pensato molto. Un trucco pubblicitario. . -dallo sfregamento dell'esoscheletro. Ero troppo ubriaco per connettere, per +— Sta ancora scrivendo. La cosa terribile è che continuerà a scrivere, a meno che qualcuno non gli faccia saltare il mainframe. . Ebbi un brivido e scossi la testa. — Ma non è LUI. È solo un programma. -capire cos'era, ma sapevo che non era divertente. Così feci quello che fa di solito +— Questo è un problema interessante. Difficile a dirsi. Con Lise, però, lo scopriremo. Non è una scrittrice. -la gente con Lise: cambiai rotta. Mi diressi verso il vino, sul tavolo vicino al forno +Lei l'aveva tutto chiuso nella testa, i “Re”, proprio come il suo corpo era chiuso nell'esoscheletro. -a convezione. Non mi guardai alle spalle. +Gli agenti la scritturarono per un'etichetta e fecero venire una squadra di produzione da Tokyo. Lei disse che voleva me come curatore. Io dissi di no; Max mi trascinò nel suo ufficio e minacciò di licenziarmi su due piedi. Se non mi sentivo coinvolto, non c'era alcuna ragione per cui lavorassi al Pilot. Vancouver non era il centro del mondo, e gli agenti la volevano a Los Angeles. Per lui significava un sacco di soldi, e avrebbe messo l'Automatic Pilot nel giro. Non potevo spiegargli perché avevo rifiutato. Era troppo assurdo, troppo personale; per lei era l'ultima trincea. O almeno così pensavo allora. Ma Max faceva sul serio. Non mi lasciò alcuna alternativa. Entrambi sapevamo che non mi sarebbe capitato facilmente un altro lavoro. Uscii insieme a lui, e dicemmo agli agenti che avevamo risolto la questione: c'ero anch'io. -Ma lei mi trovò. Venne a cercarmi due ore dopo, insinuandosi fra i corpi e il +Gli agenti ci fecero il culo. -ciarpame con quella grazia terribile programmata nell'esoscheletro. Sapevo +Lise tirò fuori un inalatore pieno di wiz e si tirò un bel flash. Probabilmente l'agente femmina alzò appena il sopracciglio per la sorpresa, ma la censura non andò più in là. Una volta firmati i documenti, Lise poteva fare più o meno quello che voleva. E Lise sapeva sempre quello che voleva. -cos'era, allora, mentre la guardavo dirigersi sul bersaglio, troppo imbarazzato +Facemmo “I re” in tre settimane, la registrazione di base. Trovai una serie di scuse per evitare la casa di Rubin, e ad alcune ci credevo anch'io. Lei stava ancora da Rubin, anche se gli agenti non erano molto contenti di quella che a loro sembrava una completa assenza di misure di sicurezza. Rubin mi raccontò più tardi che aveva dovuto farli chiamare dal suo agente e minacciarli, ma dopo avevano smesso di preoccuparsi. Non sapevo che Rubin avesse un agente. Era facile dimenticarsi che Rubin Stark, allora, era più famoso di chiunque altro conoscessi, più famoso certamente di quanto pensassi potesse diventare Lise. -per schivarla, per scappare, per farfugliare qualche scusa e uscire. Bloccato lì, +Sapevo che lavoravamo su qualcosa di grosso, ma fino a che punto può esserlo non lo si sa mai. -con un braccio attorno alla vita di una ragazza che non conoscevo, mentre Lise +Durante il tempo che passavo al Pilot, ero impegnato al massimo. Lise era straordinaria. -avanzava, anzi, che veniva spinta avanti, con quella grazia beffarda, dritta verso +Era come se fosse nata per quel lavoro, anche se la tecnologia che lo rendeva possibile non esisteva neppure quando lei era venuta al mondo. Uno vede una cosa del genere e si chiede quante migliaia, forse milioni di artisti fenomenali sono morti muti, lungo i secoli; artisti che non avrebbero mai potuto essere poeti o pittori o suonatori di sassofono, ma che avevano qualcosa dentro, onde psichiche che avevano bisogno solo dei circuiti adatti per uscire fuori. . Appresi alcune cose su di lei, incidentalmente, lavorando insieme nello studio. Che era nata a Windsor. Che suo padre era americano, aveva combattuto in Perù ed era tornato a casa pazzo e mezzo cieco. Che tutto quello che non andava nel suo corpo era congenito. Che aveva quelle piaghe perché non voleva mai togliersi l'esoscheletro: si sentiva soffocare fino alla morte al pensiero di essere completamente inabile. Che era drogata, e prendeva ogni giorno tanto wiz da bastare a una squadra di rugby. -di me, gli occhi che le bruciavano di wiz, e la ragazza si liberò di me +I suoi agenti fecero venire dei medici, che imbottirono le strutture di policarbonio con della gomma e le chiusero le piaghe con cerotti microporosi. La riempirono di vitamine e le modificarono la dieta, ma nessuno cercò mai di toglierle l'inalatore. -allontanandosi in un panico silenzioso, era sparita, e Lise era lì di fronte a me, +Fecero venire anche parrucchieri e artisti del trucco e costumisti e costruttori d'immagine e quegli stronzetti blateranti delle Pubbliche Relazioni, e lei sopportò tutto con una specie di sorriso sulle labbra. -sostenuta dalla sottile protesi di policarbonio. Guardai dentro quegli occhi, e mi +E per tutte quelle tre settimane non parlammo. Solo quello che serviva per il lavoro, fra artista e curatore, in gran parte un codice speciale. La sua capacità immaginativa era così potente, così assoluta, che non aveva mai bisogno di spiegarmi un certo effetto. Io prendevo quello che lei produceva, ci lavoravo sopra e glielo restituivo. Lei diceva sì o no, di solito sì. Gli agenti se ne accorsero, approvarono e diedero delle pacche sulla schiena di Max Bell, e lo portarono fuori a cena, e mi vidi aumentare il salario. E mi comportai costantemente da perfetto professionista. Servizievole, preciso, gentile. Ero deciso a non lasciarmi andare un'altra volta, e non pensai più a quella notte in cui mi ero messo a piangere, e stavo anche facendo il lavoro migliore che avessi mai fatto, e lo sapevo, e questo era di per sé esaltante. -sembrò quasi di sentirle ronzare le sinapsi, un grido stridulo, mentre il wiz le +Poi, una mattina, verso le sei, dopo una lunghissima sessione (dopo che lei aveva creato per la prima volta quella bizzarra sequenza di danza, quella che i ragazzi chiamano il Ballo dei Fantasmi), mi parlò. Uno dei due agenti maschi era rimasto con noi a fare il duro, ma adesso se n'era andato e il Pilot era silenzioso come una tomba, si sentiva solo il ronzio di un telefono, dalle parti dell'ufficio di Max. -apriva tutti i circuiti del cervello. +— Casey — disse, la voce roca per il wiz — scusa se ti ho colpito così duro. -— Portami a casa — disse, e le parole mi colpirono come una frustata. +Per un minuto pensai che stesse parlando della registrazione che avevamo appena fatto. Alzai gli occhi e la vidi lì, e mi venne in mente che eravamo soli, e non eravamo più stati soli da quando avevamo fatto quel nastro dimostrativo. -Credo di aver scosso la testa. — Portami a casa. — Sentivo dolore, in quella +Non sapevo cosa dire. Non sapevo neppure cosa sentivo. In piedi nel suo esoscheletro, aveva un aspetto ancora peggiore che quella prima notte da Rubin. -voce, e astuzia, e una crudeltà stupefacente. E in quel momento capii che +Vedevo sotto la roba che i truccatori le mettevano sulla faccia e capivo che il wiz la stava consumando. A volte sembrava di vedere un teschio affiorare sotto la faccia di una ragazzina non troppo bella. Non avevo idea di quanti anni avesse. -nessuno mi aveva mai odiato così profondamente e completamente come quella +Né vecchia né giovane. -ragazzina distrutta: mi odiava per come l'avevo guardata e poi avevo distolto lo +— Effetto truffa — dissi, arrotolando un pezzo di cavo. -sguardo, accanto al frigorifero della birra di Rubin. +— Come? -Così feci una di quelle cose che si fanno e di cui non si scopre mai il perché, +— È il sistema che usa la natura per dirti di piantarla. È una specie di legge matematica: puoi avere vera soddisfazione da uno stimolante solo un tot di volte, anche se aumenti la dose. Ma non riuscirai mai a ricavarne l'effetto che hai provato le prime volte. O comunque non ne saresti capace. Questo è il guaio con le droghe sintetiche: sono troppo furbe. Quella roba che ti prendi ha un trucco in una molecola: impedisce all'adrenalina decomposta di trasformarsi in adrenocroma. Altrimenti saresti schizofrenica, ormai. Hai qualche piccolo problema, Lise? Apnea, per esempio? Qualche volta ti capita di non riuscire a respirare, quando dormi? -anche se qualcosa dentro sa che non c'era modo di fare altrimenti. +Ma non ero neppure sicuro di provare l'ira che sentivo nella mia voce. Lei mi fissò con quei pallidi occhi grigi. I costumisti le avevano sostituito la giacca da quattro soldi con una nero opaco, di pelle morbida, che nascondeva meglio i supporti di policarbonio. Lei la teneva sempre allacciata fino al collo, anche se faceva troppo caldo nello studio. I parrucchieri avevano provato qualcosa di nuovo il giorno prima, ma non aveva funzionato bene, e i suoi capelli scuri e ispidi erano come un'esplosione sghemba che incoronava la faccia tirata, triangolare. Lei mi fissò e io la sentii ancora, quella decisione assoluta. -La portai a casa. +— Io non dormo, Casey. -Ho due stanze in un vecchio condominio all'angolo dell'incrocio fra la Quarta e +Fu soltanto dopo molto tempo che mi ricordai che aveva detto che le spiaceva. -la MacDonald, decimo piano. Gli ascensori di solito funzionano, e se ci si siede +Non lo fece più, e fu la sola volta in cui le sentii dire qualcosa non in sintonia col personaggio. -sulla balaustra del balcone, sporgendosi in fuori e tenendosi attaccato all'angolo +La dieta di Rubin consiste di sandwich di distributori automatici, piatti pakistani da asporto e caffè espresso. Non l'ho mai visto mangiare altro. -dell'edificio vicino, si riesce a vedere una piccola sezione verticale di mare e +Mangiamo “samosas” in un buco sulla Quarta con un unico tavolo di plastica incastrato fra il bancone e la porta del cesso. Rubin mangia la sua dozzina di “samosas”, sei con la carne e sei con la verdura con assoluta concentrazione, una dopo l'altra senza mai pulirsi la bocca. -montagne. Lei non aveva detto una parola per tutto il tragitto, e io cominciavo a +È un cliente affezionato. Detesta il cameriere greco e il sentimento è reciproco. -essere abbastanza sobrio per sentirmi a disagio, mentre aprivo la porta e la +Una vera relazione. Se il cameriere se ne andasse, probabilmente Rubin non ci tornerebbe più. Il greco osserva cupo le briciole sul mento e sulla giacca di Rubin. Fra una “samosa” e l'altra lui gli lancia occhiate altrettanto cattive, gli occhi stretti dietro le lenti sporche degli occhiali cerchiati. -facevo entrare. +Le “samosas” sono la cena. Per colazione ci sono uova in insalata su fette di pane bianco scipito impacchettate in triangoli di plastica bianca, con sei tazze di espresso velenoso. -La prima cosa che lei vide fu il modulo portatile di cancellazione rapida che mi +— Tu non ti sei accorto di quello che stava per succedere, Casey. — Mi sbircia dalle lenti spesse e cosparse di impronte digitali. — Perché tu non sei capace di pensare indirettamente. Sei solo capace di leggere il manuale. Cosa credevi che volesse? Sesso? Più wiz? Il giro del mondo? Aveva superato tutto questo. È questo che la rende così forte. L'aveva superato. È per questo che “I re del sonno” è così intenso, e i ragazzi lo comprano, e ci credono, ci credono davvero. -ero portato a casa dal Pilot la sera prima. L'esoscheletro la spinse ad +Loro capiscono. Quei ragazzini al Mercato che si scaldano il sedere attorno ai fuochi senza sapere se troveranno un posto per dormire, ci credono. È il programma più forte da otto anni. Un tale di un negozio a Granville mi ha detto che gli rubano più copie di quel maledetto affare di quante ne venda di tutto il resto. Dice che è un problema anche fare le scorte. . Lei è grande perché è come loro, solo di più. Lei sapeva, capisci? Nessun sogno, nessuna speranza. Tu non le vedi le gabbie attorno a quei ragazzi, Casey, ma una cosa la capiscono, sempre meglio: che non potranno mai andarsene. — Si pulisce il mento da un pezzetto di carne unto senza accorgersi degli altri tre. — E lei lo ha cantato per loro, lo ha detto come loro non sanno dirlo, gli ha dipinto un quadro. E ha usato i soldi per comprarsi una via d'uscita, ecco tutto. -attraversare il tappeto polveroso con quel passo da modella a una sfilata. Una +Osservo l'umidità colare in grosse gocce lungo i vetri striati della finestra. -volta lontani dal frastuono della festa lo sentivo ticchettare sommessamente a +All'esterno si scorge una Lada parzialmente smontata, senza ruote, gli assali appoggiati sull'asfalto. -ogni suo gesto. Rimase lì a guardare il modulo. Vedevo i supporti +— Quanta gente l'ha fatto, Rubin? Tu lo sai? -dell'apparecchio, quando stava ferma, sporgere sotto la giacca di pelle nera +— Non molti. È difficile dirlo, però, perché molti di loro probabilmente sono uomini politici che crediamo morti una volta per tutte. — Mi lancia un'occhiata strana. — Non è un'idea simpatica. Comunque, loro avevano la possibilità di mettere le mani per primi sul “know-how”. Costa ancora troppo per i comuni miliardari, ma ho sentito di almeno sette di loro; dicono che la Mitsubishi l'abbia fatto a Weinberg prima che il sistema immunitario gli andasse definitivamente in vacca. Era a capo del loro laboratorio ibridomico a Okayama. Be', le loro azioni sono ancora piuttosto alte per la monoclonazione, perciò forse quello che si dice in giro è vero. E Langlais, il ragazzo francese, lo scrittore. . — Alza le spalle. — Lise non aveva i soldi per farlo. Ma si è inserita nel posto giusto al momento giusto. Stava per tirare le cuoia, era a Hollywood, e loro si erano già accorti di cosa poteva diventare “I re del sonno”. -consunta. Una di quelle vecchie malattie per cui non sono mai riusciti a trovare +Il giorno in cui finimmo, il gruppo scese da uno shuttle JAL proveniente da Londra: quattro ragazzi magri che funzionavano come una macchina bene oliata, avevano una concezione ipertrofica della moda e sembravano non preoccuparsi di niente. Li sistemai in fila al Pilot, su sedie da ufficio Ikea bianche, misi loro sulle tempie la pasta salina, appiccicai gli elettrodi e gli feci provare una versione provvisoria di quello che sarebbe stato “I re del sonno”. Quando ne uscirono, cominciarono a parlare tutti insieme, ignorandomi totalmente, nella versione inglese di quel linguaggio segreto che usano tutti i musicisti da studio. Quattro paia di mani pallide che si agitavano in aria. -una cura, o una di quelle nuove, evidentemente di origine ambientale, a cui +Ne capii abbastanza per decidere che erano emozionati. Che pensavano che era buono. Perciò presi la giacca e me ne andai. Potevano anche pulirsi da soli la pasta salina. -hanno appena dato un nome. Non poteva muoversi senza quello scheletro +E quella sera vidi Lise per l'ultima volta, anche se non ne avevo avuto l'intenzione. -supplementare, ed era collegato direttamente al suo cervello, interfaccia +Tornando per il Mercato, Rubin digerisce rumorosamente la cena, le luci di posizione rosse si riflettono sul selciato umido, la città dietro il Mercato è come una pulita scultura di luce, una bugia, dove i reietti e i disperati scavano nel “gomi” che cresce come humus alla base delle torri di vetro. . -mioelettrica. I supporti di policarbonio apparentemente fragili le muovevano le +— Devo andare a Francoforte, domani, per fare un'installazione. Vuoi venire? -braccia e le gambe, ma un sistema più sofisticato si occupava delle mani sottili, +Posso farti passare per un tecnico. — Si infagotta ancora di più nel giaccone da lavoro. — Non posso pagarti, ma il biglietto è gratis, se vuoi. . -mediante innesti galvanici. Mi vennero in mente delle zampe di rana che si +Strana offerta da parte di Rubin, e so che lo fa perché è preoccupato per me, pensa che me la sto prendendo troppo per Lise, ed è l'unica cosa che gli viene in mente, portarmi via dalla città. -contraevano in un nastro visto a scuola, poi ebbi disgusto di me stesso per averci +— A Francoforte fa ancora più freddo che qui, adesso. -pensato. +— Forse hai bisogno di cambiare aria, Casey, non so. . -— Questo è un modulo per la cancellazione veloce — disse lei, in una voce che +— Grazie, ma Max ha un sacco di lavoro in attesa. Il Pilot è diventato importante, adesso, c'è gente che arriva da ogni parte. . -non avevo sentito prima, assente, e pensai allora che forse gli effetti del wiz si +— Capisco. -stavano esaurendo. — Cosa ci fa qui. +Dopo aver lasciato il gruppo al Pilot, andai a casa. Camminai fino alla Quarta e presi il tram, passando accanto alle vetrine dei negozi che vedo ogni giorno, piene di luci sgargianti, vestiti, scarpe, software, motociclette giapponesi accucciate come scorpioni smaltati, mobili italiani. Le vetrine cambiano ogni stagione, i negozi vanno e vengono. Era il periodo prima delle vacanze, e c'era più gente del solito nelle strade, un sacco di coppiette che camminavano rapide e decise accanto alle vetrine, per cercare un oggettino per qualcuno, la metà delle ragazze con quegli stivali aderenti di nylon alti fino alla coscia arrivati da New York la stagione scorsa, quelli che secondo Rubin le fanno sembrare come se avessero tutte l'elefantiasi. Sorrisi, pensandoci, e d'improvviso mi resi conto che era finita, che non avrei più avuto niente a che fare con Lise, che adesso sarebbe stata risucchiata verso Hollywood inesorabilmente come se avesse messo un piede in un buco nero. Attratta dalla inimmaginabile forza del Denaro. Credendo questo, che se n'era andata, che probabilmente se n'era GIÀ andata, abbassai la guardia dentro me stesso, e sentii i sintomi della pietà. Ma solo i sintomi, perché non volevo farmi rovinare la serata. Volevo divertirmi. Era un po' che non lo facevo. Scesi alla mia fermata, e l'ascensore arrivò al primo tentativo. Buon segno, mi dissi. Arrivato a casa mi spogliai e feci una doccia, presi una camicia pulita e misi dei “burritos” nel forno a microonde. Cerca di sentirti normale, consigliai alla mia immagine riflessa mentre mi facevo la barba. Hai lavorato troppo. Il conto in banca ti sta scoppiando. È ora di porre rimedio. -— Faccio il curatore — dissi, chiudendomi la porta alle spalle. +I “burritos” sapevano di cartone, ma decisi che mi piacevano perché erano normali in modo quasi perentorio. La mia macchina era da Burnaby, per riparare la cellula all'idrogeno che perdeva, perciò non dovevo preoccuparmi di guidare. -— Davvero? — disse lei, e rise. — E dove lavori? +Potevo divertirmi finché volevo e telefonare la mattina dopo dicendo che ero ammalato. Max non avrebbe detto niente; ero il pupillo. Aveva un debito con me. -— Sull'Isola. Un posto che si chiama Automatic Pilot. +Sei in debito con me, Max, dissi alla bottiglia di Moskovskaya sottozero che pescai dal congelatore. Lo sarai sempre. Ho appena passato tre settimane a sistemare i sogni e gli incubi di una persona molto incasinata, Max. A tuo vantaggio. Per permetterti di crescere e di arricchirti, Max. Mi versai tre dita di vodka in un bicchiere di plastica rimasto da una festa che avevo dato un anno prima, e tornai nel soggiorno. -Lei si voltò; poi, con una mano appoggiata all'anca, girò su se stessa (o meglio, +Qualche volta mi sembra che là dentro non ci viva nessuno. Non che sia particolarmente in disordine; sono un bravo uomo di casa, anche se un po' macchinoso, e mi ricordo perfino di fare la polvere alle cornici, ma a volte succede che questo posto mi dia d'improvviso i brividi a vedere tutti quei beni di consumo accatastati. Voglio dire, non è che voglia riempirlo di gatti o piante, o roba del genere, ma ci sono dei momenti in cui mi accorgo che chiunque potrebbe viverci o possedere queste cose, e sembra tutto intercambiabile, la mia vita e la vostra, la mia vita e quella di chiunque. . -l'esoscheletro la girò), e quegli occhi grigio slavato mi trafissero con uno sguardo +Credo che anche Rubin veda le cose in questo modo, sempre, ma per lui è una fonte di energia. Lui vive nei rifiuti degli altri, e tutto quello che si porta a casa doveva essere un tempo nuovo e splendente, doveva aver significato qualcosa per qualcuno, anche se per poco. Perciò raccoglie tutto nel suo furgone pazzesco e lo porta nel laboratorio, e lo lascia decomporre finché non gli viene in mente qualcosa di nuovo da farci. Una volta mi ha tatto vedere un libro d'arte del ventesimo secolo che gli piaceva, e c'era la foto di una scultura automatica chiamata “Gli uccelli morti volano di nuovo”, una cosa che faceva girare in tondo dei veri uccelli morti su un filo, e Rubin sorrideva annuendo, e io capii che lui vedeva in quell'artista una specie di antenato spirituale. Ma cosa poteva farsene Rubin dei miei poster incorniciati, del mio divanetto messicano della Baia, e del mio letto in schiuma dell'Ikea? “Be'” pensai bevendo un primo sorso ghiacciato, “riuscirebbe a inventare qualcosa; è per questo che lui è un artista famoso e io no.” Andai ad appoggiare la fronte al vetro della finestra, freddo come il bicchiere che tenevo in mano. “È ora di andare” mi dissi. “Stai mostrando i classici sintomi dell'ansia da “single” urbano. Ci sono dei rimedi. Bevi, esci.” Non riuscii a raggiungere uno stato d'animo allegro, quella sera. Né diedi prova di buon senso da persona adulta rinunciandoci, tornando a casa, guardando qualche vecchio film e addormentandomi sul divano. La tensione che si era accumulata in me durante quelle tre settimane mi spingeva come la molla di un orologio meccanico, e continuai ad avanzare ticchettando per la città notturna, lubrificandomi a forza di drink il cammino più o meno casuale. Pensai che era una di quelle sere in cui si scivola in un continuum parallelo, in una città che assomiglia esattamente a quella in cui si era prima, tranne per il fatto che non contiene una sola persona amata o conosciuta o con cui si abbia mai parlato. -carico di wiz e odio e una terribile parodia di passione. — Vuoi scoparmi, +In sere come questa si può anche entrare nel solito bar e scoprire che tutti i camerieri sono stati sostituiti; allora ci si rende conto che il vero scopo dell'uscire era semplicemente vedere una faccia familiare, una cameriera, un cameriere, chiunque. . È il genere di cosa che rovina la voglia di divertirsi. -curatore? E sentii di nuovo il colpo di frusta, ma questa volta non intendevo +Io però tirai avanti, mi feci cinque o sei posti, e finii in un club del West End che aveva l'aria di non essere più stato sistemato dagli anni ‘90. Cromature che si staccavano, ologrammi indistinti che facevano venire il mal di testa se si cercava di capire cosa rappresentavano. Barry doveva avermi parlato di quel posto, ma non riuscivo a immaginare perché. Mi guardai in giro e sogghignai. Se avevo intenzione di sentirmi depresso, ero arrivato nel posto giusto. Sì, mi dissi, mentre mi sedevo su uno sgabello d'angolo al bar, era veramente uno squallore, il fondo. Era orribile quanto bastava per arrestare la spinta che mi aveva sostenuto per tutta quella schifosa serata, il che era senza dubbio un bene. Mi sarei fatto un ultimo bicchiere, ammirato l'ambiente, poi avrei preso un taxi per tornare a casa. -rimanere passivo. Perciò le rivolsi uno sguardo gelido che proveniva dal +Fu allora che vidi Lise. -profondo di me, di quel corpo pieno di birra che parlava e camminava e si +Lei non mi aveva visto, non ancora, e io avevo ancora addosso il cappotto, con il colletto alzato per il freddo. Era dall'altra parte del bancone, dietro l'angolo, con un paio di bicchieri vuoti davanti, grandi, del tipo che servono con dentro ombrellini di Hong Kong o sirene in plastica, e mentre alzava gli occhi per guardare il ragazzo vicino a lei le vidi il luccichio del wiz negli occhi, e capii che in quei bicchieri non c'era alcool, perché con la quantità di droga che prendeva non avrebbe mai potuto permettersi di mescolarli. Il ragazzo però era completamente partito, sorrideva con aria ebete. Era sul punto di scivolare dallo sgabello e farfugliava qualcosa, cercando di mettere a fuoco la faccia di Lise, seduta lì con la giacca di pelle nera allacciata fino al collo e il cranio che sembrava sul punto di scoppiarle come una lampadina da mille watt. E vedendo tutto questo, vedendola lì, capii un sacco di cose tutte insieme. Che stava veramente morendo, per il wiz o per la sua malattia, o per le due cose insieme. -muoveva da sé, ma altrimenti del tutto normale. Le parole mi uscirono di bocca +Che lo sapeva benissimo. Che il ragazzo accanto a lei era troppo ubriaco per essersi accorto dell'esoscheletro, ma non tanto da lasciarsi sfuggire la giacca costosa e i soldi che aveva per pagarsi da bere. E che quello che vedevo era esattamente quello che sembrava. -come uno sputo. — Proveresti qualcosa, se lo facessi? +Ma non riuscivo a collegare il tutto, sul momento. Qualcosa dentro di me si rifiutava di farlo. -Colpita. Forse sbatté le sopracciglia, ma non vidi altro segno di emozione. — +E lei sorrideva, o almeno faceva qualcosa che secondo lei era un sorriso, l'espressione adatta alla situazione, e annuiva alle stupidaggini che biascicava il ragazzo, e quelle terribili parole che aveva detto mi tornarono alla mente: che le piaceva guardare. E adesso so una cosa. So che se non fossi capitato là, se non li avessi visti, sarei stato capace di accettare quello che sarebbe poi successo. Sarei perfino riuscito a trovare una ragione per rallegrarmi per lei, o una ragione per credere in quello che è diventata, quello che lei ha costruito a sua immagine, un programma che finge di essere Lise fino al punto di crederci esso stesso; avrei potuto credere quello che crede Rubin: che lei aveva superato veramente tutto questo, la nostra Giovanna d'Arco dell'alta tecnologia, che brucia per raggiungere l'unione con il dio elettronico a Hollywood, e che nulla le importava se non l'ora dell'addio. Che aveva gettato via quel povero, triste corpo con un grido di sollievo, libera dai legami del policarbonio e della odiata carne. Be', forse è stato così. Sono sicuro che è quello che lei voleva. -No — disse. — Ma qualche volta mi piace guardare. +Ma a vederla là, con quel ragazzo ubriaco che le teneva la mano, quella mano che lei non sentiva neppure, capii una volta per tutte che nessuna ragione umana è mai interamente pura. Anche Lise, con quella sua folle ossessione della fama e dell'immortalità cibernetica, aveva delle debolezze. Era umana tanto che mi odiai per averlo capito. Era uscita, quella sera, per dirsi addio. Per trovare qualcuno abbastanza ubriaco da farlo per lei. Perché, adesso lo sapevo, era vero: -Rubin è in piedi vicino alla finestra, due giorni dopo la sua morte a Los +le piaceva guardare. -Angeles, a fissare la neve che cade nel False Creek. — Allora non sei mai andato a +Credo che mi abbia visto mentre uscivo. Praticamente sono scappato. Se è così, immagino che mi abbia odiato più che mai, per l'orrore e la pietà che avevo dipinti in faccia. -letto con lei? +Non la rividi mai più. -Uno dei suoi giocattolini simili a piccole lucertole alla Escher su ruote, corre +Un giorno o l'altro chiederò a Rubin perché i Wild Turkey sour siano gli unici cocktail che sa fare. I sour di Rubin sono talmente forti che sembrano fatti in serie. Mi porge la tazza di alluminio ammaccata, mentre dal laboratorio intorno a noi provengono ronzii e ticchettii, l'attività furtiva delle sue più piccole creature. -sul tavolo di fronte a me, tutto raggomitolato. +— Dovresti venire a Francoforte — ripete. -— No — dico, ed è vero. Poi rido. — Ma ci siamo collegati. Quella prima notte. +— Perché, Rubin? -— Sei matto — dice, con una certa approvazione nella voce. — Potevi morire. +— Perché fra non molto lei ti chiamerà. E credo che tu non sia ancora pronto. -Poteva fermarsi il cuore, o il respiro. . — Si volta verso la finestra. — Ti ha +Sei ancora sconvolto, e lei avrà la sua voce, e penserà come lei, e tu ne usciresti pazzo. Vieni con me a Francoforte, così potrai respirare meglio. Non saprà che tu sei lì. . -chiamato? +— Te l'ho spiegato — dico, ricordandola in quel bar — ho un sacco di lavoro. -Ci collegammo. +Max. . -Non l'avevo mai fatto prima. Se mi avessero chiesto il perché, avrei risposto +— Al diavolo Max. L'hai appena fatto diventare ricco. Max può prendersela comoda. Ti sei arricchito anche tu con i diritti d'autore, e lo capiresti se fossi tanto sveglio da telefonare alla tua banca per sapere come sta il tuo conto. Puoi permetterti una vacanza. Lo guardo e mi chiedo quando gli racconterò la storia di quell'ultima volta che l'ho vista. — Rubin, ti ringrazio molto, ma. . Lui sospira, beve. — Ma cosa? -che ero un curatore e che la cosa non era professionale. La verità sarebbe +— Rubin, se mi chiamerà, sarà LEI? -piuttosto qualcosa del genere: nel nostro mestiere, in quello legale (non mi +Mi guarda a lungo. — Solo Dio lo sa. — Batte la tazza sul tavolo. — Voglio dire, Casey, la tecnologia è quella che è, perciò chi può dirlo? -occupo di porno) il prodotto grezzo lo definiamo “sogno asciutto”. I sogni +— E pensi che dovrei venire con te a Francoforte? -asciutti sono l'emissione neurale di livelli di coscienza a cui la maggior parte +Lui si toglie gli occhiali cerchiati e se li pulisce senza grandi risultati con un lembo della camicia in flanella. — Sì. Hai bisogno di riposo. Forse non adesso, ma più tardi sì. -delle persone può accedere solo in sogno. Ma gli artisti, quelli con cui io lavoro +— Come sarebbe a dire? -all'Automatic Pilot, sono in grado di rompere la tensione superficiale, di +— Quando dovrai fare la revisione della prossima puntata. Cioè quasi certamente presto, perché le servono molti soldi. Sta usando un sacco di ROM nel mainframe di qualche azienda, e la sua quota dei “Re” non basta neppure lontanamente a pagare quello che le hanno fatto. E tu sei il suo revisore di fiducia, Casey. Chi altro? E io mi limito a fissarlo, mentre si rimette gli occhiali, come se non riuscissi a muovermi. -immergersi nel profondo del mare di Jung, e di risalire riportando. . Be' dei sogni. +— Chi altro? -Mettiamola in termini semplici. Immagino che certi artisti l'abbiano sempre - -fatto, con qualsiasi mezzo, ma la neuroelettronica ci permette di entrare in - -contatto diretto con l'esperienza, e la rete la diffonde dappertutto via cavo; - -perciò possiamo impacchettarla venderla, vedere come si comporta sul mercato. - -Be', più le cose cambiano. . è una cosa che mi diceva sempre mio padre. - -Di solito io ricevo il materiale grezzo in studio, filtrato da macchinari che - -valgono parecchi milioni di dollari, e non vedo neppure l'artista. La merce che - -vendiamo è stata strutturata, bilanciata, trasformata in arte. C'è ancora gente - -tanto ingenua da credere che proverebbe piacere a collegarsi direttamente a - -qualcuno che ama. Penso che la maggior parte dei ragazzini ci provino, almeno - -una volta. Certo è facile a farsi; basta prendere unità centrale, elettrodi e cavi alla - -Radio Shack. Ma io non l'ho mai fatto. E adesso che ci penso, non sono tanto - -sicuro di saperne spiegare il perché. O di volerci provare. - -So perché lo feci con Lise, perché mi sedetti accanto a lei sul divanetto - -messicano e infilai il cavo ottico nella presa che aveva sulla spina dorsale, il - -bordo liscio dell'esoscheletro. Era in alto, alla base del collo, nascosta dai capelli - -scuri. Perché lei affermava di essere un'artista, e perché io sapevo che eravamo - -in qualche modo impegnati in un duello senza tregua, e io non volevo perdere. - -Può darsi che per altri non abbia molto senso, ma gli altri non l'hanno mai - -conosciuta, oppure la conoscono attraverso “I re del sonno”, che non è la stessa - -cosa. Gli altri non hanno mai sentito quella sua avidità ridotta a un bisogno - -arido, spaventoso nella sua determinazione. La gente che sa sempre esattamente - -quello che vuole mi spaventa, e Lise sapeva quello che voleva da molto tempo. - -Non voleva altro. - -E io avevo paura, allora, di ammettere di avere paura, e avevo visto - -abbastanza sogni di estranei, nella sala di missaggio dell'Automatic Pilot, per - -sapere che i mostri interiori della maggior parte della gente sono cose sciocche, - -ridicole alla luce della propria coscienza. Ed ero ancora ubriaco. - -Mi misi gli elettrodi e allungai la mano verso il pulsante dell'unità. Avevo - -escluso le funzioni di studio, trasformando momentaneamente un apparecchio - -elettronico giapponese da 80 mila dollari nell'equivalente di una di quelle - -scatolette da niente della Radio Shack. — Via — dissi, e schiacciai il pulsante. - -Parole. Le parole non possono. O forse sì, solo lontanamente, se sapessi - -almeno come cominciare a descriverlo, quello che uscì da lei, quello che fece. . - -C'è una sequenza nei “Re del sonno”: è come trovarsi su una motocicletta a - -mezzanotte, senza luci ma non ce n'è bisogno, e si corre lungo una strada, alta su - -una scogliera, così veloci da stare sospesi in un cono di silenzio, il tuono della - -moto perso alle spalle. . È solo un attimo nei “Re”, ma è una delle mille cose che si - -ricordano, a cui si torna, che si incorporano nel proprio vocabolario di - -sensazioni. - -Straordinario. Libertà e morte, proprio lì, lì: la lama del rasoio per sempre. - -Quello che provai era la versione originale di quella corsa, un pugno nello - -stomaco, un'esplosione di povertà, di solitudine, di oscurità. E quella era - -l'ambizione di Lise, quella corsa, “vista dall'interno”. - -Probabilmente non durò più di quattro secondi. - -E naturalmente lei vinse. - -Mi tolsi gli elettrodi e fissai la parete, gli occhi umidi, i poster incorniciati che - -ondeggiavano davanti a me. - -Non potevo guardarla. La sentii staccare il cavo ottico, sentii l'esoscheletro - -scricchiolare mentre la sollevava dal divano. Lo sentii ticchettare - -sommessamente mentre la trasportava in cucina a prendere un bicchiere - -d'acqua. - -Poi cominciai a piangere. - -Rubin inserisce una sottile sonda nella pancia di un giocattolo più lento degli - -altri e osserva i circuiti attraverso occhiali a ingrandimento con faretti in - -miniatura montati sulle tempie. - -— E allora? Ti sei fatto incastrare. — Si stringe nelle spalle, alza gli occhi. È - -buio adesso, e i due raggi di luce mi colpiscono la faccia; è umido in quel suo - -hangar di ferro, e si sente l'ululato solitario di una sirena da nebbia, sul fiume. — - -E allora? Stavolta sono io ad alzare le spalle. — Ho solo. . Mi sembrava che non ci - -fosse altro da fare. - -I raggi tornano al cuore in silicio del suo giocattolo difettoso. — Allora sei a - -posto. È stata una vera scelta. Voglio dire che lei era destinata ad essere quello - -che è. Hai a che fare con quello che lei è oggi quanto ne ha quel modulo di - -cancellazione veloce. Se non avesse trovato te avrebbe trovato qualcun altro. - -Feci un patto con Barry, il redattore capo, e ottenni venti minuti, alle cinque di - -una fredda mattina di settembre. Lisa venne e mi colpì con la stessa intensità, ma - -stavolta ero preparato con i filtri e le mappe cerebrali e non ero costretto a - -sentirlo. Mi ci vollero due settimane, rubando i minuti nella sala di montaggio, - -per montare quello che lei aveva fatto in maniera da poterlo mostrare a Max - -Bell, che sarebbe il proprietario del Pilot. - -Bell non era apparso per niente entusiasta mentre gli spiegavo quello che - -avevo fatto. I curatori troppo indipendenti possono creare problemi; capita - -spesso che si convincano di aver trovato qualcuno di eccezionale, un genio, e - -cominciano a sprecare tempo e denaro. Annuì quando ebbi finito il mio - -discorsetto, poi si grattò il naso con il cappuccio del suo pennarello rosso. — - -Hmm. Ho capito. La cosa più straordinaria dal giorno che ai pesci sono cresciute - -le gambe, giusto? Ma aveva inserito la cassetta che avevo registrato, e quando - -uscì dalla fessura della sua unità Braun da tavolo, fissava il muro, la faccia - -inespressiva. - -— Max? - -— Eh? - -— Cosa ne pensi? - -— Penso? Be'.. Come hai detto che si chiama? — Sbatté le palpebre. — Lisa? - -Con chi ha firmato? - -— Lise. Nessuno, Max. Non ha ancora firmato con nessuno. - -— Cristo. — La sua faccia era ancora inespressiva. - -— Sai come l'ho trovata? — chiede Rubin, facendosi strada fra scatole di - -cartone sfasciate per raggiungere l'interruttore della luce. Le scatole sono piene - -di “gomi” accuratamente catalogato: batterie al litio, condensatori al tantalio, - -morsetti R.F. lastre per circuiti, nastri barriera, trasformatori ferrorisonanti, - -bobine di cavi per sbarre collettrici. . Una scatola è piena di teste tagliate di - -Barbie, un'altra di guanti industriali, simili a quelli delle tute spaziali. La luce - -riempie la stanza, e una specie di mantide di Kandinsky, in latta tagliuzzata e - -dipinta, ruota la testa grande come una palla da golf verso il bulbo luminoso. — - -Ero dalle parti di Granville, alla ricerca di “gomi”, in un vicolo, e l'ho trovata - -seduta lì. Ho visto lo scheletro e lei che non sembrava stesse troppo bene, e le ho - -chiesto se aveva bisogno di aiuto. Niente. Ha chiuso solo gli occhi. Non sono - -affari miei, penso. Ma mi capita di ripassare di lì circa quattro ore dopo, e lei non - -si è mossa. «Senti, tesoro» le dico «forse quell'aggeggio si è guastato. Posso - -aiutarti, d'accordo?» Niente. «Da quanto tempo sei qui?» Niente. Così riparto. — - -Va al tavolo di lavoro, e sfiora le sottili membra metalliche della cosa-mantide - -con un indice pallido. Dietro il bancone, appesi a vecchie lastre di compensato - -perforato e gonfio di umidità, ci sono attrezzi: pinze, cacciaviti, pistole - -incollanastri, un fucile Daisy B.B. arrugginito, spelafili, piegatubi, sonde logiche, - -cannelli ossidrici, un oscilloscopio tascabile, apparentemente tutti gli strumenti - -della storia umana, e sembra che nessuno abbia mai fatto il tentativo di metterli - -in ordine, anche se non ho mai visto la mano di Rubin esitare. - -— Così sono tornato indietro — dice. — Dopo un'ora circa. Era svenuta priva - -di sensi, perciò l'ho portata qui e ho dato una controllata all'esoscheletro. Le - -batterie erano esaurite. Era strisciata fin là, quando l'energia stava finendo, - -preparandosi a morire di fame, immagino. - -— Quando è successo? - -— Circa una settimana prima che tu la portassi a casa. - -— E se fosse morta? Se tu non l'avessi trovata? - -— L'avrebbe trovata qualcun altro. Lei non poteva “chiedere” niente, capisci. - -Solo prendere. Non poteva sopportare un favore. - -Max le trovò degli agenti, e un trio di soci giovani, elegantissimi, arrivò su un - -Lear all'Y.V.R., il giorno dopo. Lise si rifiuta di venire al Pilot per incontrarli, e - -insistette perché li portassimo da Rubin, dove lei dormiva. - -— Benvenuti a Couverville — disse Rubin mentre entravano. Aveva la lunga - -faccia macchiata di grasso, e la patta dei pantaloni da lavoro stracciati tenuta più - -o meno chiusa da una graffetta storta. I due ragazzi sorrisero automaticamente, - -ma c'era qualcosa di più autentico nel sorriso della ragazza. — Signor Stark — - -disse — ero a Londra la settimana scorsa. Ho visto la vostra installazione alla - -Tate. - -— “La fabbrica di batterie di Marcello” — disse Rubin. — Dicono che sia - -scatologica, gli inglesi. . — Alzò le spalle. — Inglesi. Cioè, chi lo sa? - -— Hanno ragione. È anche molto divertente. - -I ragazzi facevano grandi sorrisi luminosi, abbronzati nei loro vestiti eleganti. - -Il nastro dimostrativo aveva raggiunto Los Angeles. Sapevano tutto. - -— E tu sei Lise — disse lei, facendosi strada fra il “gomi” ammucchiato di - -Rubin. — Presto sarai una persona molto famosa, Lise. Abbiamo un sacco di cose - -di cui parlare. . - -E Lise rimase ferma lì, tenuta in piedi dal policarbonio, e l'espressione sulla - -sua faccia era quella che le avevo visto quella prima sera nel mio appartamento, - -quando mi aveva chiesto se volevo andare a letto con lei. Ma se la giovane