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PRELUDIO I CACCIATORI DEL SOLE

Sezione 7

Alla fine del diciannovesimo secolo come testimonia una moltitudine di passaggi nella letteratura di quel tempo, si pensava che il fatto che l'uomo avesse finalmente avuto rapporti riusciti e proficui con il vapore che lo scottava e l'elettricità che lampeggiava e tuonava nel cielo verso di lui, fosse un esercizio sorprendente e forse culminante della sua intelligenza e del suo coraggio intellettuale. L'aria di "Nunc Dimittis" risuona in alcuni di questi scritti. "Le grandi cose sono scoperte," scrisse Gerald Brown nel suo sommario del diciannovesimo secolo. "Per noi rimane poco se non l'elaborazione dei dettagli." Lo spirito del cercatore era ancora raro nel mondo; l'educazione era poco qualificata, non stimolante, scolastica, e poco apprezzata, e poche persone anche allora avrebbero potuto realizzare che la Scienza era ancora solo il più tenue degli schizzi di prova e la scoperta appena cominciava. Nessuno sembra aver avuto paura della scienza e delle sue possibilità. Eppure ora dove c'erano stati solo una ventina di cercatori circa, ce n'erano molte migliaia, e per ogni ago di speculazione che aveva sondato la tenda delle apparenze nel 1800, ce n'erano ora centinaia. E già la Chimica, che si era accontentata dei suoi atomi e molecole per la maggior parte di un secolo, stava preparandosi per quell'enorme passo successivo che avrebbe rivoluzionato l'intera vita dell'uomo da cima a fondo.

Si realizza quanto fosse grezza la scienza di quel tempo quando si considera il caso della composizione dell'aria. Questa fu determinata da quello strano genio e recluso, quell'uomo di mistero, quell'intelligenza sventrata, Henry Cavendish, verso la fine del diciottesimo secolo. Per quanto lo riguardava il lavoro fu mirabilmente fatto. Separò tutti gli ingredienti noti dell'aria con una precisione del tutto notevole; mise persino a verbale che aveva qualche dubbio sulla purezza dell'azoto. Per più di cento anni la sua determinazione fu ripetuta da chimici in tutto il mondo, il suo apparato fu custodito a Londra, divenne, come si diceva, "classico," e sempre, a ognuna delle innumerevoli ripetizioni del suo esperimento, quell'elemento subdolo l'argon si nascondeva tra l'azoto (e con un po' di elio e tracce di altre sostanze, e infatti tutti gli indizi che avrebbero potuto portare alle nuove partenze della chimica del ventesimo secolo), e ogni volta scivolava inosservato attraverso le dita professorali che ripetevano la sua procedura.

È quindi sorprendente che fino all'alba stessa del ventesimo secolo la scoperta scientifica fosse ancora piuttosto una processione di felici accidenti che una conquista ordinata della natura?

Eppure lo spirito della ricerca si stava diffondendo costantemente attraverso il mondo. Persino il maestro di scuola non poteva fermarlo. Per la mera manciata che cresceva per sentire meraviglia e curiosità sui segreti della natura nel diciannovesimo secolo, c'erano ora, all'inizio del ventesimo, miriadi che sfuggivano dalle limitazioni della routine intellettuale e della vita abituale, in Europa, in America, Nord e Sud, in Giappone, in Cina, e tutto intorno al mondo.

Fu nel 1910 che i genitori del giovane Holsten, che doveva essere chiamato da un'intera generazione di uomini di scienza, "il più grande dei chimici europei," stavano soggiornando in una villa vicino a Santo Domenico, tra Fiesole e Firenze. Aveva allora solo quindici anni, ma era già distinto come matematico e posseduto da un selvaggio appetito di comprendere. Era stato particolarmente attratto dal mistero della fosforescenza e dalla sua apparente non relazione con ogni altra fonte di luce. Doveva raccontare poi nelle sue reminiscenze come osservò le lucciole che vagavano e brillavano tra gli alberi scuri nel giardino della villa sotto il caldo cielo notturno blu dell'Italia; come le catturò e le tenne in gabbie, le dissezionò, studiando prima l'anatomia generale degli insetti molto elaboratamente, e come cominciò a sperimentare con l'effetto di vari gas e temperature variabili sulla loro luce. Poi il regalo casuale di un piccolo giocattolo scientifico inventato da Sir William Crookes, un giocattolo chiamato spintariscopio, sul quale particelle di radio impattano sul solfuro di zinco e lo rendono luminoso, lo indusse ad associare i due insiemi di fenomeni. Fu un'associazione felice per le sue indagini. Fu anche una cosa rara e fortunata che qualcuno con il dono matematico fosse stato preso da queste curiosità.