agente - -se ne accorse, non lo diede a vedere. Era una professionista. - -Mi dissi che anch'io ero un professionista. - -Mi dissi di prendermela calma. - -Fuochi fatti coi rifiuti bruciano in bidoni di ferro attorno al Mercato. La neve - -sta ancora cadendo e i bambini si raccolgono attorno alle fiamme come clown - -artritici, saltellando da un piede all'altro, con il vento che fa sbattere i cappotti - -scuri. Fra la confusione pseudoartistica di Fairview c'è del bucato steso gelato, - -lenzuola quadrate rosa che si stagliano contro il nero dello sfondo e l'ammasso - -di antenne per satellite e pannelli solari. Il mulino a vento di un ecologista gira - -instancabile, come in un gesto osceno rivolto ai prezzi della Hydro. - -Rubin cammina pesantemente con scarpe di gomma L. L Bean sporche di - -pittura, la grossa testa affondata in un giaccone da lavoro troppo grande. Ogni - -tanto uno dei ragazzini accoccolati vicino ai fuochi lo indica mentre passiamo: il - -tipo che costruisce quelle cose assurde, i robot, quelle cazzate là. - -— Sai qual è il tuo guaio? — dice quando siamo sotto il ponte, diretti verso la - -Quarta. — Tu sei il classico stronzo che vuol sempre leggere prima il manuale. - -Qualunque cosa la gente costruisca, qualsiasi tipo di tecnologia, deve avere - -qualche scopo specifico. Serve a fare qualcosa che qualcuno ha già capito. Ma se - -si tratta di una nuova tecnologia, aprirà degli spazi a cui nessuno aveva mai - -pensato prima. Tu invece leggi il manuale e non ti sogni neanche di cambiare - -una virgola. E ti senti sconvolto quando qualcuno la usa per fare qualcosa a cui - -non avevi mai pensato. Come Lise. - -— Non è stata la prima. — Rumore di traffico, sopra le nostre teste. - -— No, ma sicuramente è la prima persona che tu conosca che si sia tradotta in - -un programma. Sei stato sveglio la notte quando quel francese, come si - -chiamava, lo scrittore, l'ha fatto, tre o quattro anni fa? - -— Non ci ho pensato molto. Un trucco pubblicitario. . - -— Sta ancora scrivendo. La cosa terribile è che continuerà a scrivere, a meno - -che qualcuno non gli faccia saltare il mainframe. . Ebbi un brivido e scossi la - -testa. — Ma non è LUI. È solo un programma. - -— Questo è un problema interessante. Difficile a dirsi. Con Lise, però, lo - -scopriremo. Non è una scrittrice. - -Lei l'aveva tutto chiuso nella testa, i “Re”, proprio come il suo corpo era - -chiuso nell'esoscheletro. - -Gli agenti la scritturarono per un'etichetta e fecero venire una squadra di - -produzione da Tokyo. Lei disse che voleva me come curatore. Io dissi di no; Max - -mi trascinò nel suo ufficio e minacciò di licenziarmi su due piedi. Se non mi - -sentivo coinvolto, non c'era alcuna ragione per cui lavorassi al Pilot. Vancouver - -non era il centro del mondo, e gli agenti la volevano a Los Angeles. Per lui - -significava un sacco di soldi, e avrebbe messo l'Automatic Pilot nel giro. Non - -potevo spiegargli perché avevo rifiutato. Era troppo assurdo, troppo personale; - -per lei era l'ultima trincea. O almeno così pensavo allora. Ma Max faceva sul - -serio. Non mi lasciò alcuna alternativa. Entrambi sapevamo che non mi sarebbe - -capitato facilmente un altro lavoro. Uscii insieme a lui, e dicemmo agli agenti che - -avevamo risolto la questione: c'ero anch'io. - -Gli agenti ci fecero il culo. - -Lise tirò fuori un inalatore pieno di wiz e si tirò un bel flash. Probabilmente - -l'agente femmina alzò appena il sopracciglio per la sorpresa, ma la censura non - -andò più in là. Una volta firmati i documenti, Lise poteva fare più o meno quello - -che voleva. E Lise sapeva sempre quello che voleva. - -Facemmo “I re” in tre settimane, la registrazione di base. Trovai una serie di - -scuse per evitare la casa di Rubin, e ad alcune ci credevo anch'io. Lei stava - -ancora da Rubin, anche se gli agenti non erano molto contenti di quella che a - -loro sembrava una completa assenza di misure di sicurezza. Rubin mi raccontò - -più tardi che aveva dovuto farli chiamare dal suo agente e minacciarli, ma dopo - -avevano smesso di preoccuparsi. Non sapevo che Rubin avesse un agente. Era - -facile dimenticarsi che Rubin Stark, allora, era più famoso di chiunque altro - -conoscessi, più famoso certamente di quanto pensassi potesse diventare Lise. - -Sapevo che lavoravamo su qualcosa di grosso, ma fino a che punto può esserlo - -non lo si sa mai. - -Durante il tempo che passavo al Pilot, ero impegnato al massimo. Lise era - -straordinaria. - -Era come se fosse nata per quel lavoro, anche se la tecnologia che lo rendeva - -possibile non esisteva neppure quando lei era venuta al mondo. Uno vede una - -cosa del genere e si chiede quante migliaia, forse milioni di artisti fenomenali - -sono morti muti, lungo i secoli; artisti che non avrebbero mai potuto essere poeti - -o pittori o suonatori di sassofono, ma che avevano qualcosa dentro, onde - -psichiche che avevano bisogno solo dei circuiti adatti per uscire fuori. . Appresi - -alcune cose su di lei, incidentalmente, lavorando insieme nello studio. Che era - -nata a Windsor. Che suo padre era americano, aveva combattuto in Perù ed era - -tornato a casa pazzo e mezzo cieco. Che tutto quello che non andava nel suo - -corpo era congenito. Che aveva quelle piaghe perché non voleva mai togliersi - -l'esoscheletro: si sentiva soffocare fino alla morte al pensiero di essere - -completamente inabile. Che era drogata, e prendeva ogni giorno tanto wiz da - -bastare a una squadra di rugby. - -I suoi agenti fecero venire dei medici, che imbottirono le strutture di - -policarbonio con della gomma e le chiusero le piaghe con cerotti microporosi. La - -riempirono di vitamine e le modificarono la dieta, ma nessuno cercò mai di - -toglierle l'inalatore. - -Fecero venire anche parrucchieri e artisti del trucco e costumisti e costruttori - -d'immagine e quegli stronzetti blateranti delle Pubbliche Relazioni, e lei - -sopportò tutto con una specie di sorriso sulle labbra. - -E per tutte quelle tre settimane non parlammo. Solo quello che serviva per il - -lavoro, fra artista e curatore, in gran parte un codice speciale. La sua capacità - -immaginativa era così potente, così assoluta, che non aveva mai bisogno di - -spiegarmi un certo effetto. Io prendevo quello che lei produceva, ci lavoravo - -sopra e glielo restituivo. Lei diceva sì o no, di solito sì. Gli agenti se ne accorsero, - -approvarono e diedero delle pacche sulla schiena di Max Bell, e lo portarono - -fuori a cena, e mi vidi aumentare il salario. E mi comportai costantemente da - -perfetto professionista. Servizievole, preciso, gentile. Ero deciso a non lasciarmi - -andare un'altra volta, e non pensai più a quella notte in cui mi ero messo a - -piangere, e stavo anche facendo il lavoro migliore che avessi mai fatto, e lo - -sapevo, e questo era di per sé esaltante. - -Poi, una mattina, verso le sei, dopo una lunghissima sessione (dopo che lei - -aveva creato per la prima volta quella bizzarra sequenza di danza, quella che i - -ragazzi chiamano il Ballo dei Fantasmi), mi parlò. Uno dei due agenti maschi era - -rimasto con noi a fare il duro, ma adesso se n'era andato e il Pilot era silenzioso - -come una tomba, si sentiva solo il ronzio di un telefono, dalle parti dell'ufficio di - -Max. - -— Casey — disse, la voce roca per il wiz — scusa se ti ho colpito così duro. - -Per un minuto pensai che stesse parlando della registrazione che avevamo - -appena fatto. Alzai gli occhi e la vidi lì, e mi venne in mente che eravamo soli, e - -non eravamo più stati soli da quando avevamo fatto quel nastro dimostrativo. - -Non sapevo cosa dire. Non sapevo neppure cosa sentivo. In piedi nel suo - -esoscheletro, aveva un aspetto ancora peggiore che quella prima notte da Rubin. - -Vedevo sotto la roba che i truccatori le mettevano sulla faccia e capivo che il wiz - -la stava consumando. A volte sembrava di vedere un teschio affiorare sotto la - -faccia di una ragazzina non troppo bella. Non avevo idea di quanti anni avesse. - -Né vecchia né giovane. - -— Effetto truffa — dissi, arrotolando un pezzo di cavo. - -— Come? - -— È il sistema che usa la natura per dirti di piantarla. È una specie di legge - -matematica: puoi avere vera soddisfazione da uno stimolante solo un tot di - -volte, anche se aumenti la dose. Ma non riuscirai mai a ricavarne l'effetto che hai - -provato le prime volte. O comunque non ne saresti capace. Questo è il guaio con - -le droghe sintetiche: sono troppo furbe. Quella roba che ti prendi ha un trucco in - -una molecola: impedisce all'adrenalina decomposta di trasformarsi in - -adrenocroma. Altrimenti saresti schizofrenica, ormai. Hai qualche piccolo - -problema, Lise? Apnea, per esempio? Qualche volta ti capita di non riuscire a - -respirare, quando dormi? - -Ma non ero neppure sicuro di provare l'ira che sentivo nella mia voce. Lei mi - -fissò con quei pallidi occhi grigi. I costumisti le avevano sostituito la giacca da - -quattro soldi con una nero opaco, di pelle morbida, che nascondeva meglio i - -supporti di policarbonio. Lei la teneva sempre allacciata fino al collo, anche se - -faceva troppo caldo nello studio. I parrucchieri avevano provato qualcosa di - -nuovo il giorno prima, ma non aveva funzionato bene, e i suoi capelli scuri e - -ispidi erano come un'esplosione sghemba che incoronava la faccia tirata, - -triangolare. Lei mi fissò e io la sentii ancora, quella decisione assoluta. - -— Io non dormo, Casey. - -Fu soltanto dopo molto tempo che mi ricordai che aveva detto che le spiaceva. - -Non lo fece più, e fu la sola volta in cui le sentii dire qualcosa non in sintonia col - -personaggio. - -La dieta di Rubin consiste di sandwich di distributori automatici, piatti - -pakistani da asporto e caffè espresso. Non l'ho mai visto mangiare altro. - -Mangiamo “samosas” in un buco sulla Quarta con un unico tavolo di plastica - -incastrato fra il bancone e la porta del cesso. Rubin mangia la sua dozzina di - -“samosas”, sei con la carne e sei con la verdura con assoluta concentrazione, una - -dopo l'altra senza mai pulirsi la bocca. - -È un cliente affezionato. Detesta il cameriere greco e il sentimento è reciproco. - -Una vera relazione. Se il cameriere se ne andasse, probabilmente Rubin non ci - -tornerebbe più. Il greco osserva cupo le briciole sul mento e sulla giacca di - -Rubin. Fra una “samosa” e l'altra lui gli lancia occhiate altrettanto cattive, gli - -occhi stretti dietro le lenti sporche degli occhiali cerchiati. - -Le “samosas” sono la cena. Per colazione ci sono uova in insalata su fette di - -pane bianco scipito impacchettate in triangoli di plastica bianca, con sei tazze di - -espresso velenoso. - -— Tu non ti sei accorto di quello che stava per succedere, Casey. — Mi sbircia - -dalle lenti spesse e cosparse di impronte digitali. — Perché tu non sei capace di - -pensare indirettamente. Sei solo capace di leggere il manuale. Cosa credevi che - -volesse? Sesso? Più wiz? Il giro del mondo? Aveva superato tutto questo. È - -questo che la rende così forte. L'aveva superato. È per questo che “I re del - -sonno” è così intenso, e i ragazzi lo comprano, e ci credono, ci credono davvero. - -Loro capiscono. Quei ragazzini al Mercato che si scaldano il sedere attorno ai - -fuochi senza sapere se troveranno un posto per dormire, ci credono. È il - -programma più forte da otto anni. Un tale di un negozio a Granville mi ha detto - -che gli rubano più copie di quel maledetto affare di quante ne venda di tutto il - -resto. Dice che è un problema anche fare le scorte. . Lei è grande perché è come - -loro, solo di più. Lei sapeva, capisci? Nessun sogno, nessuna speranza. Tu non le - -vedi le gabbie attorno a quei ragazzi, Casey, ma una cosa la capiscono, sempre - -meglio: che non potranno mai andarsene. — Si pulisce il mento da un pezzetto di - -carne unto senza accorgersi degli altri tre. — E lei lo ha cantato per loro, lo ha - -detto come loro non sanno dirlo, gli ha dipinto un quadro. E ha usato i soldi per - -comprarsi una via d'uscita, ecco tutto. - -Osservo l'umidità colare in grosse gocce lungo i vetri striati della finestra. - -All'esterno si scorge una Lada parzialmente smontata, senza ruote, gli assali - -appoggiati sull'asfalto. - -— Quanta gente l'ha fatto, Rubin? Tu lo sai? - -— Non molti. È difficile dirlo, però, perché molti di loro probabilmente sono - -uomini politici che crediamo morti una volta per tutte. — Mi lancia un'occhiata - -strana. — Non è un'idea simpatica. Comunque, loro avevano la possibilità di - -mettere le mani per primi sul “know-how”. Costa ancora troppo per i comuni - -miliardari, ma ho sentito di almeno sette di loro; dicono che la Mitsubishi l'abbia - -fatto a Weinberg prima che il sistema immunitario gli andasse definitivamente - -in vacca. Era a capo del loro laboratorio ibridomico a Okayama. Be', le loro azioni - -sono ancora piuttosto alte per la monoclonazione, perciò forse quello che si dice - -in giro è vero. E Langlais, il ragazzo francese, lo scrittore. . — Alza le spalle. — - -Lise non aveva i soldi per farlo. Ma si è inserita nel posto giusto al momento - -giusto. Stava per tirare le cuoia, era a Hollywood, e loro si erano già accorti di - -cosa poteva diventare “I re del sonno”. - -Il giorno in cui finimmo, il gruppo scese da uno shuttle JAL proveniente da - -Londra: quattro ragazzi magri che funzionavano come una macchina bene oliata, - -avevano una concezione ipertrofica della moda e sembravano non preoccuparsi - -di niente. Li sistemai in fila al Pilot, su sedie da ufficio Ikea bianche, misi loro - -sulle tempie la pasta salina, appiccicai gli elettrodi e gli feci provare una versione - -provvisoria di quello che sarebbe stato “I re del sonno”. Quando ne uscirono, - -cominciarono a parlare tutti insieme, ignorandomi totalmente, nella versione - -inglese di quel linguaggio segreto che usano tutti i musicisti da studio. Quattro - -paia di mani pallide che si agitavano in aria. - -Ne capii abbastanza per decidere che erano emozionati. Che pensavano che - -era buono. Perciò presi la giacca e me ne andai. Potevano anche pulirsi da soli la - -pasta salina. - -E quella sera vidi Lise per l'ultima volta, anche se non ne avevo avuto - -l'intenzione. - -Tornando per il Mercato, Rubin digerisce rumorosamente la cena, le luci di - -posizione rosse si riflettono sul selciato umido, la città dietro il Mercato è come - -una pulita scultura di luce, una bugia, dove i reietti e i disperati scavano nel - -“gomi” che cresce come humus alla base delle torri di vetro. . - -— Devo andare a Francoforte, domani, per fare un'installazione. Vuoi venire? - -Posso farti passare per un tecnico. — Si infagotta ancora di più nel giaccone da - -lavoro. — Non posso pagarti, ma il biglietto è gratis, se vuoi. . - -Strana offerta da parte di Rubin, e so che lo fa perché è preoccupato per me, - -pensa che me la sto prendendo troppo per Lise, ed è l'unica cosa che gli viene in - -mente, portarmi via dalla città. - -— A Francoforte fa ancora più freddo che qui, adesso. - -— Forse hai bisogno di cambiare aria, Casey, non so. . - -— Grazie, ma Max ha un sacco di lavoro in attesa. Il Pilot è diventato - -importante, adesso, c'è gente che arriva da ogni parte. . - -— Capisco. - -Dopo aver lasciato il gruppo al Pilot, andai a casa. Camminai fino alla Quarta e - -presi il tram, passando accanto alle vetrine dei negozi che vedo ogni giorno, - -piene di luci sgargianti, vestiti, scarpe, software, motociclette giapponesi - -accucciate come scorpioni smaltati, mobili italiani. Le vetrine cambiano ogni - -stagione, i negozi vanno e vengono. Era il periodo prima delle vacanze, e c'era - -più gente del solito nelle strade, un sacco di coppiette che camminavano rapide e - -decise accanto alle vetrine, per cercare un oggettino per qualcuno, la metà delle - -ragazze con quegli stivali aderenti di nylon alti fino alla coscia arrivati da New - -York la stagione scorsa, quelli che secondo Rubin le fanno sembrare come se - -avessero tutte l'elefantiasi. Sorrisi, pensandoci, e d'improvviso mi resi conto che - -era finita, che non avrei più avuto niente a che fare con Lise, che adesso sarebbe - -stata risucchiata verso Hollywood inesorabilmente come se avesse messo un - -piede in un buco nero. Attratta dalla inimmaginabile forza del Denaro. Credendo - -questo, che se n'era andata, che probabilmente se n'era GIÀ andata, abbassai la - -guardia dentro me stesso, e sentii i sintomi della pietà. Ma solo i sintomi, perché - -non volevo farmi rovinare la serata. Volevo divertirmi. Era un po' che non lo - -facevo. Scesi alla mia fermata, e l'ascensore arrivò al primo tentativo. Buon - -segno, mi dissi. Arrivato a casa mi spogliai e feci una doccia, presi una camicia - -pulita e misi dei “burritos” nel forno a microonde. Cerca di sentirti normale, - -consigliai alla mia immagine riflessa mentre mi facevo la barba. Hai lavorato - -troppo. Il conto in banca ti sta scoppiando. È ora di porre rimedio. - -I “burritos” sapevano di cartone, ma decisi che mi piacevano perché erano - -normali in modo quasi perentorio. La mia macchina era da Burnaby, per riparare - -la cellula all'idrogeno che perdeva, perciò non dovevo preoccuparmi di guidare. - -Potevo divertirmi finché volevo e telefonare la mattina dopo dicendo che ero - -ammalato. Max non avrebbe detto niente; ero il pupillo. Aveva un debito con me. - -Sei in debito con me, Max, dissi alla bottiglia di Moskovskaya sottozero che - -pescai dal congelatore. Lo sarai sempre. Ho appena passato tre settimane a - -sistemare i sogni e gli incubi di una persona molto incasinata, Max. A tuo - -vantaggio. Per permetterti di crescere e di arricchirti, Max. Mi versai tre dita di - -vodka in un bicchiere di plastica rimasto da una festa che avevo dato un anno - -prima, e tornai nel soggiorno. - -Qualche volta mi sembra che là dentro non ci viva nessuno. Non che sia - -particolarmente in disordine; sono un bravo uomo di casa, anche se un po' - -macchinoso, e mi ricordo perfino di fare la polvere alle cornici, ma a volte - -succede che questo posto mi dia d'improvviso i brividi a vedere tutti quei beni di - -consumo accatastati. Voglio dire, non è che voglia riempirlo di gatti o piante, o - -roba del genere, ma ci sono dei momenti in cui mi accorgo che chiunque - -potrebbe viverci o possedere queste cose, e sembra tutto intercambiabile, la mia - -vita e la vostra, la mia vita e quella di chiunque. . - -Credo che anche Rubin veda le cose in questo modo, sempre, ma per lui è una - -fonte di energia. Lui vive nei rifiuti degli altri, e tutto quello che si porta a casa - -doveva essere un tempo nuovo e splendente, doveva aver significato qualcosa - -per qualcuno, anche se per poco. Perciò raccoglie tutto nel suo furgone pazzesco - -e lo porta nel laboratorio, e lo lascia decomporre finché non gli viene in mente - -qualcosa di nuovo da farci. Una volta mi ha tatto vedere un libro d'arte del - -ventesimo secolo che gli piaceva, e c'era la foto di una scultura automatica - -chiamata “Gli uccelli morti volano di nuovo”, una cosa che faceva girare in tondo - -dei veri uccelli morti su un filo, e Rubin sorrideva annuendo, e io capii che lui - -vedeva in quell'artista una specie di antenato spirituale. Ma cosa poteva farsene - -Rubin dei miei poster incorniciati, del mio divanetto messicano della Baia, e del - -mio letto in schiuma dell'Ikea? “Be'” pensai bevendo un primo sorso ghiacciato, - -“riuscirebbe a inventare qualcosa; è per questo che lui è un artista famoso e io - -no.” - -Andai ad appoggiare la fronte al vetro della finestra, freddo come il bicchiere - -che tenevo in mano. “È ora di andare” mi dissi. “Stai mostrando i classici sintomi - -dell'ansia da “single” urbano. Ci sono dei rimedi. Bevi, esci.” - -Non riuscii a raggiungere uno stato d'animo allegro, quella sera. Né diedi - -prova di buon senso da persona adulta rinunciandoci, tornando a casa, - -guardando qualche vecchio film e addormentandomi sul divano. La tensione che - -si era accumulata in me durante quelle tre settimane mi spingeva come la molla - -di un orologio meccanico, e continuai ad avanzare ticchettando per la città - -notturna, lubrificandomi a forza di drink il cammino più o meno casuale. Pensai - -che era una di quelle sere in cui si scivola in un continuum parallelo, in una città - -che assomiglia esattamente a quella in cui si era prima, tranne per il fatto che - -non contiene una sola persona amata o conosciuta o con cui si abbia mai parlato. - -In sere come questa si può anche entrare nel solito bar e scoprire che tutti i - -camerieri sono stati sostituiti; allora ci si rende conto che il vero scopo - -dell'uscire era semplicemente vedere una faccia familiare, una cameriera, un - -cameriere, chiunque. . È il genere di cosa che rovina la voglia di divertirsi. - -Io però tirai avanti, mi feci cinque o sei posti, e finii in un club del West End - -che aveva l'aria di non essere più stato sistemato dagli anni ‘90. Cromature che si - -staccavano, ologrammi indistinti che facevano venire il mal di testa se si cercava - -di capire cosa rappresentavano. Barry doveva avermi parlato di quel posto, ma - -non riuscivo a immaginare perché. Mi guardai in giro e sogghignai. Se avevo - -intenzione di sentirmi depresso, ero arrivato nel posto giusto. Sì, mi dissi, - -mentre mi sedevo su uno sgabello d'angolo al bar, era veramente uno squallore, - -il fondo. Era orribile quanto bastava per arrestare la spinta che mi aveva - -sostenuto per tutta quella schifosa serata, il che era senza dubbio un bene. Mi - -sarei fatto un ultimo bicchiere, ammirato l'ambiente, poi avrei preso un taxi per - -tornare a casa. - -Fu allora che vidi Lise. - -Lei non mi aveva visto, non ancora, e io avevo ancora addosso il cappotto, con - -il colletto alzato per il freddo. Era dall'altra parte del bancone, dietro l'angolo, - -con un paio di bicchieri vuoti davanti, grandi, del tipo che servono con dentro - -ombrellini di Hong Kong o sirene in plastica, e mentre alzava gli occhi per - -guardare il ragazzo vicino a lei le vidi il luccichio del wiz negli occhi, e capii che - -in quei bicchieri non c'era alcool, perché con la quantità di droga che prendeva - -non avrebbe mai potuto permettersi di mescolarli. Il ragazzo però era - -completamente partito, sorrideva con aria ebete. Era sul punto di scivolare dallo - -sgabello e farfugliava qualcosa, cercando di mettere a fuoco la faccia di Lise, - -seduta lì con la giacca di pelle nera allacciata fino al collo e il cranio che - -sembrava sul punto di scoppiarle come una lampadina da mille watt. E vedendo - -tutto questo, vedendola lì, capii un sacco di cose tutte insieme. Che stava - -veramente morendo, per il wiz o per la sua malattia, o per le due cose insieme. - -Che lo sapeva benissimo. Che il ragazzo accanto a lei era troppo ubriaco per - -essersi accorto dell'esoscheletro, ma non tanto da lasciarsi sfuggire la giacca - -costosa e i soldi che aveva per pagarsi da bere. E che quello che vedevo era - -esattamente quello che sembrava. - -Ma non riuscivo a collegare il tutto, sul momento. Qualcosa dentro di me si - -rifiutava di farlo. - -E lei sorrideva, o almeno faceva qualcosa che secondo lei era un sorriso, - -l'espressione adatta alla situazione, e annuiva alle stupidaggini che biascicava il - -ragazzo, e quelle terribili parole che aveva detto mi tornarono alla mente: che le - -piaceva guardare. E adesso so una cosa. So che se non fossi capitato là, se non li - -avessi visti, sarei stato capace di accettare quello che sarebbe poi successo. Sarei - -perfino riuscito a trovare una ragione per rallegrarmi per lei, o una ragione per - -credere in quello che è diventata, quello che lei ha costruito a sua immagine, un - -programma che finge di essere Lise fino al punto di crederci esso stesso; avrei - -potuto credere quello che crede Rubin: che lei aveva superato veramente tutto - -questo, la nostra Giovanna d'Arco dell'alta tecnologia, che brucia per - -raggiungere l'unione con il dio elettronico a Hollywood, e che nulla le importava - -se non l'ora dell'addio. Che aveva gettato via quel povero, triste corpo con un - -grido di sollievo, libera dai legami del policarbonio e della odiata carne. Be', - -forse è stato così. Sono sicuro che è quello che lei voleva. - -Ma a vederla là, con quel ragazzo ubriaco che le teneva la mano, quella mano - -che lei non sentiva neppure, capii una volta per tutte che nessuna ragione umana - -è mai interamente pura. Anche Lise, con quella sua folle ossessione della fama e - -dell'immortalità cibernetica, aveva delle debolezze. Era umana tanto che mi - -odiai per averlo capito. Era uscita, quella sera, per dirsi addio. Per trovare - -qualcuno abbastanza ubriaco da farlo per lei. Perché, adesso lo sapevo, era vero: - -le piaceva guardare. - -Credo che mi abbia visto mentre uscivo. Praticamente sono scappato. Se è - -così, immagino che mi abbia odiato più che mai, per l'orrore e la pietà che avevo - -dipinti in faccia. - -Non la rividi mai più. - -Un giorno o l'altro chiederò a Rubin perché i Wild Turkey sour siano gli unici - -cocktail che sa fare. I sour di Rubin sono talmente forti che sembrano fatti in - -serie. Mi porge la tazza di alluminio ammaccata, mentre dal laboratorio intorno a - -noi provengono ronzii e ticchettii, l'attività furtiva delle sue più piccole creature. - -— Dovresti venire a Francoforte — ripete. - -— Perché, Rubin? - -— Perché fra non molto lei ti chiamerà. E credo che tu non sia ancora pronto. - -Sei ancora sconvolto, e lei avrà la sua voce, e penserà come lei, e tu ne usciresti - -pazzo. Vieni con me a Francoforte, così potrai respirare meglio. Non saprà che tu - -sei lì. . - -— Te l'ho spiegato — dico, ricordandola in quel bar — ho un sacco di lavoro. - -Max. . - -— Al diavolo Max. L'hai appena fatto diventare ricco. Max può prendersela - -comoda. Ti sei arricchito anche tu con i diritti d'autore, e lo capiresti se fossi - -tanto sveglio da telefonare alla tua banca per sapere come sta il tuo conto. Puoi - -permetterti una vacanza. Lo guardo e mi chiedo quando gli racconterò la storia - -di quell'ultima volta che l'ho vista. — Rubin, ti ringrazio molto, ma. . Lui sospira, - -beve. — Ma cosa? - -— Rubin, se mi chiamerà, sarà LEI? - -Mi guarda a lungo. — Solo Dio lo sa. — Batte la tazza sul tavolo. — Voglio dire, - -Casey, la tecnologia è quella che è, perciò chi può dirlo? - -— E pensi che dovrei venire con te a Francoforte? - -Lui si toglie gli occhiali cerchiati e se li pulisce senza grandi risultati con un - -lembo della camicia in flanella. — Sì. Hai bisogno di riposo. Forse non adesso, ma - -più tardi sì. - -— Come sarebbe a dire? - -— Quando dovrai fare la revisione della prossima puntata. Cioè quasi - -certamente presto, perché le servono molti soldi. Sta usando un sacco di ROM - -nel mainframe di qualche azienda, e la sua quota dei “Re” non basta neppure - -lontanamente a pagare quello che le hanno fatto. E tu sei il suo revisore di - -fiducia, Casey. Chi altro? E io mi limito a fissarlo, mentre si rimette gli occhiali, - -come se non riuscissi a muovermi. - -— Chi altro? - -E in quel momento una delle sue macchine emette uno scatto, un suono solo, - -lieve ma nitido, e mi rendo conto che ha ragione. +E in quel momento una delle sue macchine emette uno scatto, un suono solo, lieve ma nitido, e mi rendo conto che ha ragione. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/08_la_razza_giusta.md b/Gibson/08_la_razza_giusta.md index 387dc9e..d77b742 100644 --- a/Gibson/08_la_razza_giusta.md +++ b/Gibson/08_la_razza_giusta.md @@ -2,804 +2,190 @@ _(The Belonging Kind, 1981)_ -Forse era stato al Club Justine, o al Jimbo's, o al Sad Jack's, o al Rafters; Coretti +Forse era stato al Club Justine, o al Jimbo's, o al Sad Jack's, o al Rafters; Coretti non riusciva a ricordare dove l'avesse vista per la prima volta. Avrebbe potuto essere successo in qualsiasi momento in uno qualsiasi di quei bar. Lei nuotava nella pseudo-vita fatta di bottiglie e bicchieri e del lento salire del fumo delle sigarette. . si muoveva nel suo elemento naturale, un bar dopo l'altro. Coretti ricordava la prima volta che le aveva parlato come se la vedesse dalla parte sbagliata di un potente cannocchiale: piccola, distinta e molto lontana. -non riusciva a ricordare dove l'avesse vista per la prima volta. Avrebbe potuto +L'aveva notata per la prima volta nel Backdoor Lounge. Si chiamava Backdoor perché si entrava dalla porta posteriore, in uno stretto vicolo. I muri del vicolo erano coperti di graffiti; i lampioni, dietro le loro reti, brulicavano di falene. -essere successo in qualsiasi momento in uno qualsiasi di quei bar. Lei nuotava +Scaglie cadute dai mattoni pitturati di bianco scricchiolavano sotto i piedi. Poi si apriva la porta e ci si trovava in uno spazio in penombra abitato da fantasmi ambigui di cinque o sei altri bar che avevano aperto e poi chiuso bottega nello stesso locale, sotto diverse gestioni. Coretti qualche volta ci andava perché gli piaceva il sorriso stanco del barista negro, e perché i pochi clienti cercavano raramente di fare amicizia. Non era molto bravo a fare conversazione con gli estranei, né ai bar né alle feste. -nella pseudo-vita fatta di bottiglie e bicchieri e del lento salire del fumo delle +Era bravo nella comunità universitaria, dove teneva lezioni di linguistica preliminare; era capace di parlare con il direttore del suo dipartimento di sequenze e opposizioni nelle aperture di conversazione. Ma non riusciva mai a parlare agli estranei nei bar e alle feste. Non andava a molte feste. Andava in un sacco di bar. Coretti non sapeva vestire. I vestiti sono un linguaggio, e Coretti era una specie di balbuziente dell'abbigliamento, incapace di indossare quella giusta combinazione di abiti che mette l'estraneo a suo agio. La sua ex moglie gli diceva che si vestiva come un marziano, che sembrava non far parte della città. Non gli era piaciuto sentirselo dire, perché era vero. -sigarette. . si muoveva nel suo elemento naturale, un bar dopo l'altro. Coretti +Coretti non aveva mai avuto una ragazza come quella che sedeva con la schiena leggermente inarcata nella luce liquida che ricadeva sul bancone del Backdoor. La stessa luce era incisa nelle lenti del barista, avvitata attorno ai colli delle bottiglie, schizzata sullo specchio. In quella luce il vestito di lei aveva il colore del grano giovane, come un guscio mezzo aperto, e mostrava schiena, natiche e un bel paio di cosce attraverso gli spacchi sui fianchi. Quella sera aveva i capelli ramati. E gli occhi verdi. -ricordava la prima volta che le aveva parlato come se la vedesse dalla parte +Coretti si fece strada risolutamente fra i tavoli vuoti di metallo cromato e formica, raggiunse il bar e ordinò un bourbon liscio. Si tolse la giacca di lana e finì per appoggiarsela sulle ginocchia quando si sedette, a uno sgabello di distanza da lei. Perfetto, si disse: così penserà che stai nascondendo un'erezione. -sbagliata di un potente cannocchiale: piccola, distinta e molto lontana. +E si accorse con sorpresa, che ne aveva proprio una da nascondere. Esaminò la propria immagine nello specchio dietro il bancone: un uomo sulla trentina con capelli scuri che andavano diradandosi e una faccia pallida e stretta su un collo lungo, troppo lungo per il colletto aperto della camicia di nylon stampata con figure di automobili del 1910 a tre colori vivaci. Indossava una cravatta a grosse strisce diagonali, nere e marroni. Si accorse che era troppo stretta per le punte grottescamente lunghe del colletto. O forse era sbagliato il colore. Comunque qualcosa era fuori posto. -L'aveva notata per la prima volta nel Backdoor Lounge. Si chiamava Backdoor +Accanto a lui, nella scura limpidezza dello specchio, la ragazza dagli occhi verdi sembrava Irma la Dolce. Ma guardandola meglio, studiandole la faccia, Coretti ebbe un brivido. La faccia di un animale. Una faccia bella, ma semplice, astuta, bidimensionale. “Quando si accorgerà che la guardi” pensò “ti farà un sorriso, divertito e sprezzante. . O qualsiasi altra cosa ti aspetti.” Coretti farfugliò: — Posso, ehm, offrirti da bere? In momenti come quello Coretti cadeva in preda a un tic linguistico penosissimo, da maestro di scuola. “Ehm”. Ebbe un brivido. “Ehm”. -perché si entrava dalla porta posteriore, in uno stretto vicolo. I muri del vicolo +— Vuoi, ehm, offrimi da bere? Molto gentile da parte tua — disse lei, lasciandolo di sasso. — Sì, mi piacerebbe molto. — Vagamente, Coretti notò che la risposta della ragazza era artefatta e insicura quanto la sua domanda. Lei aggiunse: — In un'occasione come questa, un Tom Collins sarebbe delizioso. -erano coperti di graffiti; i lampioni, dietro le loro reti, brulicavano di falene. +In un'occasione come questa? Delizioso? Innervosito, Coretti ordinò due drink e pagò. -Scaglie cadute dai mattoni pitturati di bianco scricchiolavano sotto i piedi. Poi si +Una donna grossa, in jeans e camicia da cowboy ricamata, si appoggiò al bancone accanto a lui e chiese al barista di cambiarle una banconota. Poi raggiunse a grandi passi il juke-box e fece partire “You're the Reason Our Kids Are Ugly”, di Conway e Loretta. Coretti si rivolse alla donna in verde e mormorò con voce insicura: — Ti piace ascoltare la musica country? — “Ti piace ascoltare. .” Emise un grugnito silenzioso per quel giro di parole, e cercò di sorridere. -apriva la porta e ci si trovava in uno spazio in penombra abitato da fantasmi +— Sì, certo — rispose lei, con una lieve inflessione nasale nella voce. — Certo che mi piace. -ambigui di cinque o sei altri bar che avevano aperto e poi chiuso bottega nello +La ragazza-cowboy sedette vicino a Coretti e le chiese, strizzandole l'occhio: -stesso locale, sotto diverse gestioni. Coretti qualche volta ci andava perché gli +— Questo piccoletto ti sta dando fastidio? E la ragazza in verde con gli occhi da animale rispose: — Oh, diavolo, no ciccia, lo tengo d'occhio. — E rise. La risata giusta. Il Coretti dialettologo si agitò a disagio: il cambiamento di sintassi e inflessione era troppo perfetto. Un'attrice? Un'imitatrice di talento? Gli venne in mente “mimetico”, ma lo mise da parte per studiare l'immagine di lei riflessa nello specchio. Le file di bottiglie le nascondevano i seni come un abito di vetro. -piaceva il sorriso stanco del barista negro, e perché i pochi clienti cercavano +— Io sono Coretti — disse lui, mutando bruscamente la sua poltergeist verbale in un atteggiamento fasullo da duro. — Michael Coretti. -raramente di fare amicizia. Non era molto bravo a fare conversazione con gli +— Molto piacere — disse lei a bassa voce, per non farsi sentire dall'altra donna, e ancora una volta era scivolata in una parodia di Emily Post. -estranei, né ai bar né alle feste. +— Conway e Loretta — disse la ragazza-cowboy, a nessuno in particolare. -Era bravo nella comunità universitaria, dove teneva lezioni di linguistica +— Antoinette — disse la donna in verde, e inclinò la testa. Finì di bere, fece finta di guardare l'orologio, snocciolò un “grazie di avermi offerto da bere” fin troppo da brava bambina e se ne andò. Dieci minuti più tardi, Coretti la seguiva lungo la Terza Avenue. Non aveva mai seguito nessuno in vita sua, e la cosa lo spaventava e lo emozionava allo stesso tempo. Quaranta passi gli sembrava la distanza giusta, ma cosa avrebbe fatto se lei si fosse guardata alle spalle? La Terza Avenue non è una strada buia, e fu lì, alla luce dei lampioni, come su un palcoscenico, che lei cominciò a cambiare. La strada era deserta. -preliminare; era capace di parlare con il direttore del suo dipartimento di +Stava attraversando la strada. Scese dal marciapiede e cominciò. Cominciò con la tinta dei capelli. . All'inizio Coretti pensò che fosse il riflesso dei lampioni. Ma non c'erano luci al neon per produrre quelle macchie di colore che scivolavano e si confondevano come chiazze di olio. Poi i colori svanirono e nel giro di tre secondi lei era diventata biondo platino. -sequenze e opposizioni nelle aperture di conversazione. Ma non riusciva mai a +Coretti era sicuro che fosse un'illusione ottica, fino a quando il suo vestito cominciò a fremere, ritirandosi sul corpo come una pellicola di plastica per alimenti. Una parte si staccò completamente e cadde sull'asfalto in frammenti accartocciati, come la pelle di un animale. Quando vi passò accanto vide solo una schiuma verde che si dissolveva spumeggiando. -parlare agli estranei nei bar e alle feste. Non andava a molte feste. Andava in un +Guardò verso la ragazza, e il suo vestito era diverso, raso verde dai riflessi cangianti. Anche le sue scarpe erano cambiate. Le spalle erano nude, a parte le spalline sottili che le passavano fra le scapole. I capelli le erano diventati corti, diritti. Si accorse di essersi appoggiato alla vetrina di un gioielliere, il respiro che gli usciva a rantoli nell'umidità della sera autunnale. Sentì il battito ritmico della discoteca da due isolati di distanza. Mentre la ragazza si avvicinava, i suoi movimenti cominciarono impercettibilmente ad assumere un nuovo ritmo, una diversa enfasi nell'ondeggiare delle anche, nella maniera in cui appoggiava i tacchi sul marciapiede. Il portiere la fece passare con un vago cenno del capo. -sacco di bar. Coretti non sapeva vestire. I vestiti sono un linguaggio, e Coretti era +Bloccò Coretti, controllandogli la patente e aggrottando la fronte nel vedere la sua giacca di lana. Coretti osservò ansiosamente l'onda di luce in cima alla scala di plastica lattea, oltre il portiere. Era svanita lì, nel lampeggiare robotico e nel frastuono echeggiante. Controvoglia l'uomo lo lasciò passare, e Coretti salì veloce le scale, facendo traballare le luci dietro i gradini di plastica trasparente. -una specie di balbuziente dell'abbigliamento, incapace di indossare quella giusta +Coretti non era mai stato in una discoteca prima di allora; si trovò in un ambiente progettato per la completa soddisfazione-nella-distrazione. Si fece strada nervosamente attraverso il movimento e gli abiti appariscenti e i canti urbani meccanici che tuonavano dai grandi altoparlanti. La cercò quasi alla cieca sulla pista da ballo affollata di gente in posa coagulata dalle luci stroboscopiche. -combinazione di abiti che mette l'estraneo a suo agio. La sua ex moglie gli diceva +Lei si muoveva in perfetto accordo con la musica, assumendo tutta una serie di pose successive; recitò l'intera sequenza prescritta con grazia, ma senza arte, adattandosi alla perfezione. Sempre, sempre adattandosi alla perfezione. Gli altri danzavano meccanicamente, eseguendo faticosamente il rituale. -che si vestiva come un marziano, che sembrava non far parte della città. Non gli +Quando il ballo finì la ragazza si voltò bruscamente e si tuffò nel folto della folla. La massa mutevole si chiuse attorno a lei come metallo fuso. -era piaciuto sentirselo dire, perché era vero. +Coretti si buttò dietro di lei senza lasciarla mai con gli occhi. . E fu l'unico ad accorgersi del cambiamento. Quando lei raggiunse le scale aveva i capelli color castano dorato, lunghi e dritti, e indossava un lungo abito blu. Fra i capelli le spuntava un fiore bianco, dietro l'orecchio destro. I seni le erano diventati un poco più grandi, i fianchi leggermente più pesanti. Scese le scale due gradini alla volta, e in quel momento lui ebbe paura per lei. Tutti quei liquori. -Coretti non aveva mai avuto una ragazza come quella che sedeva con la +Ma l'alcool sembrava non avere alcun effetto su di lei. Senza mai staccarle gli occhi di dosso Coretti la seguì, i battiti del cuore più veloci della musica pulsante alle sue spalle, sicuro che da un momento all'altro si sarebbe girata, l'avrebbe visto, avrebbe chiamato aiuto. -schiena leggermente inarcata nella luce liquida che ricadeva sul bancone del +Due isolati dopo, lungo la Terza, si infilò da Lothario's. Ora camminava diversamente. Lothario's era un insieme di sale silenziose, con felci e specchi Art Déco. C'erano falsi lampadari Tiffany appesi al soffitto, alternati a ventilatori dalle pale di legno che ruotavano troppo lentamente per disperdere il fumo che si alzava fra il mormorio consapevolmente dolce della conversazione. Dopo la discoteca, Lothario's faceva un effetto familiare e piacevole. Un pianista jazz, in camicia a righine e cravatta allentata faceva a gara sommessamente con la conversazione e le risate che venivano dai tavoli. Lei andò al bar; gli sgabelli erano occupati solo per metà, ma Coretti scelse un tavolo d'angolo, all'ombra di una palma in miniatura, e ordinò un bourbon. -Backdoor. La stessa luce era incisa nelle lenti del barista, avvitata attorno ai colli +Bevve il bourbon e ne ordinò un altro. Non riusciva a sentire molto gli effetti dell'alcool, quella sera. -delle bottiglie, schizzata sullo specchio. In quella luce il vestito di lei aveva il +Lei era seduta vicino a un giovane, uno dei soliti giovani con tratti regolari e anonimi, che indossava una camicia da golf gialla e jeans stirati. Le loro anche si sfioravano appena. Non sembravano parlare, ma Coretti aveva la sensazione che in qualche maniera comunicassero. Erano leggermente piegati l'una verso l'altro, silenziosi. Coretti provava una strana sensazione. Andò nel bagno e si spruzzò la faccia di acqua. Tornando, fece in modo di passare a un metro di distanza da loro. Le loro labbra non si mossero finché non fu a portata d'udito. Si scambiarono a turno chiacchiere realistiche. -colore del grano giovane, come un guscio mezzo aperto, e mostrava schiena, +— . .ho visto i suoi primi film, ma. . -natiche e un bel paio di cosce attraverso gli spacchi sui fianchi. Quella sera aveva +— Ma è piuttosto narcisista, non ti pare? -i capelli ramati. E gli occhi verdi. +— Sì, ma nel senso che. . -Coretti si fece strada risolutamente fra i tavoli vuoti di metallo cromato e +E per la prima volta Coretti seppe cosa erano, cosa dovevano essere. Sono quella razza di persone che si vedono nei bar, che sembra essere cresciuta lì, sempre perfettamente a proprio agio. Non ubriachi, ma soprammobili in forma umana. Viventi in funzione del bar. La razza giusta. -formica, raggiunse il bar e ordinò un bourbon liscio. Si tolse la giacca di lana e +Qualcosa dentro di lui anelava a un confronto. Raggiunse il suo tavolo, ma scoprì che non gli riusciva di sedersi. Si voltò, tirò un profondo respiro e camminò rigidamente verso il bar. Voleva toccarla sulla spalla liscia e chiederle chi era, e cosa era esattamente, e farle osservare l'ironia del fatto che era lui, Coretti, quello che si vestiva come un marziano, quello che origliava, l'intruso, i cui abiti e la cui conversazione non erano mai quelli giusti, ad aver finalmente indovinato il loro segreto. -finì per appoggiarsela sulle ginocchia quando si sedette, a uno sgabello di +Ma poi gli mancò il coraggio, e si limitò a sedersi vicino a lei e a ordinare un bourbon. -distanza da lei. Perfetto, si disse: così penserà che stai nascondendo un'erezione. +— Ma non credi — chiese lei al compagno — che sia tutto relativo? -E si accorse con sorpresa, che ne aveva proprio una da nascondere. Esaminò la +I due posti oltre l'uomo vennero occupati da una coppia che parlava di politica. Antoinette e Camicia da Golf raccolsero il tema politico senza fare una piega, riciclandolo, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire. La faccia di lei, mentre parlava, era priva di espressione. Un uccello che cinguettava su un ramo. Sedeva sullo sgabello come se fosse un nido. Camicia da Golf pagò le consumazioni. Aveva sempre il denaro contato, a meno che non volesse lasciare una mancia. -propria immagine nello specchio dietro il bancone: un uomo sulla trentina con +Coretti li osservò bere metodicamente sei cocktail ciascuno, come insetti che si nutrono di nettare. Ma non alzavano mai la voce, le loro guance non si arrossarono, e quando alla fine si alzarono, si muovevano senza alcuna traccia di ubriachezza. . una debolezza, pensò Coretti, una falla nel travestimento. -capelli scuri che andavano diradandosi e una faccia pallida e stretta su un collo +Non gli prestarono la minima attenzione mentre li seguiva nei tre bar successivi. -lungo, troppo lungo per il colletto aperto della camicia di nylon stampata con +Quando entrarono da Waylon's si tramutarono così rapidamente che Coretti ebbe difficoltà a seguire le fasi della trasformazione. Era uno di quei posti dove sulla porta della toilette maschile c'era scritto “Pointer” e su quella femminile “Setter”, e cartellini in finto pino sui barattoli di carne secca e salsicce sottaceto: -figure di automobili del 1910 a tre colori vivaci. Indossava una cravatta a grosse +“Abbiamo fatto un patto con la banca: loro non servono birra e noi non prendiamo assegni”. -strisce diagonali, nere e marroni. Si accorse che era troppo stretta per le punte +Da Waylon's lei era grassottella, con occhiaie pesanti. Aveva macchie di caffè sui pantaloni di poliestere. Il suo compagno indossava jeans e maglietta e un cappello da baseball rosso con uno scudetto bianco e rosso. Coretti rischiò di perderli di vista mentre attraversava il caos ed entrava nel “Pointer” per trovarsi davanti a un cartello scritto a mano che diceva: “Noi miriamo a servirvi. Voi mirate e basta”. -grottescamente lunghe del colletto. O forse era sbagliato il colore. Comunque +La Terza Avenue si perdeva vicino al porto in un ghigno pietrificato di case in mattoni. All'ultimo isolato, macchie colorate di vomito segnavano a intervalli il marciapiede, e dei vecchi sonnecchiavano davanti a televisori in bianco e nero, sigillati per sempre dietro le porte a vetri appannate di alberghetti sbiaditi. Il bar in cui entrarono non aveva nome. Un asso di quadri si stava staccando a scaglie dalla vetrina sporca, e il barista aveva una faccia che assomigliava a un pugno chiuso. Una radio a transistor in plastica color avorio ululava del rock easy- listening sulle file sbilenche di tavoli vuoti. Bevvero birra e liquore. Erano vecchi, adesso, due zeri che bevevano e fumavano alla luce di lampadine nude tossendo su un pacchetto accartocciato di Camel che lei aveva tirato fuori dalla tasca di un impermeabile marrone, sporco. -qualcosa era fuori posto. +Alle 2 e 25 erano nel bar sul tetto del nuovo hotel che sorgeva sulla riva del fiume. Lei indossava un abito da sera, lui un vestito scuro. Bevvero cognac e fecero finta di ammirare le luci della città. Bevvero tre cognac, mentre Coretti li guardava alzando gli occhi dal bicchiere di cristallo di Waterford contenente sessanta grammi di Wild Turkey. Bevvero fino all'ora di chiusura. Coretti li seguì nell'ascensore. Gli sorrisero educatamente ma per il resto lo ignorarono. C'erano due taxi di fronte all'hotel; loro presero il primo, Coretti il secondo. -Accanto a lui, nella scura limpidezza dello specchio, la ragazza dagli occhi +— Seguite quel taxi — disse Coretti con voce roca, passando i suoi ultimi venti dollari al vecchio autista hippy. -verdi sembrava Irma la Dolce. Ma guardandola meglio, studiandole la faccia, +— Certo, come no. . — L'autista seguì l'altro taxi per sei isolati fino a un altro hotel, più modesto. I due scesero ed entrarono. Coretti scese lentamente dal suo taxi, respirando a fatica. Si sentiva bruciare di gelosia: per quella personificazione di conformità sociale, per la donna che non era una donna, quella tappezzeria umana. Coretti fissò l'albergo. . E perse il coraggio. Se ne andò. -Coretti ebbe un brivido. La faccia di un animale. Una faccia bella, ma semplice, +— Camminò fino a casa. Sedici isolati. A un certo punto si rese conto di non essere ubriaco. Neanche un po'. -astuta, bidimensionale. “Quando si accorgerà che la guardi” pensò “ti farà un +La mattina telefonò per cancellare la prima lezione. Ma si accorse che i postumi della sbronza non arrivavano. Non sentiva la bocca arida, e guardandosi nello specchio del bagno vide che non aveva gli occhi iniettati di sangue. -sorriso, divertito e sprezzante. . O qualsiasi altra cosa ti aspetti.” Coretti +Il pomeriggio dormì, e sognò gente con la faccia da pecora riflessa in specchi dietro file di bottiglie. -farfugliò: — Posso, ehm, offrirti da bere? In momenti come quello Coretti cadeva +Quella sera uscì a cena, da solo. E non mangiò niente. Gli sembrava quasi che il cibo lo fissasse. Lo sparse un po' per il piatto per far sembrare che l'avesse assaggiato, pagò e andò in un bar. Poi in un altro. E un altro, cercandola. Stava usando la sua carta di credito, adesso, anche se era già in rosso con la Visa. Se la vide, non la riconobbe. -in preda a un tic linguistico penosissimo, da maestro di scuola. “Ehm”. Ebbe un +Qualche volta andava all'hotel dove l'aveva vista entrare. Guardava con attenzione ogni coppia che usciva ed entrava. Non perché sperasse di riconoscerla semplicemente dal suo aspetto. . Ma capiva che doveva esserci una “sensazione”, una sorta di riconoscimento intuitivo. Osservò le coppie e non ne fu mai certo. -brivido. “Ehm”. +Nelle settimane seguenti visitò sistematicamente ogni posto della città dove si vendesse alcool. Servendosi all'inizio di una pianta della città e di cinque pagine gialle strappate, si introdusse a poco a poco fin nei locali più oscuri, posti senza numero del telefono sulla guida. -— Vuoi, ehm, offrimi da bere? Molto gentile da parte tua — disse lei, +Alcuni il telefono non ce l'avevano neppure. Si iscrisse a club privati di dubbia reputazione, scoprì posti senza licenza che rimanevano aperti oltre le ore consentite, dove bisognava portarsi da bere, e sedette nervosamente in stanze buie utilizzate per un tipo anomalo di sessualità di cui non aveva mai neppure sospettato l'esistenza. -lasciandolo di sasso. — Sì, mi piacerebbe molto. — Vagamente, Coretti notò che +Ma proseguì in quello che era diventato il suo circuito notturno. Cominciava sempre dal Backdoor. Lei non era mai lì, né nel bar successivo, né in quello dopo ancora. I baristi lo conoscevano, e lo accoglievano bene perché comprava da bere in continuazione e sembrava che non si ubriacasse mai. Era vero che fissava un po' gli altri clienti, ma che c'era di male? -la risposta della ragazza era artefatta e insicura quanto la sua domanda. Lei +Coretti perse il lavoro. -aggiunse: — In un'occasione come questa, un Tom Collins sarebbe delizioso. +Aveva saltato troppe lezioni. Aveva cominciato a fare la guardia all'hotel anche di giorno. Era stato visto in troppi bar. Sembrava che non si cambiasse mai d'abito. Rifiutava i corsi serali. Interrompeva nel bel mezzo una lezione, per fissare la finestra con occhi vuoti. Provò un segreto piacere ad essere licenziato. -In un'occasione come questa? Delizioso? Innervosito, Coretti ordinò due drink +Lo avevano guardato in maniera strana alla mensa, dove non riusciva a mangiare. E adesso aveva più tempo per la sua ricerca. -e pagò. +Coretti la trovò alle 2.15 di un mercoledì notte in un bar gay chiamato il Barn. -Una donna grossa, in jeans e camicia da cowboy ricamata, si appoggiò al +Rivestito di legno grezzo, pieno di cavezze e attrezzi agricoli arrugginiti, il locale era pieno di profumo, di risate, di birra. -bancone accanto a lui e chiese al barista di cambiarle una banconota. Poi +Lei rideva e scherzava con tutti, in un vestito in lustrini blu e con una penna verde nella cuffia sui capelli castani. Con un sollievo che sentiva quasi fin nelle cellule, Coretti si rese conto di provare una sorta di ammirazione, uno strano orgoglio per la donna e per la sua razza. Anche lì lei era a suo agio. -raggiunse a grandi passi il juke-box e fece partire “You're the Reason Our Kids +Era l'esempio tipico della donna che amava la compagnia degli omosessuali, e che non rappresentava per loro alcun pericolo. Il suo compagno era diventato un uomo senza età, con le tempie argentate, maglione di angora e impermeabile. -Are Ugly”, di Conway e Loretta. Coretti si rivolse alla donna in verde e mormorò +Bevevano e bevevano, e uscirono ridendo, con il giusto tipo di risata, nella pioggia. Un taxi li aspettava. I tergicristalli sembravano duplicare il battito del cuore di Coretti. -con voce insicura: — Ti piace ascoltare la musica country? — “Ti piace +Correndo goffamente sul marciapiede umido, Coretti si infilò nel taxi, pensando con terrore alla loro reazione. -ascoltare. .” Emise un grugnito silenzioso per quel giro di parole, e cercò di +Coretti si trovò sul sedile posteriore accanto a lei. L'uomo con le tempie argentate parlò all'autista. L'autista mormorò qualcosa nel microfono, mise in moto, e scivolarono via nella pioggia e nelle strade buie. Il paesaggio cittadino non fece alcuna impressione su Coretti, che guardando dentro di sé vedeva il taxi fermarsi, l'uomo grigio e la donna ridente che lo spingevano fuori e indicavano, sorridendo, il cancello di un manicomio. Oppure: il taxi che si fermava, la coppia che si voltava e scuoteva tristemente la testa. E una dozzina di volte gli sembrò di vedere il taxi fermarsi in una stradina solitaria, dove i due lo strangolavano in tutta calma. Coretti abbandonato morto nella pioggia. Perché era un intruso. -sorridere. +Ma arrivarono all'albergo di Coretti. -— Sì, certo — rispose lei, con una lieve inflessione nasale nella voce. — Certo +Nella luce fioca della cabina del taxi guardò attentamente l'uomo mentre infilava una mano nell'impermeabile per pagare. Coretti vide chiaramente la fodera dell'impermeabile, ed era un pezzo unico con il maglione di angora. Non c'era alcun rigonfio del portafoglio, nessuna tasca. Ma una fessura si aprì, si allargò quando le dita dell'uomo vi si appoggiarono sopra e ne uscì del denaro. -che mi piace. +Tre banconote ripiegate scivolarono fuori dalla fessura. Il denaro era leggermente umido. Si asciugò mentre l'uomo lo apriva, come le ali di una farfalla appena emersa dalla crisalide. -La ragazza-cowboy sedette vicino a Coretti e le chiese, strizzandole l'occhio: +— Tenete il resto — disse l'uomo uscendo dal taxi. Anche Antoinette uscì, e Coretti la seguì, vedendo con la mente solo la fessura. La fessura umida, con i bordi rossi, come una branchia. La hall era deserta il portiere di notte intento a fare le parole crociate. La coppia attraversò silenziosamente la hall ed entrò nell'ascensore, con Coretti alle calcagna. -— Questo piccoletto ti sta dando fastidio? E la ragazza in verde con gli occhi da +— Una volta lui cercò di guardarla negli occhi, ma lei lo ignorò. E una volta, mentre l'ascensore saliva sette piani oltre quello di Coretti, lei si chinò e annusò il portacenere cromato appeso alla parete, come un cane che annusi il terreno. -animale rispose: — Oh, diavolo, no ciccia, lo tengo d'occhio. — E rise. La risata +Gli alberghi, a notte fonda, non sono mai tranquilli. I corridoi non sono mai del tutto silenziosi. Ci sono innumerevoli sospiri appena udibili, il fruscio delle lenzuola, voci soffocate che mormorano frasi spezzate nel sonno. Ma nel corridoio del nono piano a Coretti parve di muoversi in un vuoto perfetto, senza suoni, le scarpe che non facevano alcun rumore sul tappeto incolore, e anche il battito del suo cuore da intruso risucchiato nel disegno indistinto che decorava la tappezzeria. -giusta. Il Coretti dialettologo si agitò a disagio: il cambiamento di sintassi e +Cercò di contare i piccoli ovali di plastica avvitati alle porte, ciascuno con i suoi tre numeri, ma il corridoio sembrava proseguire all'infinito. Alla fine l'uomo si fermò di fronte a una porta, una porta impiallacciata come le altre in finto palissandro, e appoggiò la mano sulla maniglia, il palmo piatto sul metallo. Si sentì un rumore stridente, soffocato, poi la serratura che scattava, la porta che si apriva. Mentre l'uomo ritraeva la mano Coretti vide una scheggia ossea grigio- rosa a forma di chiave, ritirarsi umida nella carne pallida. -inflessione era troppo perfetto. Un'attrice? Un'imitatrice di talento? Gli venne in +Non c'era nessuna luce accesa nella stanza, ma il bagliore al neon della città filtrava attraverso le veneziane, permettendogli di vedere le facce di una dozzina o più di persone sedute sul letto, sul divano, sulle poltrone, sugli sgabelli in cucina. All'inizio gli parve che tenessero gli occhi aperti, poi si rese conto che le pupille spente erano coperte da membrane, come una terza palpebra che rifletteva la luce proveniente dalla finestra. Indossavano gli abiti dell'ultimo bar: -mente “mimetico”, ma lo mise da parte per studiare l'immagine di lei riflessa +cappotti informi dell'Esercito della Salvezza e abiti sportivi colorati, vestiti lunghi da sera e tute da lavoro polverose, giacche da motociclista in pelle e Harris tweed. Con il sonno era svanita ogni traccia di umanità. -nello specchio. Le file di bottiglie le nascondevano i seni come un abito di vetro. +Stavano facendo il nido. -— Io sono Coretti — disse lui, mutando bruscamente la sua poltergeist +La coppia si sedette sul bordo del tavolo in formica della cucina, e Coretti rimase fermo, incerto, in mezzo al tappeto vuoto. Anni luce di tappeto sembravano separarlo dagli altri, ma qualcosa lo chiamò, promettendogli riposo, pace e sicurezza. Ma esitava ancora, scosso da un'indecisione che sembrava nascergli nel codice genetico di ciascuna cellula. -verbale in un atteggiamento fasullo da duro. — Michael Coretti. +Fino a quando non aprirono gli occhi, tutti insieme simultaneamente le membrane che scivolavano di lato rivelando una calma aliena, da abitatori della fossa più oscura dell'oceano. -— Molto piacere — disse lei a bassa voce, per non farsi sentire dall'altra +Coretti urlò, e corse via, scappò lungo i corridoi e le scale echeggianti in cemento, fino alla pioggia fresca e alle strade quasi vuote. -donna, e ancora una volta era scivolata in una parodia di Emily Post. +Coretti non tornò più alla sua stanza, al terzo piano. Un detective d'albergo annoiato raccolse i testi di linguistica, l'unica valigia con i vestiti, e alla fine il tutto venne venduto all'asta. Coretti prese una stanza in una pensione diretta da un'arcigna signora astemia, di religione battista, che faceva pregare i suoi inquilini prima di iniziare le cene squallide. Non le importava se Coretti non partecipava mai. Lui le aveva spiegato che mangiava gratis in mensa. Mentiva abilmente e abbondantemente. Non beveva mai nella pensione e non tornava mai a casa ubriaco. Il signor Coretti era un po' strano, ma pagava sempre puntuale. Ed era molto tranquillo. Coretti smise di cercarla. Smise di andare nei bar. Beveva da una bottiglia in un sacchetto di carta mentre andava e tornava dal lavoro, al deposito di una casa editrice, in una zona industriale dove c'erano pochi bar. -— Conway e Loretta — disse la ragazza-cowboy, a nessuno in particolare. +Lavorava di notte. -— Antoinette — disse la donna in verde, e inclinò la testa. Finì di bere, fece +Qualche volta, all'alba, seduto sul bordo del letto disfatto, mentre scivolava nel sonno (non dormiva più sdraiato), pensava a lei. Antoinette. E a loro. La razza giusta. Qualche volta faceva delle ipotesi, sognava. . Forse erano come topi domestici, animali evoluti per vivere soltanto fra le strutture costruite dall'uomo. Un animale che si nutre solo di bevande alcooliche. Un particolare metabolismo che trasforma l'alcool e le varie proteine dei cocktail e del vino e della birra in qualsiasi cosa serva loro. E possono cambiare il loro aspetto esteriore come camaleonti o scorpene, per proteggersi. Per poter vivere fra di noi. E forse, pensò Coretti, passano attraverso vari stadi di crescita. In quelli iniziali sembrano uomini, mangiano il cibo degli uomini, avvertono la propria differenza solo per la sensazione fastidiosa di essere degli intrusi. Un animale dotato di una sua astuzia, di un suo istinto. E della capacità di accorgersi dei suoi simili, quando sono vicini. Forse. E forse no. -finta di guardare l'orologio, snocciolò un “grazie di avermi offerto da bere” fin +Coretti scivolò nel sonno. -troppo da brava bambina e se ne andò. Dieci minuti più tardi, Coretti la seguiva +Un mercoledì, tre settimane dopo che aveva iniziato il suo nuovo lavoro, la padrona di casa aprì la porta (non bussava mai) e gli disse che era desiderato al telefono. La sua voce era carica di sospetto, come al solito, e Coretti la seguì lungo il corridoio buio, fino al salotto al secondo piano dove era il telefono. -lungo la Terza Avenue. Non aveva mai seguito nessuno in vita sua, e la cosa lo +Sollevando la vecchia cornetta nera all'orecchio, all'inizio sentì solo della musica, poi un rumore indefinibile che si risolse in un amalgama frammentario di conversazioni e risate. I rumori del bar non vennero spezzati da alcuna voce, ma la canzone in sottofondo era “You're the Reason Our Rids Are Ugly”. -spaventava e lo emozionava allo stesso tempo. Quaranta passi gli sembrava la +Poi il segnale di occupato, quando riappesero. -distanza giusta, ma cosa avrebbe fatto se lei si fosse guardata alle spalle? La +Più tardi, solo nella sua stanza, ascoltando il passo della padrona di casa al piano di sotto, Coretti capì che non c'era più alcuna necessità di rimanere dov'era. La chiamata era arrivata. Ma la padrona chiedeva tre settimane di preavviso se si intendeva andarsene. Per cui Coretti le doveva del denaro. -Terza Avenue non è una strada buia, e fu lì, alla luce dei lampioni, come su un +L'istinto gli disse di lasciarglielo. Un operaio nella stanza accanto tossì nel sonno, mentre Coretti si alzava e raggiungeva il telefono. Coretti disse al caposquadra del turno serale che si licenziava. Riappese e tornò nella sua stanza, chiuse la porta a chiave e si tolse lentamente i vestiti, fino a rimanere nudo davanti alla sgargiante litografia di Gesù incorniciata sopra la scrivania in metallo marrone. -palcoscenico, che lei cominciò a cambiare. La strada era deserta. +Poi contò nove banconote da dieci dollari. Le mise per bene accanto alla targa con le mani giunte che decorava il piano della scrivania. Erano ottime banconote, perfettamente legali. Le aveva fatte lui. -Stava attraversando la strada. Scese dal marciapiede e cominciò. Cominciò con +Questa volta non aveva nessun desiderio di fare conversazione. Lei stava bevendo un Margarita, e lui ordinò lo stesso. Lei pagò, estraendo il denaro con un movimento abile della mano fra i seni che le ondeggiavano sotto la scollatura bassa. Lui scorse la branchia che si chiudeva. Si sentì eccitato, ma, chissà perché, l'eccitamento non si risolse in un'erezione. -la tinta dei capelli. . All'inizio Coretti pensò che fosse il riflesso dei lampioni. Ma +Dopo il terzo Margarita le loro anche si toccarono, e lui sentì qualcosa crescergli dentro in lente ondate orgasmiche. Sentiva appiccicaticcio dove si toccavano, una zona larga quanto un pollice dove i vestiti si erano aperti. Era due uomini: quello dentro che si fondeva con lei in una comunione totale, e il guscio che sedeva tranquillo su uno sgabello del bar, i gomiti ai due lati del bicchiere, le dita che giocherellavano con una bacchetta per mescolare i cocktail. Sorrideva beatamente. Calmo, nella penombra fresca. E una volta, ma una volta sola, una parte lontana e preoccupata di lui lo spinse a guardare in basso a vedere morbidi tubi rossi che pulsavano, viticci sormontati da labbra sottili che si muovevano nell'ombra. Come i tentacoli intrecciati di due bizzarre anemoni. -non c'erano luci al neon per produrre quelle macchie di colore che scivolavano e +Si stavano accoppiando, e nessuno lo sapeva. -si confondevano come chiazze di olio. Poi i colori svanirono e nel giro di tre +E il barista, quando portò ancora una volta da bere, fece un sorriso stanco e disse: — Non vuole proprio smetterla di piovere, oggi. -secondi lei era diventata biondo platino. +— Va avanti così da una settimana — rispose Coretti. — Non se ne può più. -Coretti era sicuro che fosse un'illusione ottica, fino a quando il suo vestito - -cominciò a fremere, ritirandosi sul corpo come una pellicola di plastica per - -alimenti. Una parte si staccò completamente e cadde sull'asfalto in frammenti - -accartocciati, come la pelle di un animale. Quando vi passò accanto vide solo una - -schiuma verde che si dissolveva spumeggiando. - -Guardò verso la ragazza, e il suo vestito era diverso, raso verde dai riflessi - -cangianti. Anche le sue scarpe erano cambiate. Le spalle erano nude, a parte le - -spalline sottili che le passavano fra le scapole. I capelli le erano diventati corti, - -diritti. Si accorse di essersi appoggiato alla vetrina di un gioielliere, il respiro che - -gli usciva a rantoli nell'umidità della sera autunnale. Sentì il battito ritmico della - -discoteca da due isolati di distanza. Mentre la ragazza si avvicinava, i suoi - -movimenti cominciarono impercettibilmente ad assumere un nuovo ritmo, una - -diversa enfasi nell'ondeggiare delle anche, nella maniera in cui appoggiava i - -tacchi sul marciapiede. Il portiere la fece passare con un vago cenno del capo. - -Bloccò Coretti, controllandogli la patente e aggrottando la fronte nel vedere la - -sua giacca di lana. Coretti osservò ansiosamente l'onda di luce in cima alla scala - -di plastica lattea, oltre il portiere. Era svanita lì, nel lampeggiare robotico e nel - -frastuono echeggiante. Controvoglia l'uomo lo lasciò passare, e Coretti salì - -veloce le scale, facendo traballare le luci dietro i gradini di plastica trasparente. - -Coretti non era mai stato in una discoteca prima di allora; si trovò in un - -ambiente progettato per la completa soddisfazione-nella-distrazione. Si fece - -strada nervosamente attraverso il movimento e gli abiti appariscenti e i canti - -urbani meccanici che tuonavano dai grandi altoparlanti. La cercò quasi alla cieca - -sulla pista da ballo affollata di gente in posa coagulata dalle luci stroboscopiche. - -Lei si muoveva in perfetto accordo con la musica, assumendo tutta una serie di - -pose successive; recitò l'intera sequenza prescritta con grazia, ma senza arte, - -adattandosi alla perfezione. Sempre, sempre adattandosi alla perfezione. Gli altri - -danzavano meccanicamente, eseguendo faticosamente il rituale. - -Quando il ballo finì la ragazza si voltò bruscamente e si tuffò nel folto della - -folla. La massa mutevole si chiuse attorno a lei come metallo fuso. - -Coretti si buttò dietro di lei senza lasciarla mai con gli occhi. . E fu l'unico ad - -accorgersi del cambiamento. Quando lei raggiunse le scale aveva i capelli color - -castano dorato, lunghi e dritti, e indossava un lungo abito blu. Fra i capelli le - -spuntava un fiore bianco, dietro l'orecchio destro. I seni le erano diventati un - -poco più grandi, i fianchi leggermente più pesanti. Scese le scale due gradini alla - -volta, e in quel momento lui ebbe paura per lei. Tutti quei liquori. - -Ma l'alcool sembrava non avere alcun effetto su di lei. Senza mai staccarle gli - -occhi di dosso Coretti la seguì, i battiti del cuore più veloci della musica pulsante - -alle sue spalle, sicuro che da un momento all'altro si sarebbe girata, l'avrebbe - -visto, avrebbe chiamato aiuto. - -Due isolati dopo, lungo la Terza, si infilò da Lothario's. Ora camminava - -diversamente. Lothario's era un insieme di sale silenziose, con felci e specchi Art - -Déco. C'erano falsi lampadari Tiffany appesi al soffitto, alternati a ventilatori - -dalle pale di legno che ruotavano troppo lentamente per disperdere il fumo che - -si alzava fra il mormorio consapevolmente dolce della conversazione. Dopo la - -discoteca, Lothario's faceva un effetto familiare e piacevole. Un pianista jazz, in - -camicia a righine e cravatta allentata faceva a gara sommessamente con la - -conversazione e le risate che venivano dai tavoli. Lei andò al bar; gli sgabelli - -erano occupati solo per metà, ma Coretti scelse un tavolo d'angolo, all'ombra di - -una palma in miniatura, e ordinò un bourbon. - -Bevve il bourbon e ne ordinò un altro. Non riusciva a sentire molto gli effetti - -dell'alcool, quella sera. - -Lei era seduta vicino a un giovane, uno dei soliti giovani con tratti regolari e - -anonimi, che indossava una camicia da golf gialla e jeans stirati. Le loro anche si - -sfioravano appena. Non sembravano parlare, ma Coretti aveva la sensazione che - -in qualche maniera comunicassero. Erano leggermente piegati l'una verso l'altro, - -silenziosi. Coretti provava una strana sensazione. Andò nel bagno e si spruzzò la - -faccia di acqua. Tornando, fece in modo di passare a un metro di distanza da - -loro. Le loro labbra non si mossero finché non fu a portata d'udito. Si - -scambiarono a turno chiacchiere realistiche. - -— . .ho visto i suoi primi film, ma. . - -— Ma è piuttosto narcisista, non ti pare? - -— Sì, ma nel senso che. . - -E per la prima volta Coretti seppe cosa erano, cosa dovevano essere. Sono - -quella razza di persone che si vedono nei bar, che sembra essere cresciuta lì, - -sempre perfettamente a proprio agio. Non ubriachi, ma soprammobili in forma - -umana. Viventi in funzione del bar. La razza giusta. - -Qualcosa dentro di lui anelava a un confronto. Raggiunse il suo tavolo, ma - -scoprì che non gli riusciva di sedersi. Si voltò, tirò un profondo respiro e - -camminò rigidamente verso il bar. Voleva toccarla sulla spalla liscia e chiederle - -chi era, e cosa era esattamente, e farle osservare l'ironia del fatto che era lui, - -Coretti, quello che si vestiva come un marziano, quello che origliava, l'intruso, i - -cui abiti e la cui conversazione non erano mai quelli giusti, ad aver finalmente - -indovinato il loro segreto. - -Ma poi gli mancò il coraggio, e si limitò a sedersi vicino a lei e a ordinare un - -bourbon. - -— Ma non credi — chiese lei al compagno — che sia tutto relativo? - -I due posti oltre l'uomo vennero occupati da una coppia che parlava di - -politica. Antoinette e Camicia da Golf raccolsero il tema politico senza fare una - -piega, riciclandolo, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire. La faccia di - -lei, mentre parlava, era priva di espressione. Un uccello che cinguettava su un - -ramo. Sedeva sullo sgabello come se fosse un nido. Camicia da Golf pagò le - -consumazioni. Aveva sempre il denaro contato, a meno che non volesse lasciare - -una mancia. - -Coretti li osservò bere metodicamente sei cocktail ciascuno, come insetti che - -si nutrono di nettare. Ma non alzavano mai la voce, le loro guance non si - -arrossarono, e quando alla fine si alzarono, si muovevano senza alcuna traccia di - -ubriachezza. . una debolezza, pensò Coretti, una falla nel travestimento. - -Non gli prestarono la minima attenzione mentre li seguiva nei tre bar - -successivi. - -Quando entrarono da Waylon's si tramutarono così rapidamente che Coretti - -ebbe difficoltà a seguire le fasi della trasformazione. Era uno di quei posti dove - -sulla porta della toilette maschile c'era scritto “Pointer” e su quella femminile - -“Setter”, e cartellini in finto pino sui barattoli di carne secca e salsicce sottaceto: - -“Abbiamo fatto un patto con la banca: loro non servono birra e noi non - -prendiamo assegni”. - -Da Waylon's lei era grassottella, con occhiaie pesanti. Aveva macchie di caffè - -sui pantaloni di poliestere. Il suo compagno indossava jeans e maglietta e un - -cappello da baseball rosso con uno scudetto bianco e rosso. Coretti rischiò di - -perderli di vista mentre attraversava il caos ed entrava nel “Pointer” per trovarsi - -davanti a un cartello scritto a mano che diceva: “Noi miriamo a servirvi. Voi - -mirate e basta”. - -La Terza Avenue si perdeva vicino al porto in un ghigno pietrificato di case in - -mattoni. All'ultimo isolato, macchie colorate di vomito segnavano a intervalli il - -marciapiede, e dei vecchi sonnecchiavano davanti a televisori in bianco e nero, - -sigillati per sempre dietro le porte a vetri appannate di alberghetti sbiaditi. Il bar - -in cui entrarono non aveva nome. Un asso di quadri si stava staccando a scaglie - -dalla vetrina sporca, e il barista aveva una faccia che assomigliava a un pugno - -chiuso. Una radio a transistor in plastica color avorio ululava del rock easy- - -listening sulle file sbilenche di tavoli vuoti. Bevvero birra e liquore. Erano vecchi, - -adesso, due zeri che bevevano e fumavano alla luce di lampadine nude tossendo - -su un pacchetto accartocciato di Camel che lei aveva tirato fuori dalla tasca di un - -impermeabile marrone, sporco. - -Alle 2 e 25 erano nel bar sul tetto del nuovo hotel che sorgeva sulla riva del - -fiume. Lei indossava un abito da sera, lui un vestito scuro. Bevvero cognac e - -fecero finta di ammirare le luci della città. Bevvero tre cognac, mentre Coretti li - -guardava alzando gli occhi dal bicchiere di cristallo di Waterford contenente - -sessanta grammi di Wild Turkey. Bevvero fino all'ora di chiusura. Coretti li seguì - -nell'ascensore. Gli sorrisero educatamente ma per il resto lo ignorarono. C'erano - -due taxi di fronte all'hotel; loro presero il primo, Coretti il secondo. - -— Seguite quel taxi — disse Coretti con voce roca, passando i suoi ultimi venti - -dollari al vecchio autista hippy. - -— Certo, come no. . — L'autista seguì l'altro taxi per sei isolati fino a un altro - -hotel, più modesto. I due scesero ed entrarono. Coretti scese lentamente dal suo - -taxi, respirando a fatica. Si sentiva bruciare di gelosia: per quella - -personificazione di conformità sociale, per la donna che non era una donna, - -quella tappezzeria umana. Coretti fissò l'albergo. . E perse il coraggio. Se ne andò. - -— Camminò fino a casa. Sedici isolati. A un certo punto si rese conto di non - -essere ubriaco. Neanche un po'. - -La mattina telefonò per cancellare la prima lezione. Ma si accorse che i - -postumi della sbronza non arrivavano. Non sentiva la bocca arida, e guardandosi - -nello specchio del bagno vide che non aveva gli occhi iniettati di sangue. - -Il pomeriggio dormì, e sognò gente con la faccia da pecora riflessa in specchi - -dietro file di bottiglie. - -Quella sera uscì a cena, da solo. E non mangiò niente. Gli sembrava quasi che il - -cibo lo fissasse. Lo sparse un po' per il piatto per far sembrare che l'avesse - -assaggiato, pagò e andò in un bar. Poi in un altro. E un altro, cercandola. Stava - -usando la sua carta di credito, adesso, anche se era già in rosso con la Visa. Se la - -vide, non la riconobbe. - -Qualche volta andava all'hotel dove l'aveva vista entrare. Guardava con - -attenzione ogni coppia che usciva ed entrava. Non perché sperasse di - -riconoscerla semplicemente dal suo aspetto. . Ma capiva che doveva esserci una - -“sensazione”, una sorta di riconoscimento intuitivo. Osservò le coppie e non ne - -fu mai certo. - -Nelle settimane seguenti visitò sistematicamente ogni posto della città dove si - -vendesse alcool. Servendosi all'inizio di una pianta della città e di cinque pagine - -gialle strappate, si introdusse a poco a poco fin nei locali più oscuri, posti senza - -numero del telefono sulla guida. - -Alcuni il telefono non ce l'avevano neppure. Si iscrisse a club privati di dubbia - -reputazione, scoprì posti senza licenza che rimanevano aperti oltre le ore - -consentite, dove bisognava portarsi da bere, e sedette nervosamente in stanze - -buie utilizzate per un tipo anomalo di sessualità di cui non aveva mai neppure - -sospettato l'esistenza. - -Ma proseguì in quello che era diventato il suo circuito notturno. Cominciava - -sempre dal Backdoor. Lei non era mai lì, né nel bar successivo, né in quello dopo - -ancora. I baristi lo conoscevano, e lo accoglievano bene perché comprava da - -bere in continuazione e sembrava che non si ubriacasse mai. Era vero che fissava - -un po' gli altri clienti, ma che c'era di male? - -Coretti perse il lavoro. - -Aveva saltato troppe lezioni. Aveva cominciato a fare la guardia all'hotel anche - -di giorno. Era stato visto in troppi bar. Sembrava che non si cambiasse mai - -d'abito. Rifiutava i corsi serali. Interrompeva nel bel mezzo una lezione, per - -fissare la finestra con occhi vuoti. Provò un segreto piacere ad essere licenziato. - -Lo avevano guardato in maniera strana alla mensa, dove non riusciva a - -mangiare. E adesso aveva più tempo per la sua ricerca. - -Coretti la trovò alle 2.15 di un mercoledì notte in un bar gay chiamato il Barn. - -Rivestito di legno grezzo, pieno di cavezze e attrezzi agricoli arrugginiti, il locale - -era pieno di profumo, di risate, di birra. - -Lei rideva e scherzava con tutti, in un vestito in lustrini blu e con una penna - -verde nella cuffia sui capelli castani. Con un sollievo che sentiva quasi fin nelle - -cellule, Coretti si rese conto di provare una sorta di ammirazione, uno strano - -orgoglio per la donna e per la sua razza. Anche lì lei era a suo agio. - -Era l'esempio tipico della donna che amava la compagnia degli omosessuali, e - -che non rappresentava per loro alcun pericolo. Il suo compagno era diventato un - -uomo senza età, con le tempie argentate, maglione di angora e impermeabile. - -Bevevano e bevevano, e uscirono ridendo, con il giusto tipo di risata, nella - -pioggia. Un taxi li aspettava. I tergicristalli sembravano duplicare il battito del - -cuore di Coretti. - -Correndo goffamente sul marciapiede umido, Coretti si infilò nel taxi, - -pensando con terrore alla loro reazione. - -Coretti si trovò sul sedile posteriore accanto a lei. L'uomo con le tempie - -argentate parlò all'autista. L'autista mormorò qualcosa nel microfono, mise in - -moto, e scivolarono via nella pioggia e nelle strade buie. Il paesaggio cittadino - -non fece alcuna impressione su Coretti, che guardando dentro di sé vedeva il taxi - -fermarsi, l'uomo grigio e la donna ridente che lo spingevano fuori e indicavano, - -sorridendo, il cancello di un manicomio. Oppure: il taxi che si fermava, la coppia - -che si voltava e scuoteva tristemente la testa. E una dozzina di volte gli sembrò - -di vedere il taxi fermarsi in una stradina solitaria, dove i due lo strangolavano in - -tutta calma. Coretti abbandonato morto nella pioggia. Perché era un intruso. - -Ma arrivarono all'albergo di Coretti. - -Nella luce fioca della cabina del taxi guardò attentamente l'uomo mentre - -infilava una mano nell'impermeabile per pagare. Coretti vide chiaramente la - -fodera dell'impermeabile, ed era un pezzo unico con il maglione di angora. Non - -c'era alcun rigonfio del portafoglio, nessuna tasca. Ma una fessura si aprì, si - -allargò quando le dita dell'uomo vi si appoggiarono sopra e ne uscì del denaro. - -Tre banconote ripiegate scivolarono fuori dalla fessura. Il denaro era - -leggermente umido. Si asciugò mentre l'uomo lo apriva, come le ali di una - -farfalla appena emersa dalla crisalide. - -— Tenete il resto — disse l'uomo uscendo dal taxi. Anche Antoinette uscì, e - -Coretti la seguì, vedendo con la mente solo la fessura. La fessura umida, con i - -bordi rossi, come una branchia. La hall era deserta il portiere di notte intento a - -fare le parole crociate. La coppia attraversò silenziosamente la hall ed entrò - -nell'ascensore, con Coretti alle calcagna. - -— Una volta lui cercò di guardarla negli occhi, ma lei lo ignorò. E una volta, - -mentre l'ascensore saliva sette piani oltre quello di Coretti, lei si chinò e annusò - -il portacenere cromato appeso alla parete, come un cane che annusi il terreno. - -Gli alberghi, a notte fonda, non sono mai tranquilli. I corridoi non sono mai del - -tutto silenziosi. Ci sono innumerevoli sospiri appena udibili, il fruscio delle - -lenzuola, voci soffocate che mormorano frasi spezzate nel sonno. Ma nel - -corridoio del nono piano a Coretti parve di muoversi in un vuoto perfetto, senza - -suoni, le scarpe che non facevano alcun rumore sul tappeto incolore, e anche il - -battito del suo cuore da intruso risucchiato nel disegno indistinto che decorava - -la tappezzeria. - -Cercò di contare i piccoli ovali di plastica avvitati alle porte, ciascuno con i - -suoi tre numeri, ma il corridoio sembrava proseguire all'infinito. Alla fine l'uomo - -si fermò di fronte a una porta, una porta impiallacciata come le altre in finto - -palissandro, e appoggiò la mano sulla maniglia, il palmo piatto sul metallo. Si - -sentì un rumore stridente, soffocato, poi la serratura che scattava, la porta che si - -apriva. Mentre l'uomo ritraeva la mano Coretti vide una scheggia ossea grigio- - -rosa a forma di chiave, ritirarsi umida nella carne pallida. - -Non c'era nessuna luce accesa nella stanza, ma il bagliore al neon della città - -filtrava attraverso le veneziane, permettendogli di vedere le facce di una dozzina - -o più di persone sedute sul letto, sul divano, sulle poltrone, sugli sgabelli in - -cucina. All'inizio gli parve che tenessero gli occhi aperti, poi si rese conto che le - -pupille spente erano coperte da membrane, come una terza palpebra che - -rifletteva la luce proveniente dalla finestra. Indossavano gli abiti dell'ultimo bar: - -cappotti informi dell'Esercito della Salvezza e abiti sportivi colorati, vestiti - -lunghi da sera e tute da lavoro polverose, giacche da motociclista in pelle e - -Harris tweed. Con il sonno era svanita ogni traccia di umanità. - -Stavano facendo il nido. - -La coppia si sedette sul bordo del tavolo in formica della cucina, e Coretti - -rimase fermo, incerto, in mezzo al tappeto vuoto. Anni luce di tappeto - -sembravano separarlo dagli altri, ma qualcosa lo chiamò, promettendogli riposo, - -pace e sicurezza. Ma esitava ancora, scosso da un'indecisione che sembrava - -nascergli nel codice genetico di ciascuna cellula. - -Fino a quando non aprirono gli occhi, tutti insieme simultaneamente le - -membrane che scivolavano di lato rivelando una calma aliena, da abitatori della - -fossa più oscura dell'oceano. - -Coretti urlò, e corse via, scappò lungo i corridoi e le scale echeggianti in - -cemento, fino alla pioggia fresca e alle strade quasi vuote. - -Coretti non tornò più alla sua stanza, al terzo piano. Un detective d'albergo - -annoiato raccolse i testi di linguistica, l'unica valigia con i vestiti, e alla fine il - -tutto venne venduto all'asta. Coretti prese una stanza in una pensione diretta da - -un'arcigna signora astemia, di religione battista, che faceva pregare i suoi - -inquilini prima di iniziare le cene squallide. Non le importava se Coretti non - -partecipava mai. Lui le aveva spiegato che mangiava gratis in mensa. Mentiva - -abilmente e abbondantemente. Non beveva mai nella pensione e non tornava - -mai a casa ubriaco. Il signor Coretti era un po' strano, ma pagava sempre - -puntuale. Ed era molto tranquillo. Coretti smise di cercarla. Smise di andare nei - -bar. Beveva da una bottiglia in un sacchetto di carta mentre andava e tornava dal - -lavoro, al deposito di una casa editrice, in una zona industriale dove c'erano - -pochi bar. - -Lavorava di notte. - -Qualche volta, all'alba, seduto sul bordo del letto disfatto, mentre scivolava nel - -sonno (non dormiva più sdraiato), pensava a lei. Antoinette. E a loro. La razza - -giusta. Qualche volta faceva delle ipotesi, sognava. . Forse erano come topi - -domestici, animali evoluti per vivere soltanto fra le strutture costruite - -dall'uomo. Un animale che si nutre solo di bevande alcooliche. Un particolare - -metabolismo che trasforma l'alcool e le varie proteine dei cocktail e del vino e - -della birra in qualsiasi cosa serva loro. E possono cambiare il loro aspetto - -esteriore come camaleonti o scorpene, per proteggersi. Per poter vivere fra di - -noi. E forse, pensò Coretti, passano attraverso vari stadi di crescita. In quelli - -iniziali sembrano uomini, mangiano il cibo degli uomini, avvertono la propria - -differenza solo per la sensazione fastidiosa di essere degli intrusi. Un animale - -dotato di una sua astuzia, di un suo istinto. E della capacità di accorgersi dei suoi - -simili, quando sono vicini. Forse. E forse no. - -Coretti scivolò nel sonno. - -Un mercoledì, tre settimane dopo che aveva iniziato il suo nuovo lavoro, la - -padrona di casa aprì la porta (non bussava mai) e gli disse che era desiderato al - -telefono. La sua voce era carica di sospetto, come al solito, e Coretti la seguì - -lungo il corridoio buio, fino al salotto al secondo piano dove era il telefono. - -Sollevando la vecchia cornetta nera all'orecchio, all'inizio sentì solo della musica, - -poi un rumore indefinibile che si risolse in un amalgama frammentario di - -conversazioni e risate. I rumori del bar non vennero spezzati da alcuna voce, ma - -la canzone in sottofondo era “You're the Reason Our Rids Are Ugly”. - -Poi il segnale di occupato, quando riappesero. - -Più tardi, solo nella sua stanza, ascoltando il passo della padrona di casa al - -piano di sotto, Coretti capì che non c'era più alcuna necessità di rimanere - -dov'era. La chiamata era arrivata. Ma la padrona chiedeva tre settimane di - -preavviso se si intendeva andarsene. Per cui Coretti le doveva del denaro. - -L'istinto gli disse di lasciarglielo. Un operaio nella stanza accanto tossì nel sonno, - -mentre Coretti si alzava e raggiungeva il telefono. Coretti disse al caposquadra - -del turno serale che si licenziava. Riappese e tornò nella sua stanza, chiuse la - -porta a chiave e si tolse lentamente i vestiti, fino a rimanere nudo davanti alla - -sgargiante litografia di Gesù incorniciata sopra la scrivania in metallo marrone. - -Poi contò nove banconote da dieci dollari. Le mise per bene accanto alla targa - -con le mani giunte che decorava il piano della scrivania. Erano ottime banconote, - -perfettamente legali. Le aveva fatte lui. - -Questa volta non aveva nessun desiderio di fare conversazione. Lei stava - -bevendo un Margarita, e lui ordinò lo stesso. Lei pagò, estraendo il denaro con - -un movimento abile della mano fra i seni che le ondeggiavano sotto la scollatura - -bassa. Lui scorse la branchia che si chiudeva. Si sentì eccitato, ma, chissà perché, - -l'eccitamento non si risolse in un'erezione. - -Dopo il terzo Margarita le loro anche si toccarono, e lui sentì qualcosa - -crescergli dentro in lente ondate orgasmiche. Sentiva appiccicaticcio dove si - -toccavano, una zona larga quanto un pollice dove i vestiti si erano aperti. Era due - -uomini: quello dentro che si fondeva con lei in una comunione totale, e il guscio - -che sedeva tranquillo su uno sgabello del bar, i gomiti ai due lati del bicchiere, le - -dita che giocherellavano con una bacchetta per mescolare i cocktail. Sorrideva - -beatamente. Calmo, nella penombra fresca. E una volta, ma una volta sola, una - -parte lontana e preoccupata di lui lo spinse a guardare in basso a vedere morbidi - -tubi rossi che pulsavano, viticci sormontati da labbra sottili che si muovevano - -nell'ombra. Come i tentacoli intrecciati di due bizzarre anemoni. - -Si stavano accoppiando, e nessuno lo sapeva. - -E il barista, quando portò ancora una volta da bere, fece un sorriso stanco e - -disse: — Non vuole proprio smetterla di piovere, oggi. - -— Va avanti così da una settimana — rispose Coretti. — Non se ne può più. - -E lo disse proprio bene. Come un vero essere umano. +E lo disse proprio bene. Come un vero essere umano. \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/09_stella_rossa_orbita_dinverno.md b/Gibson/09_stella_rossa_orbita_dinverno.md index d6aa599..331ff6a 100644 --- a/Gibson/09_stella_rossa_orbita_dinverno.md +++ b/Gibson/09_stella_rossa_orbita_dinverno.md @@ -2,1262 +2,418 @@ _(Red Star, Winter Orbit, 1983)_ -Il colonnello Korolev si girò lentamente nella rete, sognando l'inverno e la +Il colonnello Korolev si girò lentamente nella rete, sognando l'inverno e la gravità. Di nuovo giovane, un cadetto, sferzava il suo cavallo sulle steppe del Kazakistan, alla fine di novembre, verso il paesaggio secco e rosso del tramonto marziano. “Qualcosa non va” pensò. . -gravità. Di nuovo giovane, un cadetto, sferzava il suo cavallo sulle steppe del +E si risvegliò nel Museo del Trionfo Sovietico nello Spazio, sentendo il rumore di Romanenko e della moglie dell'agente del K.G.B. Avevano ricominciato a darci dentro, dietro la paratia a poppa della Salyut. Le cinture di sicurezza e lo scafo imbottito scricchiolavano e cigolavano fra tonfi ritmici. Zoccoli sulla neve. -Kazakistan, alla fine di novembre, verso il paesaggio secco e rosso del tramonto +Liberandosi delle cinghie, Korolev si catapultò con un calcio esperto nella toilette. Si tolse la tuta lisa e si fissò la tazza attorno ai fianchi, pulendo lo specchio di acciaio dal vapore condensato. La mano artritica gli si era gonfiata di nuovo durante il sonno; il polso era sottile, quasi un osso da uccello, a causa della perdita di calcio. Erano passati vent'anni dall'ultima volta che aveva sentito la gravità. Era invecchiato in orbita. -marziano. “Qualcosa non va” pensò. . +Si fece la barba con un rasoio ad aspirazione. Un intrico di capillari spezzati gli formava una macchia sulla guancia sinistra e sulla tempia un altro ricordino della decompressione che l'aveva ridotto a uno storpio. -E si risvegliò nel Museo del Trionfo Sovietico nello Spazio, sentendo il rumore +Quando uscì dalla toilette scoprì che gli adulteri avevano finito. Romanenko si stava sistemando i vestiti; la moglie dell'ufficiale politico, Valentina, aveva strappato le maniche dalla tuta marrone; aveva le braccia bianche coperte da un velo di sudore. I capelli biondo cenere le ondeggiavano nella corrente del ventilatore. Gli occhi erano di un puro azzurro fiordaliso, un po' troppo ravvicinati, e avevano un'espressione per metà di scusa, per metà cospiratoria. -di Romanenko e della moglie dell'agente del K.G.B. Avevano ricominciato a darci +— Guardate cosa vi abbiamo portato, colonnello. . Gli porse una bottiglietta di cognac. -dentro, dietro la paratia a poppa della Salyut. Le cinture di sicurezza e lo scafo +Esterrefatto, Korolev sbatté le palpebre osservando la sigla dell'Air France incisa sul tappo di plastica. -imbottito scricchiolavano e cigolavano fra tonfi ritmici. Zoccoli sulla neve. +— È arrivata con l'ultima Soyuz. In un cetriolo, ha detto mio marito. -Liberandosi delle cinghie, Korolev si catapultò con un calcio esperto nella +— Ridacchiò. — Me l'ha regalata. -toilette. Si tolse la tuta lisa e si fissò la tazza attorno ai fianchi, pulendo lo +— Abbiamo deciso che toccava a voi, Colonnello — disse Romanenko con un largo sorriso. — Dopotutto, noi possiamo andare in licenza da un momento all'altro — Korolev ignorò l'occhiata imbarazzata alle sue gambe rinsecchite e ai piedi pallidi, penzolanti. Aprì il tappo, e l'aroma del liquore gli fece affluire il sangue alle guance. Sollevò adagio la bottiglia e ne succhiò un poco. Il cognac bruciava come acido. — Cristo — ansimò — sono anni che non ne bevo. Mi sbronzerò! — Rise, e le lacrime gli annebbiarono la vista. -specchio di acciaio dal vapore condensato. La mano artritica gli si era gonfiata di +— Mio padre dice che bevevate come un eroe ai vecchi tempi, colonnello. -nuovo durante il sonno; il polso era sottile, quasi un osso da uccello, a causa +— Sì — disse Korolev, e bevve un altro sorso. — È vero — Sentì il cognac dentro di sé come fuoco liquido. Non gli piaceva Romanenko. Non gli era mai piaciuto neppure il padre del ragazzo: un uomo di partito, bonaccione, che si era sistemato da tempo: teneva conferenze, aveva una dacia sul Mar Nero, liquori americani, abiti francesi, scarpe italiane. . Il ragazzo assomigliava al padre, gli stessi occhi grigio chiaro, del tutto liberi da dubbi. -della perdita di calcio. Erano passati vent'anni dall'ultima volta che aveva sentito +L'alcool gli aveva inondato il sangue. — Siete troppo generosi — disse. Con un colpo leggero di gambe arrivò alla sua consolle. — In cambio vi darò “samisdata”, trasmissioni americane via cavo appena intercettate. Roba forte! -la gravità. Era invecchiato in orbita. +Sprecata per un vecchio come me. — Infilò una cassetta vuota e schiacciò dei tasti. -Si fece la barba con un rasoio ad aspirazione. Un intrico di capillari spezzati gli +— Lo passerò ai militari — disse Romanenko sorridendo. — Potranno vederla sulla consolle di tracciamento, nella sala dei cannoni. — La stazione del raggio di particelle era chiamata da sempre sala dei cannoni. I soldati che la sorvegliavano erano particolarmente affamati di roba del genere. Korolev ne fece una seconda copia per Valentina. -formava una macchia sulla guancia sinistra e sulla tempia un altro ricordino +— È roba sporca? — Aveva un'aria allarmata e incuriosita. — Possiamo tornare ancora, colonnello? Giovedì alle 24? Korolev le sorrise. Lei lavorava in una fabbrica prima che venisse scelta per andare nello spazio. La sua bellezza la rendeva utile come strumento di propaganda, un simbolo del proletariato. Provò compassione per lei, in quel momento, con il cognac che gli scorreva nelle vene, e trovò impossibile negarle un po' di felicità. — Un incontro di mezzanotte nel museo, Valentina? Molto romantico! Lei gli baciò una guancia, oscillando in caduta libera. — Grazie, mio colonnello! -della decompressione che l'aveva ridotto a uno storpio. +— Siete un principe, colonnello — disse Romanenko, dando una pacca sulle spalle scheletriche di Korolev il più dolcemente possibile. Dopo innumerevoli ore di palestra, le braccia del ragazzo erano muscolose come quelle di un fabbro. -Quando uscì dalla toilette scoprì che gli adulteri avevano finito. Romanenko si +Korolev osservò gli adulteri raggiungere cautamente la sfera centrale di aggancio, il punto di unione delle tre vecchie Salyut e di due corridoi. -stava sistemando i vestiti; la moglie dell'ufficiale politico, Valentina, aveva +Romanenko prese il corridoio “nord”, verso la sala dei cannoni; Valentina andò nella direzione opposta, verso la successiva sfera di giunzione e la Salyut dove dormiva suo marito. C'erano cinque sfere di aggancio a Cosmograd, ciascuna con tre Salyut. Alle due estremità del complesso c'erano le installazioni militari e le rampe di lancio dei satelliti. Scricchiolante, ronzante, sbuffante, la stazione sembrava una metropolitana, e aveva l'umido fetore metallico di una vecchia nave da carico. Korolev bevve un altro sorso. Adesso la bottiglia era mezzo vuota. La nascose in uno dei pezzi del museo, un'Hasselblad della NASA recuperata sul luogo dell'atterraggio dell'Apollo. Non aveva più bevuto alcool dall'ultima licenza, prima dell'esplosione. Si sentiva fluttuare su una piacevole e dolorosa corrente di nostalgia. Tornando alla consolle, trovò la sezione di memoria dove aveva segretamente cancellato i discorsi di Alexei Kossigin sostituendoli con la sua collezione personale di “samisdata”: pop music digitalizzata, i preferiti degli anni ‘80. Gruppi inglesi registrati dalla radio della Germania Federale, heavy metal del Patto di Varsavia, dischi americani trovati al mercato nero. Infilandosi le cuffie, richiamò il reggae della Brygada Crysis, di Czestochowa. Dopo tutti quegli anni non sentiva più veramente la musica, ma le immagini gli si assiepavano nella mente con un'intensità dolorosa. Negli anni ‘80 era stato un capellone figlio dell'élite sovietica; la posizione del padre lo poneva al di fuori della portata della polizia moscovita. Ricordava il feedback degli altoparlanti nell'oscurità calda dei club nelle cantine, la folla come una scacchiera scura di bluejeans e capelli ossigenati. Aveva fumato Marlboro corrette con hashish afghano in polvere. Ricordava la bocca della figlia di un diplomatico americano sul sedile posteriore della Lincoln nera del padre. Nomi e volti gli riempivano la mente, nella nebbia calda del cognac. Nina, la ragazza della Germania Est che gli aveva mostrato la sua traduzione mimeografata di un giornaletto dissidente polacco. . Fino a quella sera in cui non si era fatta vedere al bar. Voci di parassitismo, di attività antisovietica, degli orrori chimici che l'attendevano alla “psikuska”. . -strappato le maniche dalla tuta marrone; aveva le braccia bianche coperte da un +Korolev cominciò a tremare. Si asciugò la faccia e scoprì che era coperta di sudore. Si tolse la cuffia. -velo di sudore. I capelli biondo cenere le ondeggiavano nella corrente del +Erano passati 50 anni, e tuttavia si trovava d'improvviso in preda a un profondo terrore. Non riusciva a ricordare di avere mai avuto tanta paura, neppure al momento della decompressione che gli aveva rovinato le anche. -ventilatore. Gli occhi erano di un puro azzurro fiordaliso, un po' troppo +Tremava violentemente. Le luci. Le luci nella Salyut erano troppo intense, ma non voleva avvicinarsi agli interruttori. Un'operazione semplice, che eseguiva ogni giorno, eppure. . Gli interruttori e i loro cavi erano in qualche maniera minacciosi. Li fissò confuso. Il modellino a molla del modulo Lunokhod, con le sue ruote in Velcro che aderivano alla parete ricurva, sembrava accucciato come un animale senziente, in attesa. Gli occhi dei pionieri dello spazio sovietici, nei ritratti ufficiali, lo fissavano con disprezzo. -ravvicinati, e avevano un'espressione per metà di scusa, per metà cospiratoria. +Il cognac. Tutti quegli anni in caduta libera gli avevano scombussolato il metabolismo. Non era più quello di una volta. Ma sarebbe rimasto calmo, cercando di superare quel momento. Se avesse vomitato, tutti si sarebbero messi a ridere. -— Guardate cosa vi abbiamo portato, colonnello. . Gli porse una bottiglietta di +Qualcuno bussò all'ingresso del museo, e Nikita l'Idraulico, l'uomo tuttofare di Cosmograd, attraversò il portello aperto con un perfetto tuffo al rallentatore. Il giovane ingegnere civile sembrava arrabbiato. Korolev si sentì intimidito. — Ti sei alzato presto, Idraulico — disse, cercando ansiosamente un'apparenza di normalità. -cognac. +— Una falla in Delta Tre. — Aggrottò la fronte. — Sapete il giapponese? — L'idraulico tirò fuori una cassetta da una delle innumerevoli tasche del camice macchiato, e l'agitò davanti alla faccia di Korolev. Indossava Levi's accuratamente lavati e un paio di scarpe Adidas malconce. — L'abbiamo registrato questa notte. Korolev si ritrasse come se la cassetta fosse un'arma. — No, niente giapponese. — La mitezza della sua voce lo sorprese. — Solo inglese e polacco. — Si sentì arrossire. L'Idraulico era suo amico, lo conosceva e si fidava di lui, ma. . -Esterrefatto, Korolev sbatté le palpebre osservando la sigla dell'Air France +— State bene, colonnello? — L'Idraulico caricò il nastro e richiamò un programma lessicale con dita esperte e callose. — Sembra che abbiate ingoiato un rospo. Volevo farvi sentire questo. Korolev osservò a disagio mentre sullo schermo appariva una pubblicità di guanti da baseball. I sottotitoli in cirillico del lessico scorrevano sullo schermo mentre la voce giapponese blaterava senza soste. -incisa sul tappo di plastica. +— Adesso arriva il notiziario — disse l'Idraulico, morsicandosi una pellicina delle dita. -— È arrivata con l'ultima Soyuz. In un cetriolo, ha detto mio marito. +Korolev socchiuse ansiosamente gli occhi mentre la traduzione scorreva davanti alla faccia dell'annunciatore giapponese. «La delegazione americana ai negoziati per il disarmo afferma. . preparativi al cosmodromo di Baikonur.. -— Ridacchiò. — Me l'ha regalata. +dimostrano che i russi sono finalmente pronti. . a smantellare la loro città comica armata. .» -— Abbiamo deciso che toccava a voi, Colonnello — disse Romanenko con un +— Vuol dire cosmica — mormorò l'Idraulico. — Un errore del vocabolario. -largo sorriso. — Dopotutto, noi possiamo andare in licenza da un momento +«Costruita alla fine del secolo scorso come testa di ponte per lo spazio. . -all'altro — Korolev ignorò l'occhiata imbarazzata alle sue gambe rinsecchite e ai - -piedi pallidi, penzolanti. Aprì il tappo, e l'aroma del liquore gli fece affluire il - -sangue alle guance. Sollevò adagio la bottiglia e ne succhiò un poco. Il cognac - -bruciava come acido. — Cristo — ansimò — sono anni che non ne bevo. Mi - -sbronzerò! — Rise, e le lacrime gli annebbiarono la vista. - -— Mio padre dice che bevevate come un eroe ai vecchi tempi, colonnello. - -— Sì — disse Korolev, e bevve un altro sorso. — È vero — Sentì il cognac - -dentro di sé come fuoco liquido. Non gli piaceva Romanenko. Non gli era mai - -piaciuto neppure il padre del ragazzo: un uomo di partito, bonaccione, che si era - -sistemato da tempo: teneva conferenze, aveva una dacia sul Mar Nero, liquori - -americani, abiti francesi, scarpe italiane. . Il ragazzo assomigliava al padre, gli - -stessi occhi grigio chiaro, del tutto liberi da dubbi. - -L'alcool gli aveva inondato il sangue. — Siete troppo generosi — disse. Con un - -colpo leggero di gambe arrivò alla sua consolle. — In cambio vi darò - -“samisdata”, trasmissioni americane via cavo appena intercettate. Roba forte! - -Sprecata per un vecchio come me. — Infilò una cassetta vuota e schiacciò dei - -tasti. - -— Lo passerò ai militari — disse Romanenko sorridendo. — Potranno vederla - -sulla consolle di tracciamento, nella sala dei cannoni. — La stazione del raggio di - -particelle era chiamata da sempre sala dei cannoni. I soldati che la sorvegliavano - -erano particolarmente affamati di roba del genere. Korolev ne fece una seconda - -copia per Valentina. - -— È roba sporca? — Aveva un'aria allarmata e incuriosita. — Possiamo - -tornare ancora, colonnello? Giovedì alle 24? Korolev le sorrise. Lei lavorava in - -una fabbrica prima che venisse scelta per andare nello spazio. La sua bellezza la - -rendeva utile come strumento di propaganda, un simbolo del proletariato. Provò - -compassione per lei, in quel momento, con il cognac che gli scorreva nelle vene, - -e trovò impossibile negarle un po' di felicità. — Un incontro di mezzanotte nel - -museo, Valentina? Molto romantico! Lei gli baciò una guancia, oscillando in - -caduta libera. — Grazie, mio colonnello! - -— Siete un principe, colonnello — disse Romanenko, dando una pacca sulle - -spalle scheletriche di Korolev il più dolcemente possibile. Dopo innumerevoli - -ore di palestra, le braccia del ragazzo erano muscolose come quelle di un fabbro. - -Korolev osservò gli adulteri raggiungere cautamente la sfera centrale di - -aggancio, il punto di unione delle tre vecchie Salyut e di due corridoi. - -Romanenko prese il corridoio “nord”, verso la sala dei cannoni; Valentina andò - -nella direzione opposta, verso la successiva sfera di giunzione e la Salyut dove - -dormiva suo marito. C'erano cinque sfere di aggancio a Cosmograd, ciascuna con - -tre Salyut. Alle due estremità del complesso c'erano le installazioni militari e le - -rampe di lancio dei satelliti. Scricchiolante, ronzante, sbuffante, la stazione - -sembrava una metropolitana, e aveva l'umido fetore metallico di una vecchia - -nave da carico. Korolev bevve un altro sorso. Adesso la bottiglia era mezzo - -vuota. La nascose in uno dei pezzi del museo, un'Hasselblad della NASA - -recuperata sul luogo dell'atterraggio dell'Apollo. Non aveva più bevuto alcool - -dall'ultima licenza, prima dell'esplosione. Si sentiva fluttuare su una piacevole e - -dolorosa corrente di nostalgia. Tornando alla consolle, trovò la sezione di - -memoria dove aveva segretamente cancellato i discorsi di Alexei Kossigin - -sostituendoli con la sua collezione personale di “samisdata”: pop music - -digitalizzata, i preferiti degli anni ‘80. Gruppi inglesi registrati dalla radio della - -Germania Federale, heavy metal del Patto di Varsavia, dischi americani trovati al - -mercato nero. Infilandosi le cuffie, richiamò il reggae della Brygada Crysis, di - -Czestochowa. Dopo tutti quegli anni non sentiva più veramente la musica, ma le - -immagini gli si assiepavano nella mente con un'intensità dolorosa. Negli anni ‘80 - -era stato un capellone figlio dell'élite sovietica; la posizione del padre lo poneva - -al di fuori della portata della polizia moscovita. Ricordava il feedback degli - -altoparlanti nell'oscurità calda dei club nelle cantine, la folla come una - -scacchiera scura di bluejeans e capelli ossigenati. Aveva fumato Marlboro - -corrette con hashish afghano in polvere. Ricordava la bocca della figlia di un - -diplomatico americano sul sedile posteriore della Lincoln nera del padre. Nomi e - -volti gli riempivano la mente, nella nebbia calda del cognac. Nina, la ragazza - -della Germania Est che gli aveva mostrato la sua traduzione mimeografata di un - -giornaletto dissidente polacco. . Fino a quella sera in cui non si era fatta vedere - -al bar. Voci di parassitismo, di attività antisovietica, degli orrori chimici che - -l'attendevano alla “psikuska”. . - -Korolev cominciò a tremare. Si asciugò la faccia e scoprì che era coperta di - -sudore. Si tolse la cuffia. - -Erano passati 50 anni, e tuttavia si trovava d'improvviso in preda a un - -profondo terrore. Non riusciva a ricordare di avere mai avuto tanta paura, - -neppure al momento della decompressione che gli aveva rovinato le anche. - -Tremava violentemente. Le luci. Le luci nella Salyut erano troppo intense, ma - -non voleva avvicinarsi agli interruttori. Un'operazione semplice, che eseguiva - -ogni giorno, eppure. . Gli interruttori e i loro cavi erano in qualche maniera - -minacciosi. Li fissò confuso. Il modellino a molla del modulo Lunokhod, con le - -sue ruote in Velcro che aderivano alla parete ricurva, sembrava accucciato come - -un animale senziente, in attesa. Gli occhi dei pionieri dello spazio sovietici, nei - -ritratti ufficiali, lo fissavano con disprezzo. - -Il cognac. Tutti quegli anni in caduta libera gli avevano scombussolato il - -metabolismo. Non era più quello di una volta. Ma sarebbe rimasto calmo, - -cercando di superare quel momento. Se avesse vomitato, tutti si sarebbero messi - -a ridere. - -Qualcuno bussò all'ingresso del museo, e Nikita l'Idraulico, l'uomo tuttofare di - -Cosmograd, attraversò il portello aperto con un perfetto tuffo al rallentatore. Il - -giovane ingegnere civile sembrava arrabbiato. Korolev si sentì intimidito. — Ti - -sei alzato presto, Idraulico — disse, cercando ansiosamente un'apparenza di - -normalità. - -— Una falla in Delta Tre. — Aggrottò la fronte. — Sapete il giapponese? — - -L'idraulico tirò fuori una cassetta da una delle innumerevoli tasche del camice - -macchiato, e l'agitò davanti alla faccia di Korolev. Indossava Levi's - -accuratamente lavati e un paio di scarpe Adidas malconce. — L'abbiamo - -registrato questa notte. Korolev si ritrasse come se la cassetta fosse un'arma. — - -No, niente giapponese. — La mitezza della sua voce lo sorprese. — Solo inglese e - -polacco. — Si sentì arrossire. L'Idraulico era suo amico, lo conosceva e si fidava - -di lui, ma. . - -— State bene, colonnello? — L'Idraulico caricò il nastro e richiamò un - -programma lessicale con dita esperte e callose. — Sembra che abbiate ingoiato - -un rospo. Volevo farvi sentire questo. Korolev osservò a disagio mentre sullo - -schermo appariva una pubblicità di guanti da baseball. I sottotitoli in cirillico del - -lessico scorrevano sullo schermo mentre la voce giapponese blaterava senza - -soste. - -— Adesso arriva il notiziario — disse l'Idraulico, morsicandosi una pellicina - -delle dita. - -Korolev socchiuse ansiosamente gli occhi mentre la traduzione scorreva - -davanti alla faccia dell'annunciatore giapponese. «La delegazione americana ai - -negoziati per il disarmo afferma. . preparativi al cosmodromo di Baikonur.. - -dimostrano che i russi sono finalmente pronti. . a smantellare la loro città comica - -armata. .» - -— Vuol dire cosmica — mormorò l'Idraulico. — Un errore del vocabolario. - -«Costruita alla fine del secolo scorso come testa di ponte per lo spazio. . - -l'ambizioso progetto si è arenato a causa del fallimento delle miniere lunari. . le - -costose stazioni sono superate dalle nostre fabbriche orbitali automatiche. . +l'ambizioso progetto si è arenato a causa del fallimento delle miniere lunari. . le costose stazioni sono superate dalle nostre fabbriche orbitali automatiche. . semiconduttori cristallini e medicine pure. .» -— Quei bastardi — sbuffò l'Idraulico. — È quel maledetto Yefremov del K.G.B., - -ve lo dico io. Ci ha messo lo zampino lui! - -«L'enorme deficit spaziale sovietico. . il malcontento popolare per le spese - -spaziali. . le recenti decisioni del Politburo e della segreteria del comitato - -centrale. .» - -— Ci vogliono chiudere! — La faccia dell'Idraulico era contorta per la rabbia. - -Korolev si allontanò dallo schermo, tremando incontrollabilmente. Delle - -lacrime gli si staccarono dalle ciglia, gocce galleggianti. — Vattene! Non posso - -farci nulla! - -— Che vi succede, colonnello? — L'Idraulico lo afferrò per le spalle. - -— Guardatemi in faccia! Qualcuno vi ha drogato di Paura! - -— Vattene — lo pregò il colonnello. - -— Quel bastardo! Cosa vi ha dato? Delle pillole? Un'iniezione? - -Korolev ebbe un brivido. — Ho bevuto. . - -— Vi ha dato la Paura! A un vecchio malato! Gli spacco la faccia! — L'Idraulico - -tirò su le ginocchia, eseguì una capriola all'indietro, si diede una spinta contro - -una maniglia del soffitto e si catapultò fuori dalla cabina. - -— Aspetta! Idraulico! — Ma l'Idraulico era scivolato nella sfera di aggancio - -come uno scoiattolo, scomparendo nel corridoio, e Korolev sentì che non poteva - -sopportare di essere solo. In lontananza sentiva echi metallici di grida distorte, - -irate. - -Tremando, chiuse gli occhi e aspettò che qualcuno venisse ad aiutarlo. - -Aveva chiesto all'ufficiale psichiatrico Bychkov di aiutarlo a vestirsi con la sua - -vecchia uniforme, quella con la Stella dell'Ordine di Tsiolkovskij ricamata sul - -petto. Gli stivali neri in nylon imbottito, con le suole in velcro, non gli andavano - -più bene ai piedi sformati, perciò rimase a piedi nudi. - -L'iniezione di Bychkov l'aveva sistemato nel giro di un'ora lasciandolo a metà - -depresso e infuriato. Adesso attendeva nel museo che Yefremov rispondesse alla - -sua convocazione. Chiamavano la sua casa il Museo del Trionfo Sovietico nello - -Spazio, e mentre la rabbia si calmava lasciando posto ad un'antica depressione, - -si sentì come se fosse anche lui uno dei pezzi esposti. Guardò cupamente i ritratti - -incorniciati in oro dei grandi visionari dello spazio, le facce di Tsiolkovskij, di - -Rynin, di Tupolev. Sotto questi, in cornici leggermente più piccole, c'erano i - -ritratti di Verne, di Goddard, di O ‘Neill. - -Nei momenti di estrema depressione gli era sembrato qualche volta di poter - -avvertire una comune estraneità nei loro occhi, specialmente in quelli degli - -americani. Era semplicemente follia, come talvolta pensava nei suoi momenti più - -cinici? O riusciva a distinguere davvero la sottile manifestazione di qualche forza - -bizzarra e incontrollata? Forse, come talvolta sospettava l'evoluzione umana in - -atto? Una volta, e una sola, Korolev aveva visto quell'espressione nei suoi occhi. - -il giorno in cui aveva posato il piede sul suolo del Bacino di Coprates. La luce - -marziana, balenando dentro il visore del suo casco, gli aveva mostrato il riflesso - -di due occhi fermi e alieni, privi di paura eppure come posseduti. . E si rese conto - -che la scossa quieta e segreta che ne aveva avuto aveva rappresentato il - -momento più memorabile, più trascendente, della sua vita. Sopra i ritratti, - -oleoso e inerte, c'era un dipinto che rappresentava l'atterraggio, in colori che gli - -ricordavano tanto un “borscht”, il paesaggio marziano ridotto al kitsch - -idealizzato del realismo socialista sovietico. L'artista aveva posto le figure in tuta - -spaziale accanto al modulo di atterraggio, con tutta la sincera volgarità dello stile - -ufficiale. - -Si sentiva sporco. Attese l'arrivo di Yefremov, l'uomo del K.G.B., l'ufficiale - -politico di Cosmograd. - -Quando Yefremov entrò finalmente nella Salyut, Korolev notò il labbro - -spaccato e i lividi sulla gola. L'uomo indossava una tuta Kansai di seta - -giapponese e scarpe da ginnastica italiane. — Tossicchiò cortesemente. — Buon - -giorno, compagno colonnello. Korolev lo fissò. Lasciò proseguire il silenzio. — - -Yefremov — disse pesantemente. — Non sono soddisfatto di voi. Yefremov - -arrossì, ma non distolse lo sguardo. - -— Parliamoci francamente, colonnello, da russo a russo. Non era destinata a - -voi, naturalmente. - -— La Paura, Yefremov? - -— Il beta-carbolino, sì. Se non vi foste immischiato nelle loro azioni antisociali, - -se non aveste accettato la loro offerta, non sarebbe successo. - -— Dunque io sarei un ruffiano, Yefremov? Un ruffiano e un ubriacone? E voi - -siete un cornuto, un contrabbandiere e un informatore. Vi dico questo da russo a - -russo. - -La faccia dell'uomo divenne una maschera di tranquilla onestà. - -— Ma ditemi, Yefremov, quali sono i vostri scopi qui? Cosa avete fatto da - -quando siete arrivato a Cosmograd? Sappiamo che il complesso verrà - -smantellato. Cosa attende il personale civile quando tornerà a Baikonur? - -Processi per corruzione? - -— Sicuramente degli interrogatori. In alcuni casi forse il ricovero in ospedale. - -Vorreste per caso suggerire, colonnello Korolev, che l'Unione Sovietica è - -responsabile dei fallimenti di Cosmograd? - -Korolev rimase in silenzio. - -— Cosmograd è stata un sogno, colonnello. Un sogno fallito. Come la conquista - -dello spazio. Non serve a niente stare qui. Abbiamo un mondo intero da - -rimettere in ordine. Mosca è la più grande potenza della storia. Non dobbiamo - -perdere di vista la prospettiva globale. - -— Credete di poterci mettere da parte così facilmente? Siamo un'élite, un'élite - -tecnica altamente specializzata. - -— Una minoranza, colonnello, una piccolissima minoranza. Quale contributo - -date, a parte ricevere la velenosa spazzatura americana? L'equipaggio di questa - -stazione doveva essere costituito da lavoratori, non da trafficanti da mercato - -nero di jazz e pornografia. — La faccia di Yefremov era calma. — L'equipaggio - -tornerà a Baikonur. Le armi possono essere guidate da terra. Voi naturalmente - -resterete, e ci saranno cosmonauti ospiti: africani, sudamericani. Lo spazio - -conserva ancora un certo prestigio per questi popoli. - -Korolev strinse i denti. — Che ne avete fatto di quel ragazzo? - -— Il vostro Idraulico? — L'ufficiale politico si accigliò. — Ha assalito un - -funzionario del Comitato per la Sicurezza dello Stato. Rimarrà sotto sorveglianza - -fino a quando non potrà essere trasferito a Baikonur. - -Korolev cercò di fare una risata spiacevole. — Provateci. Voi avrete troppi - -guai per fare accuse. Parlerò personalmente con il maresciallo Gubarev. Può - -darsi che il mio grado sia solo onorario, Yefremov, ma ho ancora una certa - -influenza. - -L'uomo del K.G.B. alzò le spalle. — Gli addetti ai cannoni hanno ricevuto - -ordine da Baikonur di tenere sotto chiave il modulo di comunicazione. Le loro - -carriere dipendono da questo. - -— Legge marziale, dunque? - -— Qui non siamo a Kabul, colonnello. Viviamo in tempi difficili. Voi qui avete - -un'autorità morale. Dovreste dare il buon esempio. - -— Vedremo — disse Korolev. - -Cosmograd uscì dall'ombra terrestre nella viva luce solare. Le pareti della - -Salyut di Korolev scricchiolarono come una cassa di bottiglie di vetro. Gli oblò - -delle Salyut, pensò Korolev passandosi un dito sulle vene spezzate della tempia, - -erano sempre i primi a partire. Il giovane Grishkin parve avere lo stesso - -pensiero. Prese un tubo di pasta sigillante da una tasca della tuta e cominciò a - -ispezionare la guarnizione attorno all'oblò. Era l'assistente dell'Idraulico e il suo - -amico più intimo. - -— Adesso dobbiamo votare — disse Korolev stancamente. Undici dei - -ventiquattro membri civili dell'equipaggio di Cosmograd avevano accettato di - -partecipare alla riunione, dodici contando anche lui. Ne rimanevano tredici che - -non erano disposti a correre il rischio di un coinvolgimento, oppure ostili all'idea - -di uno sciopero. Yefremov e i sei addetti ai cannoni portavano il totale dei - -contrari a venti. — Abbiamo discusso le nostre richieste. Tutti quelli in favore - -della lista così com'è alzino la mano. — Lui alzò la mano sana. Altri tre fecero - -altrettanto. Grishkin, occupato attorno all'oblò, alzò un piede. - -Korolev sospirò. — Siamo già abbastanza in pochi. Sarebbe meglio - -raggiungere l'unanimità. Sentiamo le vostre obiezioni. - -— Il termine “custodia militare” — disse un tecnico biologo di nome Korovkin - -— potrebbe suggerire che i militari, e non il criminale Yefremov, sono - -responsabili della situazione. — L'uomo sembrava molto a disagio. — Noi siamo - -d'accordo per il resto, ma non firmeremo. Siamo membri del Partito. — Parve - -sul punto di aggiungere qualcosa, ma rimase in silenzio. — Mia madre — disse a - -bassa voce sua moglie — era ebrea. - -Korolev annuì, ma non disse nulla. - -— Tutta questa faccenda è una pazzia criminale — disse Glushko, il botanico. - -Né lui né la moglie avevano votato. — Pazzia. Cosmograd è finita, lo sappiamo - -tutti, e prima torneremo a casa, meglio sarà. Cosa è mai stato questo posto, se - -non una prigione? — Il suo metabolismo non si era adattato alla caduta libera; in - -assenza di gravità il sangue tendeva a congestionargli la faccia, facendolo - -assomigliare a una delle sue zucche da esperimenti. - -— Tu sei un botanico, Vasili — disse rigidamente la moglie — ma io sono - -pilota di Salyut. La tua carriera non è in pericolo. - -— Non intendo dare il mio appoggio a quest'assurdità! — Glushko diede un - -calcio violento alla paratia e schizzò fuori dalla cabina. La moglie lo seguì, - -lamentandosi con quel mormorio stridente che i membri della stazione avevano - -imparato ad usare per le loro discussioni private. - -— Cinque sono disposti a firmare — disse Korolev — su un totale di - -ventiquattro membri civili. - -— Sei — disse Tatjana, l'altro pilota della Soyuz, i capelli neri tirati all'indietro - -e tenuti fermi da una striscia intrecciata di nylon verde. — Lasciate perdere - -l'Idraulico. - -— I palloni solari! — gridò Grishkin, indicando verso la Terra. — Guardate! - -Cosmograd stava sorvolando la costa della California: litorali nitidi, campi - -verdissimi, città enormi in decadenza i cui nomi possedevano ancora una strana - -magia. Molto al di sopra di una coltre di stratocumuli fluttuavano sei palloni - -solari, sfere geodesiche riflettenti ancorate a cavi dell'energia elettrica; erano il - -sostituto economico di un grandioso piano americano per costruire satelliti ad - -energia solare. Korolev immaginò che quegli oggetti dovessero funzionare bene, - -perché nel corso degli ultimi dieci anni li aveva visti moltiplicarsi. - -— E dicono che c'è della gente che vive lì dentro? — Stoiko, l'addetto ai - -sistemi, aveva raggiunto Grishkin davanti all'oblò. Korolev ricordava il pullulare - -patetico di bizzarri progetti energetici americani in seguito al Trattato di Vienna. - -Con l'Unione Sovietica che controllava stabilmente le riserve mondiali di - -greggio, gli americani le avevano provate tutte. Poi la fusione di un reattore nel - -Kansas li aveva fatti abbandonare definitivamente il nucleare. Da più di - -trent'anni stavano scivolando inesorabilmente verso l'isolazionismo e il declino - -industriale. “Lo spazio” pensò con rimpianto “avrebbero dovuto andare nello - -spazio.” Non era mai riuscito a capire quella strana paralisi della volontà che - -aveva annullato i loro brillanti sforzi iniziali. O forse era semplicemente un - -fallimento dell'immaginazione, della speranza. “Vedete, americani” disse - -silenziosamente “avreste dovuto cercare di unirvi a noi, in questo nostro - -glorioso futuro, a Cosmograd.” - -— Ma chi potrebbe vivere in cose del genere? — chiese Stoiko dando un - -pugno sulla spalla di Grishkin, e ridendo con la quieta energia della disperazione. - -— State scherzando — disse Yefremov. — Siamo già abbastanza nei guai. - -— Non stiamo scherzando, commissario politico Yefremov. — I cinque - -dissidenti erano assiepati nella Salyut che l'uomo divideva con Valentina, - -costringendolo a indietreggiare fino alla paratia di poppa. Alla paratia era - -appesa una fotografia aerografata del premier che salutava con la mano dal - -sedile di un trattore. Valentina, Korolev lo sapeva, doveva essere nel museo - -insieme a Romanenko a far cigolare il letto. Il colonnello si chiese come facesse - -Romanenko ad evitare così spesso i turni alla sala dei cannoni. - -Yefremov alzò le spalle. Guardò la lista delle richieste. — L'Idraulico deve - -rimanere sotto custodia. Ordini superiori. Quanto al resto del documento. . - -— Siete colpevole di uso non autorizzato di droghe psichiatriche! — gridò - -Grishkin. - -— Quella era una faccenda privata — disse calmo Yefremov. - -— Un atto criminale — disse Tatjana. - -— Pilota Tatjana, sappiamo entrambi che il nostro Grishkin è il più attivo - -pirata di “samisdata” della stazione! Siamo tutti criminali, non capite? Questo è il - -bello del nostro sistema, no? — L'improvviso sorriso di sbieco parve - -sorprendentemente cinico. — Cosmograd non è la “Potemkin”, e voi non siete - -rivoluzionari. E voi “esigete” di comunicare con il maresciallo Gubarev? È sotto - -custodia a Baikonur. “Esigete” di comunicare con il ministro della tecnologia? Il - -ministro sta dirigendo la purga. — Con un gesto deciso strappò il foglio, e i pezzi - -di carta gialla sottile si dispersero nell'aria come farfalle languide. - -Il nono giorno di sciopero, Korolev si incontrò con Grishkin e Stoiko nella - -Salyut che normalmente Grishkin divideva con l'Idraulico. Da quarant'anni gli - -abitanti di Cosmograd combattevano una guerra asettica contro la muffa. La - -polvere, i grassi e i vapori non si posano in assenza di gravità, e le spore si - -annidavano dappertutto: nelle imbottiture, nei vestiti, nei condotti di - -ventilazione. Nell'atmosfera calda e umida, da coltura batterica, si - -moltiplicavano a macchia d'olio. Si sentiva un odore di putrefazione secca, - -sovrapposto a zaffate minacciose di circuiti bruciati. Il sonno di Korolev era stato - -interrotto dal tonfo sordo di un modulo di atterraggio Soyuz che partiva. - -Glushko e la moglie, probabilmente. Durante le ultime quarantotto ore Yefremov - -si era occupato dell'evacuazione dei membri dell'equipaggio che non si erano - -uniti allo sciopero. I militari non uscivano dalla sala dei cannoni e dal loro - -cerchio di dormitori, dove tenevano ancora prigioniero Nikita l'Idraulico. - -La Salyut di Grishkin era diventata il quartier generale dello sciopero. - -Nessuno degli scioperanti maschi si era più rasato e Stoiko aveva contratto - -un'infezione da stafilococchi che gli copriva l'avambraccio di macchie rosso - -intenso. Circondati da appariscenti pin-up della televisione americana, - -sembravano un trio di pornografi degenerati. Le luci erano basse; Cosmograd - -funzionava a metà energia. - -— Senza gli altri — disse Stoiko — la nostra posizione si rafforza. - -Grishkin grugnì. Del cotone idrofilo gli usciva dalle narici. Era convinto che - -Yefremov avrebbe cercato di spezzare lo sciopero con gas di beta-carbolino. I - -tappi di cotone erano solo un sintomo del livello generale di tensione e di - -paranoia. Prima che l'ordine di evacuazione arrivasse da Baikonur, uno dei - -tecnici aveva cominciato a suonare l'”Overture 1812” di Ciaikovski a volume - -altissimo, per ore e ore di seguito. E Glushko aveva inseguito la moglie, nuda, - -pesta e urlante, per tutta Cosmograd. Stoiko aveva messo le mani sull'archivio di - -Yefremov e su quello psichiatrico di Bychkov, metri di moduli stampati gialli che - -si dipanavano per i corridoi ondeggiando nella corrente prodotta dai ventilatori. - -— Pensa agli effetti che avrà la loro testimonianza a terra — brontolò - -Grishkin. — Non ci sarà neppure un processo. Finiremo dritti nella “psikuska”. - -— Il sinistro soprannome degli ospedali politici sembrava galvanizzare di paura - -il ragazzo. Korolev mangiucchiava apatico un budino viscoso di clorella. - -Stoiko afferrò un pezzo vagante di modulo e lesse ad alta voce. — Paranoia - -con tendenza a sopravvalutare le proprie idee! Fantasie revisioniste ostili al - -sistema sociale! — Appallottolò il foglio. — Se potessimo impadronirci del - -modulo di comunicazioni, potremmo collegarci con un satellite americano e - -raccontare tutto. Forse questo gli darebbe un po' da pensare, a Mosca! - -Korolev tolse una mosca della frutta dal suo budino di alghe. Le due paia di ali - -e il torace biforcuto erano testimonianza dell'alto livello di radiazioni di - -Cosmograd. Gli insetti erano sfuggiti a qualche esperimento dimenticato, e - -infestavano la stazione da generazioni. — Agli americani non importa niente di - -noi — disse Korolev. — Mosca non può più essere imbarazzata da simili - -rivelazioni. - -— Tranne quando sono in arrivo le spedizioni di grano — disse Grishkin. - -— L'America ha bisogno di venderlo quanto noi di comprarlo. — Korolev si - -infilò cupamente in bocca un'altra cucchiaiata di clorella, masticò - -meccanicamente e inghiottì. — Gli americani non potrebbero raggiungerci anche - -se lo volessero. Cape Canaveral è in rovina. - -— Ci resta poco combustibile — disse Stoiko. - -— Possiamo prenderlo dai moduli — disse Korolev. - -— E poi come diavolo faremo a tornare? — I pugni di Grishkin tremavano. — - -Anche in Siberia ci sono alberi, alberi; il cielo! Che vada al diavolo! Che vada pure - -a pezzi! Che cada e bruci! Il budino di Korolev si spiaccicò contro la paratia. - -— Oh, Cristo — disse Grishkin. — Mi dispiace, colonnello. Lo so che voi non - -potete tornare. - -Quando tornò nel museo trovò il pilota Tatjana sospesa davanti a - -quell'orribile dipinto dell'atterraggio su Marte, le guance umide di lacrime. - -— Lo sapete, colonnello, che c'è un vostro busto a Baikonur, in bronzo? Ci - -passavo sempre davanti quando andavo a lezione. — Aveva gli occhi cerchiati di - -rosso per la mancanza di sonno. - -— Ci sono sempre busti. Le accademie ne hanno bisogno. — Sorrise e le prese - -la mano. - -— Com'è stato, quel giorno? — Stava ancora fissando il dipinto. - -— Lo ricordo appena. Ho visto tante volte i nastri che mi sono rimasti in - -mente solo quelli. I miei ricordi di Marte sono come quelli di uno scolaro. — Le - -sorrise ancora. — Ma non è stato come in quel brutto quadro. Malgrado tutto, - -sono ancora certo di questo. - -— Perché è andata così, colonnello? Perché è finita? Quando ero piccola lo - -vedevo alla televisione. Il nostro futuro nello spazio doveva essere eterno. . - -— Forse gli americani hanno avuto ragione. I giapponesi invece mandano - -delle macchine, robot per costruire le loro fabbriche orbitali. Le miniere lunari - -sono state un fallimento, ma pensavamo che sarebbe almeno rimasta una base di - -ricerca. Tutta questione di costi, immagino. Uomini seduti alle scrivanie a - -prendere decisioni. - -— Questa è la loro decisione finale per Cosmograd. — Gli passò un foglietto - -piegato. — L'ho trovato nello stampato degli ordini di Yefremov da Mosca. - -Lasceranno decadere l'orbita della stazione entro i prossimi tre mesi. - -Korolev si accorse che anche lui adesso stava fissando il dipinto che odiava. — - -Ormai non ha più importanza — si sentì dire. Poi lei cominciò a piangere, la - -faccia premuta contro la spalla storpia di Korolev. - -— Ma ho un piano, Tatjana — disse, accarezzandole i capelli. — Ascolta. - -Guardò il suo vecchio Rolex. Erano al di sopra della Siberia orientale. - -Ricordava quando l'ambasciatore svizzero glielo aveva regalato, in una enorme - -sala a volta del Cremlino. Era ora di cominciare. - -Scivolò fuori dalla Salyut fino alla sfera di aggancio, agitando una mano per - -liberarsi da un rotolo di modulo continuo che gli si stava attorcigliando attorno - -alla testa. - -Riusciva ancora a lavorare rapidamente con la mano buona. Sorrideva mentre - -liberava una grossa bombola di ossigeno dalle cinghie che la trattenevano. - -Tenendosi a una maniglia, scagliò la bombola attraverso la sfera con tutta la sua - -forza. Rimbalzò senza far danni, ma fragorosamente. Andò a prenderla e la - -scagliò di nuovo. Poi schiacciò l'allarme di decompressione. - -Dagli altoparlanti si sollevò della polvere, mentre la sirena cominciava ad - -ululare. Azionati dall'allarme i portelli della sfera si chiusero con un sibilo di - -pompe idrauliche. Korolev si sentì schioccare gli orecchi. Starnutì, poi andò a - -riprendere la bombola. Le luci lampeggiarono al massimo dell'intensità, poi si - -spensero. Korolev sorrise nel buio, cercando la bombola di acciaio. Stoiko aveva - -provocato un collasso generale dei sistemi. Non era stato difficile, con le - -memorie sovraccariche di trasmissioni televisive clandestine. — Quando ci - -vuole ci vuole — mormorò, scagliando la bombola contro una parete. Le luci si - -accesero debolmente mentre entravano in azione le celle di emergenza. - -La spalla cominciava a fargli male. Continuò stoicamente a scagliare la - -bombola, ricordando che il fracasso provocava una vera decompressione. - -Doveva essere convincente. Doveva ingannare Yefremov e i militari. - -Con uno scricchiolio la ruota manuale di uno dei portelli cominciò a girare. - -Finalmente si aprì con un tonfo sordo, e Tatjana infilò dentro la testa, sorridendo - -timidamente. - -— È libero l'Idraulico? — chiese scagliando la bombola. - -— Stoiko e Umanskij stanno discutendo con la guardia. — Si colpì con un - -pugno il palmo aperto. — Grishkin sta preparando i moduli di atterraggio. - -Korolev la seguì nella successiva sfera di aggancio. Stoiko stava aiutando - -l'Idraulico a passare attraverso il portello che conduceva all'anello dei dormitori - -militari. L'Idraulico era a piedi nudi, la faccia di un colorito verdastro, la barba - -incolta. Il meteorologo Umanskij li seguì trascinando il corpo flaccido di un - -soldato. - -— Come stai, Idraulico? — chiese Korolev. - -— Un po' scosso. Mi davano la Paura. Piccole dosi, ma. . E credevo che fosse - -una vera falla! - -— Grishkin emerse dal modulo di atterraggio più vicino a Korolev, - -trascinandosi dietro un fagotto di attrezzi e metri di corda in nylon. - -— Sono tutte a posto. L'allarme le ha lasciate con i loro sistemi automatici. Ho - -usato un cacciavite con i sistemi a distanza; adesso non sono più controllabili da - -terra. Come va, mio Nikita? — chiese all'Idraulico. — La tua destinazione è la - -Cina centrale. L'Idraulico fece una smorfia, si scosse ed ebbe un brivido. — Non +— Quei bastardi — sbuffò l'Idraulico. — È quel maledetto Yefremov del K.G.B., ve lo dico io. Ci ha messo lo zampino lui! -parlo cinese. +«L'enorme deficit spaziale sovietico. . il malcontento popolare per le spese spaziali. . le recenti decisioni del Politburo e della segreteria del comitato centrale. .» -Stoiko gli porse un foglio di stampante. — Questo è in mandarino fonetico. +— Ci vogliono chiudere! — La faccia dell'Idraulico era contorta per la rabbia. -“Voglio disertare. Portatemi all'ambasciata giapponese più vicina”. +Korolev si allontanò dallo schermo, tremando incontrollabilmente. Delle lacrime gli si staccarono dalle ciglia, gocce galleggianti. — Vattene! Non posso farci nulla! -L'Idraulico sorrise e si passò le dita fra i capelli sudati. — E voi? — chiese. +— Che vi succede, colonnello? — L'Idraulico lo afferrò per le spalle. -— Pensi che stiamo facendo tutto questo solo a tuo beneficio? — Tatjana gli +— Guardatemi in faccia! Qualcuno vi ha drogato di Paura! -fece le boccacce. — Fai in modo che i servizi di informazione cinesi abbiano il +— Vattene — lo pregò il colonnello. -resto dello stampato, Idraulico. Ognuno di noi ne ha una copia. Tutto il mondo +— Quel bastardo! Cosa vi ha dato? Delle pillole? Un'iniezione? -saprà cosa intende fare l'Unione Sovietica al colonnello Yuri Vasil'evitch Korolev, +Korolev ebbe un brivido. — Ho bevuto. . -il primo uomo su Marte! — soffiò un bacio all'Idraulico. +— Vi ha dato la Paura! A un vecchio malato! Gli spacco la faccia! — L'Idraulico tirò su le ginocchia, eseguì una capriola all'indietro, si diede una spinta contro una maniglia del soffitto e si catapultò fuori dalla cabina. -— Che ne facciamo di Filipcenko? — chiese Umanskij. Gocce nere di sangue +— Aspetta! Idraulico! — Ma l'Idraulico era scivolato nella sfera di aggancio come uno scoiattolo, scomparendo nel corridoio, e Korolev sentì che non poteva sopportare di essere solo. In lontananza sentiva echi metallici di grida distorte, irate. -coagulato galleggiavano accanto alla guancia del soldato privo di sensi. +Tremando, chiuse gli occhi e aspettò che qualcuno venisse ad aiutarlo. -— Perché non te lo porti dietro? — disse Korolev. +Aveva chiesto all'ufficiale psichiatrico Bychkov di aiutarlo a vestirsi con la sua vecchia uniforme, quella con la Stella dell'Ordine di Tsiolkovskij ricamata sul petto. Gli stivali neri in nylon imbottito, con le suole in velcro, non gli andavano più bene ai piedi sformati, perciò rimase a piedi nudi. -— Vieni, allora, faccia di merda — disse l'Idraulico afferrando la cintura di +L'iniezione di Bychkov l'aveva sistemato nel giro di un'ora lasciandolo a metà depresso e infuriato. Adesso attendeva nel museo che Yefremov rispondesse alla sua convocazione. Chiamavano la sua casa il Museo del Trionfo Sovietico nello Spazio, e mentre la rabbia si calmava lasciando posto ad un'antica depressione, si sentì come se fosse anche lui uno dei pezzi esposti. Guardò cupamente i ritratti incorniciati in oro dei grandi visionari dello spazio, le facce di Tsiolkovskij, di Rynin, di Tupolev. Sotto questi, in cornici leggermente più piccole, c'erano i ritratti di Verne, di Goddard, di O ‘Neill. -Filipcenko, e trascinandolo verso il portello della Soyuz. +Nei momenti di estrema depressione gli era sembrato qualche volta di poter avvertire una comune estraneità nei loro occhi, specialmente in quelli degli americani. Era semplicemente follia, come talvolta pensava nei suoi momenti più cinici? O riusciva a distinguere davvero la sottile manifestazione di qualche forza bizzarra e incontrollata? Forse, come talvolta sospettava l'evoluzione umana in atto? Una volta, e una sola, Korolev aveva visto quell'espressione nei suoi occhi. -— Io, Nikita l'Idraulico, ti faccio dono della tua miserabile vita. +il giorno in cui aveva posato il piede sul suolo del Bacino di Coprates. La luce marziana, balenando dentro il visore del suo casco, gli aveva mostrato il riflesso di due occhi fermi e alieni, privi di paura eppure come posseduti. . E si rese conto che la scossa quieta e segreta che ne aveva avuto aveva rappresentato il momento più memorabile, più trascendente, della sua vita. Sopra i ritratti, oleoso e inerte, c'era un dipinto che rappresentava l'atterraggio, in colori che gli ricordavano tanto un “borscht”, il paesaggio marziano ridotto al kitsch idealizzato del realismo socialista sovietico. L'artista aveva posto le figure in tuta spaziale accanto al modulo di atterraggio, con tutta la sincera volgarità dello stile ufficiale. -Korolev guardò Stoiko e Grishkin che si sigillavano alle spalle il portello. +Si sentiva sporco. Attese l'arrivo di Yefremov, l'uomo del K.G.B., l'ufficiale politico di Cosmograd. -— Dove sono Romanenko e Valentina? — chiese Korolev, controllando +Quando Yefremov entrò finalmente nella Salyut, Korolev notò il labbro spaccato e i lividi sulla gola. L'uomo indossava una tuta Kansai di seta giapponese e scarpe da ginnastica italiane. — Tossicchiò cortesemente. — Buon giorno, compagno colonnello. Korolev lo fissò. Lasciò proseguire il silenzio. — Yefremov — disse pesantemente. — Non sono soddisfatto di voi. Yefremov arrossì, ma non distolse lo sguardo. -nuovamente l'orologio. +— Parliamoci francamente, colonnello, da russo a russo. Non era destinata a voi, naturalmente. -— Qui, mio colonnello — disse Valentina, i capelli biondi che le galleggiavano +— La Paura, Yefremov? -attorno alla faccia nel portello di un'altra Soyuz. — La stavamo controllando. — +— Il beta-carbolino, sì. Se non vi foste immischiato nelle loro azioni antisociali, se non aveste accettato la loro offerta, non sarebbe successo. -Ridacchiò. +— Dunque io sarei un ruffiano, Yefremov? Un ruffiano e un ubriacone? E voi siete un cornuto, un contrabbandiere e un informatore. Vi dico questo da russo a russo. -— Ci sarà tutto il tempo a Tokyo — disse seccamente Korolev. — Fra pochi +La faccia dell'uomo divenne una maschera di tranquilla onestà. -minuti i jet cominceranno a decollare da Vladivostok e da Hanoi. Il braccio nudo +— Ma ditemi, Yefremov, quali sono i vostri scopi qui? Cosa avete fatto da quando siete arrivato a Cosmograd? Sappiamo che il complesso verrà smantellato. Cosa attende il personale civile quando tornerà a Baikonur? -e muscoloso di Romanenko emerse dalla Soyuz e la tirò dentro. Stoiko e Grishkin +Processi per corruzione? -sigillarono il portello. +— Sicuramente degli interrogatori. In alcuni casi forse il ricovero in ospedale. -— Contadini nello spazio. — Tatjana fece un rumore come se avesse sputato. +Vorreste per caso suggerire, colonnello Korolev, che l'Unione Sovietica è responsabile dei fallimenti di Cosmograd? -Cosmograd echeggiò cupamente, mentre il modulo con l'Idraulico e Filipcenko +Korolev rimase in silenzio. -svenuto si staccava. Un altro tonfo, e partirono anche i due amanti. +— Cosmograd è stata un sogno, colonnello. Un sogno fallito. Come la conquista dello spazio. Non serve a niente stare qui. Abbiamo un mondo intero da rimettere in ordine. Mosca è la più grande potenza della storia. Non dobbiamo perdere di vista la prospettiva globale. -— Vieni, amico Umanskij — disse Stoiko. — E addio, colonnello! — I due +— Credete di poterci mettere da parte così facilmente? Siamo un'élite, un'élite tecnica altamente specializzata. -uomini si infilarono nel corridoio. +— Una minoranza, colonnello, una piccolissima minoranza. Quale contributo date, a parte ricevere la velenosa spazzatura americana? L'equipaggio di questa stazione doveva essere costituito da lavoratori, non da trafficanti da mercato nero di jazz e pornografia. — La faccia di Yefremov era calma. — L'equipaggio tornerà a Baikonur. Le armi possono essere guidate da terra. Voi naturalmente resterete, e ci saranno cosmonauti ospiti: africani, sudamericani. Lo spazio conserva ancora un certo prestigio per questi popoli. -— Verrò con te — disse Grishkin a Tatjana. — Sorrise. — Dopo tutto, sei tu il +Korolev strinse i denti. — Che ne avete fatto di quel ragazzo? -pilota. +— Il vostro Idraulico? — L'ufficiale politico si accigliò. — Ha assalito un funzionario del Comitato per la Sicurezza dello Stato. Rimarrà sotto sorveglianza fino a quando non potrà essere trasferito a Baikonur. -— No — disse lei. — Sola. Aumenteremo le probabilità di farcela. Ci penserà il +Korolev cercò di fare una risata spiacevole. — Provateci. Voi avrete troppi guai per fare accuse. Parlerò personalmente con il maresciallo Gubarev. Può darsi che il mio grado sia solo onorario, Yefremov, ma ho ancora una certa influenza. -pilota automatico, a te. Basta che non tocchi niente a bordo. +L'uomo del K.G.B. alzò le spalle. — Gli addetti ai cannoni hanno ricevuto ordine da Baikonur di tenere sotto chiave il modulo di comunicazione. Le loro carriere dipendono da questo. -Korolev la guardò aiutarlo ad entrare nell'ultima Soyuz della sfera. +— Legge marziale, dunque? -— Ti porterò a ballare, Tatjana — disse Grishkin. — A Tokyo. — Lei sigillò il +— Qui non siamo a Kabul, colonnello. Viviamo in tempi difficili. Voi qui avete un'autorità morale. Dovreste dare il buon esempio. -portello. Un altro tonfo. Stoiko e Umanskij erano partiti dalla sfera di aggancio +— Vedremo — disse Korolev. -successiva. +Cosmograd uscì dall'ombra terrestre nella viva luce solare. Le pareti della Salyut di Korolev scricchiolarono come una cassa di bottiglie di vetro. Gli oblò delle Salyut, pensò Korolev passandosi un dito sulle vene spezzate della tempia, erano sempre i primi a partire. Il giovane Grishkin parve avere lo stesso pensiero. Prese un tubo di pasta sigillante da una tasca della tuta e cominciò a ispezionare la guarnizione attorno all'oblò. Era l'assistente dell'Idraulico e il suo amico più intimo. -— Vai adesso, Tatjana — disse Korolev. — Presto. Non voglio che ti abbattano +— Adesso dobbiamo votare — disse Korolev stancamente. Undici dei ventiquattro membri civili dell'equipaggio di Cosmograd avevano accettato di partecipare alla riunione, dodici contando anche lui. Ne rimanevano tredici che non erano disposti a correre il rischio di un coinvolgimento, oppure ostili all'idea di uno sciopero. Yefremov e i sei addetti ai cannoni portavano il totale dei contrari a venti. — Abbiamo discusso le nostre richieste. Tutti quelli in favore della lista così com'è alzino la mano. — Lui alzò la mano sana. Altri tre fecero altrettanto. Grishkin, occupato attorno all'oblò, alzò un piede. -su acque internazionali. +Korolev sospirò. — Siamo già abbastanza in pochi. Sarebbe meglio raggiungere l'unanimità. Sentiamo le vostre obiezioni. -— Resterete solo, colonnello. Solo con i nostri nemici. +— Il termine “custodia militare” — disse un tecnico biologo di nome Korovkin — potrebbe suggerire che i militari, e non il criminale Yefremov, sono responsabili della situazione. — L'uomo sembrava molto a disagio. — Noi siamo d'accordo per il resto, ma non firmeremo. Siamo membri del Partito. — Parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma rimase in silenzio. — Mia madre — disse a bassa voce sua moglie — era ebrea. -— Quando te ne sarai andata se ne andranno anche loro — disse lui. — E io ho +Korolev annuì, ma non disse nulla. -bisogno della vostra pubblicità per imbarazzare il Cremlino e indurli a tenermi +— Tutta questa faccenda è una pazzia criminale — disse Glushko, il botanico. -vivo qui. +Né lui né la moglie avevano votato. — Pazzia. Cosmograd è finita, lo sappiamo tutti, e prima torneremo a casa, meglio sarà. Cosa è mai stato questo posto, se non una prigione? — Il suo metabolismo non si era adattato alla caduta libera; in assenza di gravità il sangue tendeva a congestionargli la faccia, facendolo assomigliare a una delle sue zucche da esperimenti. -— Cosa dirò a Tokyo, colonnello? Avete un messaggio per il mondo. +— Tu sei un botanico, Vasili — disse rigidamente la moglie — ma io sono pilota di Salyut. La tua carriera non è in pericolo. -— Di' loro. . — E gli vennero alle mente tutte le frasi celebri, tutte +— Non intendo dare il mio appoggio a quest'assurdità! — Glushko diede un calcio violento alla paratia e schizzò fuori dalla cabina. La moglie lo seguì, lamentandosi con quel mormorio stridente che i membri della stazione avevano imparato ad usare per le loro discussioni private. -assolutamente giuste, e gli venne voglia di ridere istericamente: “Un piccolo +— Cinque sono disposti a firmare — disse Korolev — su un totale di ventiquattro membri civili. -passo. . Siamo venuti in pace. . Lavoratori di tutto il mondo. .” — Devi dire loro +— Sei — disse Tatjana, l'altro pilota della Soyuz, i capelli neri tirati all'indietro e tenuti fermi da una striscia intrecciata di nylon verde. — Lasciate perdere l'Idraulico. -che ne ho bisogno. — Si pizzicò la pelle del polso raggrinzito. — Tanto. +— I palloni solari! — gridò Grishkin, indicando verso la Terra. — Guardate! -Lei lo abbracciò e scivolò via. +Cosmograd stava sorvolando la costa della California: litorali nitidi, campi verdissimi, città enormi in decadenza i cui nomi possedevano ancora una strana magia. Molto al di sopra di una coltre di stratocumuli fluttuavano sei palloni solari, sfere geodesiche riflettenti ancorate a cavi dell'energia elettrica; erano il sostituto economico di un grandioso piano americano per costruire satelliti ad energia solare. Korolev immaginò che quegli oggetti dovessero funzionare bene, perché nel corso degli ultimi dieci anni li aveva visti moltiplicarsi. -Korolev attese da solo, nella sfera di aggancio. Il silenzio gli dava ai nervi; il +— E dicono che c'è della gente che vive lì dentro? — Stoiko, l'addetto ai sistemi, aveva raggiunto Grishkin davanti all'oblò. Korolev ricordava il pullulare patetico di bizzarri progetti energetici americani in seguito al Trattato di Vienna. -collasso dei sistemi aveva disattivato i ventilatori, con il cui ronzio aveva vissuto +Con l'Unione Sovietica che controllava stabilmente le riserve mondiali di greggio, gli americani le avevano provate tutte. Poi la fusione di un reattore nel Kansas li aveva fatti abbandonare definitivamente il nucleare. Da più di trent'anni stavano scivolando inesorabilmente verso l'isolazionismo e il declino industriale. “Lo spazio” pensò con rimpianto “avrebbero dovuto andare nello spazio.” Non era mai riuscito a capire quella strana paralisi della volontà che aveva annullato i loro brillanti sforzi iniziali. O forse era semplicemente un fallimento dell'immaginazione, della speranza. “Vedete, americani” disse silenziosamente “avreste dovuto cercare di unirvi a noi, in questo nostro glorioso futuro, a Cosmograd.” — Ma chi potrebbe vivere in cose del genere? — chiese Stoiko dando un pugno sulla spalla di Grishkin, e ridendo con la quieta energia della disperazione. -per vent'anni. Alla fine sentì la Soyuz di Tatjana staccarsi. Qualcuno stava +— State scherzando — disse Yefremov. — Siamo già abbastanza nei guai. -arrivando lungo il corridoio. Era Yefremov, che si muoveva goffamente nella tuta +— Non stiamo scherzando, commissario politico Yefremov. — I cinque dissidenti erano assiepati nella Salyut che l'uomo divideva con Valentina, costringendolo a indietreggiare fino alla paratia di poppa. Alla paratia era appesa una fotografia aerografata del premier che salutava con la mano dal sedile di un trattore. Valentina, Korolev lo sapeva, doveva essere nel museo insieme a Romanenko a far cigolare il letto. Il colonnello si chiese come facesse Romanenko ad evitare così spesso i turni alla sala dei cannoni. -spaziale. Korolev sorrise. +Yefremov alzò le spalle. Guardò la lista delle richieste. — L'Idraulico deve rimanere sotto custodia. Ordini superiori. Quanto al resto del documento. . -Yefremov aveva la solita espressione calma e ufficiale, dietro il visore in +— Siete colpevole di uso non autorizzato di droghe psichiatriche! — gridò Grishkin. -Lexan, ma evitò di incontrare gli occhi di Korolev mentre passava. Era diretto +— Quella era una faccenda privata — disse calmo Yefremov. -alla sala dei cannoni. +— Un atto criminale — disse Tatjana. -— No! — gridò Korolev. +— Pilota Tatjana, sappiamo entrambi che il nostro Grishkin è il più attivo pirata di “samisdata” della stazione! Siamo tutti criminali, non capite? Questo è il bello del nostro sistema, no? — L'improvviso sorriso di sbieco parve sorprendentemente cinico. — Cosmograd non è la “Potemkin”, e voi non siete rivoluzionari. E voi “esigete” di comunicare con il maresciallo Gubarev? È sotto custodia a Baikonur. “Esigete” di comunicare con il ministro della tecnologia? Il ministro sta dirigendo la purga. — Con un gesto deciso strappò il foglio, e i pezzi di carta gialla sottile si dispersero nell'aria come farfalle languide. -Dagli altoparlanti provenne il segnale di massima allerta. +Il nono giorno di sciopero, Korolev si incontrò con Grishkin e Stoiko nella Salyut che normalmente Grishkin divideva con l'Idraulico. Da quarant'anni gli abitanti di Cosmograd combattevano una guerra asettica contro la muffa. La polvere, i grassi e i vapori non si posano in assenza di gravità, e le spore si annidavano dappertutto: nelle imbottiture, nei vestiti, nei condotti di ventilazione. Nell'atmosfera calda e umida, da coltura batterica, si moltiplicavano a macchia d'olio. Si sentiva un odore di putrefazione secca, sovrapposto a zaffate minacciose di circuiti bruciati. Il sonno di Korolev era stato interrotto dal tonfo sordo di un modulo di atterraggio Soyuz che partiva. -Il portello della sala dei cannoni era aperto quando lo raggiunse. All'interno i +Glushko e la moglie, probabilmente. Durante le ultime quarantotto ore Yefremov si era occupato dell'evacuazione dei membri dell'equipaggio che non si erano uniti allo sciopero. I militari non uscivano dalla sala dei cannoni e dal loro cerchio di dormitori, dove tenevano ancora prigioniero Nikita l'Idraulico. -soldati si muovevano a scatti, con i riflessi meccanici dati dalle continue +La Salyut di Grishkin era diventata il quartier generale dello sciopero. -esercitazioni, tirandosi le larghe cinghie dei seggiolini sui petti delle tute. +Nessuno degli scioperanti maschi si era più rasato e Stoiko aveva contratto un'infezione da stafilococchi che gli copriva l'avambraccio di macchie rosso intenso. Circondati da appariscenti pin-up della televisione americana, sembravano un trio di pornografi degenerati. Le luci erano basse; Cosmograd funzionava a metà energia. -— Non fatelo! — Afferrò il rigido tessuto a fisarmonica della tuta di Yefremov. +— Senza gli altri — disse Stoiko — la nostra posizione si rafforza. -Uno degli acceleratori entrò in funzione con un gemito intermittente. Su uno +Grishkin grugnì. Del cotone idrofilo gli usciva dalle narici. Era convinto che Yefremov avrebbe cercato di spezzare lo sciopero con gas di beta-carbolino. I tappi di cotone erano solo un sintomo del livello generale di tensione e di paranoia. Prima che l'ordine di evacuazione arrivasse da Baikonur, uno dei tecnici aveva cominciato a suonare l'”Overture 1812” di Ciaikovski a volume altissimo, per ore e ore di seguito. E Glushko aveva inseguito la moglie, nuda, pesta e urlante, per tutta Cosmograd. Stoiko aveva messo le mani sull'archivio di Yefremov e su quello psichiatrico di Bychkov, metri di moduli stampati gialli che si dipanavano per i corridoi ondeggiando nella corrente prodotta dai ventilatori. -schermo di puntamento un reticolo verde stava centrando un punto rosso. +— Pensa agli effetti che avrà la loro testimonianza a terra — brontolò Grishkin. — Non ci sarà neppure un processo. Finiremo dritti nella “psikuska”. -Yefremov si tolse il casco. Con calma, senza cambiare espressione, colpì +— Il sinistro soprannome degli ospedali politici sembrava galvanizzare di paura il ragazzo. Korolev mangiucchiava apatico un budino viscoso di clorella. -Korolev con il casco. +Stoiko afferrò un pezzo vagante di modulo e lesse ad alta voce. — Paranoia con tendenza a sopravvalutare le proprie idee! Fantasie revisioniste ostili al sistema sociale! — Appallottolò il foglio. — Se potessimo impadronirci del modulo di comunicazioni, potremmo collegarci con un satellite americano e raccontare tutto. Forse questo gli darebbe un po' da pensare, a Mosca! -— Ditegli di fermarsi! — singhiozzò Korolev. Le paratie tremarono, quando un +Korolev tolse una mosca della frutta dal suo budino di alghe. Le due paia di ali e il torace biforcuto erano testimonianza dell'alto livello di radiazioni di Cosmograd. Gli insetti erano sfuggiti a qualche esperimento dimenticato, e infestavano la stazione da generazioni. — Agli americani non importa niente di noi — disse Korolev. — Mosca non può più essere imbarazzata da simili rivelazioni. -raggio venne sparato con il rumore di una frustata. — Vostra moglie, Yefremov! +— Tranne quando sono in arrivo le spedizioni di grano — disse Grishkin. -C'è anche lei! +— L'America ha bisogno di venderlo quanto noi di comprarlo. — Korolev si infilò cupamente in bocca un'altra cucchiaiata di clorella, masticò meccanicamente e inghiottì. — Gli americani non potrebbero raggiungerci anche se lo volessero. Cape Canaveral è in rovina. -— Fuori, colonnello. — Yefremov afferrò la mano artritica del colonnello e +— Ci resta poco combustibile — disse Stoiko. -strinse. Korolev urlò. — Fuori. — Un pugno guantato lo colpì al petto. +— Possiamo prenderlo dai moduli — disse Korolev. -Korolev prese inutilmente a pugni la tuta spaziale, mentre veniva spinto nel +— E poi come diavolo faremo a tornare? — I pugni di Grishkin tremavano. — Anche in Siberia ci sono alberi, alberi; il cielo! Che vada al diavolo! Che vada pure a pezzi! Che cada e bruci! Il budino di Korolev si spiaccicò contro la paratia. -corridoio. — Neppure io, colonnello, oso mettermi fra l'Armata Rossa e i suoi +— Oh, Cristo — disse Grishkin. — Mi dispiace, colonnello. Lo so che voi non potete tornare. -ordini. — Yefremov aveva un'espressione angosciata. La sua maschera si era +Quando tornò nel museo trovò il pilota Tatjana sospesa davanti a quell'orribile dipinto dell'atterraggio su Marte, le guance umide di lacrime. -infranta. — Un tiro al piccione — disse. — Aspettate qui fino a quando non sarà +— Lo sapete, colonnello, che c'è un vostro busto a Baikonur, in bronzo? Ci passavo sempre davanti quando andavo a lezione. — Aveva gli occhi cerchiati di rosso per la mancanza di sonno. -finita. Poi la Soyuz di Tatjana colpì l'installazione dei raggi e l'anello dei +— Ci sono sempre busti. Le accademie ne hanno bisogno. — Sorrise e le prese la mano. -dormitori. In una frazione di secondo, come in un dagherrotipo di luce solare, +— Com'è stato, quel giorno? — Stava ancora fissando il dipinto. -Korolev vide la sala dei cannoni accartocciarsi e collassare come un barattolo di +— Lo ricordo appena. Ho visto tante volte i nastri che mi sono rimasti in mente solo quelli. I miei ricordi di Marte sono come quelli di uno scolaro. — Le sorrise ancora. — Ma non è stato come in quel brutto quadro. Malgrado tutto, sono ancora certo di questo. -birra schiacciato sotto un piede, vide il torso decapitato di un soldato roteare +— Perché è andata così, colonnello? Perché è finita? Quando ero piccola lo vedevo alla televisione. Il nostro futuro nello spazio doveva essere eterno. . -staccandosi da una consolle, vide Yefremov che cercava di parlare, con i capelli +— Forse gli americani hanno avuto ragione. I giapponesi invece mandano delle macchine, robot per costruire le loro fabbriche orbitali. Le miniere lunari sono state un fallimento, ma pensavamo che sarebbe almeno rimasta una base di ricerca. Tutta questione di costi, immagino. Uomini seduti alle scrivanie a prendere decisioni. -che gli si rizzavano in testa, mentre l'aria gli veniva risucchiata via dall'interno +— Questa è la loro decisione finale per Cosmograd. — Gli passò un foglietto piegato. — L'ho trovato nello stampato degli ordini di Yefremov da Mosca. -della tuta attraverso l'anello aperto del casco. Due sottili rivoletti di sangue +Lasceranno decadere l'orbita della stazione entro i prossimi tre mesi. -salirono dalle narici di Korolev e il ruggito dell'aria che fuggiva nello spazio +Korolev si accorse che anche lui adesso stava fissando il dipinto che odiava. — Ormai non ha più importanza — si sentì dire. Poi lei cominciò a piangere, la faccia premuta contro la spalla storpia di Korolev. -venne sostituito da un rombo più profondo, dentro la sua testa. +— Ma ho un piano, Tatjana — disse, accarezzandole i capelli. — Ascolta. -L'ultima cosa che sentì fu il portello che si chiudeva. Quando si svegliò era +Guardò il suo vecchio Rolex. Erano al di sopra della Siberia orientale. -buio e un dolore intenso gli pulsava dietro gli occhi. Ricordò le vecchie lezioni. +Ricordava quando l'ambasciatore svizzero glielo aveva regalato, in una enorme sala a volta del Cremlino. Era ora di cominciare. -Quello era un pericolo altrettanto grande quanto una fuga di aria: l'azoto che +Scivolò fuori dalla Salyut fino alla sfera di aggancio, agitando una mano per liberarsi da un rotolo di modulo continuo che gli si stava attorcigliando attorno alla testa. -ribolliva nel sangue, un dolore lancinante, paralizzante. . +Riusciva ancora a lavorare rapidamente con la mano buona. Sorrideva mentre liberava una grossa bombola di ossigeno dalle cinghie che la trattenevano. -Ma in realtà era tutto così remoto, così accademico. Girò le manopole dei +Tenendosi a una maniglia, scagliò la bombola attraverso la sfera con tutta la sua forza. Rimbalzò senza far danni, ma fragorosamente. Andò a prenderla e la scagliò di nuovo. Poi schiacciò l'allarme di decompressione. -portelli per un vago senso di “noblesse oblige”, niente più. Fu un lavoro molto +Dagli altoparlanti si sollevò della polvere, mentre la sirena cominciava ad ululare. Azionati dall'allarme i portelli della sfera si chiusero con un sibilo di pompe idrauliche. Korolev si sentì schioccare gli orecchi. Starnutì, poi andò a riprendere la bombola. Le luci lampeggiarono al massimo dell'intensità, poi si spensero. Korolev sorrise nel buio, cercando la bombola di acciaio. Stoiko aveva provocato un collasso generale dei sistemi. Non era stato difficile, con le memorie sovraccariche di trasmissioni televisive clandestine. — Quando ci vuole ci vuole — mormorò, scagliando la bombola contro una parete. Le luci si accesero debolmente mentre entravano in azione le celle di emergenza. -faticoso e aveva una gran voglia di tornare nel suo museo a dormire. +La spalla cominciava a fargli male. Continuò stoicamente a scagliare la bombola, ricordando che il fracasso provocava una vera decompressione. -Poteva riparare le falle con l'isolante, ma il collasso dei sistemi andava oltre le +Doveva essere convincente. Doveva ingannare Yefremov e i militari. -sue capacità. Aveva il giardino di Glushko. Con le verdure e le alghe non sarebbe +Con uno scricchiolio la ruota manuale di uno dei portelli cominciò a girare. -morto di fame né asfissiato. Il modulo di comunicazione era andato con la sala +Finalmente si aprì con un tonfo sordo, e Tatjana infilò dentro la testa, sorridendo timidamente. -dei cannoni e l'anello dei dormitori, troncato dalla stazione dall'impatto suicida +— È libero l'Idraulico? — chiese scagliando la bombola. -della Soyuz di Tatjana. La collisione doveva aver modificato l'orbita di +— Stoiko e Umanskij stanno discutendo con la guardia. — Si colpì con un pugno il palmo aperto. — Grishkin sta preparando i moduli di atterraggio. -Cosmograd, ma non aveva modo di prevedere l'ora dell'incontro bruciante della +Korolev la seguì nella successiva sfera di aggancio. Stoiko stava aiutando l'Idraulico a passare attraverso il portello che conduceva all'anello dei dormitori militari. L'Idraulico era a piedi nudi, la faccia di un colorito verdastro, la barba incolta. Il meteorologo Umanskij li seguì trascinando il corpo flaccido di un soldato. -stazione con gli strati superiori dell'atmosfera. Gli capitava spesso di sentirsi +— Come stai, Idraulico? — chiese Korolev. -male, adesso, e il pensiero di poter morire prima dell'incendio finale lo turbava. +— Un po' scosso. Mi davano la Paura. Piccole dosi, ma. . E credevo che fosse una vera falla! -Passò innumerevoli ore a guardare i nastri della libreria. Un'occupazione +— Grishkin emerse dal modulo di atterraggio più vicino a Korolev, trascinandosi dietro un fagotto di attrezzi e metri di corda in nylon. -adatta per l'Ultimo Uomo nello Spazio, già Primo Uomo su Marte. +— Sono tutte a posto. L'allarme le ha lasciate con i loro sistemi automatici. Ho usato un cacciavite con i sistemi a distanza; adesso non sono più controllabili da terra. Come va, mio Nikita? — chiese all'Idraulico. — La tua destinazione è la Cina centrale. L'Idraulico fece una smorfia, si scosse ed ebbe un brivido. — Non parlo cinese. -Era ossessionato dall'icona di Gagarin e rivedeva in continuazione le +Stoiko gli porse un foglio di stampante. — Questo è in mandarino fonetico. -granulose immagini televisive degli anni ‘60, i notiziari che ritornavano sempre +“Voglio disertare. Portatemi all'ambasciata giapponese più vicina”. -invariabilmente alla morte del cosmonauta. L'aria viziata di Cosmograd era +L'Idraulico sorrise e si passò le dita fra i capelli sudati. — E voi? — chiese. -piena degli spiriti dei martiri. Gagarin, il primo equipaggio della Salyut, gli +— Pensi che stiamo facendo tutto questo solo a tuo beneficio? — Tatjana gli fece le boccacce. — Fai in modo che i servizi di informazione cinesi abbiano il resto dello stampato, Idraulico. Ognuno di noi ne ha una copia. Tutto il mondo saprà cosa intende fare l'Unione Sovietica al colonnello Yuri Vasil'evitch Korolev, il primo uomo su Marte! — soffiò un bacio all'Idraulico. -americani bruciati vivi nel loro Apollo. . +— Che ne facciamo di Filipcenko? — chiese Umanskij. Gocce nere di sangue coagulato galleggiavano accanto alla guancia del soldato privo di sensi. -Spesso sognava Tatjana, il suo sguardo simile a quello che aveva immaginato +— Perché non te lo porti dietro? — disse Korolev. -negli occhi dei ritratti del museo. E una volta si svegliò, +— Vieni, allora, faccia di merda — disse l'Idraulico afferrando la cintura di Filipcenko, e trascinandolo verso il portello della Soyuz. -Sognò di svegliarsi, nella Salyut dove lei aveva dormito, ritrovandosi nella sua +— Io, Nikita l'Idraulico, ti faccio dono della tua miserabile vita. -vecchia uniforme, con la lampada da lavoro a batteria legata sulla fronte. Da una +Korolev guardò Stoiko e Grishkin che si sigillavano alle spalle il portello. -grande distanza, come se guardasse un vecchio notiziario sul monitor del museo, +— Dove sono Romanenko e Valentina? — chiese Korolev, controllando nuovamente l'orologio. -si vide strappare la Stella dell'Ordine di Tsiolkovskij dal petto e attaccarla al +— Qui, mio colonnello — disse Valentina, i capelli biondi che le galleggiavano attorno alla faccia nel portello di un'altra Soyuz. — La stavamo controllando. — Ridacchiò. -certificato di pilota di Tatjana. +— Ci sarà tutto il tempo a Tokyo — disse seccamente Korolev. — Fra pochi minuti i jet cominceranno a decollare da Vladivostok e da Hanoi. Il braccio nudo e muscoloso di Romanenko emerse dalla Soyuz e la tirò dentro. Stoiko e Grishkin sigillarono il portello. -Quando sentì bussare capì che doveva essere anche quello un sogno. +— Contadini nello spazio. — Tatjana fece un rumore come se avesse sputato. -Il portello si aprì. +Cosmograd echeggiò cupamente, mentre il modulo con l'Idraulico e Filipcenko svenuto si staccava. Un altro tonfo, e partirono anche i due amanti. -Nella luce azzurra e lampeggiante del vecchio film, vide che la donna era +— Vieni, amico Umanskij — disse Stoiko. — E addio, colonnello! — I due uomini si infilarono nel corridoio. -negra. Lunghe trecce di capelli a spirale le salivano come serpenti attorno alla +— Verrò con te — disse Grishkin a Tatjana. — Sorrise. — Dopo tutto, sei tu il pilota. -testa. Indossava occhiali e una sciarpa da aviatore in seta galleggiava dietro di +— No — disse lei. — Sola. Aumenteremo le probabilità di farcela. Ci penserà il pilota automatico, a te. Basta che non tocchi niente a bordo. -lei. — Andy — disse in inglese — vieni a vedere qui! +Korolev la guardò aiutarlo ad entrare nell'ultima Soyuz della sfera. -Un uomo piccolo, muscoloso, quasi calvo, che indossava solo un sospensorio e +— Ti porterò a ballare, Tatjana — disse Grishkin. — A Tokyo. — Lei sigillò il portello. Un altro tonfo. Stoiko e Umanskij erano partiti dalla sfera di aggancio successiva. -una cintura piena di attrezzi, la raggiunse galleggiando e guardò dentro. +— Vai adesso, Tatjana — disse Korolev. — Presto. Non voglio che ti abbattano su acque internazionali. -— È vivo? +— Resterete solo, colonnello. Solo con i nostri nemici. -— Certo che sono vivo — disse Korolev in un inglese con un leggero accento. +— Quando te ne sarai andata se ne andranno anche loro — disse lui. — E io ho bisogno della vostra pubblicità per imbarazzare il Cremlino e indurli a tenermi vivo qui. -L'uomo chiamato Andy passò sopra la testa della donna. — Stai bene, amico? +— Cosa dirò a Tokyo, colonnello? Avete un messaggio per il mondo. -— Aveva un pallone geodesico sormontato da due lampi incrociati tatuato sul +— Di' loro. . — E gli vennero alle mente tutte le frasi celebri, tutte assolutamente giuste, e gli venne voglia di ridere istericamente: “Un piccolo passo. . Siamo venuti in pace. . Lavoratori di tutto il mondo. .” — Devi dire loro che ne ho bisogno. — Si pizzicò la pelle del polso raggrinzito. — Tanto. -bicipite destro, e la scritta SUNSPARK 15, UTAH. — Non pensavamo di vedere +Lei lo abbracciò e scivolò via. -nessuno. +Korolev attese da solo, nella sfera di aggancio. Il silenzio gli dava ai nervi; il collasso dei sistemi aveva disattivato i ventilatori, con il cui ronzio aveva vissuto per vent'anni. Alla fine sentì la Soyuz di Tatjana staccarsi. Qualcuno stava arrivando lungo il corridoio. Era Yefremov, che si muoveva goffamente nella tuta spaziale. Korolev sorrise. -— Neanche io — disse Korolev, sbattendo le palpebre. +Yefremov aveva la solita espressione calma e ufficiale, dietro il visore in Lexan, ma evitò di incontrare gli occhi di Korolev mentre passava. Era diretto alla sala dei cannoni. -— Siamo venuti a vivere qui — disse la donna, scivolando più vicino. +— No! — gridò Korolev. -— Veniamo dai palloni. Tipo inquilini abusivi. Abbiamo sentito che non c'era +Dagli altoparlanti provenne il segnale di massima allerta. -più nessuno. Lo sapete che l'orbita di questo affare sta decadendo? — L'uomo +Il portello della sala dei cannoni era aperto quando lo raggiunse. All'interno i soldati si muovevano a scatti, con i riflessi meccanici dati dalle continue esercitazioni, tirandosi le larghe cinghie dei seggiolini sui petti delle tute. -eseguì una goffa capriola a mezz'aria, con gli attrezzi della cintura che +— Non fatelo! — Afferrò il rigido tessuto a fisarmonica della tuta di Yefremov. -sferragliavano. — Questa caduta libera è fantastica. +Uno degli acceleratori entrò in funzione con un gemito intermittente. Su uno schermo di puntamento un reticolo verde stava centrando un punto rosso. -— Dio — disse la donna. — Non riesco ad abituarmici! È stupendo. Come +Yefremov si tolse il casco. Con calma, senza cambiare espressione, colpì Korolev con il casco. -lanciarsi con il deltaplano, ma senza vento. +— Ditegli di fermarsi! — singhiozzò Korolev. Le paratie tremarono, quando un raggio venne sparato con il rumore di una frustata. — Vostra moglie, Yefremov! -— Korolev fissò l'uomo, che aveva quell'aria confusionaria e sbadata di uno +C'è anche lei! -ubriaco di libertà fin dalla nascita. — Ma non avete neppure una rampa di lancio +— Fuori, colonnello. — Yefremov afferrò la mano artritica del colonnello e strinse. Korolev urlò. — Fuori. — Un pugno guantato lo colpì al petto. -— disse. +Korolev prese inutilmente a pugni la tuta spaziale, mentre veniva spinto nel corridoio. — Neppure io, colonnello, oso mettermi fra l'Armata Rossa e i suoi ordini. — Yefremov aveva un'espressione angosciata. La sua maschera si era infranta. — Un tiro al piccione — disse. — Aspettate qui fino a quando non sarà finita. Poi la Soyuz di Tatjana colpì l'installazione dei raggi e l'anello dei dormitori. In una frazione di secondo, come in un dagherrotipo di luce solare, Korolev vide la sala dei cannoni accartocciarsi e collassare come un barattolo di birra schiacciato sotto un piede, vide il torso decapitato di un soldato roteare staccandosi da una consolle, vide Yefremov che cercava di parlare, con i capelli che gli si rizzavano in testa, mentre l'aria gli veniva risucchiata via dall'interno della tuta attraverso l'anello aperto del casco. Due sottili rivoletti di sangue salirono dalle narici di Korolev e il ruggito dell'aria che fuggiva nello spazio venne sostituito da un rombo più profondo, dentro la sua testa. -— Rampa di lancio? — disse l'uomo ridendo. — Sai come facciamo? Tiriamo +L'ultima cosa che sentì fu il portello che si chiudeva. Quando si svegliò era buio e un dolore intenso gli pulsava dietro gli occhi. Ricordò le vecchie lezioni. -su quei razzi ausiliari che nessuno usa più con i cavi, li lasciamo cadere e li +Quello era un pericolo altrettanto grande quanto una fuga di aria: l'azoto che ribolliva nel sangue, un dolore lancinante, paralizzante. . -accendiamo in aria. +Ma in realtà era tutto così remoto, così accademico. Girò le manopole dei portelli per un vago senso di “noblesse oblige”, niente più. Fu un lavoro molto faticoso e aveva una gran voglia di tornare nel suo museo a dormire. -— È pazzesco — disse Korolev. +Poteva riparare le falle con l'isolante, ma il collasso dei sistemi andava oltre le sue capacità. Aveva il giardino di Glushko. Con le verdure e le alghe non sarebbe morto di fame né asfissiato. Il modulo di comunicazione era andato con la sala dei cannoni e l'anello dei dormitori, troncato dalla stazione dall'impatto suicida della Soyuz di Tatjana. La collisione doveva aver modificato l'orbita di Cosmograd, ma non aveva modo di prevedere l'ora dell'incontro bruciante della stazione con gli strati superiori dell'atmosfera. Gli capitava spesso di sentirsi male, adesso, e il pensiero di poter morire prima dell'incendio finale lo turbava. -— Siamo arrivati fin qui, sì o no? +Passò innumerevoli ore a guardare i nastri della libreria. Un'occupazione adatta per l'Ultimo Uomo nello Spazio, già Primo Uomo su Marte. -Korolev annuì. Se era un sogno, si trattava di un sogno molto particolare. — Io +Era ossessionato dall'icona di Gagarin e rivedeva in continuazione le granulose immagini televisive degli anni ‘60, i notiziari che ritornavano sempre invariabilmente alla morte del cosmonauta. L'aria viziata di Cosmograd era piena degli spiriti dei martiri. Gagarin, il primo equipaggio della Salyut, gli americani bruciati vivi nel loro Apollo. . -sono il colonnello Jurij Vasil'evitch Korolev. +Spesso sognava Tatjana, il suo sguardo simile a quello che aveva immaginato negli occhi dei ritratti del museo. E una volta si svegliò, Sognò di svegliarsi, nella Salyut dove lei aveva dormito, ritrovandosi nella sua vecchia uniforme, con la lampada da lavoro a batteria legata sulla fronte. Da una grande distanza, come se guardasse un vecchio notiziario sul monitor del museo, si vide strappare la Stella dell'Ordine di Tsiolkovskij dal petto e attaccarla al certificato di pilota di Tatjana. -— Marte! — La donna batté le mani. — Quando lo verranno a sapere i +Quando sentì bussare capì che doveva essere anche quello un sogno. -bambini! — Staccò il modellino del Lunokhod dalla parete e cominciò a caricare +Il portello si aprì. -la molla. +Nella luce azzurra e lampeggiante del vecchio film, vide che la donna era negra. Lunghe trecce di capelli a spirale le salivano come serpenti attorno alla testa. Indossava occhiali e una sciarpa da aviatore in seta galleggiava dietro di lei. — Andy — disse in inglese — vieni a vedere qui! -— Ehi — disse l'uomo. — Devo mettermi al lavoro. Ci sono un po' di razzi là +Un uomo piccolo, muscoloso, quasi calvo, che indossava solo un sospensorio e una cintura piena di attrezzi, la raggiunse galleggiando e guardò dentro. -fuori. Dobbiamo tirare su questo affare prima che cominci a bruciare. +— È vivo? -Qualcosa sbatté contro lo scafo. Cosmograd risuonò per l'impatto. — Devono +— Certo che sono vivo — disse Korolev in un inglese con un leggero accento. -essere quelli di Tulsa — disse Andy guardando l'orologio. — In perfetto orario. +L'uomo chiamato Andy passò sopra la testa della donna. — Stai bene, amico? -— Ma perché? — Korolev scosse la testa, profondamente confuso. — Perché +— Aveva un pallone geodesico sormontato da due lampi incrociati tatuato sul bicipite destro, e la scritta SUNSPARK 15, UTAH. — Non pensavamo di vedere nessuno. -siete venuti? +— Neanche io — disse Korolev, sbattendo le palpebre. -— Te l'abbiamo detto. Per viverci. Possiamo allargare questo affare, magari +— Siamo venuti a vivere qui — disse la donna, scivolando più vicino. -costruirne altri. Dicevano che non ce l'avremmo mai fatta a vivere nei palloni, +— Veniamo dai palloni. Tipo inquilini abusivi. Abbiamo sentito che non c'era più nessuno. Lo sapete che l'orbita di questo affare sta decadendo? — L'uomo eseguì una goffa capriola a mezz'aria, con gli attrezzi della cintura che sferragliavano. — Questa caduta libera è fantastica. -ma noi eravamo i soli che sapessero farli funzionare. Era la nostra unica +— Dio — disse la donna. — Non riesco ad abituarmici! È stupendo. Come lanciarsi con il deltaplano, ma senza vento. -occasione quella di arrivare qui con i nostri mezzi. Chi vorrebbe vivere qui per +— Korolev fissò l'uomo, che aveva quell'aria confusionaria e sbadata di uno ubriaco di libertà fin dalla nascita. — Ma non avete neppure una rampa di lancio — disse. -amore di qualche governo, o dei generali, o di un branco di scribacchini? La +— Rampa di lancio? — disse l'uomo ridendo. — Sai come facciamo? Tiriamo su quei razzi ausiliari che nessuno usa più con i cavi, li lasciamo cadere e li accendiamo in aria. -frontiera bisogna volerla, volerla fin nelle ossa, giusto? +— È pazzesco — disse Korolev. -Korolev sorrise. E Andy rispose al sorriso. +— Siamo arrivati fin qui, sì o no? -— Ci siamo attaccati ai quei cavi della corrente e ci siamo tirati su. E quando si +Korolev annuì. Se era un sogno, si trattava di un sogno molto particolare. — Io sono il colonnello Jurij Vasil'evitch Korolev. -arriva in cima, be', o si fa il grande salto o si arrugginisce lì. — Alzò la voce. — E +— Marte! — La donna batté le mani. — Quando lo verranno a sapere i bambini! — Staccò il modellino del Lunokhod dalla parete e cominciò a caricare la molla. -non ci si guarda indietro, nossignore! Abbiamo fatto quel salto, e siamo qui per +— Ehi — disse l'uomo. — Devo mettermi al lavoro. Ci sono un po' di razzi là fuori. Dobbiamo tirare su questo affare prima che cominci a bruciare. -restare! La donna appoggiò le ruote del modellino sulla parete ricurva e lo lasciò +Qualcosa sbatté contro lo scafo. Cosmograd risuonò per l'impatto. — Devono essere quelli di Tulsa — disse Andy guardando l'orologio. — In perfetto orario. -andare. Il giocattolo partì ronzando allegramente sopra di loro. — Non è carino? +— Ma perché? — Korolev scosse la testa, profondamente confuso. — Perché siete venuti? -I bambini ne andranno matti. Korolev fissò gli occhi di Andy. Cosmograd ebbe +— Te l'abbiamo detto. Per viverci. Possiamo allargare questo affare, magari costruirne altri. Dicevano che non ce l'avremmo mai fatta a vivere nei palloni, ma noi eravamo i soli che sapessero farli funzionare. Era la nostra unica occasione quella di arrivare qui con i nostri mezzi. Chi vorrebbe vivere qui per amore di qualche governo, o dei generali, o di un branco di scribacchini? La frontiera bisogna volerla, volerla fin nelle ossa, giusto? -un'altra scossa, che portò il Lunokhod su una nuova rotta. +Korolev sorrise. E Andy rispose al sorriso. -— East Los Angeles — disse la donna. — È quello con i bambini. — Si tolse gli +— Ci siamo attaccati ai quei cavi della corrente e ci siamo tirati su. E quando si arriva in cima, be', o si fa il grande salto o si arrugginisce lì. — Alzò la voce. — E non ci si guarda indietro, nossignore! Abbiamo fatto quel salto, e siamo qui per restare! La donna appoggiò le ruote del modellino sulla parete ricurva e lo lasciò andare. Il giocattolo partì ronzando allegramente sopra di loro. — Non è carino? -occhiali e Korolev vide che aveva gli occhi colmi di una meravigliosa follia. +I bambini ne andranno matti. Korolev fissò gli occhi di Andy. Cosmograd ebbe un'altra scossa, che portò il Lunokhod su una nuova rotta. -— Bene — disse Andy, scrollando la cintura con gli attrezzi — che ne dici di +— East Los Angeles — disse la donna. — È quello con i bambini. — Si tolse gli occhiali e Korolev vide che aveva gli occhi colmi di una meravigliosa follia. -farci fare un giro? +— Bene — disse Andy, scrollando la cintura con gli attrezzi — che ne dici di farci fare un giro? \ No newline at end of file diff --git a/Gibson/10_duello.md b/Gibson/10_duello.md index 60d3f1a..8140f4f 100644 --- a/Gibson/10_duello.md +++ b/Gibson/10_duello.md @@ -2,1430 +2,418 @@ _(Dogfight, 1985)_ -Aveva intenzione di proseguire senza fermarsi fino in Florida. Pagarsi il +Aveva intenzione di proseguire senza fermarsi fino in Florida. Pagarsi il passaggio lavorando su qualche nave di contrabbandieri d'armi, magari finire per farsi arruolare in qualche esercito ribelle del cazzo nella zona di guerra. O magari, con il biglietto valido finché non interrompeva la corsa, poteva non scendere mai. . l'Olandese Volante dei Greyhound. Rivolse un sogghigno alla sua immagine riflessa sul finestrino freddo e sporco, mentre le luci del centro di Norfolk scivolavano via e il pullman ondeggiava sugli ammortizzatori stanchi, eseguendo l'ultima curva. Si fermarono con uno scossone sul parcheggio della stazione, cemento grigio illuminato come il cortile di una prigione. Ma Deke si vedeva morire di fame, magari in una tempesta di neve dalle parti di Oswego, con la guancia appoggiata allo stesso finestrino, e vedeva i suoi resti spazzati via alla fermata successiva da un vecchio biascicante con addosso una tuta da lavoro sbiadita. Decise che in un modo o nell'altro non gliene fregava un accidente. Se non che le gambe gli sembravano già morte. L'autista annunciò una sosta di venti minuti: Tidewater Station, Virginia. Era un vecchio edificio in blocchi di scorie pressate con due entrate per ciascun bagno: un relitto del secolo precedente. -passaggio lavorando su qualche nave di contrabbandieri d'armi, magari finire +Con le gambe come due pezzi di legno, fece un mezzo tentativo di rubacchiare dal banco degli articoli vari, ma la commessa negra sorvegliava le scarse merci in mostra dietro il vecchio espositore di vetro come se ne andasse del suo culo. -per farsi arruolare in qualche esercito ribelle del cazzo nella zona di guerra. O +“Probabilmente è così” pensò Deke, voltandosi. Di fronte ai bagni c'era una porta aperta con la parola GIOCHI che lampeggiava debolmente in plastica biofluorescente. Si vedeva un gruppo di fannulloni locali raccolti attorno ad un tavolo da biliardo. Pigramente, con la noia che lo seguiva come una nuvola, infilò dentro la testa. E vide un biplano, le ali non più lunghe del suo pollice, che eruttava fiamme arancioni. Precipitando a vite, lasciandosi dietro una scia di fumo, svanì nell'istante in cui colpì il feltro verde del tavolo. -magari, con il biglietto valido finché non interrompeva la corsa, poteva non +— Bravo Tiny! — gridò uno dei fannulloni — fallo fuori quel figlio di puttana! -scendere mai. . l'Olandese Volante dei Greyhound. Rivolse un sogghigno alla sua +— Ehi — disse Deke — che succede? -immagine riflessa sul finestrino freddo e sporco, mentre le luci del centro di +L'uomo più vicino era alto e magro come un palo, con un berretto a visiera in rete nera. — Tiny difende la Max — disse senza staccare gli occhi dal tavolo. -Norfolk scivolavano via e il pullman ondeggiava sugli ammortizzatori stanchi, +— E che roba è? — Ma proprio mentre lo chiedeva, la vide. Una medaglia in smalto blu a forma di croce di Malta, con la dicitura “Pour le Mérite” suddivisa fra le braccia. -eseguendo l'ultima curva. Si fermarono con uno scossone sul parcheggio della +La Max Blu era appoggiata sul bordo del tavolo. Proprio di fronte a una massa di grasso immobile incastrata in una sedia cromata apparentemente fragile. Se Deke si fosse infilato la camicia da lavoro color kaki dell'uomo, gli sarebbe ricaduta addosso come una vela, ma sul suo stomaco rigonfio era tesa a tal punto che i bottoni sembravano sul punto di strapparsi da un momento all'altro. Deke ricordò dei soldati sudisti che aveva visto lungo la strada: quell'endotipo grosso di pancia bilanciato su gambe dinoccolate che sembravano prese in prestito da un altro corpo. Tiny, in piedi, avrebbe potuto assomigliare a uno di quelli, ma su scala maggiore: jeans con la vita da un metro. Ci sarebbe voluta una cintura di acciaio per sostenere tutti quei chili di pancia rigonfia. Se Tiny si fosse mai alzato in piedi. (Deke si era accorto che la struttura cromata era in realtà una sedia a rotelle). C'era qualcosa di infantile in maniera inquietante nella faccia dell'uomo: -stazione, cemento grigio illuminato come il cortile di una prigione. Ma Deke si +un accenno spaventoso di giovinezza, perfino di bellezza nei tratti quasi sepolti sotto pieghe di grasso. Imbarazzato, Deke distolse lo sguardo. L'altro uomo, quello in piedi dal lato opposto del tavolo, aveva basette folte e una bocca sottile. -vedeva morire di fame, magari in una tempesta di neve dalle parti di Oswego, +Sembrava che stesse cercando di spingere qualcosa con gli occhi, rughe di concentrazione che si irradiavano dagli angoli. . -con la guancia appoggiata allo stesso finestrino, e vedeva i suoi resti spazzati via +— Sei scemo, tu? — L'uomo con il berretto a visiera si voltò, e si accorse per la prima volta dei vestiti da proletario di Deke, in cotone indiano, e delle catene che portava ai polsi. — Alza il culo, coglione. Non sei il benvenuto, qui. — Tornò a guardare il duello aereo. -alla fermata successiva da un vecchio biascicante con addosso una tuta da lavoro +Si scommetteva. I fannulloni tiravano fuori soldi veri, quelli di una volta: -sbiadita. Decise che in un modo o nell'altro non gliene fregava un accidente. Se +dollari con la testa della libertà, e dieci centesimi di Roosevelt provenienti da negozi di numismatica, mentre i più cauti mettevano sui tavoli banconote antiche ricoperte di plastica trasparente. Dalle nuvole di fumo spuntarono tre aerei rossi, che volavano in formazione. Fokker D 7. Nella sala si fece il silenzio. I Fokker virarono maestosamente sotto il disco solare di una lampadina da 200 watt. -non che le gambe gli sembravano già morte. L'autista annunciò una sosta di +Lo Spad blu sbucò dal nulla. Altri due calarono dal soffitto in ombra, seguendolo a breve distanza. I fannulloni imprecarono, uno ridacchiò. La formazione si disperse. Uno dei Fokker scese quasi fino al tavolo, senza scrollarsi lo Spad che lo tallonava. Partì freneticamente a zigzag sulla verde pianura, senza risultato. Alla fine si alzò, il nemico alle calcagna, troppo verticalmente. . e andò in stallo, troppo basso per riuscire a risollevarsi. -venti minuti: Tidewater Station, Virginia. Era un vecchio edificio in blocchi di +Una pila di monete d'argento cambiò di mano. I Fokker adesso erano in svantaggio. Uno aveva due Spad in coda. Una scarica di proiettili traccianti, sottili come aghi, sfiorò la cabina di guida. Il Fokker scivolò a sinistra, virò in un Immelmann e si trovò dietro a uno dei suoi inseguitori. Sparò e il biplano cadde a vite. -scorie pressate con due entrate per ciascun bagno: un relitto del secolo +— Forza, Tiny! — I fannulloni si strinsero attorno al tavolo. -precedente. +Deke era impietrito dalla meraviglia. Gli sembrava di essere rinato. -Con le gambe come due pezzi di legno, fece un mezzo tentativo di rubacchiare +Il Truck Stop di Frank si trovava tre chilometri fuori città, sulla strada riservata ai veicoli commerciali. Deke se l'era mentalmente annotato, per abitudine, mentre arrivavano con il pullman. Rifece la strada al contrario, fra le barriere di cemento e il traffico. Autocarri articolati gli passavano accanto, enormi, a otto segmenti, e ogni volta gli sembrava che lo spostamento d'aria lo buttasse a terra. Le stazioni dei veicoli commerciali erano bersagli facili. Quando entrò bighellonando da Frank, nessuno dubitò che venisse da uno dei grossi autocarri, e poté curiosare fra i banchi dei regali come voleva. L'espositore con le piastrine di wetware proiettivo era situato fra una pila di camicie coreane da cowboy e una serie di parafanghi Fuzz Buster. Un paio di draghi orientali si contorcevano nell'aria sopra l'espositore. Non si capiva se combattevano o scopavano. Il gioco che voleva era lì: “una piastrina etichettata spads & fokkers”. -dal banco degli articoli vari, ma la commessa negra sorvegliava le scarse merci in +Gli ci vollero tre secondi per impadronirsene ancora meno per far scivolare la calamita (che i poliziotti di Washington non si erano neppure preoccupati di confiscargli) sulla striscia magnetizzata di allarme. -mostra dietro il vecchio espositore di vetro come se ne andasse del suo culo. +Nell'uscire rubò due unità di programma e un piccolo telecomando Batang, che assomigliava a un obsoleto apparecchio acustico. -“Probabilmente è così” pensò Deke, voltandosi. Di fronte ai bagni c'era una porta +Scelse un ostello a caso e raccontò all'addetto la storiella che aveva sempre usato da quando gli era stato tolto il diritto all'assistenza sociale. Nessuno controllava mai; lo stato si limitava a contare le stanze occupate e a pagare. -aperta con la parola GIOCHI che lampeggiava debolmente in plastica +Nella stanzetta c'era un vago odore di urina. Qualcuno aveva scritto sulle pareti slogan del Fronte di Liberazione Anarchico. Deke gettò via a calci la spazzatura da un angolo, si sedette con la schiena appoggiata al muro e aprì la confezione con la piastrina. C'era un foglietto di istruzioni, con diagrammi di looping, viti orizzontali, Immelmann; un tubetto di pasta salina e una lista di specifiche operative per il computer. E la piastrina, in plastica bianca, con biplano e scritta blu da una parte, rosso dall'altra. Se lo rigirò fra le mani: -biofluorescente. Si vedeva un gruppo di fannulloni locali raccolti attorno ad un +“Spads&Fokkers”, “Fokkers&Spads”. Rosso o blu. Si aggiustò il Batang dietro l'orecchio, dopo aver cosparso di pasta la superficie induttiva, inserì il nastro a fibre ottiche nel programmatore e attaccò il programmatore alla spina della parete. Poi infilò la piastrina nel programmatore. -tavolo da biliardo. Pigramente, con la noia che lo seguiva come una nuvola, infilò +Era un apparecchio economico, indonesiano, e sentiva un fastidioso ronzio alla base del cranio mentre il programma veniva caricato. Poi uno Spad azzurro- cielo volteggiò nell'aria a pochi centimetri dalla sua faccia. Era così reale che quasi brillava. Possedeva quella strana vita interiore che spesso hanno i modellini ben dettagliati, ma gli ci voleva tutta la sua concentrazione per mantenerne l'esistenza. Bastava distrarsi un attimo perché si trasformasse in una macchia indistinta. Si esercitò fino a quando la batteria del telecomando non si esaurì, poi si accasciò contro la parete e si addormentò. Sognò di volare in un universo formato interamente da nuvole bianche e cielo azzurro, senza alto né basso, e nessun campo verde contro cui schiantarsi. -dentro la testa. E vide un biplano, le ali non più lunghe del suo pollice, che +Si svegliò con nelle narici l'odore rancido di una polpetta di krill che friggeva, e fece una smorfia per la fame. Non aveva un soldo. Be', c'erano un sacco di studenti nell'ostello. Ne avrebbe trovato qualcuno disposto a comprare un'unità di programmazione. Uscì sul corridoio con una delle due unità che aveva rubato. -eruttava fiamme arancioni. Precipitando a vite, lasciandosi dietro una scia di +Poco più avanti trovò una porta con un poster attaccato: “c'è un universo meraviglioso dietro l'angolo”. Sotto c'era un cielo stellato con un mucchio di pillole multicolori ritagliate dalla pubblicità di qualche azienda farmaceutica, incollato su una fotografia molto suggestiva della “colonia spaziale” che era in costruzione da prima che lui fosse nato. “Andiamo” diceva il poster, sotto il collage di pillole soporifere. -fumo, svanì nell'istante in cui colpì il feltro verde del tavolo. +Deke bussò. La porta si aprì, bloccata da un catenaccio di sicurezza. -— Bravo Tiny! — gridò uno dei fannulloni — fallo fuori quel figlio di puttana! +Vide cinque centimetri della faccia di una ragazza. — Sì? -— Ehi — disse Deke — che succede? +— Probabilmente penserai che l'abbia rubato. — Si passò il programmatore da una mano all'altra. — Cioè, perché è nuovo, praticamente vergine, ha ancora il codice a barre. Senti, non voglio discutere. No. Lo puoi avere per la metà di quello a cui lo pagheresti da qualsiasi altra parte. -L'uomo più vicino era alto e magro come un palo, con un berretto a visiera in +— Ehi, dici davvero? — La parte visibile della bocca si piegò in uno strano sorriso. Allungò la mano con il palmo verso l'alto, le dita contratte. All'altezza del mento di Deke. — Guarda qui! Aveva un buco nella mano, un tunnel nero che le penetrava nel braccio. Due piccole luci rosse. Occhi di topo. Sgattaiolarono verso di lui diventando più grandi e più luminose. Qualcosa di grigio uscì dal buco e gli balzò verso la faccia. -rete nera. — Tiny difende la Max — disse senza staccare gli occhi dal tavolo. +Deke urlò, alzando le mani per ripararsi. Le gambe gli cedettero, cadde, schiacciando il programmatore sotto di sé. Frammenti di silicato si sparsero in giro mentre lui si contorceva sul pavimento, stringendosi la testa fra le mani. -— E che roba è? — Ma proprio mentre lo chiedeva, la vide. Una medaglia in +Sentiva un dolore terribile. -smalto blu a forma di croce di Malta, con la dicitura “Pour le Mérite” suddivisa +— Oh Dio mio! — Il catenaccio si aprì, e Deke vide la ragazza china su di sé. — Ascolta, tieni questo. — Lasciò penzolare un asciugamano azzurro. — Prendilo, che ti tiro su. -fra le braccia. +Lui la guardò con gli occhi velati di lacrime. Studentessa. Aspetto ben nutrito, camicia larga, denti così dritti e bianchi che sembravano delle referenze. Una catenina d'oro attorno a una caviglia coperta da una sottile peluria da bambino. -La Max Blu era appoggiata sul bordo del tavolo. Proprio di fronte a una massa +Capelli tagliati corti, alla giapponese. Ricca. — Quella roba era la mia cena — disse lugubremente. Afferrò l'asciugamano e si lasciò aiutare. -di grasso immobile incastrata in una sedia cromata apparentemente fragile. Se +Lei sorrise, ma si ritrasse rapidamente. — Te lo ripagherò — disse. -Deke si fosse infilato la camicia da lavoro color kaki dell'uomo, gli sarebbe +Vuoi da mangiare? Era solo una proiezione, okay? -ricaduta addosso come una vela, ma sul suo stomaco rigonfio era tesa a tal punto +Lui la seguì, guardingo come un animale che entri in una trappola. -che i bottoni sembravano sul punto di strapparsi da un momento all'altro. Deke +— Puttanaeva — disse Deke — questo è formaggio, formaggio vero!.. — Era seduto su un sofà a molle incastrato fra un orsacchiotto in peluche alto un metro e mezzo e una pila traballante di floppy disk. Il pavimento era coperto di libri, vestiti, giornali. Ma il cibo che lei gli aveva portato come per magia era incredibile: formaggio olandese, carne in scatola e crackers di autentico grano di serra. . roba da Mille e Una Notte. -ricordò dei soldati sudisti che aveva visto lungo la strada: quell'endotipo grosso +— Ehi — disse lei. — Qui si sa come trattare un proletario eh? — Si chiamava Nance Bettendorf. Aveva 17 anni. Entrambi i genitori lavoravano (bastardi avidi) e lei studiava ingegneria alla William and Mary. Aveva il massimo dei voti, tranne in inglese. — Devi avere qualcosa con i topi, tu. Una specie di fobia. -di pancia bilanciato su gambe dinoccolate che sembravano prese in prestito da +Lui gettò un'occhiata al letto. Non si vedeva, in effetti: solo un rigonfiamento nello strato di roba che copriva il pavimento. — Non è per quello. Solo che mi ha ricordato qualcos'altro. -un altro corpo. Tiny, in piedi, avrebbe potuto assomigliare a uno di quelli, ma su +— Cosa? — Si accoccolò di fronte a lui, la camicia che le scopriva una coscia morbida. -scala maggiore: jeans con la vita da un metro. Ci sarebbe voluta una cintura di +— Be'.. Non hai mai visto — alzò involontariamente la voce, pronunciando in fretta le parole — il “Washington Monument”? Di notte? Ha quelle due piccole. . -acciaio per sostenere tutti quei chili di pancia rigonfia. Se Tiny si fosse mai alzato +luci rosse in cima, per gli aerei o qualcosa del genere, e io. . — Cominciò a tremare. -in piedi. (Deke si era accorto che la struttura cromata era in realtà una sedia a +— Hai paura del Washington Monument? — Nance rise come una matta, rotolandosi, agitando le lunghe gambe abbronzate. Indossava il pezzo inferiore di un bikini color cremisi. -rotelle). C'era qualcosa di infantile in maniera inquietante nella faccia dell'uomo: +— Preferirei morire piuttosto che doverle rivedere — disse lui con voce pacata. -un accenno spaventoso di giovinezza, perfino di bellezza nei tratti quasi sepolti +Lei smise di ridere, si sedette, lo scrutò in faccia. Si mordicchiò il labbro inferiore con i denti bianchi, regolari, come se le stesse venendo in mente qualcosa a cui avrebbe preferito non pensare. Alla fine disse. — Un blocco mentale? -sotto pieghe di grasso. Imbarazzato, Deke distolse lo sguardo. L'altro uomo, +— Sì — disse lui. — Mi hanno detto che non sarei più tornato a Washington. -quello in piedi dal lato opposto del tavolo, aveva basette folte e una bocca sottile. +Poi si sono messi a ridere, quei rottinculo. -Sembrava che stesse cercando di spingere qualcosa con gli occhi, rughe di +— Perché l'hanno fatto? -concentrazione che si irradiavano dagli angoli. . +— Sono un ladro. — Non aveva intenzione di dirle che l'accusa era di furto continuato nei negozi. -— Sei scemo, tu? — L'uomo con il berretto a visiera si voltò, e si accorse per la +— Un sacco di gente passava la vita a programmare i computer. E sai cosa? Il cervello umano non assomiglia neanche lontanamente a una macchina. Non si programmano allo stesso modo. — Deke conosceva quel modo di chiacchierare acuto, disperato, quei lunghi e prolissi discorsi che la gente sola racconta ai rari ascoltatori; lo ricordava da cento notti fredde e vuote, passate in compagnia di estranei. Nance ci si era persa, e Deke, mentre annuiva e sbadigliava, si chiese se sarebbe riuscito a rimanere sveglio quando finalmente si fossero messi in quel letto. -prima volta dei vestiti da proletario di Deke, in cotone indiano, e delle catene che +—L'ho costruita io quella proiezione di prima — disse lei stringendosi le ginocchia sotto il mento. — Serve per i rapinatori, sai. Ce l'avevo con me per caso, e te l'ho buttata in faccia perché ho pensato che era proprio divertente, tu che cercavi di vendermi quella stronzata di programmatore indogiavanese. — Si inginocchiò e allungò di nuovo la mano. — Guarda qui. — Derek si ritrasse. — No, no, non preoccuparti, te lo giuro, è diverso. — Aprì la mano. Una fiamma blu le danzava sul palmo, perfetta e continuamente mutevole. — Guardala — disse. -portava ai polsi. — Alza il culo, coglione. Non sei il benvenuto, qui. — Tornò a +— È stupenda. L'ho programmata io. Non è una delle solite robe a sette immagini. È un ciclo continuo di due ore, 7200 secondi, mai due volte la stessa, cazzo, ogni istante unico come un fiocco di neve! -guardare il duello aereo. +Il cuore della fiamma era un cristallo di ghiaccio, frammenti e sfaccettature che schizzavano in alto, si contorcevano, sparivano, lasciandosi dietro immagini quasi subliminali, così luminose e definite che tagliavano l'occhio. Deke fece una smorfia. Soprattutto persone. Gente carina e nuda, che scopava. — Come diavolo hai fatto? Lei si alzò, scivolando con il piede nudo su una rivista di carta patinata, e con gesto melodrammatico scostò delle strisce di modulo continuo da uno scaffale in compensato grezzo. Deke vide una fila di piccoli apparecchi, austeri e dall'aria costosa, costruiti su ordinazione. — Questa qui è roba seria. Facilitatore d'immagine. Modulo di cancellazione rapida. Analizzatore di funzione con mappa cerebrale. — Snocciolava i nomi come una litania. — Stabilizzatore quantico di tremolio. Giuntatore di programmi. Assemblatore di immagini. . -Si scommetteva. I fannulloni tiravano fuori soldi veri, quelli di una volta: +— E ti serve tutta quella roba per fare una fiammella? -dollari con la testa della libertà, e dieci centesimi di Roosevelt provenienti da +— Puoi dirci giuro. Queste apparecchiature sono il massimo in circolazione, professionali. Sono anni avanti rispetto a qualsiasi cosa abbia visto in vita tua. -negozi di numismatica, mentre i più cauti mettevano sui tavoli banconote +— Ehi — disse lui. — Mai sentito parlare di “Spads & Fokkers”? -antiche ricoperte di plastica trasparente. Dalle nuvole di fumo spuntarono tre +Lei rise. E allora gli parve che fosse il momento giusto, così fece per prenderle la mano. -aerei rossi, che volavano in formazione. Fokker D 7. Nella sala si fece il silenzio. I +— Non toccarmi, figlio di troia, non toccarmi mai! — urlò Nance, e sbatté la testa contro il muro mentre si ritraeva, pallida e tremante per il terrore. -Fokker virarono maestosamente sotto il disco solare di una lampadina da 200 +— Okay! — Deke alzò le braccia. — Okay! Sto lontano. Okay? -watt. +Lei lo teneva a distanza, con occhi grandi immobili. Le lacrime raccolte agli angoli degli occhi rotolarono lungo le guance cineree. Alla fine scosse la testa. — Ehi. Deke. Scusa. Avrei dovuto dirtelo. -Lo Spad blu sbucò dal nulla. Altri due calarono dal soffitto in ombra, +— Dirmi cosa? — Ma si sentì accapponare la pelle. . Aveva già capito. -seguendolo a breve distanza. I fannulloni imprecarono, uno ridacchiò. La +Da come lei si stringeva la testa. Da come apriva e chiudeva le mani, spasmodicamente. — Hai un blocco mentale anche tu. -formazione si disperse. Uno dei Fokker scese quasi fino al tavolo, senza scrollarsi +— Sì. — Lei chiuse gli occhi. — Un blocco di castità. Sono stati quelle facce di merda dei miei genitori. Non posso sopportare che qualcuno mi tocchi, o che mi stia troppo vicino. — Spalancò gli occhi, pieni di odio cieco. — Non ho mai neanche fatto niente. Proprio un cazzo. Loro lavorano tutti e due, e sono così ansiosi che anch'io faccia carriera che non sono neanche capaci a pisciare dritto. -lo Spad che lo tallonava. Partì freneticamente a zigzag sulla verde pianura, senza +Hanno paura che trascuri i miei studi, se ci do dentro, be', hai capito, col sesso e roba del genere. Ma il giorno che tolgono il blocco giuro che mi faccio chiavare dal porco più schifoso, lercio e peloso. . Si stringeva di nuovo la testa. Deke corse all'armadietto dei medicinali. Trovò un barattolo di vitamina B, se ne mise in tasca qualcuna in caso di bisogno, e ne portò due a Nance, con un bicchiere d'acqua. — Prendi. — Si tenne a una certa distanza. — Questo servirà a calmarti. -risultato. Alla fine si alzò, il nemico alle calcagna, troppo verticalmente. . e andò +— Grazie — disse lei. Poi, quasi a se stessa: — Penserai che sono matta. -in stallo, troppo basso per riuscire a risollevarsi. +La sala giochi della stazione dei pullman era quasi vuota. Un ragazzino di quattordici anni con la faccia allungata era chino su una consolle, intento a manovrare flotte di sottomarini nel reticolo caliginoso del Nord Atlantico. -Una pila di monete d'argento cambiò di mano. I Fokker adesso erano in +Deke entrò con passo indolente, con addosso la sua tenuta da ragazzo del giro, e si appoggiò a un muro di blocchi di scorie pressate reso liscio da innumerevoli mani di smalto verde. Si era lavato via la tintura dai capelli a spazzola, da proletario, aveva rubato jeans e maglietta da Goodwill e aveva trovato un paio di stivaletti negli armadietti della sauna di un ostello, quelli con le serrature da quattro soldi. -svantaggio. Uno aveva due Spad in coda. Una scarica di proiettili traccianti, +— Hai visto Tiny in giro, amico? -sottili come aghi, sfiorò la cabina di guida. Il Fokker scivolò a sinistra, virò in un +I sottomarini schizzavano come pesciolini fluorescenti. — Dipende da chi lo vuol sapere. -Immelmann e si trovò dietro a uno dei suoi inseguitori. Sparò e il biplano cadde +Deke si toccò il telecomando dietro l'orecchio sinistro. Lo Spad roteò su se stesso sopra la consolle, veloce e delicato come una farfalla. Era bellissimo; così perfetto, così “vero” da far sembrare la sala un'illusione. Sfrecciò sul reticolo a pochi millimetri dal vetro, traendo vantaggio dall'effetto suolo programmato. Il ragazzino non si preoccupò neppure di alzare gli occhi. — Da Jackman's — disse. -a vite. +— Richmond Road, vicino ai residuati. Deke lasciò svanire lo Spad a metà di un'impennata. Jackman's occupava la maggior parte del terzo piano di un vecchio edificio in mattoni. Deke trovò per prima cosa il Best Buy War Surplus, poi un'insegna al neon rotta sopra un ingresso buio. Il marciapiede di fronte era pieno di residuati d'altro tipo: veterani mutilati, alcuni dei tempi dell'Indocina. -— Forza, Tiny! — I fannulloni si strinsero attorno al tavolo. +Vecchi che avevano lasciato gli occhi sotto il sole asiatico erano accovacciati vicino a ragazzi che avevano inalato micotossine in Cile. Deke fu contento di sentire le porte del vecchio ascensore chiuderglisi dolcemente alle spalle. -Deke era impietrito dalla meraviglia. Gli sembrava di essere rinato. +L'orologio polveroso sul lato opposto della lunga sala spettrale gli disse che mancava un quarto alle otto. Il Jackman's era stato imbalsamato venti anni prima che lui nascesse, sigillato con una pellicola giallastra di nicotina, lucido e brillantina. Direttamente sotto l'orologio, gli occhi vuoti di un cervo, preda del nonno di chissà chi, guardavano Deke da una fotografia incorniciata e ingrandita che aveva assunto la tinta seppia delle ali di uno scarafaggio. Si sentivano i colpi secchi e i fruscii di un tavolo da biliardo, lo scricchiolio di uno stivale da lavoro sul linoleum mentre un giocatore si chinava per tirare. Sopra le lampade con i paralumi verdi era appesa una sfilza di campane di Natale in carta crespa scolorita, di un rosa morto. Deke guardò le pareti ingombre. Nessun facilitatore. -Il Truck Stop di Frank si trovava tre chilometri fuori città, sulla strada +— Ce lo portano, se serve — disse qualcuno. Deke si voltò incontrando gli occhi miti di un uomo calvo con occhiali cerchiati. — Mi chiamo Cline. Bobby Earl. Non avete l'aria di uno che gioca a biliardo, signore. — Non c'era nulla di minaccioso nella voce o nel fare di Bobby Earl. Si tolse gli occhiali dal naso e pulì le spesse lenti con un pezzo di tela. A Deke ricordava un istruttore che aveva cercato pazientemente di insegnargli l'installazione inversa dei biochip. — Io sono un giocatore — disse, sorridendo. Aveva i denti di plastica bianca. — So di non averne l'aria. -riservata ai veicoli commerciali. Deke se l'era mentalmente annotato, per +— Sto cercando Tiny — disse Deke. -abitudine, mentre arrivavano con il pullman. Rifece la strada al contrario, fra le +— Be' — disse lui rimettendosi gli occhiali — non lo troverai. È andato al Bethesda a farsi ripulire l'impianto idraulico. E comunque non si batterebbe contro di te. -barriere di cemento e il traffico. Autocarri articolati gli passavano accanto, +— Perché no? -enormi, a otto segmenti, e ogni volta gli sembrava che lo spostamento d'aria lo +— Perché non sei del giro, altrimenti riconoscerei la tua faccia. Sei bravo? — Quando Deke annuì, Bobby Earl chiamo: — Ehi Clarence! Porta quel facilitatore. -buttasse a terra. Le stazioni dei veicoli commerciali erano bersagli facili. Quando +Abbiamo un aviatore. -entrò bighellonando da Frank, nessuno dubitò che venisse da uno dei grossi +Venti minuti più tardi, perso il telecomando e i pochi soldi che gli restavano, Deke passava accanto ai soldati mutilati del Best Buy. -autocarri, e poté curiosare fra i banchi dei regali come voleva. L'espositore con le +— Lascia che ti dica una cosa, ragazzo — gli aveva detto Bobby Earl con tono paterno, la mano sulla spalla, mentre accompagnava Deke all'ascensore. — Non riuscirai mai a vincere contro un ex-combattente. . mi ascolti? Io non sono neanche tanto bravo, solo un vecchio soldato di fanteria, sono stato in iper quindici, forse venti volte. Il vecchio Tiny era un pilota, un pilota coi coglioni. Ha passato tutta la guerra in iper fino al collo. Ha le membrane ridotte male. . non riuscirai mai a batterlo. -piastrine di wetware proiettivo era situato fra una pila di camicie coreane da +Era una sera fredda. Ma Deke bruciava di rabbia e umiliazione. -cowboy e una serie di parafanghi Fuzz Buster. Un paio di draghi orientali si +—Cristo, quanto è rozzo — disse Nance, mentre lo Spad mitragliava colline di biancheria intima rosa. Deke, raggomitolato sul divano, si strappò da dietro l'orecchio il piccolo e costoso telecomando Braun. -contorcevano nell'aria sopra l'espositore. Non si capiva se combattevano o +— Adesso non mettertici anche tu, stronzetta nata-con-la-camicia. . -scopavano. Il gioco che voleva era lì: “una piastrina etichettata spads & fokkers”. +— Ehi, calmati! Non è mica colpa tua. È solo questione di tecnologia. -Gli ci vollero tre secondi per impadronirsene ancora meno per far scivolare la +Quella piastrina che hai tu è veramente primitiva. Voglio dire, per il mercato magari va bene. Ma paragonata alle cose che facciamo a scuola è. . Dovrei riscrivertela io. -calamita (che i poliziotti di Washington non si erano neppure preoccupati di +— Come sarebbe? -confiscargli) sulla striscia magnetizzata di allarme. +— Lascia che te la sistemi io. Queste puttanate sono scritte tutte in esadecimale, capisci, perché i programmatori dell'industria vengono tutti dai computer. È così che pensano. Ma fammelo portare al lettore-analizzatore del dipartimento, inserire qualche modifica, tradurlo in un linguaggio moderno, eliminare tutte le parti ridondanti. . Ti migliorerà i tempi di reazione, dimezzerà il circuito di feedback. Così volerai più veloce e meglio. Diventerai un vero professionista! — Tirò una boccata di marijuana dalla pipa ad acqua, poi si piegò in due, ridendo e tossendo. -Nell'uscire rubò due unità di programma e un piccolo telecomando Batang, +— È legale? — chiese Deke dubbioso. -che assomigliava a un obsoleto apparecchio acustico. +— Ehi, perché credi che la gente compri telecomandi con i fili in oro? Per il prestigio? Cagate. La conduttività migliora, elimina qualche nanosecondo dal tempo di reazione. E nel gioco il tempo di reazione è tutto, ragazzo. -Scelse un ostello a caso e raccontò all'addetto la storiella che aveva sempre +— No — disse Deke. — Se fosse così facile, la gente ce l'avrebbe già. -usato da quando gli era stato tolto il diritto all'assistenza sociale. Nessuno +Tiny Montgomery ce l'avrebbe. Avrebbe il meglio. -controllava mai; lo stato si limitava a contare le stanze occupate e a pagare. +— Ma mi ascolti o no? — Nance appoggiò la pipa, e un po' di acqua marrone si rovesciò per terra. — La roba con cui lavoro io è tre anni avanti a qualsiasi cosa si trovi in giro. -Nella stanzetta c'era un vago odore di urina. Qualcuno aveva scritto sulle +— Sul serio? — disse Deke dopo una pausa. — Puoi farlo? -pareti slogan del Fronte di Liberazione Anarchico. Deke gettò via a calci la +Era come passare da un Modello T a una Lotus del ‘93. Lo Spad era un sogno, rispondeva al minimo pensiero di Deke. Per settimane si fece le sale giochi senza essere mai battuto. Volava contro i ragazzini del posto e abbatteva i loro aerei, uno o tre per volta. Correva rischi, giocava veloce. E gli aerei cadevano. . -spazzatura da un angolo, si sedette con la schiena appoggiata al muro e aprì la +Finché un giorno Deke stava mettendo via i soldi delle vincite, e un negro dinoccolato si staccò dal muro. Guardò le banconote di Deke con il loro involucro di plastica e sorrise. Un dente con incastonato un rubino lampeggiò. — Sai — disse — io l'avevo “sentito” che c'era un tizio che sapeva volare contro i ragazzini. -confezione con la piastrina. C'era un foglietto di istruzioni, con diagrammi di +— Diocristo — fece Deke spalmando burro danese su un grissino alle alghe. — Li ho sotterrati, quei negri. Ed erano anche bravi. -looping, viti orizzontali, Immelmann; un tubetto di pasta salina e una lista di +— Mi fa piacere, tesoro — mormorò Nance. Stava lavorando sul suo progetto per gli esami di fine d'anno, immettendo dati in una macchina. -specifiche operative per il computer. E la piastrina, in plastica bianca, con +— Sai, credo di avere del talento per questa roba. Capisci? Cioè, il programma mi dà il vantaggio, ma io so sfruttarlo sul serio. Mi sto facendo una reputazione, sai? — D'impulso accese la radio. Ottoni stridenti, dixieland. -biplano e scritta blu da una parte, rosso dall'altra. Se lo rigirò fra le mani: +— Ehi — disse Nance. — Ti dispiace abbassare? -“Spads&Fokkers”, “Fokkers&Spads”. Rosso o blu. Si aggiustò il Batang dietro +— Scusa, stavo solo. . — Cercò un'altra stazione, trovò della roba lenta, romantica. — Ecco. Alzati. Balliamo. -l'orecchio, dopo aver cosparso di pasta la superficie induttiva, inserì il nastro a +— Ehi, lo sai che non posso. . -fibre ottiche nel programmatore e attaccò il programmatore alla spina della +— Invece puoi, bellezza. — Le buttò il grosso orsacchiotto di peluche, e raccolse dal pavimento un abito di cotone stampato di lei. Lo tenne per la vita e per una manica infilandosi il colletto sotto il mento. Profumava di patchouli, e più lievemente di sudore. — Io sto qui e tu stai lì, e balliamo. Capito? -parete. Poi infilò la piastrina nel programmatore. +Sbattendo le palpebre, Nance si alzò e strinse forte l'orsacchiotto. Ballarono lentamente, guardandosi negli occhi. Dopo un po', lei cominciò a piangere. Senza smettere di sorridere. -Era un apparecchio economico, indonesiano, e sentiva un fastidioso ronzio +Deke stava sognando a occhi aperti, immaginando di essere Tiny Montgomery collegato al suo jet. Immaginava la macchina che reagiva ad ogni minimo impulso neurale, i riflessi tesi al massimo, lo stimolante che scorreva nelle vene. -alla base del cranio mentre il programma veniva caricato. Poi uno Spad azzurro- +Il pavimento della stanza di Nance divenne una giungla tropicale, il letto un altopiano ai piedi delle Ande, e Deke faceva volare il suo Spad alla velocità massima, come se fosse un caccia interattivo. Ipodermiche computerizzate gli immettevano superstimolanti nel flusso sanguigno. Sensori inseriti direttamente nel cranio. . mentre eseguiva una virata supersonica nel grande bacino verde- azzurro del cielo sopra la foresta tropicale boliviana. Sicuramente Tiny sarebbe stato capace di sentire il flusso del vento sulle superfici di controllo. Sotto di lui la fanteria si faceva strada nella giungla, con le pompe di stimolanti legate sopra il gomito per dare loro una spintarella in più, da danza della morte, nel combattimento, una spruzzata di inferno liquido in una fiala di plastica blu. Ne ricevevano forse per dieci minuti alla settimana. Ma per volare a pelo degli alberi, i riflessi tesi al massimo, così basso che le truppe di terra non ti vedevano finché non eri sopra di loro, con gli agenti al fosgene già scaricati, e sparivi prima ancora che potessero prendere la mira. . ci voleva un flusso costante di iperstimolanti per mantenersi in quelle condizioni. E l'interfaccia neurale con l'aereo era una strada a doppio senso: i computer di bordo controllavano i dati biochimici e decidevano quando immettere la roba, quando fornire alla componente umana una dose killer di spirito combattivo. -cielo volteggiò nell'aria a pochi centimetri dalla sua faccia. Era così reale che +Dosaggi di quel genere distruggono. Distruggono a poco a poco, senza tregua, incidendo le superfici del cervello, erodendo le membrane cellulari. Se non si veniva congedati in fretta ci si ritrovava con un'attenuazione delle cellule neurali: riflessi troppo rapidi per essere controllati dal corpo, e l'istinto di fuga- o-attacco completamente sballato. . -quasi brillava. Possedeva quella strana vita interiore che spesso hanno i +— Ce l'ho fatta, ragazzo! -modellini ben dettagliati, ma gli ci voleva tutta la sua concentrazione per +— Eh? — Deke alzò gli occhi, sorpreso, mentre Nance entrava sbattendo la porta, gettando libri e borsa sul mucchio più vicino. -mantenerne l'esistenza. Bastava distrarsi un attimo perché si trasformasse in +— Il mio progetto. . sono stata esentata dagli esami. Il profe ha detto che non aveva mai visto una roba del genere. Ehi, senti, abbassa le luci, ti spiace? I colori mi fanno un effetto strano. — Lui l'accontentò. — Fammi vedere, allora. Fammi vedere questa cosa meravigliosa. -una macchia indistinta. Si esercitò fino a quando la batteria del telecomando non +— Sicuro. — Nance prese il telecomando, buttò giù a calci un po' di roba dal letto e si mise in posa. Una scintilla si trasformò in una fiamma sopra il palmo della sua mano. Si sparse come un rivoletto di mercurio lungo il braccio, il collo, e divenne un serpente, con la testa triangolare e la lingua dardeggiante. Colori ardenti, arancione e rosso. Le scivolò fra i seni. — L'ho chiamato serpente di fuoco — disse lei orgogliosamente. -si esaurì, poi si accasciò contro la parete e si addormentò. Sognò di volare in un +Deke si avvicinò per guardare meglio, e lei balzò indietro. -universo formato interamente da nuvole bianche e cielo azzurro, senza alto né +— Scusa. È come la fiamma, no? Cioè, si vedono quelle piccole figurine che scopano, dentro. -basso, e nessun campo verde contro cui schiantarsi. +— Una specie — disse lei. Il serpente di fuoco le scivolò lungo lo stomaco. — Il mese prossimo giunterò 200 programmi di fiamma separati, con delle giustificazioni intermedie per ottenere l'effetto visuale. Poi inserirò l'immagine mentale del corpo per renderlo autorientante. -Si svegliò con nelle narici l'odore rancido di una polpetta di krill che friggeva, +— Così potrà strisciare lungo tutto il corpo senza doverci pensare. Potrai indossarlo mentre balli. Forse sono scemo. Ma se non l'hai ancora fatto, com'è che posso vederlo? -e fece una smorfia per la fame. Non aveva un soldo. Be', c'erano un sacco di +Nance ridacchiò. — È qui il bello. . metà del lavoro non l'ho ancora fatto. Non avevo tempo di assemblare i pezzi in un programma unificato. Accendi la radio: -studenti nell'ostello. Ne avrebbe trovato qualcuno disposto a comprare un'unità +voglio ballare. — Gettò via le scarpe. Deke si sintonizzò su qualcosa di vigoroso. -di programmazione. Uscì sul corridoio con una delle due unità che aveva rubato. +Poi, su richiesta di Nance, l'abbassò fin quasi a un sussurro. -Poco più avanti trovò una porta con un poster attaccato: “c'è un universo +— Mi sono procurata due dosi di iper, capisci. — Saltellava sul letto, intrecciando le mani come una danzatrice balinese. — L'hai mai provata. -meraviglioso dietro l'angolo”. Sotto c'era un cielo stellato con un mucchio di +Incredibile. Dà una concentrazione assoluta. Guarda. — Si mise “en pointe”. — Mai fatto prima. -pillole multicolori ritagliate dalla pubblicità di qualche azienda farmaceutica, +— Iper — disse Deke. — L'ultima persona che ho conosciuto che hanno trovato con quella roba, si è beccato tre anni in fanteria. Come te la sei procurata? -incollato su una fotografia molto suggestiva della “colonia spaziale” che era in +— Ho fatto un affare con una veterana che avevo conosciuto alle medie. -costruzione da prima che lui fosse nato. “Andiamo” diceva il poster, sotto il +— Si è ritirata il mese scorso. Quella roba mi dà la visualizzazione perfetta. -collage di pillole soporifere. +Posso controllare la proiezione a occhi chiusi. Ho assemblato mentalmente il programma in un attimo. -Deke bussò. La porta si aprì, bloccata da un catenaccio di sicurezza. +— Con due dosi sole? -Vide cinque centimetri della faccia di una ragazza. — Sì? +— Una dose. L'altra mi servirà più avanti. L'insegnante è rimasto così impressionato che mi ha prenotato un colloquio per un lavoro. Un reclutatore della I. G. Feuchtwaren verrà al campus fra due settimane. Quella capsula servirà a vendergli il programma e me. Finirò la scuola con due anni di anticipo, filerò dritta nell'industria senza andare in prigione e senza dover pagare 200 dollari. -— Probabilmente penserai che l'abbia rubato. — Si passò il programmatore +Il serpente si arrotolò formando una tiara fiammeggiante. Deke provò una strana sensazione al pensiero che Nance sarebbe uscita dalla sua vita. -da una mano all'altra. — Cioè, perché è nuovo, praticamente vergine, ha ancora il +— Sono una strega — cantò Nance — la strega del wetware. — Si sfilò la camicia dalla testa e la buttò in alto. I seni alti e ben fatti si muovevano liberi, mentre ballava. — Arriverò — stava cantando una canzone di successo — fino in. . cima! — Aveva i capezzoli piccoli, rosei e ritti. Il serpente di fuoco li leccò, poi schizzò via. -codice a barre. Senti, non voglio discutere. No. Lo puoi avere per la metà di +— Ehi, Nance — disse Deke a disagio. — Datti una calmata, huh? -quello a cui lo pagheresti da qualsiasi altra parte. +— Sto festeggiando! — Si infilò un pollice nelle mutandine dorate, lucide. Il fuoco le si avvolse attorno alla mano e fra le cosce. — Sono la dea vergine, bello mio, e ho la forza! — Stava cantando di nuovo. -— Ehi, dici davvero? — La parte visibile della bocca si piegò in uno strano +Deke distolse gli occhi. — Adesso devo andare — farfugliò. — Andare a casa a farmi una sega. — Si chiese dove avesse nascosto la seconda dose. Poteva essere ovunque. -sorriso. Allungò la mano con il palmo verso l'alto, le dita contratte. All'altezza del +C'era un protocollo nel giro, un tacito ordine di deferenza e precedenza, elaborato quanto quello di una corte imperiale cinese. Non importava se Deke era bravo, se la sua reputazione si stava spandendo a macchia d'olio. Anche un aviatore di nome non poteva sfidare chi voleva. Doveva salire di grado. Ma se si volava ogni sera, se si era sempre disponibili a rispondere alle sfide, e si era bravi. . Be', era possibile salire in fretta. -mento di Deke. — Guarda qui! Aveva un buco nella mano, un tunnel nero che le +Deke era in vantaggio di un aereo. Era un torneo, tre aerei contro tre. Non c'erano molti spettatori, una dozzina al massimo, ma era un buon duello, e facevano rumore. Deke era immerso nella calma maniacale del combattimento, quando si rese conto d'improvviso che tutti erano diventati silenziosi. Vide i tipi del giro agitarsi e scambiarsi occhiate. Gli occhi guardarono alle sue spalle. Sentì le porte dell'ascensore aprirsi. Freddamente eliminò il secondo aereo nemico, poi arrischiò una rapida occhiata sopra le spalle. Tiny Montgomery era appena entrato da Jackman's. La sedia a rotelle scivolò con un sussurro sul linoleum ingiallito, guidata da piccole contrazioni di una mano non del tutto paralizzata. -penetrava nel braccio. Due piccole luci rosse. Occhi di topo. Sgattaiolarono verso +La sua espressione era seria calma, indifferente. -di lui diventando più grandi e più luminose. Qualcosa di grigio uscì dal buco e gli +In quell'istante Deke perse due aerei. Uno per derisoluzione, cancellato dal facilitatore, e l'altro perché il suo avversario era un vero lottatore: eseguì una vite orizzontale, diminuendo la velocità e scivolando di fianco, e mitragliò il biplano di Deke mentre gli passava davanti. L'aereo cadde in fiamme. I due superstiti avevano la stessa altezza e velocità, e mentre cercavano la posizione migliore si ritrovarono naturalmente a girare in tondo. -balzò verso la faccia. +Gli altri fecero posto a Tiny mentre si avvicinava al tavolo. Bobby Earl Clive lo seguiva, dinoccolato e noncurante. Deke e il suo avversario si scambiarono un'occhiata e ritirarono i loro aerei dal tavolo di gioco, per lasciar parlare l'uomo. Tiny sorrise. I lineamenti erano piccoli, assiepati al centro della faccia pallida e molle. Un dito si contraeva leggermente sul bracciolo della sedia. — Ho sentito parlare di te. — Guardò dritto Deke. La voce era morbida e sorprendentemente dolce, quasi da bambina. — Ho sentito che sei bravo. Deke annuì adagio. Il sorriso svanì dalla faccia di Tiny. Sporse le labbra morbide e carnose, come se aspettasse un bacio. Gli occhi piccoli e luminosi studiarono Deke senza malizia. — Vediamo cosa sai fare, allora. -Deke urlò, alzando le mani per ripararsi. Le gambe gli cedettero, cadde, +Deke si immerse nel freddo gioco della guerra. E quando il nemico precipitò fra fumo e fiamme, per esplodere e svanire sul tavolo, Tiny girò la sedia senza una parola, si infilò nell'ascensore e sparì. Mentre Deke raccoglieva le sue vincite, Bobby Earl gli si avvicinò e disse: — Vuole giocare con te. -schiacciando il programmatore sotto di sé. Frammenti di silicato si sparsero in +— Eh? — Deke non era abbastanza in alto nel circuito da sfidare Tiny, neanche lontanamente. — Qual è il trucco? -giro mentre lui si contorceva sul pavimento, stringendosi la testa fra le mani. +— Uno che doveva venire domani da Atlanta ha rinunciato. Il vecchio Tiny aveva una gran voglia di mettersi contro qualcuno di nuovo. Perciò pare che tu possa aspirare alla Max. -Sentiva un dolore terribile. +— Domani? Mercoledì? Non mi lascia molto tempo per prepararmi. -— Oh Dio mio! — Il catenaccio si aprì, e Deke vide la ragazza china su di sé. — +Bobby Earl fece un sorriso gentile. — Non credo che faccia molta differenza. -Ascolta, tieni questo. — Lasciò penzolare un asciugamano azzurro. — Prendilo, +— Come sarebbe a dire, signor Cline? -che ti tiro su. +— Ragazzo, tu non sai le “mosse”, capisci? Non hai sorprese. Voli come un principiante, solo più veloce e agile. Mi segui? -Lui la guardò con gli occhi velati di lacrime. Studentessa. Aspetto ben nutrito, +— Non sono tanto sicuro. Vogliamo farci qualche scommessa? -camicia larga, denti così dritti e bianchi che sembravano delle referenze. Una +— A essere sincero — disse Clive — ci speravo. — Tirò fuori dalla tasca un piccolo notes nero e leccò la punta di un mozzicone di matita. — Ti do cinque a uno. Nessuno ti darà delle quotazioni migliori. -catenina d'oro attorno a una caviglia coperta da una sottile peluria da bambino. +Guardò Deke quasi con tristezza. — Tiny, vedi, è troppo superiore a te, e questo è il succo della faccenda. Lui vive per quel maledetto gioco, non ha altro. -Capelli tagliati corti, alla giapponese. Ricca. — Quella roba era la mia cena — +Non può alzarsi da quella maledetta sedia. Se credi di poter battere un uomo che lotta per la propria vita, ti sbagli di grosso. -disse lugubremente. Afferrò l'asciugamano e si lasciò aiutare. +Il ritratto del colonnello dipinto da Norman Rockwell guardava Deke spassionatamente, dal Kentucky Fried sull'altra parte di Richmond Road, di fronte al bar. Deke stringeva la tazza con mani fredde e tremanti. Si sentiva ronzare il cranio per la stanchezza. Cline aveva ragione, disse al colonnello. -Lei sorrise, ma si ritrasse rapidamente. — Te lo ripagherò — disse. +Posso combattere con Tiny, ma non posso vincere. Il colonnello fissava con sguardo calmo e non particolarmente amichevole, che comprendeva anche il bar, il Best Buy e il suo squallido regno di Richmond Road. Aspettando che Deke ammettesse a se stesso la cosa terribile che doveva fare. -Vuoi da mangiare? Era solo una proiezione, okay? +— Tanto quella troia mi pianterà lo stesso — disse Deke ad alta voce. -Lui la seguì, guardingo come un animale che entri in una trappola. +La cameriera negra lo guardò con aria strana, poi distolse subito gli occhi. -— Puttanaeva — disse Deke — questo è formaggio, formaggio vero!.. — Era +— Ha telefonato papà! — Nance entrò ballando nell'appartamento, sbattendosi la porta alle spalle. — Sai cosa ha detto? Ha detto che se riesco a farmi assumere e restare per sei mesi, mi farà togliere il blocco. Ci pensi? Deke? -seduto su un sofà a molle incastrato fra un orsacchiotto in peluche alto un metro +— Esitò. — Stai bene? Deke si alzò. Adesso che era arrivato il momento si sentiva irreale, come se fosse in un film, o qualcosa del genere. — Perché non sei tornato a casa ieri notte? — chiese Nance. -e mezzo e una pila traballante di floppy disk. Il pavimento era coperto di libri, +Lui si sentiva il volto teso in maniera innaturale, una maschera di pergamena. -vestiti, giornali. Ma il cibo che lei gli aveva portato come per magia era +— Dove hai nascosto l'iper, Nance? Mi serve. -incredibile: formaggio olandese, carne in scatola e crackers di autentico grano di +— Deke — disse lei, facendo un sorriso incerto che svanì subito. — Deke, è mia. La mia dose. Ne ho bisogno. Per il colloquio. Lui sorrise con disprezzo. — Hai i soldi. Puoi sempre procurartene un'altra capsula. -serra. . roba da Mille e Una Notte. +— Non per venerdì! Ascolta, Deke, è veramente importante. Tutta la mia vita dipende da quel colloquio. Mi serve quella capsula. È tutto quello che ho! -— Ehi — disse lei. — Qui si sa come trattare un proletario eh? — Si chiamava +— Un cazzo, bella, tu hai tutto il mondo! Merda, guardati in giro: un etto e mezzo di hashish libanese! Acciughe in scatola. Assistenza medica illimitata, se dovessi averne bisogno. — Lei stava indietreggiando, inciampando contro le onde statiche di lenzuola sporche e riviste spiegazzate che si frangevano ai piedi del letto. — Io non ho mai avuto niente di lontanamente simile a questo. Non ho mai avuto quel vantaggio che ti fa andare avanti. Be', questa volta ce l'ho. C'è un combattimento fra due ore che io ho intenzione di vincere. Mi senti? — Si stava infuriando, e questo era un bene. Ne aveva bisogno per quello che doveva fare. -Nance Bettendorf. Aveva 17 anni. Entrambi i genitori lavoravano (bastardi avidi) +Nance alzò le braccia, il palmo aperto, ma questa volta lui era pronto e le colpì la mano, senza vedere neppure il tunnel nero, o i piccoli occhi rossi. Poi caddero tutti e due, e lui le si trovò sopra, il respiro di Nance caldo e veloce sulla sua faccia. — Deke! Deke! Io ho bisogno di quella roba, Deke, il mio colloquio, è la sola. . devo. . devo. . — Girò la testa, piangendo, verso il muro. — Ti prego, Dio, ti prego, non. . -e lei studiava ingegneria alla William and Mary. Aveva il massimo dei voti, +— Dove l'hai nascosta? -tranne in inglese. — Devi avere qualcosa con i topi, tu. Una specie di fobia. +Bloccata sul letto dal suo corpo, Nance cominciò a contorcersi, in spasimi di dolore e di paura. -Lui gettò un'occhiata al letto. Non si vedeva, in effetti: solo un rigonfiamento +— Dov'è? -nello strato di roba che copriva il pavimento. — Non è per quello. Solo che mi ha +La sua faccia era esangue, grigia carne di cadavere, occhi pieni di orrore. Le labbra le tremavano. Era troppo tardi per tornare indietro; Deke aveva passato il limite. Si sentiva disgustato e nauseato, e ancora più per il fatto che in qualche modo inaspettato e sgradito, gli “piaceva”. -ricordato qualcos'altro. +— Dov'è, Nance? — E lentamente, molto delicatamente, cominciò ad accarezzarle la faccia. -— Cosa? — Si accoccolò di fronte a lui, la camicia che le scopriva una coscia +Deke chiamò l'ascensore del Jackman's con il dito che si muoveva rapido e veloce come un calabrone e si posava leggero come una farfalla sul pulsante di chiamata. Si sentiva pieno di energia, e la controllava perfettamente. Mentre saliva si tolse gli occhiali da sole e sogghignò rivolto alla sua immagine riflessa sulla cromatura sporca di ditate. Aveva le pupille spillate, quasi invisibili, ma il mondo era luminoso come una grande luce al neon. -morbida. +Tiny lo aspettava. Gli angoli della bocca gli si piegarono in un sorriso dolce, mentre notava le sue pupille, la calma esagerata dei movimenti, il tentativo fallito di fingersi goffo. — Bene — disse con voce da bambina. — Pare che debba aspettarmi delle sorprese. La Max era attaccata a uno dei tubi della sedia a rotelle. Deke si mise al suo posto e si inchinò, non proprio in maniera scherzosa. -— Be'.. Non hai mai visto — alzò involontariamente la voce, pronunciando in +— Cominciamo. — Come sfidante, volava in difesa. Materializzò i suoi aerei ad un'altezza intermedia, abbastanza in alto da poter scendere in picchiata, abbastanza in basso da avere un preavviso quando Tiny avesse attaccato. Attese. -fretta le parole — il “Washington Monument”? Di notte? Ha quelle due piccole. . +Furono gli spettatori a metterlo sull'avviso. Un tipo grasso, con la brillantina, assunse un'aria sorpresa; un babbeo dagli occhi vuoti cominciò a sorridere. Si sentì un mormorio. Gli occhi si mossero lentamente su quelle teste rese immobili dal tempo di reazione sovrastimolato. Gli ci vollero tre nanosecondi per individuare la direzione dell'attacco. Deke sollevò la testa di scatto, e. . Figlio di puttana, era “cieco”! I Fokker scendevano dritti dalla lampadina da 200 watt, e Tiny l'aveva indotto a guardarla. Vedeva tutto bianco. Deke strizzò le palpebre facendo sgorgare le lacrime e cercò freneticamente di mantenere la visuale. -luci rosse in cima, per gli aerei o qualcosa del genere, e io. . — Cominciò a +Allargò la formazione, facendo virare due biplani a sinistra e uno a destra. -tremare. +Immediatamente fece compiere a ciascuno un mezzo giro, poi li riportò sulla rotta di prima. Doveva schivare a caso, non sapendo dove fossero gli aerei nemici. -— Hai paura del Washington Monument? — Nance rise come una matta, +Tiny ridacchiò. Deke lo sentiva attraverso i rumori della folla, gli incitamenti, le imprecazioni, il tintinnio delle monete, che sembravano seguire un loro ritmo indipendente dagli alti e bassi del duello. -rotolandosi, agitando le lunghe gambe abbronzate. Indossava il pezzo inferiore +Quando tornò a vedere, un istante più tardi, uno Spad era in fiamme e precipitava. I Fokker seguivano i suoi due aerei superstiti, uno sul primo e due sull'altro. Dopo tre secondi di gioco era in svantaggio di un aereo. -di un bikini color cremisi. +Muovendosi velocemente per evitare che Tiny potesse centrarlo con i traccianti, fece fare un looping all'aereo con un solo inseguitore e portò l'altro verso il punto cieco, fra Tiny e la lampadina. L'espressione di Tiny si fece molto calma. Una lieve ombra di delusione, perfino di disprezzo, venne annullata dalla tranquillità. Guidava gli aerei senza fretta, aspettando che Deke facesse la sua mossa. -— Preferirei morire piuttosto che doverle rivedere — disse lui con voce +Allora, appena un attimo prima del punto cieco, Deke gettò il suo Spad in picchiata, mentre i Fokker gli passavano sopra e si inclinavano in virata da una parte e dall'altra, curvando di nuovo per riprendere posizione. -pacata. +Lo Spad puntò verso il terzo Fokker, messo in posizione dall'altro aereo di Deke. I proiettili mitragliarono le ali e la fusoliera cremisi. Per un istante non accadde nulla, e Deke pensò di aver mancato il bersaglio. Poi il piccolo aereo scivolò a sinistra e precipitò, lasciandosi dietro una scia di fumo oleoso. Tiny aggrottò le sopracciglia, e piccole rughe di dispiacere gli sciuparono la bocca perfetta. Deke sorrise. Uno pari, e Tiny teneva le sue posizioni. -Lei smise di ridere, si sedette, lo scrutò in faccia. Si mordicchiò il labbro +Entrambi gli Spad erano tallonati da vicino. Deke li fece allargare, poi li portò insieme da lati opposti del tavolo. Li puntò dritti uno contro l'altro, neutralizzando il vantaggio di Tiny: nessuno dei due poteva sparare senza mettere in pericolo i propri aerei. Deke portò i suoi alla massima velocità, muso contro muso. Un istante prima che si scontrassero li fece passare uno sopra l'altro, aprendo il fuoco contro i Fokker e virando. Tiny era pronto. I proiettili riempirono l'aria. Poi uno dei blu e uno dei rossi si alzarono liberi, in direzioni opposte. Dietro di loro due biplani si aggrovigliarono in aria. Le ali si toccarono, si torsero, e gli aerei si accartocciarono. Caddero insieme, quasi a picco, sul grande feltro sottostante. -inferiore con i denti bianchi, regolari, come se le stesse venendo in mente +Dieci secondi di gioco, e quattro aerei in meno. Un veterano negro sporse le labbra e soffiò adagio. Qualcun altro scosse la testa incredulo. -qualcosa a cui avrebbe preferito non pensare. Alla fine disse. — Un blocco +Tiny sedeva eretto, un po' inclinato in avanti sulla sua sedia a rotelle, gli occhi fissi, immobili, le mani morbide che stringevano debolmente i braccioli. Aveva perso la sua aria distaccata e divertita; tutta la sua attenzione era concentrata sul gioco. I ragazzi del giro, il tavolo, Jackman's stesso non esistevano più per lui. -mentale? +Bobby Earl Cline gli appoggiò una mano sulla spalla; Tiny non se ne accorse. Gli aerei si trovavano ai lati opposti della sala, guadagnando lentamente quota. Deke portò il suo vicino al soffitto, appena visibile fra il fumo. Gettò a Tiny una rapida occhiata, e i loro occhi si incontrarono. Freddi. — Vediamo cosa sai fare — mormorò Deke a denti stretti. -— Sì — disse lui. — Mi hanno detto che non sarei più tornato a Washington. +Gli aerei si avvicinarono. -Poi si sono messi a ridere, quei rottinculo. +Gli effetti dell'iper erano al massimo, adesso, e Deke vedeva i proiettili traccianti di Tiny strisciare nell'aria come lumache. Dovette mettere il suo Spad sulla linea di fuoco per poter sparare efficacemente, poi inclinarsi e virare in maniera che i proiettili del Fokker gli passassero sotto il carrello. Tiny fu altrettanto pronto, schivando il fuoco di Deke e passando così vicino allo Spad che i carrelli quasi si agganciarono. -— Perché l'hanno fatto? +Deke stava facendo compiere un looping strettissimo al suo Spad, quando cominciarono le allucinazioni. Il feltro si contorse e si sollevò. . si trasformò nell'inferno verde della foresta boliviana su cui Tiny aveva combattuto. I muri si allontanarono in una grigia infinità, e Deke avvertì attorno a sé la gabbia di un jet cibernetico a decollo verticale. -— Sono un ladro. — Non aveva intenzione di dirle che l'accusa era di furto +Ma Deke era preparato. Si aspettava le allucinazioni e sapeva di poterle tenere a bada. I militari non avrebbero mai usato una droga impossibile da combattere. -continuato nei negozi. +Spad e Fokker eseguirono un looping prima di affrontarsi nuovamente. Vedeva la tensione sulla faccia di Tiny Montgomery, gli echi delle battaglie nel cielo profondo della giungla. Portarono gli aerei uno di fronte all'altro, avvertendo le forze di torsione che venivano trasmesse direttamente dagli strumenti al cervelletto, l'adrenalina pompata da sotto le ascelle, la fredda libertà del flusso d'aria sulla fusoliera del jet che si mescolava con gli odori del metallo surriscaldato e del sudore prodotto dalla paura. I proiettili traccianti gli schizzarono davanti alla faccia, e si tirò indietro di scatto, vedendo lo Spad saettare vicino al Fokker, entrambi indenni. Il pubblico agitava i cappelli e batteva i piedi, sembravano tutti pagliacci impazziti. Deke scambiò di nuovo un'occhiata con Tiny. -— Un sacco di gente passava la vita a programmare i computer. E sai cosa? Il +Con cattiveria e anche se ogni nervo era teso come i filamenti di cristallo- carbonio che impedivano ai caccia di andare a pezzi nelle acrobazie sovrumane sopra le Ande, finse un sorriso noncurante e strizzò un occhio, inclinando leggermente la testa come per dire: -cervello umano non assomiglia neanche lontanamente a una macchina. Non si +“Guarda lì.” Tiny gettò un'occhiata di lato. -programmano allo stesso modo. — Deke conosceva quel modo di chiacchierare +Fu solo una frazione di secondo, ma fu sufficiente. Deke eseguì un Immelmann veloce e strettissimo, ai limiti della tolleranza teorica, quale non si era mai visto sul circuito, e si attaccò alla coda di Tiny. -acuto, disperato, quei lunghi e prolissi discorsi che la gente sola racconta ai rari +“Vediamo come te la cavi adesso, faccia di merda”. -ascoltatori; lo ricordava da cento notti fredde e vuote, passate in compagnia di +Tiny si buttò in picchiata verso il tappeto verde, e Deke lo seguì. -estranei. Nance ci si era persa, e Deke, mentre annuiva e sbadigliava, si chiese se +Non sparò. Aveva portato Tiny dove voleva. In fuga. Proprio come in ogni missione di combattimento. Esaltato per l'iper, forse, ma spaventato, in fuga. -sarebbe riuscito a rimanere sveglio quando finalmente si fossero messi in quel +Erano a pelo del feltro, adesso, a livello delle cime degli alberi. “Crepa” pensò Deke, e aumentò la velocità. Vedeva Bobby Earl Cline con la coda dell'occhio, e c'era una strana espressione sulla sua faccia. Come una preghiera. La posa tranquilla di Tiny era svanita. Aveva il volto contorto, tormentato. -letto. +Tiny si lasciò prendere dal panico, e gettò il suo aereo fra la folla. I biplani eseguivano acrobazie fra i ragazzi del giro. Qualcuno saltava indietro involontariamente, altri agitavano le mani ridendo. Ma c'era una luce di terrore negli occhi di Tiny, che parlava di eternità, di paura e prigionia, due lame che si tagliavano l'un l'altra senza fine. . -—L'ho costruita io quella proiezione di prima — disse lei stringendosi le +La paura era la morte nell'aria, la prigionia l'essere rinchiuso nel metallo, prima dell'aereo poi della sedia. Deke gli leggeva tutto in faccia: il combattimento era l'unica via d'uscita che Tiny avesse avuto, e aveva colto ogni occasione. Fino a quando qualche anonimo “nationalista” con un vecchio SAM l'aveva strappato dal cielo verdeazzurro della Bolivia e l'aveva scaraventato su Richmond Road e nel Jackman's, contro quel killer sorridente contro cui stava combattendo per l'ultima volta sul feltro sbiadito. Deke si sollevò sulle punte dei piedi, la faccia che bruciava di quel sorriso da un milione di dollari che è il segno distintivo della droga che aveva già consumato Tiny prima che qualcuno si desse la pena di farlo precipitare in un intrico di metallo e carne straziata. In quel momento fu tutto chiaro. Deke vide che volare era l'unica cosa che tenesse insieme Tiny. Sfiorare ogni giorno le dita della morte per poi levarsi dalla bara di metallo, nuovamente vivo. Aveva tenuto a bada il collasso con la sola forza della volontà. Spezzata quella forza, la morte sarebbe scesa su di lui, affogandolo. Tiny si sarebbe chinato, vomitandosi addosso. -ginocchia sotto il mento. — Serve per i rapinatori, sai. Ce l'avevo con me per +E Deke colpì. . -caso, e te l'ho buttata in faccia perché ho pensato che era proprio divertente, tu +Vi fu un momento di silenzio incredulo, mentre l'ultimo aereo di Tiny svaniva in un lampo di luce. — Ce l'ho fatta — sussurrò Deke. Poi, a voce più alta: — Figlio di puttana, ce l'ho fatta! Dall'altra parte del tavolo Tiny si contorse sulla sedia, le braccia che si agitavano spasmodicamente; la testa gli si afflosciò su una spalla. Dietro di lui, Bobby Earl Cline fissava dritto Deke, gli occhi come carboni ardenti. -che cercavi di vendermi quella stronzata di programmatore indogiavanese. — Si +Il giocatore prese la Max e avvolse il nastro attorno a un pacco di banconote. -inginocchiò e allungò di nuovo la mano. — Guarda qui. — Derek si ritrasse. — +Senza preavviso, gettò il tutto in faccia a Deke. Senza sforzo, con indifferenza, Deke l'afferrò al volo. Per un momento, parve che il giocatore volesse saltargli addosso, scavalcando il tavolo da biliardo. Venne fermato da uno strattone alla manica. — Bobby Earl — sussurrò Tiny, la voce soffocata per l'umiliazione — portami. . fuori. . -No, no, non preoccuparti, te lo giuro, è diverso. — Aprì la mano. Una fiamma blu +Rigidamente, con rabbia, Cline fece girare la sedia a rotelle e la spinse via, nell'ombra. -le danzava sul palmo, perfetta e continuamente mutevole. — Guardala — disse. +Deke gettò indietro la testa e rise. Perdio, come si sentiva bene! Si mise la Max nel taschino della camicia. La sentì dura e pesante. Il denaro lo infilò nei jeans. -— È stupenda. L'ho programmata io. Non è una delle solite robe a sette +Dio, aveva voglia di saltare, si sentiva dentro il trionfo, era come un animale selvaggio, bello e forte come un cervo che aveva visto una volta da un Greyhound, e in quel momento gli sembrò che ne fosse valsa la pena, tutto il dolore e le sofferenze che aveva dovuto sopportare per vincere. -immagini. È un ciclo continuo di due ore, 7200 secondi, mai due volte la stessa, +Ma il Jackman's era silenzioso. Nessuno applaudiva. Nessuno veniva da lui per congratularsi. Si calmò, e vide facce silenziose, ostili. Nessuno dei tipi del giro era dalla sua parte. Trasudavano disprezzo. Per un interminabile momento l'aria fu carica di violenza pronta a esplodere. . poi qualcuno si voltò, scatarrò e sputò sul pavimento. Il gruppo si disperse, mormorando, scivolando ad uno ad uno nel buio. Deke non si mosse. Un muscolo della gamba cominciò a contrarsi, segnale del collasso da iper. Sentiva il cranio intorpidito, e aveva un sapore orribile in bocca. Per un secondo dovette aggrapparsi con entrambe le mani al bordo del tavolo, per non cadere all'infinito nell'ombra vivente sotto di lui, mentre rimaneva sospeso, impalato dagli occhi morti del cervo nella foto sotto l'orologio. Un po' di adrenalina l'avrebbe rimesso in sesto. Doveva festeggiare. -cazzo, ogni istante unico come un fiocco di neve! +Ubriacarsi, drogarsi, parlare della sua vittoria, raccontarla più volte, contraddirsi, inventarsi particolari, ridere e vantarsi. Una sera di gloria come quella esigeva delle spacconate. Ma mentre era lì in piedi, con tutto il Jackman's enorme e silenzioso e deserto attorno a lui, si rese conto d'improvviso che non gli rimaneva nessuno a cui raccontarlo. -Il cuore della fiamma era un cristallo di ghiaccio, frammenti e sfaccettature - -che schizzavano in alto, si contorcevano, sparivano, lasciandosi dietro immagini - -quasi subliminali, così luminose e definite che tagliavano l'occhio. Deke fece una - -smorfia. Soprattutto persone. Gente carina e nuda, che scopava. — Come diavolo - -hai fatto? Lei si alzò, scivolando con il piede nudo su una rivista di carta patinata, - -e con gesto melodrammatico scostò delle strisce di modulo continuo da uno - -scaffale in compensato grezzo. Deke vide una fila di piccoli apparecchi, austeri e - -dall'aria costosa, costruiti su ordinazione. — Questa qui è roba seria. Facilitatore - -d'immagine. Modulo di cancellazione rapida. Analizzatore di funzione con - -mappa cerebrale. — Snocciolava i nomi come una litania. — Stabilizzatore - -quantico di tremolio. Giuntatore di programmi. Assemblatore di immagini. . - -— E ti serve tutta quella roba per fare una fiammella? - -— Puoi dirci giuro. Queste apparecchiature sono il massimo in circolazione, - -professionali. Sono anni avanti rispetto a qualsiasi cosa abbia visto in vita tua. - -— Ehi — disse lui. — Mai sentito parlare di “Spads & Fokkers”? - -Lei rise. E allora gli parve che fosse il momento giusto, così fece per prenderle - -la mano. - -— Non toccarmi, figlio di troia, non toccarmi mai! — urlò Nance, e sbatté la - -testa contro il muro mentre si ritraeva, pallida e tremante per il terrore. - -— Okay! — Deke alzò le braccia. — Okay! Sto lontano. Okay? - -Lei lo teneva a distanza, con occhi grandi immobili. Le lacrime raccolte agli - -angoli degli occhi rotolarono lungo le guance cineree. Alla fine scosse la testa. — - -Ehi. Deke. Scusa. Avrei dovuto dirtelo. - -— Dirmi cosa? — Ma si sentì accapponare la pelle. . Aveva già capito. - -Da come lei si stringeva la testa. Da come apriva e chiudeva le mani, - -spasmodicamente. — Hai un blocco mentale anche tu. - -— Sì. — Lei chiuse gli occhi. — Un blocco di castità. Sono stati quelle facce di - -merda dei miei genitori. Non posso sopportare che qualcuno mi tocchi, o che mi - -stia troppo vicino. — Spalancò gli occhi, pieni di odio cieco. — Non ho mai - -neanche fatto niente. Proprio un cazzo. Loro lavorano tutti e due, e sono così - -ansiosi che anch'io faccia carriera che non sono neanche capaci a pisciare dritto. - -Hanno paura che trascuri i miei studi, se ci do dentro, be', hai capito, col sesso e - -roba del genere. Ma il giorno che tolgono il blocco giuro che mi faccio chiavare - -dal porco più schifoso, lercio e peloso. . Si stringeva di nuovo la testa. Deke corse - -all'armadietto dei medicinali. Trovò un barattolo di vitamina B, se ne mise in - -tasca qualcuna in caso di bisogno, e ne portò due a Nance, con un bicchiere - -d'acqua. — Prendi. — Si tenne a una certa distanza. — Questo servirà a calmarti. - -— Grazie — disse lei. Poi, quasi a se stessa: — Penserai che sono matta. - -La sala giochi della stazione dei pullman era quasi vuota. Un ragazzino di - -quattordici anni con la faccia allungata era chino su una consolle, intento a - -manovrare flotte di sottomarini nel reticolo caliginoso del Nord Atlantico. - -Deke entrò con passo indolente, con addosso la sua tenuta da ragazzo del giro, - -e si appoggiò a un muro di blocchi di scorie pressate reso liscio da innumerevoli - -mani di smalto verde. Si era lavato via la tintura dai capelli a spazzola, da - -proletario, aveva rubato jeans e maglietta da Goodwill e aveva trovato un paio di - -stivaletti negli armadietti della sauna di un ostello, quelli con le serrature da - -quattro soldi. - -— Hai visto Tiny in giro, amico? - -I sottomarini schizzavano come pesciolini fluorescenti. — Dipende da chi lo - -vuol sapere. - -Deke si toccò il telecomando dietro l'orecchio sinistro. Lo Spad roteò su se - -stesso sopra la consolle, veloce e delicato come una farfalla. Era bellissimo; così - -perfetto, così “vero” da far sembrare la sala un'illusione. Sfrecciò sul reticolo a - -pochi millimetri dal vetro, traendo vantaggio dall'effetto suolo programmato. Il - -ragazzino non si preoccupò neppure di alzare gli occhi. — Da Jackman's — disse. - -— Richmond Road, vicino ai residuati. Deke lasciò svanire lo Spad a metà di - -un'impennata. Jackman's occupava la maggior parte del terzo piano di un - -vecchio edificio in mattoni. Deke trovò per prima cosa il Best Buy War Surplus, - -poi un'insegna al neon rotta sopra un ingresso buio. Il marciapiede di fronte era - -pieno di residuati d'altro tipo: veterani mutilati, alcuni dei tempi dell'Indocina. - -Vecchi che avevano lasciato gli occhi sotto il sole asiatico erano accovacciati - -vicino a ragazzi che avevano inalato micotossine in Cile. Deke fu contento di - -sentire le porte del vecchio ascensore chiuderglisi dolcemente alle spalle. - -L'orologio polveroso sul lato opposto della lunga sala spettrale gli disse che - -mancava un quarto alle otto. Il Jackman's era stato imbalsamato venti anni - -prima che lui nascesse, sigillato con una pellicola giallastra di nicotina, lucido e - -brillantina. Direttamente sotto l'orologio, gli occhi vuoti di un cervo, preda del - -nonno di chissà chi, guardavano Deke da una fotografia incorniciata e ingrandita - -che aveva assunto la tinta seppia delle ali di uno scarafaggio. Si sentivano i colpi - -secchi e i fruscii di un tavolo da biliardo, lo scricchiolio di uno stivale da lavoro - -sul linoleum mentre un giocatore si chinava per tirare. Sopra le lampade con i - -paralumi verdi era appesa una sfilza di campane di Natale in carta crespa - -scolorita, di un rosa morto. Deke guardò le pareti ingombre. Nessun facilitatore. - -— Ce lo portano, se serve — disse qualcuno. Deke si voltò incontrando gli - -occhi miti di un uomo calvo con occhiali cerchiati. — Mi chiamo Cline. Bobby - -Earl. Non avete l'aria di uno che gioca a biliardo, signore. — Non c'era nulla di - -minaccioso nella voce o nel fare di Bobby Earl. Si tolse gli occhiali dal naso e pulì - -le spesse lenti con un pezzo di tela. A Deke ricordava un istruttore che aveva - -cercato pazientemente di insegnargli l'installazione inversa dei biochip. — Io - -sono un giocatore — disse, sorridendo. Aveva i denti di plastica bianca. — So di - -non averne l'aria. - -— Sto cercando Tiny — disse Deke. - -— Be' — disse lui rimettendosi gli occhiali — non lo troverai. È andato al - -Bethesda a farsi ripulire l'impianto idraulico. E comunque non si batterebbe - -contro di te. - -— Perché no? - -— Perché non sei del giro, altrimenti riconoscerei la tua faccia. Sei bravo? — - -Quando Deke annuì, Bobby Earl chiamo: — Ehi Clarence! Porta quel facilitatore. - -Abbiamo un aviatore. - -Venti minuti più tardi, perso il telecomando e i pochi soldi che gli restavano, - -Deke passava accanto ai soldati mutilati del Best Buy. - -— Lascia che ti dica una cosa, ragazzo — gli aveva detto Bobby Earl con tono - -paterno, la mano sulla spalla, mentre accompagnava Deke all'ascensore. — Non - -riuscirai mai a vincere contro un ex-combattente. . mi ascolti? Io non sono - -neanche tanto bravo, solo un vecchio soldato di fanteria, sono stato in iper - -quindici, forse venti volte. Il vecchio Tiny era un pilota, un pilota coi coglioni. Ha - -passato tutta la guerra in iper fino al collo. Ha le membrane ridotte male. . non - -riuscirai mai a batterlo. - -Era una sera fredda. Ma Deke bruciava di rabbia e umiliazione. - -—Cristo, quanto è rozzo — disse Nance, mentre lo Spad mitragliava colline di - -biancheria intima rosa. Deke, raggomitolato sul divano, si strappò da dietro - -l'orecchio il piccolo e costoso telecomando Braun. - -— Adesso non mettertici anche tu, stronzetta nata-con-la-camicia. . - -— Ehi, calmati! Non è mica colpa tua. È solo questione di tecnologia. - -Quella piastrina che hai tu è veramente primitiva. Voglio dire, per il mercato - -magari va bene. Ma paragonata alle cose che facciamo a scuola è. . Dovrei - -riscrivertela io. - -— Come sarebbe? - -— Lascia che te la sistemi io. Queste puttanate sono scritte tutte in - -esadecimale, capisci, perché i programmatori dell'industria vengono tutti dai - -computer. È così che pensano. Ma fammelo portare al lettore-analizzatore del - -dipartimento, inserire qualche modifica, tradurlo in un linguaggio moderno, - -eliminare tutte le parti ridondanti. . Ti migliorerà i tempi di reazione, dimezzerà - -il circuito di feedback. Così volerai più veloce e meglio. Diventerai un vero - -professionista! — Tirò una boccata di marijuana dalla pipa ad acqua, poi si piegò - -in due, ridendo e tossendo. - -— È legale? — chiese Deke dubbioso. - -— Ehi, perché credi che la gente compri telecomandi con i fili in oro? Per il - -prestigio? Cagate. La conduttività migliora, elimina qualche nanosecondo dal - -tempo di reazione. E nel gioco il tempo di reazione è tutto, ragazzo. - -— No — disse Deke. — Se fosse così facile, la gente ce l'avrebbe già. - -Tiny Montgomery ce l'avrebbe. Avrebbe il meglio. - -— Ma mi ascolti o no? — Nance appoggiò la pipa, e un po' di acqua marrone si - -rovesciò per terra. — La roba con cui lavoro io è tre anni avanti a qualsiasi cosa - -si trovi in giro. - -— Sul serio? — disse Deke dopo una pausa. — Puoi farlo? - -Era come passare da un Modello T a una Lotus del ‘93. Lo Spad era un sogno, - -rispondeva al minimo pensiero di Deke. Per settimane si fece le sale giochi senza - -essere mai battuto. Volava contro i ragazzini del posto e abbatteva i loro aerei, - -uno o tre per volta. Correva rischi, giocava veloce. E gli aerei cadevano. . - -Finché un giorno Deke stava mettendo via i soldi delle vincite, e un negro - -dinoccolato si staccò dal muro. Guardò le banconote di Deke con il loro involucro - -di plastica e sorrise. Un dente con incastonato un rubino lampeggiò. — Sai — - -disse — io l'avevo “sentito” che c'era un tizio che sapeva volare contro i - -ragazzini. - -— Diocristo — fece Deke spalmando burro danese su un grissino alle alghe. — - -Li ho sotterrati, quei negri. Ed erano anche bravi. - -— Mi fa piacere, tesoro — mormorò Nance. Stava lavorando sul suo progetto - -per gli esami di fine d'anno, immettendo dati in una macchina. - -— Sai, credo di avere del talento per questa roba. Capisci? Cioè, il programma - -mi dà il vantaggio, ma io so sfruttarlo sul serio. Mi sto facendo una reputazione, - -sai? — D'impulso accese la radio. Ottoni stridenti, dixieland. - -— Ehi — disse Nance. — Ti dispiace abbassare? - -— Scusa, stavo solo. . — Cercò un'altra stazione, trovò della roba lenta, - -romantica. — Ecco. Alzati. Balliamo. - -— Ehi, lo sai che non posso. . - -— Invece puoi, bellezza. — Le buttò il grosso orsacchiotto di peluche, e - -raccolse dal pavimento un abito di cotone stampato di lei. Lo tenne per la vita e - -per una manica infilandosi il colletto sotto il mento. Profumava di patchouli, e - -più lievemente di sudore. — Io sto qui e tu stai lì, e balliamo. Capito? - -Sbattendo le palpebre, Nance si alzò e strinse forte l'orsacchiotto. Ballarono - -lentamente, guardandosi negli occhi. Dopo un po', lei cominciò a piangere. Senza - -smettere di sorridere. - -Deke stava sognando a occhi aperti, immaginando di essere Tiny Montgomery - -collegato al suo jet. Immaginava la macchina che reagiva ad ogni minimo - -impulso neurale, i riflessi tesi al massimo, lo stimolante che scorreva nelle vene. - -Il pavimento della stanza di Nance divenne una giungla tropicale, il letto un - -altopiano ai piedi delle Ande, e Deke faceva volare il suo Spad alla velocità - -massima, come se fosse un caccia interattivo. Ipodermiche computerizzate gli - -immettevano superstimolanti nel flusso sanguigno. Sensori inseriti direttamente - -nel cranio. . mentre eseguiva una virata supersonica nel grande bacino verde- - -azzurro del cielo sopra la foresta tropicale boliviana. Sicuramente Tiny sarebbe - -stato capace di sentire il flusso del vento sulle superfici di controllo. Sotto di lui - -la fanteria si faceva strada nella giungla, con le pompe di stimolanti legate sopra - -il gomito per dare loro una spintarella in più, da danza della morte, nel - -combattimento, una spruzzata di inferno liquido in una fiala di plastica blu. Ne - -ricevevano forse per dieci minuti alla settimana. Ma per volare a pelo degli - -alberi, i riflessi tesi al massimo, così basso che le truppe di terra non ti vedevano - -finché non eri sopra di loro, con gli agenti al fosgene già scaricati, e sparivi prima - -ancora che potessero prendere la mira. . ci voleva un flusso costante di - -iperstimolanti per mantenersi in quelle condizioni. E l'interfaccia neurale con - -l'aereo era una strada a doppio senso: i computer di bordo controllavano i dati - -biochimici e decidevano quando immettere la roba, quando fornire alla - -componente umana una dose killer di spirito combattivo. - -Dosaggi di quel genere distruggono. Distruggono a poco a poco, senza tregua, - -incidendo le superfici del cervello, erodendo le membrane cellulari. Se non si - -veniva congedati in fretta ci si ritrovava con un'attenuazione delle cellule - -neurali: riflessi troppo rapidi per essere controllati dal corpo, e l'istinto di fuga- - -o-attacco completamente sballato. . - -— Ce l'ho fatta, ragazzo! - -— Eh? — Deke alzò gli occhi, sorpreso, mentre Nance entrava sbattendo la - -porta, gettando libri e borsa sul mucchio più vicino. - -— Il mio progetto. . sono stata esentata dagli esami. Il profe ha detto che non - -aveva mai visto una roba del genere. Ehi, senti, abbassa le luci, ti spiace? I colori - -mi fanno un effetto strano. — Lui l'accontentò. — Fammi vedere, allora. Fammi - -vedere questa cosa meravigliosa. - -— Sicuro. — Nance prese il telecomando, buttò giù a calci un po' di roba dal - -letto e si mise in posa. Una scintilla si trasformò in una fiamma sopra il palmo - -della sua mano. Si sparse come un rivoletto di mercurio lungo il braccio, il collo, - -e divenne un serpente, con la testa triangolare e la lingua dardeggiante. Colori - -ardenti, arancione e rosso. Le scivolò fra i seni. — L'ho chiamato serpente di - -fuoco — disse lei orgogliosamente. - -Deke si avvicinò per guardare meglio, e lei balzò indietro. - -— Scusa. È come la fiamma, no? Cioè, si vedono quelle piccole figurine che - -scopano, dentro. - -— Una specie — disse lei. Il serpente di fuoco le scivolò lungo lo stomaco. — Il - -mese prossimo giunterò 200 programmi di fiamma separati, con delle - -giustificazioni intermedie per ottenere l'effetto visuale. Poi inserirò l'immagine - -mentale del corpo per renderlo autorientante. - -— Così potrà strisciare lungo tutto il corpo senza doverci pensare. Potrai - -indossarlo mentre balli. Forse sono scemo. Ma se non l'hai ancora fatto, com'è - -che posso vederlo? - -Nance ridacchiò. — È qui il bello. . metà del lavoro non l'ho ancora fatto. Non - -avevo tempo di assemblare i pezzi in un programma unificato. Accendi la radio: - -voglio ballare. — Gettò via le scarpe. Deke si sintonizzò su qualcosa di vigoroso. - -Poi, su richiesta di Nance, l'abbassò fin quasi a un sussurro. - -— Mi sono procurata due dosi di iper, capisci. — Saltellava sul letto, - -intrecciando le mani come una danzatrice balinese. — L'hai mai provata. - -Incredibile. Dà una concentrazione assoluta. Guarda. — Si mise “en pointe”. — - -Mai fatto prima. - -— Iper — disse Deke. — L'ultima persona che ho conosciuto che hanno - -trovato con quella roba, si è beccato tre anni in fanteria. Come te la sei - -procurata? - -— Ho fatto un affare con una veterana che avevo conosciuto alle medie. - -— Si è ritirata il mese scorso. Quella roba mi dà la visualizzazione perfetta. - -Posso controllare la proiezione a occhi chiusi. Ho assemblato mentalmente il - -programma in un attimo. - -— Con due dosi sole? - -— Una dose. L'altra mi servirà più avanti. L'insegnante è rimasto così - -impressionato che mi ha prenotato un colloquio per un lavoro. Un reclutatore - -della I. G. Feuchtwaren verrà al campus fra due settimane. Quella capsula servirà - -a vendergli il programma e me. Finirò la scuola con due anni di anticipo, filerò - -dritta nell'industria senza andare in prigione e senza dover pagare 200 dollari. - -Il serpente si arrotolò formando una tiara fiammeggiante. Deke provò una - -strana sensazione al pensiero che Nance sarebbe uscita dalla sua vita. - -— Sono una strega — cantò Nance — la strega del wetware. — Si sfilò la - -camicia dalla testa e la buttò in alto. I seni alti e ben fatti si muovevano liberi, - -mentre ballava. — Arriverò — stava cantando una canzone di successo — fino - -in. . cima! — Aveva i capezzoli piccoli, rosei e ritti. Il serpente di fuoco li leccò, - -poi schizzò via. - -— Ehi, Nance — disse Deke a disagio. — Datti una calmata, huh? - -— Sto festeggiando! — Si infilò un pollice nelle mutandine dorate, lucide. Il - -fuoco le si avvolse attorno alla mano e fra le cosce. — Sono la dea vergine, bello - -mio, e ho la forza! — Stava cantando di nuovo. - -Deke distolse gli occhi. — Adesso devo andare — farfugliò. — Andare a casa a - -farmi una sega. — Si chiese dove avesse nascosto la seconda dose. Poteva essere - -ovunque. - -C'era un protocollo nel giro, un tacito ordine di deferenza e precedenza, - -elaborato quanto quello di una corte imperiale cinese. Non importava se Deke - -era bravo, se la sua reputazione si stava spandendo a macchia d'olio. Anche un - -aviatore di nome non poteva sfidare chi voleva. Doveva salire di grado. Ma se si - -volava ogni sera, se si era sempre disponibili a rispondere alle sfide, e si era - -bravi. . Be', era possibile salire in fretta. - -Deke era in vantaggio di un aereo. Era un torneo, tre aerei contro tre. Non - -c'erano molti spettatori, una dozzina al massimo, ma era un buon duello, e - -facevano rumore. Deke era immerso nella calma maniacale del combattimento, - -quando si rese conto d'improvviso che tutti erano diventati silenziosi. Vide i tipi - -del giro agitarsi e scambiarsi occhiate. Gli occhi guardarono alle sue spalle. Sentì - -le porte dell'ascensore aprirsi. Freddamente eliminò il secondo aereo nemico, - -poi arrischiò una rapida occhiata sopra le spalle. Tiny Montgomery era appena - -entrato da Jackman's. La sedia a rotelle scivolò con un sussurro sul linoleum - -ingiallito, guidata da piccole contrazioni di una mano non del tutto paralizzata. - -La sua espressione era seria calma, indifferente. - -In quell'istante Deke perse due aerei. Uno per derisoluzione, cancellato dal - -facilitatore, e l'altro perché il suo avversario era un vero lottatore: eseguì una - -vite orizzontale, diminuendo la velocità e scivolando di fianco, e mitragliò il - -biplano di Deke mentre gli passava davanti. L'aereo cadde in fiamme. I due - -superstiti avevano la stessa altezza e velocità, e mentre cercavano la posizione - -migliore si ritrovarono naturalmente a girare in tondo. - -Gli altri fecero posto a Tiny mentre si avvicinava al tavolo. Bobby Earl Clive lo - -seguiva, dinoccolato e noncurante. Deke e il suo avversario si scambiarono - -un'occhiata e ritirarono i loro aerei dal tavolo di gioco, per lasciar parlare - -l'uomo. Tiny sorrise. I lineamenti erano piccoli, assiepati al centro della faccia - -pallida e molle. Un dito si contraeva leggermente sul bracciolo della sedia. — Ho - -sentito parlare di te. — Guardò dritto Deke. La voce era morbida e - -sorprendentemente dolce, quasi da bambina. — Ho sentito che sei bravo. Deke - -annuì adagio. Il sorriso svanì dalla faccia di Tiny. Sporse le labbra morbide e - -carnose, come se aspettasse un bacio. Gli occhi piccoli e luminosi studiarono - -Deke senza malizia. — Vediamo cosa sai fare, allora. - -Deke si immerse nel freddo gioco della guerra. E quando il nemico precipitò - -fra fumo e fiamme, per esplodere e svanire sul tavolo, Tiny girò la sedia senza - -una parola, si infilò nell'ascensore e sparì. Mentre Deke raccoglieva le sue - -vincite, Bobby Earl gli si avvicinò e disse: — Vuole giocare con te. - -— Eh? — Deke non era abbastanza in alto nel circuito da sfidare Tiny, - -neanche lontanamente. — Qual è il trucco? - -— Uno che doveva venire domani da Atlanta ha rinunciato. Il vecchio Tiny - -aveva una gran voglia di mettersi contro qualcuno di nuovo. Perciò pare che tu - -possa aspirare alla Max. - -— Domani? Mercoledì? Non mi lascia molto tempo per prepararmi. - -Bobby Earl fece un sorriso gentile. — Non credo che faccia molta differenza. - -— Come sarebbe a dire, signor Cline? - -— Ragazzo, tu non sai le “mosse”, capisci? Non hai sorprese. Voli come un - -principiante, solo più veloce e agile. Mi segui? - -— Non sono tanto sicuro. Vogliamo farci qualche scommessa? - -— A essere sincero — disse Clive — ci speravo. — Tirò fuori dalla tasca un - -piccolo notes nero e leccò la punta di un mozzicone di matita. — Ti do cinque a - -uno. Nessuno ti darà delle quotazioni migliori. - -Guardò Deke quasi con tristezza. — Tiny, vedi, è troppo superiore a te, e - -questo è il succo della faccenda. Lui vive per quel maledetto gioco, non ha altro. - -Non può alzarsi da quella maledetta sedia. Se credi di poter battere un uomo che - -lotta per la propria vita, ti sbagli di grosso. - -Il ritratto del colonnello dipinto da Norman Rockwell guardava Deke - -spassionatamente, dal Kentucky Fried sull'altra parte di Richmond Road, di - -fronte al bar. Deke stringeva la tazza con mani fredde e tremanti. Si sentiva - -ronzare il cranio per la stanchezza. Cline aveva ragione, disse al colonnello. - -Posso combattere con Tiny, ma non posso vincere. Il colonnello fissava con - -sguardo calmo e non particolarmente amichevole, che comprendeva anche il - -bar, il Best Buy e il suo squallido regno di Richmond Road. Aspettando che Deke - -ammettesse a se stesso la cosa terribile che doveva fare. - -— Tanto quella troia mi pianterà lo stesso — disse Deke ad alta voce. - -La cameriera negra lo guardò con aria strana, poi distolse subito gli occhi. - -— Ha telefonato papà! — Nance entrò ballando nell'appartamento, - -sbattendosi la porta alle spalle. — Sai cosa ha detto? Ha detto che se riesco a - -farmi assumere e restare per sei mesi, mi farà togliere il blocco. Ci pensi? Deke? - -— Esitò. — Stai bene? Deke si alzò. Adesso che era arrivato il momento si - -sentiva irreale, come se fosse in un film, o qualcosa del genere. — Perché non sei - -tornato a casa ieri notte? — chiese Nance. - -Lui si sentiva il volto teso in maniera innaturale, una maschera di pergamena. - -— Dove hai nascosto l'iper, Nance? Mi serve. - -— Deke — disse lei, facendo un sorriso incerto che svanì subito. — Deke, è - -mia. La mia dose. Ne ho bisogno. Per il colloquio. Lui sorrise con disprezzo. — - -Hai i soldi. Puoi sempre procurartene un'altra capsula. - -— Non per venerdì! Ascolta, Deke, è veramente importante. Tutta la mia vita - -dipende da quel colloquio. Mi serve quella capsula. È tutto quello che ho! - -— Un cazzo, bella, tu hai tutto il mondo! Merda, guardati in giro: un etto e - -mezzo di hashish libanese! Acciughe in scatola. Assistenza medica illimitata, se - -dovessi averne bisogno. — Lei stava indietreggiando, inciampando contro le - -onde statiche di lenzuola sporche e riviste spiegazzate che si frangevano ai piedi - -del letto. — Io non ho mai avuto niente di lontanamente simile a questo. Non ho - -mai avuto quel vantaggio che ti fa andare avanti. Be', questa volta ce l'ho. C'è un - -combattimento fra due ore che io ho intenzione di vincere. Mi senti? — Si stava - -infuriando, e questo era un bene. Ne aveva bisogno per quello che doveva fare. - -Nance alzò le braccia, il palmo aperto, ma questa volta lui era pronto e le colpì - -la mano, senza vedere neppure il tunnel nero, o i piccoli occhi rossi. Poi caddero - -tutti e due, e lui le si trovò sopra, il respiro di Nance caldo e veloce sulla sua - -faccia. — Deke! Deke! Io ho bisogno di quella roba, Deke, il mio colloquio, è la - -sola. . devo. . devo. . — Girò la testa, piangendo, verso il muro. — Ti prego, Dio, ti - -prego, non. . - -— Dove l'hai nascosta? - -Bloccata sul letto dal suo corpo, Nance cominciò a contorcersi, in spasimi di - -dolore e di paura. - -— Dov'è? - -La sua faccia era esangue, grigia carne di cadavere, occhi pieni di orrore. Le - -labbra le tremavano. Era troppo tardi per tornare indietro; - -Deke aveva passato il limite. Si sentiva disgustato e nauseato, e ancora più per - -il fatto che in qualche modo inaspettato e sgradito, gli “piaceva”. - -— Dov'è, Nance? — E lentamente, molto delicatamente, cominciò ad - -accarezzarle la faccia. - -Deke chiamò l'ascensore del Jackman's con il dito che si muoveva rapido e - -veloce come un calabrone e si posava leggero come una farfalla sul pulsante di - -chiamata. Si sentiva pieno di energia, e la controllava perfettamente. Mentre - -saliva si tolse gli occhiali da sole e sogghignò rivolto alla sua immagine riflessa - -sulla cromatura sporca di ditate. Aveva le pupille spillate, quasi invisibili, ma il - -mondo era luminoso come una grande luce al neon. - -Tiny lo aspettava. Gli angoli della bocca gli si piegarono in un sorriso dolce, - -mentre notava le sue pupille, la calma esagerata dei movimenti, il tentativo - -fallito di fingersi goffo. — Bene — disse con voce da bambina. — Pare che debba - -aspettarmi delle sorprese. La Max era attaccata a uno dei tubi della sedia a - -rotelle. Deke si mise al suo posto e si inchinò, non proprio in maniera scherzosa. - -— Cominciamo. — Come sfidante, volava in difesa. Materializzò i suoi aerei ad - -un'altezza intermedia, abbastanza in alto da poter scendere in picchiata, - -abbastanza in basso da avere un preavviso quando Tiny avesse attaccato. Attese. - -Furono gli spettatori a metterlo sull'avviso. Un tipo grasso, con la brillantina, - -assunse un'aria sorpresa; un babbeo dagli occhi vuoti cominciò a sorridere. Si - -sentì un mormorio. Gli occhi si mossero lentamente su quelle teste rese immobili - -dal tempo di reazione sovrastimolato. Gli ci vollero tre nanosecondi per - -individuare la direzione dell'attacco. Deke sollevò la testa di scatto, e. . Figlio di - -puttana, era “cieco”! I Fokker scendevano dritti dalla lampadina da 200 watt, e - -Tiny l'aveva indotto a guardarla. Vedeva tutto bianco. Deke strizzò le palpebre - -facendo sgorgare le lacrime e cercò freneticamente di mantenere la visuale. - -Allargò la formazione, facendo virare due biplani a sinistra e uno a destra. - -Immediatamente fece compiere a ciascuno un mezzo giro, poi li riportò sulla - -rotta di prima. Doveva schivare a caso, non sapendo dove fossero gli aerei - -nemici. - -Tiny ridacchiò. Deke lo sentiva attraverso i rumori della folla, gli incitamenti, - -le imprecazioni, il tintinnio delle monete, che sembravano seguire un loro ritmo - -indipendente dagli alti e bassi del duello. - -Quando tornò a vedere, un istante più tardi, uno Spad era in fiamme e - -precipitava. I Fokker seguivano i suoi due aerei superstiti, uno sul primo e due - -sull'altro. Dopo tre secondi di gioco era in svantaggio di un aereo. - -Muovendosi velocemente per evitare che Tiny potesse centrarlo con i - -traccianti, fece fare un looping all'aereo con un solo inseguitore e portò l'altro - -verso il punto cieco, fra Tiny e la lampadina. L'espressione di Tiny si fece molto - -calma. Una lieve ombra di delusione, perfino di disprezzo, venne annullata dalla - -tranquillità. Guidava gli aerei senza fretta, aspettando che Deke facesse la sua - -mossa. - -Allora, appena un attimo prima del punto cieco, Deke gettò il suo Spad in - -picchiata, mentre i Fokker gli passavano sopra e si inclinavano in virata da una - -parte e dall'altra, curvando di nuovo per riprendere posizione. - -Lo Spad puntò verso il terzo Fokker, messo in posizione dall'altro aereo di - -Deke. I proiettili mitragliarono le ali e la fusoliera cremisi. Per un istante non - -accadde nulla, e Deke pensò di aver mancato il bersaglio. Poi il piccolo aereo - -scivolò a sinistra e precipitò, lasciandosi dietro una scia di fumo oleoso. Tiny - -aggrottò le sopracciglia, e piccole rughe di dispiacere gli sciuparono la bocca - -perfetta. Deke sorrise. Uno pari, e Tiny teneva le sue posizioni. - -Entrambi gli Spad erano tallonati da vicino. Deke li fece allargare, poi li portò - -insieme da lati opposti del tavolo. Li puntò dritti uno contro l'altro, - -neutralizzando il vantaggio di Tiny: nessuno dei due poteva sparare senza - -mettere in pericolo i propri aerei. Deke portò i suoi alla massima velocità, muso - -contro muso. Un istante prima che si scontrassero li fece passare uno sopra - -l'altro, aprendo il fuoco contro i Fokker e virando. Tiny era pronto. I proiettili - -riempirono l'aria. Poi uno dei blu e uno dei rossi si alzarono liberi, in direzioni - -opposte. Dietro di loro due biplani si aggrovigliarono in aria. Le ali si toccarono, - -si torsero, e gli aerei si accartocciarono. Caddero insieme, quasi a picco, sul - -grande feltro sottostante. - -Dieci secondi di gioco, e quattro aerei in meno. Un veterano negro sporse le - -labbra e soffiò adagio. Qualcun altro scosse la testa incredulo. - -Tiny sedeva eretto, un po' inclinato in avanti sulla sua sedia a rotelle, gli occhi - -fissi, immobili, le mani morbide che stringevano debolmente i braccioli. Aveva - -perso la sua aria distaccata e divertita; tutta la sua attenzione era concentrata - -sul gioco. I ragazzi del giro, il tavolo, Jackman's stesso non esistevano più per lui. - -Bobby Earl Cline gli appoggiò una mano sulla spalla; Tiny non se ne accorse. Gli - -aerei si trovavano ai lati opposti della sala, guadagnando lentamente quota. Deke - -portò il suo vicino al soffitto, appena visibile fra il fumo. Gettò a Tiny una rapida - -occhiata, e i loro occhi si incontrarono. Freddi. — Vediamo cosa sai fare — - -mormorò Deke a denti stretti. - -Gli aerei si avvicinarono. - -Gli effetti dell'iper erano al massimo, adesso, e Deke vedeva i proiettili - -traccianti di Tiny strisciare nell'aria come lumache. Dovette mettere il suo Spad - -sulla linea di fuoco per poter sparare efficacemente, poi inclinarsi e virare in - -maniera che i proiettili del Fokker gli passassero sotto il carrello. Tiny fu - -altrettanto pronto, schivando il fuoco di Deke e passando così vicino allo Spad - -che i carrelli quasi si agganciarono. - -Deke stava facendo compiere un looping strettissimo al suo Spad, quando - -cominciarono le allucinazioni. Il feltro si contorse e si sollevò. . si trasformò - -nell'inferno verde della foresta boliviana su cui Tiny aveva combattuto. I muri si - -allontanarono in una grigia infinità, e Deke avvertì attorno a sé la gabbia di un jet - -cibernetico a decollo verticale. - -Ma Deke era preparato. Si aspettava le allucinazioni e sapeva di poterle tenere - -a bada. I militari non avrebbero mai usato una droga impossibile da combattere. - -Spad e Fokker eseguirono un looping prima di affrontarsi nuovamente. Vedeva - -la tensione sulla faccia di Tiny Montgomery, gli echi delle battaglie nel cielo - -profondo della giungla. Portarono gli aerei uno di fronte all'altro, avvertendo le - -forze di torsione che venivano trasmesse direttamente dagli strumenti al - -cervelletto, l'adrenalina pompata da sotto le ascelle, la fredda libertà del flusso - -d'aria sulla fusoliera del jet che si mescolava con gli odori del metallo - -surriscaldato e del sudore prodotto dalla paura. I proiettili traccianti gli - -schizzarono davanti alla faccia, e si tirò indietro di scatto, vedendo lo Spad - -saettare vicino al Fokker, entrambi indenni. Il pubblico agitava i cappelli e - -batteva i piedi, sembravano tutti pagliacci impazziti. Deke scambiò di nuovo - -un'occhiata con Tiny. - -Con cattiveria e anche se ogni nervo era teso come i filamenti di cristallo- - -carbonio che impedivano ai caccia di andare a pezzi nelle acrobazie sovrumane - -sopra le Ande, finse un sorriso noncurante e strizzò un occhio, inclinando - -leggermente la testa come per dire: - -“Guarda lì.” - -Tiny gettò un'occhiata di lato. - -Fu solo una frazione di secondo, ma fu sufficiente. Deke eseguì un Immelmann - -veloce e strettissimo, ai limiti della tolleranza teorica, quale non si era mai visto - -sul circuito, e si attaccò alla coda di Tiny. - -“Vediamo come te la cavi adesso, faccia di merda”. - -Tiny si buttò in picchiata verso il tappeto verde, e Deke lo seguì. - -Non sparò. Aveva portato Tiny dove voleva. In fuga. Proprio come in ogni - -missione di combattimento. Esaltato per l'iper, forse, ma spaventato, in fuga. - -Erano a pelo del feltro, adesso, a livello delle cime degli alberi. “Crepa” pensò - -Deke, e aumentò la velocità. Vedeva Bobby Earl Cline con la coda dell'occhio, e - -c'era una strana espressione sulla sua faccia. Come una preghiera. La posa - -tranquilla di Tiny era svanita. Aveva il volto contorto, tormentato. - -Tiny si lasciò prendere dal panico, e gettò il suo aereo fra la folla. I biplani - -eseguivano acrobazie fra i ragazzi del giro. Qualcuno saltava indietro - -involontariamente, altri agitavano le mani ridendo. Ma c'era una luce di terrore - -negli occhi di Tiny, che parlava di eternità, di paura e prigionia, due lame che si - -tagliavano l'un l'altra senza fine. . - -La paura era la morte nell'aria, la prigionia l'essere rinchiuso nel metallo, - -prima dell'aereo poi della sedia. Deke gli leggeva tutto in faccia: il - -combattimento era l'unica via d'uscita che Tiny avesse avuto, e aveva colto ogni - -occasione. Fino a quando qualche anonimo “nationalista” con un vecchio SAM - -l'aveva strappato dal cielo verdeazzurro della Bolivia e l'aveva scaraventato su - -Richmond Road e nel Jackman's, contro quel killer sorridente contro cui stava - -combattendo per l'ultima volta sul feltro sbiadito. Deke si sollevò sulle punte dei - -piedi, la faccia che bruciava di quel sorriso da un milione di dollari che è il segno - -distintivo della droga che aveva già consumato Tiny prima che qualcuno si desse - -la pena di farlo precipitare in un intrico di metallo e carne straziata. In quel - -momento fu tutto chiaro. Deke vide che volare era l'unica cosa che tenesse - -insieme Tiny. Sfiorare ogni giorno le dita della morte per poi levarsi dalla bara di - -metallo, nuovamente vivo. Aveva tenuto a bada il collasso con la sola forza della - -volontà. Spezzata quella forza, la morte sarebbe scesa su di lui, affogandolo. Tiny - -si sarebbe chinato, vomitandosi addosso. - -E Deke colpì. . - -Vi fu un momento di silenzio incredulo, mentre l'ultimo aereo di Tiny svaniva - -in un lampo di luce. — Ce l'ho fatta — sussurrò Deke. Poi, a voce più alta: — - -Figlio di puttana, ce l'ho fatta! Dall'altra parte del tavolo Tiny si contorse sulla - -sedia, le braccia che si agitavano spasmodicamente; la testa gli si afflosciò su una - -spalla. Dietro di lui, Bobby Earl Cline fissava dritto Deke, gli occhi come carboni - -ardenti. - -Il giocatore prese la Max e avvolse il nastro attorno a un pacco di banconote. - -Senza preavviso, gettò il tutto in faccia a Deke. Senza sforzo, con indifferenza, - -Deke l'afferrò al volo. Per un momento, parve che il giocatore volesse saltargli - -addosso, scavalcando il tavolo da biliardo. Venne fermato da uno strattone alla - -manica. — Bobby Earl — sussurrò Tiny, la voce soffocata per l'umiliazione — - -portami. . fuori. . - -Rigidamente, con rabbia, Cline fece girare la sedia a rotelle e la spinse via, - -nell'ombra. - -Deke gettò indietro la testa e rise. Perdio, come si sentiva bene! Si mise la Max - -nel taschino della camicia. La sentì dura e pesante. Il denaro lo infilò nei jeans. - -Dio, aveva voglia di saltare, si sentiva dentro il trionfo, era come un animale - -selvaggio, bello e forte come un cervo che aveva visto una volta da un - -Greyhound, e in quel momento gli sembrò che ne fosse valsa la pena, tutto il - -dolore e le sofferenze che aveva dovuto sopportare per vincere. - -Ma il Jackman's era silenzioso. Nessuno applaudiva. Nessuno veniva da lui per - -congratularsi. Si calmò, e vide facce silenziose, ostili. Nessuno dei tipi del giro era - -dalla sua parte. Trasudavano disprezzo. Per un interminabile momento l'aria fu - -carica di violenza pronta a esplodere. . poi qualcuno si voltò, scatarrò e sputò sul - -pavimento. Il gruppo si disperse, mormorando, scivolando ad uno ad uno nel - -buio. Deke non si mosse. Un muscolo della gamba cominciò a contrarsi, segnale - -del collasso da iper. Sentiva il cranio intorpidito, e aveva un sapore orribile in - -bocca. Per un secondo dovette aggrapparsi con entrambe le mani al bordo del - -tavolo, per non cadere all'infinito nell'ombra vivente sotto di lui, mentre - -rimaneva sospeso, impalato dagli occhi morti del cervo nella foto sotto - -l'orologio. Un po' di adrenalina l'avrebbe rimesso in sesto. Doveva festeggiare. - -Ubriacarsi, drogarsi, parlare della sua vittoria, raccontarla più volte, - -contraddirsi, inventarsi particolari, ridere e vantarsi. Una sera di gloria come - -quella esigeva delle spacconate. Ma mentre era lì in piedi, con tutto il Jackman's - -enorme e silenzioso e deserto attorno a lui, si rese conto d'improvviso che non - -gli rimaneva nessuno a cui raccontarlo. - -Proprio nessuno. +Proprio nessuno. F I N E # Document Outline - * [PREFAZIONE](index_split_000.html#4) * [JOHNNY MNEMONICO](index_split_000.html#7) * [LA NOTTE CHE BRUCIAMMO CHROME](index_split_000.html#22) * [IL CONTINUUM DI GERNSBACK](index_split_000.html#39) * [FRAMMENTI DI UNA ROSA OLOGRAFICA](index_split_000.html#47) * [HINTERLAND](index_split_000.html#52) * [NEW ROSE HOTEL](index_split_000.html#66) * [IL MERCATO D'INVERNO](index_split_000.html#76) * [LA RAZZA GIUSTA](index_split_000.html#93) * [STELLA ROSSA, ORBITA D'INVERNO](index_split_000.html#103) * [DUELLO](index_split_000.html#119) - - +* [PREFAZIONE](index_split_000.html#4) * [JOHNNY MNEMONICO](index_split_000.html#7) * [LA NOTTE CHE BRUCIAMMO CHROME](index_split_000.html#22) * [IL CONTINUUM DI GERNSBACK](index_split_000.html#39) * [FRAMMENTI DI UNA ROSA OLOGRAFICA](index_split_000.html#47) * [HINTERLAND](index_split_000.html#52) * [NEW ROSE HOTEL](index_split_000.html#66) * [IL MERCATO D'INVERNO](index_split_000.html#76) * [LA RAZZA GIUSTA](index_split_000.html#93) * [STELLA ROSSA, ORBITA D'INVERNO](index_split_000.html#103) * [DUELLO](index_split_000.html#119) \ No newline at end of file